Breve Storia del Caucaso

di Aldo Ferrari
ed. Carocci, pagg.152, Roma 2007

Recensione di Ninni Radicini

Copertina Breve Storia del Caucaso, libro di Aldo Ferrari Alla fine del febbraio 1988 quando televisioni e giornali riportarono la notizia di un conflitto nell'Unione Sovietica tra due popolazioni, armeni e azeri, è probabile soltanto gli osservatori più attenti si resero conto che quanto stava accadendo era il prodromo della implosione di un impero considerato monolitico. Più di un anno prima del caduta del muro di Berlino, in un area in apparenza periferica e poco conosciuta, la burocrazia amministrativa e militare moscovita constatò quanto la Storia dei popoli fosse più forte di qualunque ideologia sovranazionale e della divisione del mondo in blocchi. Eravamo a un passo dal futuro, in una terra in cui il futuro e il passato sono indistinguibili: il Caucaso.

Mosaico di etnie, lingue culture, distribuite in modo difforme nel territorio, il Caucaso deve la sua complessità paradigmatica alla collocazione geografia, frontiera e cerniera tra il Vicino Oriente, le steppe euroasiatiche, e l'area del Mediterraneo orientale, per secoli motivo di effetti spesso cruenti, a seguito del passaggio di popolazioni nomadi provenienti dalle steppe dell'Asia centrale e delle mire espansionistiche delle potenze limitrofe. I conseguenti spostamenti degli autoctoni dalle valli alla montagne, da Nord a Sud e viceversa, hanno frammentato la disposizione delle etnie e determinato differenze profonde nell'evoluzione tra la parte settentrionale e quella meridionale (Subcaucasia).

Ne è esempio il quadro religioso. Nel Nord prevale l'islam sunnita, con una minoranza cristiana ortodossa di russi e osseti (entro cui peraltro esiste una componente musulmana) e la presenza degli "Ebrei di montagna", di lingua iranica, e dei Calmucchi, buddisti. A Sud, armeni e georgiani sono di fede cristiana; gli azeri musulmani sciiti. Un'altra differenza tra le due macroaree caucasiche è sul versante politico-amministrativo. Il Nord è riuscito soltanto per brevi periodi a costituire entità forti. Nel Sud invece, nonostante le altrettante molteplici invasioni fin dall'antichità, già alla fine dal VI sec. si formarono regni che beneficiarono della prossimità a società già strutturate, quali quella mesopotamica e quella persiana, molto influenti come riferimento per organizzazione militare e nell'onomastica, e per l'opportunità di contatto con il mondo ellenico attraverso il Mar Nero.

Si pensi alla Confederazione della Colchide, fondata da popolazioni protogeorgiane; al mito del Vello d'Oro; al Prometeo incatenato di Eschilo in cui è presente per la prima volta il termine "Caucaso"; alla presenza greca nel Ponto Eusino; al successivo periodo di Alessandro Magno. In parte ne risentì anche l'area nord-occidentale, dove le colonie greche - la più importante delle quali fu Panticapea - alla fine del V secolo formarono un regno.

Nel II sec. a.C georgiani, armeni e albani costituirono regni indipendenti in grado entrare in relazione con l'impero romano. Quello armeno, con Tigrane il Grande, raggiunse la sua massima estensione, dal Caspio al Mediterraneo. Roma non occupò la Caucasia meridionale e concesse ampia autonomia ai sovrani locali, in particolare armeni e georgiani, purché svolgessero funzione difensiva contro i nomadi del Caucaso settentrionale e contro i Parti, che però ebbero prevalenza culturale, religiosa, politica, con intensità decrescente procedendo verso la Georgia. Eppure nel IV secolo tutta la Subcaucasia si convertì al Cristianesimo (la "Caucasia cristiana"): i primi furono gli armeni, fra il 301 e il 314, grazie a San Gregorio Illuminatore; i georgiani ad opera di Santa Nino nel 337; gli albani per influsso dell'Armenia. Per armeni e georgiani questa scelta determinò un rafforzamento delle rispettive identità e una relazione più stretta con Bisanzio.

Nel Caucaso settentrionale la divulgazione del Cristianesimo interessò soprattutto la parte occidentale. Ben più determinante per il futuro dell'area l'arrivò di popolazioni nomade turche, che travolsero gli Alani prima di compiere devastazioni anche nel Sud. La più rilevante fu quella dei Khazari poi, con una scelta singolare, convertitisi all'ebraismo. Fondarono un canato tra il sud del Volga e il Caspio, insuperabile per gli Arabi durante l'avanzata nel VII sec.. Questi occuparono invece la Transcaucasia, tranne la parte corrispondente all'Abkhazia.

