Grado, fotografia realizzata da Carlo Bevilacqua

Sguardi. La fotografia del Novecento in Friuli e nella Venezia Giulia

Palazzo Gravisi, Palazzo Belgramoni, Tacco, Gallerie Costiere - Capodistria, 20 novembre - 20 dicembre 2009
Chiesa di San Antonio - Udine, 22 gennaio - 21 febbraio 2010
www.craf-fvg.it

Fino al 1919 il Friuli, inteso come regione etnica, caratterizzata anche da una lingua neolatina nettamente distinta dal dialetto veneto e dall'italiano, fu diviso dal confine che, lungo il fiume Judrio, separava il Regno d'Italia dall'Impero austro-ungarico. Esisteva, quindi un Friuli politicamente italiano, che aveva la sua capitale nella Città di Udine, e un Friuli politicamente austriaco o imperiale, che faceva capo a Gorizia: in senso amministrativo di trattava della Provincia di Udine e della Contea di Gorizia e Gradisca.

A livello popolare quella divisione non produsse danni irreparabili, perché la classe agricola, che era di gran lunga la più numerosa, continuò a parlare il suo linguaggio ladino e a coltivare le sue tradizioni, al di qua e al di là del confine. Ma a livello culto (nella letteratura, nella pittura, e anche nella fotografia) chiare risultano due diverse tendenze, definibili, semplificando, come italiana e austriaca, che emersero anche nell'Esposizione regionale di Udine del 1903. (Gianfranco Ellero, La fotografia del Novecento)

La mostra comprende oltre 145 fotografie originali provenienti dagli archivi del CRAF, dei Civici Musei di Udine e di altre Istituzioni e Centri Pubblici e privati della regione ed intende ripercorrere la storia del medium fotografico attraverso le opere dei più significativi Autori e delle scuole di pensiero che hanno segnato il Friuli e la Venezia Giulia. Il Novecento si aprì con la Prima guerra mondiale, che vide il fronte proprio in Friuli e nella Venezia Giulia. La guerra voltò la pagina del Pittorialismo, che aveva trovato tra gli altri espressione in Arturo Floeck (nel 1900 ritrasse Francesco Giuseppe in visita proprio a Gorizia), in Ernesto Battigelli, a cui venne dedicato nell'anteguerra un intiero numero de "L'Illustrazione Italiana" e in Pietro Modotti, lo zio della più nota Tina Modotti presso il quale lavorò Silvio Maria Bujatti dopo aver fatto l'apprendista anche dal grande fotografo tedesco Rudolph Duhrkoop a Monaco.

Ma anche Giacomo Bront fu un esponente di primo piano del pittorialismo friulano dopo che Carlo Wulz aveva continuato l'attività nell'atelier creato dal padre, realizzando ritratti in studio di taglio pittorialista, ma anche paesaggi e riprese di avvenimenti sociali, e si diffondevano gli studi in tutte le cittadine della regione. Dopo la parentesi della Prima guerra mondiale, la fotografia iniziò nel Friuli Venezia Giulia con Ugo Pellis un'esperienza di dialettica tra l'immagine e la lingua sulla base delle tesi di Carl Jaberg e Jacob Jud modellate sull'idea dell'Atlas Linguistique de la France e contestualmente si consolidò un'idea cartolinesca della fotografia con l'interpretazione bucolica del paesaggio e le scene di vita dei paesi in particolare della montagna con Umberto Antonelli e Attilio Brisighelli.

Nelle opere di Enrico del Torso vennero rappresentate le ultime famiglie della nobiltà agricola friulana mentre, Francesco Krivec, nato a Tolmino divenne più grande ritrattista del secolo in Friuli e fu tra i primi ad introdurre il colore in fotografia. Nel Secondo dopoguerra, accanto ad una ripresa delle arti e della cultura più ampia (basterebbe citare solamente Pier Paolo Pasolini) la fotografia vide nascere a Spilimbergo nel 1955 il "Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia", unico gruppo in Italia a dotarsi di un Manifesto programmatico ispirato al neorealismo. Italo Zannier, Gianni e Giuliano Borghesan, Aldo Beltrame, Carlo Bevilacqua, Toni del Tin e Fulvio Roiter e anche Giuseppe Bruno, furono i protagonisti di quella stagione culturale e segnarono una tappa fondamentale per la fotografia italiana.