Tbilisi divenne sede di un emirato e gli Albani furono islamizzati, scomparendo in poco tempo come etnia. Gli armeni cominciarono ad acquisire notevoli capacità commerciali (gli arabi esigevano tasse in moneta) ed espressero secolo alcuni imperatori bizantini tra VI all'XI sec., di confessione calcedonese ovvero non fedeli della Chiesa Apostolica Armena. Le rivolte contro gli invasori, compiute insieme dalle tre etnie, portarono nel IX sec. alla formazione di principati armeni e georgiani. Sotto la comune dinastia bagratide, i primi svilupparono l'economia, la letteratura (es. il poeta Gregorio di Narek), le arti (le croci di pietra: Khachkar), ma indeboliti dalle contese tra i principi e il sovrano furono annessi all'impero bizantino. Quelli georgiani furono invece unificati da Bagrat II nel 1008.

Questa fase di transizione si concluse con l'invasione dei Selgiuchidi - turchi islamizzati - che, dopo aver sconfitto l'esercito di Costantinopoli a Manzikert nel 1071, si installarono nel territorio degli albani. L'Armenia riuscì a conservare solo una parte del territorio, solo perché lo annesse al regno di Georgia, che ebbe il periodo migliore con la regina Tamara (1184-1213). Ma l'economia armena entrò in crisi e molti si rifugiarono nei territori bizantini di confine (la prima diaspora).

La devastazione del Caucaso del Sud fu completata con le invasioni dei mongoli e dei mamelucchi egiziani. I Safavidi, musulmani sciiti al potere in Persia dalla fine del Quattrocento, islamizzarono l'area orientale del Caucaso meridionale e formarono due canati a maggioranza armena (Jerevan e Nakhichevan). Il Nord rimase in gran parte fuori dalla contesa tra ottomani e persiani e, tranne gli Osseti, aderì all'islam sunnita mantenendo le sue strutture tribali. La ripresa della regione avvenne grazie al commercio, potenziato dalle colonie sulla costa orientale del mar Nero fondate dai genovesi, che costruirono chiese e fortezze e si spinsero nell'entroterra. La loro esistenza terminò a seguito dell'invasione dei turchi ottomani, i quali poi si spartirono il territorio con i persiani.

Una quota rilevante del popolo armeno fu deportata in Persia e le uniche regioni in cui l'etnia rimase maggioritaria furono il Siunikh e l'Artsakh (nota anche con il nome turco di Karabakh). Dal 1548 al 1680 la guida politica della nazione fu il Kathoghikos, il capo della Chiesa armena. Il tramonto dell'idea di crociata, gli investimenti ormai concentrati sull'esplorazione e la colonizzazione delle Americhe, e le difficoltà logistiche per un intervento militare in Oriente, isolarono georgiani e armeni dal mondo cristiano. Fino all'arrivo della Russia, a quel punto l'unica potenza cristiana in grado di soccorrerli.

Dopo la vittoria sui tartari nel XVI sec., Ivan IV il Terribile fece costruire una fortezza sul fiume Terek e promosse una politica di cooptazione della nobiltà caucasica, da lui stesso attuata nel 1561 sposando la figlia di Temrjuk, uno dei capi della Cabarda. Pietro il Grande rafforzò i rapporti tra russi, georgiani e armeni, a partire dalla fede cristiana e dalle relazioni commerciali.

La prima avanzata russa nella regione è datata 1772, quando l'esercito si addentrò fino a Baku. I successivi imperatori decisero però di concentrarsi innanzitutto sul Caucaso settentrionale, puntando a conquistarlo "dal basso", attraverso il rafforzamento delle posizioni già conseguite, la costruzione di una catena di fortezze dal mar Nero al Caspio, la divulgazione del Cristianesimo e l'insediamento di comunità armene per promuovere il commercio. Con l'arrivo al potere di Caterina II fu ripresa la linea di Pietro il Grande e organizzata la prima grande campagna militare per la liberazione della Subacaucasia (Transcaucasia secondo la dicitura russa) - la guerra russo-turca (1764-68) -, interrotta quando l'esercito zarista fu richiamato a Nord a seguito della crescenti minacce di insurrezione dei montanari islamici. Ne approfittarono i persiani che devastarono la regione. La Russia allestì una nuova spedizione agli ordini del generale Zubov e nel 1796 rientrò in Transcaucasia liberando Baku, Derbent e Tbilisi.

Lo stesso anno morì Caterina II e il nuovo imperatore Paolo I richiamò l'esercito per fronteggiare Napoleone. Da notare che Francia e Inghilterra, nemiche in Europa, si ritrovano dalla stessa parte nel Caucaso a sostegno dei turchi e dei persiani, a loro volta nemici. Nonostante questo schieramento di avversari, intorno al 1830 la Russia portò pressoché a compimento l'avanzata nel Caucaso. Si era in epoca Romantica e quanto accaduto ebbe riferimenti notevoli nella produzione letteraria (Tolstoj, Puskin) e nella cultura popolare. I rapporti con georgiani, armeni, e azeri (i russi li chiamavano Tartari) furono caratterizzata in parte di incomprensioni, dovute alla volontà di affermazione delle rispettive autonomia, ma tutti popoli dell'area erano consapevoli che il nuovo clima di sicurezza era la migliore garanzia per la rinascita della regione (molti armeni dalla Persia tornarono in patria). Dopo una prima controversa fase centralista, arrivò la svolta con Michail Voroncov, a cui lo zar affidò il governo della regione, con il titolo di vicerè e pieni poteri.

La sua linea si fondava sul rispetto delle nazionalità e sulla collaborazione tra queste e l'autorità imperiale attraverso l'attribuzione di diritti connessi alla loro specificità. Gli effetti furono positivi anche nel Nord, dove l'amministrazione militare fu sostituita da quella civile. Alla fine dell'Ottocento i confini dell'impero furono estesi come mai prima. Ma l'inclusione dei popoli dell'Asia centrale cambiò gli equilibri demografici al punto che i russi potevano ancora considerarsi maggioranza solo insieme a bielorussi e ucraini. Questo fatto insieme alla diffusione delle ideologie socialiste e rivoluzionarie, determinarono con lo zar Alessandro III il ritorno al centralismo.

I problemi maggiori arrivavano dal Caucaso settentrionale, abitato da popolazioni bellicose denominate in blocco "gorci" (montanari) dai russi, seppure in realtà fossero scollegate tra loro. Provò a unirli su base islamica ed egualitaria un capo guerrigliero degli Avari, Samil. Impegnò molto i russi, potendo contare sul sostegno di turchi, inglesi e francesi, fino alla cattura nel 1859. Un successivo passaggio di quote di popolazione musulmana nell'impero ottomano modificò ancora una volta la composizione demografica del Caucaso.

Durante guerra di Crimea contro i turchi, i russi furono sconfitti a Sebastopoli ma ebbero la meglio nel Caucaso e occuparono una vasta area dell'Anatolia a maggioranza armena. Al congresso di Berlino del 1878 le potenze occidentali gli chiesero di ritirarsi, garantendo che l'impero ottomano avrebbero concesso agli armeni tutti i diritti civili e politici. Una parte degli armeni anatolici non si fidò e seguì l'esercito russo. Fu la loro salvezza, perché i turchi non fecero nessuna riforma e tra il 1894 e il '96 compirono una pulizia etnica nella regione massacrando decine di migliaia di armeni.

In Transcaucasia la rivoluzione del 1905 ebbe carattere nazionale oltre che di classe e ogni etnia si diede un partito rappresentativo: il Dashnaktsuthiun per gli armeni, il Partito socialdemocratico menscevico per i georgiani; il Musavat per gli azeri. Questi ultimi, maggioranza nella regione ma meno influenti di georgiani e armeni, cominciarono a identificarsi come turchi nonostante la precedente, secolare, presenza persiana. Nel 1915 gli armeni residenti in territorio ottomano subirono il primo genocidio del XX secolo.

Alla base c'erano motivazioni economiche ed etniche, riconducibili queste ultime all'ideologia panturanista orientata a creare un impero turco comprendente l'Azerbaigian e i territori dell'Asia centrale abitati da popolazioni di stessa origine. Furono uccisi nei modi più atroci 1.5 milioni armeni. L'annientamento fu evitato solo perchè una parte riuscì a trovare scampo in Siria e Libano e per l'avanzata dell'esercito russo nella regione. Un paio d'anni dopo la Rivoluzione d'Ottobre, a cui stavolta a cui arrivò un contributo militare significativo dall'area caucasica settentrionale, dove per la prima volta i popoli locali si allearono formando la Repubblica dell'Unione dei Montanari, nonostante pochi musulmani aderissero al partito bolscevico, che invece nella Transcaucasia trovò l'alleanza con i partiti nazionali.