Apparvero anche, dagli anni '50, altri fotografi di valore, come Tin Piernu, che documentò la vita delle minoranze slovene nelle Valli del Natisone, il triestino Tullio Stravisi, il Goriziano Paolo Gasparini (poi tra i più importanti fotografi del centro-sudamerica), il pordenonese Pierluigi Praturlon che fu il fotografo della Dolce Vita (sua la famosissima immagine di Anita Ekberg che fa il bagno nella fontana di Trevi) e poi un ruolo di livello nazionale nella fotografia di paesaggio è stato quello di Elio Ciol. Nel decennio successivo, Edoardo Nogaro in Carnia e Riccardo Toffoletti nelle Valli del Natisone sono stati considerati tra i più significativi epigoni della fotografia neorealista, richiamando appunto nelle proprie estetiche lo stile introdotto dal Gruppo Friulano.

I fotogiornalisti Mario Magajna, Aldo Missinato e Claudio Erné, ma anche Gianni Pignat e Riccardo Viola hanno documentato eventi come il disastro del Vajont o l'inondazione di Pordenone del 1966, i funerali di Pasolini del 1975 e il terremoto del 1976 (evento interpretato fotograficamente anche dall'artista Bruno Lorini), mentre Massimo Cetin ha ripreso l'arrivo dei profughi dalla Bosnia a Muggia e Davorin Krizmancic i giorni dell'indipendenza della Slovenija. Gianluigi Colin, anche art director del Corriere della Sera, ha introdotto nuove semiotiche nella fotografia "interpretando" l'arrivo in Italia dei boat people albanesi e Ulderica Da Pozzo ha collaborato con riviste nazionali di viaggi e turismo.

Un ruolo significativo hanno svolto i Circoli fotografici che, al pari del resto d'Italia, hanno svolto una funzione aggregativi in particolare negli anni '60, '70 e '80 ed espressione di questo mondo sono stati in particolare Tullio Stravisi, Adriano Perini, Enzo Gomba e Giandomenico Vendramin. Dagli anni '80, analogamente a quanto accadeva più in generale in Italia, anche nel F.V.G. la fotografia assumeva progressivamente un ruolo più di arte che di documento: sono quindi apparsi sulla scena "artisti-fotografi" come Piccolo Sillani, Albano Guatti, Pier Mario Ciani, Stefano Tubaro, Maurizio Frullani, Roberto Kusterle, Walter Criscuoli, Sergio Scabar, Catia Drigo, Massimo Crivellari, Francesco Nonino, Gianni Cesare Borghesan, Cesare Genuzio, Guido Cecere e poi molti altri giovani che oramai, anche attraverso l'uso del digitale, sono parte attiva nei contemporanei processi di estensione linguistica della fotografia e della sua globalizzazione.

Già con gli anni '70, tutte le arti incominciano anche a fondersi in modo antropico, segnando così la trasformazione sociale e culturale degli ultimi decenni del Novecento, originando la multimedialità e quindi il postmodernismo, attraverso una decisiva innovazione dell' uso della fotografia da parte degli artisti. Andrea Pertoldeo, Stefano Graziani, Massimo Crivellari, Luca Laureati, Carlo Andreasi, Max Rommel, Francesca Dotta, e Marco Citron in modo analogo sono attivi nella fotografia di paesaggio urbano e architettura andando oltre le oramai "preistoriche" vedute concettuali dell'ambiente e del paesaggio che risalivano alle culture dei primi anni '70 che tendevano a enfatizzare i segni visivi esclusi da ogni attribuzione di significato. Debora Vrizzi, Isabella e Tiziana Pers hanno esposto in diverse città italiane e lavorano con il digitale costruendo anch'esse immagini caratterizzate dal simbolico, mentre Pierpaolo Mittica e Roberta Valerio, da tempo attivi sulla scena internazionale si sono formati come fotografi al CRAF.



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