La guerra civile indebolì la Russia e i turchi ne approfittarono per sconfinare nel Caucaso. Furono fermati quando ormai erano alle porte di Jerevan. Le conseguenze per l'Armenia furono gravissime: all'inizio del 1919 il 20% della popolazione moriva per fame ed epidemie. Con il trattato di Brest-Litovsk (1918) i turchi riebbero i territori di Kars e Ardahan, Batumi, persi nel 1878.

Gli stati della Transcaucasia diventarono di fatto protettorati di potenze straniere: i tedeschi in Georgia (riconosciuta come stato indipendente dalla Turchia); gli Usa in Armenia; gli inglesi in Azerbaijan. Nel 1920 l'Armenia, ridotta a un decimo della sua estensione storica, chiese il ritorno alla sua sovranità di parti di territorio oltre confine. Tali richieste furono accolte nel Trattato di Sevres ma non furono accettate dalla Turchia che l'invase, costringendola a rinunciare a quanto stabilito. Nel 1921 le tre repubbliche subcaucsiche aderirono all'Unione Sovietica, in un quadro di parità di diritti tra le etnie e di riequilibrio delle condizioni economiche, attraverso un sistema autonomistico gerarchico che sganciava il riconoscimento dell'identità nazionale dall'autonomia culturale. La difficoltà principale stava nella presenza in ognuno di minoranze degli stati vicini. Ma a dimostrarsi determinante per la tenuta dell'impianto amministrativo non fu la tipologia bensì alcune scelte riconducibili a opzioni strategiche di brevissima durata.

Così, ad esempio, nell'ipotesi di un avvicinamento in senso antioccidentale alla Turchia kemalista e di una espansione delle relazioni con il mondo asiatico, Mosca avvantaggiò soprattutto l'Azerbaigian concedendogli l'Alto Karabagh (nonostante fosse a maggioranza armena), e il Nachicevan. All'inizio della Seconda guerra mondiale, durante l'invasione dell'Urss, i nazisti, attraverso il fianco meridionale puntarono ai pozzi di petrolio azeri, avanzando fino all'area nord-occidentale del Caucaso. Sopradici casi di collaborazionismo delle popolazioni locali furono poi puniti con deportazioni di massa in Siberia e Asia centrale. La Subcaucasia invece ebbe un ruolo essenziale di centro produttivo.

Tra il 1943 e il '45, la Chiesa georgiana riebbe l'autocefalia e in Armenia fu eletto il nuovo Kathoghikos. L'Urss uscì dalla guerra in condizioni terrificanti: 20 milioni di morti, industria e agricoltura devastate. Dopo la fine dell'era di Stalin, a metà degli anni '50, cominciò una fase di maggiore tolleranza delle identità nazionale, purché non fossero antirusse e antisovietiche. In Armenia nel 1965 fu organizzata una grande manifestazione in occasione del 50esimo anniversario del genocidio e costituita una formazione politica, il Partito nazionale unificato, che chiedeva il ritorno alla sovranità armena dei suoi territori storici.

La Georgia puntò molto sulla difesa della lingua e rispetto all'Armenia ebbe un rapporto più difficile con Mosca. In Azerbaijan, seppure in modo più attenuato, cominciò a farsi strada un nazionalismo elaborato rivendicando l'eredità dell'Albania. La tendenza all'affermazione della nazionalità trovò nuovo vigore a metà degli anni '80 con la Perestroika e la Glasnost di Mikhail Gorbaciov, il quale però non riuscì a migrare la struttura federale sovietica in una di tipo liberale (occidentale). I prodromi della implosione si ebbero proprio nel Caucaso, alla fine del decennio. La questione più eclatante sorse nell'Alto Karabakh, la cui popolazione armena chiedeva l'unione con la madrepatria. Nel febbraio '88 nella città azera di Sumgait vi fu un pogrom antiarmeno. La tensione si allentò in occasione del terremoto devastante che colpì l'Armenia in dicembre, ma riprese poco dopo.

All'inizio degli anni '90, le dichiarazioni d'indipendenza delle varie repubbliche decretarono la fine dell'Urss. Per il Caucaso i primi anni seguenti furono un ritorno al passato, in particolare per la Subcaucasia al centro degli interessi di Russia, Turchia, Iran, con in parziale coinvolgimento dell'Ue, data la presenza di rilevanti giacimenti petroliferi e la collocazione, che la rende percorso alternativo per il trasporto delle risorse energetiche dell'Asia centrale verso il Mediterraneo. Seppure rimasto parte integrante della Russia, nello stesso periodo anche il Nord caucasico fu attraversato da conflitti etnico-religiosi, come quello tra ingusci (musulmani) e osseti (cristiani ortodossi), e insurrezioni nelle repubbliche di Karacaj-Circassia e Cabarda-Balcaria. Ma il territorio più ostile alla presenza russa fu la Cecenia, che trovò subito un leader, Zokar Dudaev, ex generale sovietico. Dopo la presa del potere nel '91 fu proclamata la secessione unilaterale da Mosca.

In questo caso si trattava della Repubblica di Cecenia-Inguscezia. L'anno dopo però gli Ingusci si separarono e aderirono al nuovo trattato federale russo. Nel 1994 la Russia di Boris Eltsin lanciò un attacco militare per riprenderne il controllo. La parte pianeggiante fu conquistata ma i guerriglieri ceceni, guidati da Samil Basaev, si spostarono sulle montagne circostanti e da lì inflissero molti danni all'esercito russo. Mosca riuscì a eliminare Dudaev, ma alla fine dovette accettare di concludere le ostilità con un accordo che portava alla presidenza cecena il leader locale Maskadov e rinviava di cinque anni la decisione sullo status della Repubblica. Una tregua utile soprattutto alla Russia, nella sua fase storica post-sovietica più difficile. La resa dei conti cominciò nel 1999, dopo uno sconfinamento di un gruppo di guerriglieri ceceni in Daghestan. Allora il nuovo premier russo Vladimir Putin avviò una nuova campagna militare, che si dimostrò efficace.

La Georgia, dopo l'indipendenza, fu a sua volta soggetta a spinte centrifughe da parte delle Repubbliche di Abkhazia e Ossetia del Sud, di fatto autonome dal '93 con la supervisione di Mosca, e delle regioni di Agiaria - abitata da georgiani musulmani - e dello Javakheti, a maggioranza armena. Da sempre oscillante tra Oriente e Occidente, fino al 2004 è stata governata da Edward Sheverndze, già ministro degli Esteri di Gorbaciov, che la fece aderire alla Csi (Comunità Stati Indipendenti) rafforzando allo stesso tempo i legami con Unione Europea e Usa. Nel 1996 Georgia, Armenia e Azerbaigian firmano l'Accordo di partenariato e cooperazione con l'Ue e nel '99 entrano nel Consiglio d'Europa. La tensione con la Russia è aumentata a partire dal gennaio 2004, quando la cosiddetta "Rivoluzione delle Rose", porta al potere Mikhail Saakasvili sostenitore dell'ingresso nella Nato e di un rapporto più stretto con gli Usa.

Il primo presidente della repubblica armena dopo l'indipendenza è stato Levon Ter Petrosian, uno dei pochi leader post-sovietici non al vertice del Pcus. Gli anni '90 sono stati molto difficili per Jerevan. Oltre al conflitto con gli azeri ha dovuto affrontare una crisi economica dovuta alla sua posizione geografica e al blocco della frontiera imposto dalla Turchia. Nonostante tali pesanti condizioni è riuscita a trovare alternative grazie al rapporto strategico con Mosca (senza ridimensionare quello con gli Usa), all'ingresso nel Wto (2002), all'avvio di relazioni con Iran e Ue, e a molta simpatia internazionale, come dimostrato dal sempre più ampio riconoscimento del genocidio. Da rilevare che il negoziato di adesione della Turchia all'Ue contiene capitoli che hanno riferimento alle relazioni tra Jerevan e Ankara.

In Azerbaijan, dopo la presidenza di Mutalibov, nel '93 arriva al Haydar Aliyev, anche lui, come il predecessore, ex segretario del Pc locale. Punta subito alla stabilizzazione del potere attraverso una gestione familistica, rimanendo in equilibro tra Mosca e Washington. Soprattutto l'anno dopo firma un accordo con aziende petrolifere occidentali, da cui ottiene il 30% dei ricavi (il 10% poi è passato alla Russia). Al vertice dello stato gli succede nel 2003 il figlio Ilham. Nel maggio 2005 è stato inaugurato l'oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan. La rilevanza strategica della disponibilità di risorse energetiche e gli effetti della politica di allargamento hanno aumentato l'interesse dell'Europa verso il Caucaso. Permane la complessità di quest'area. Ma tale caratteristica è la sua ricchezza.

Questo libro colma una lacuna editoriale. E' infatti la prima sintesi storica del Caucaso nella sua interezza, a partire dall'antichità. Operazione tutt'altro che semplice data l'impossibilità di trovare denominatori comuni a tutte le componenti nazionali della regione. Premesso l'orientamento naturale verso studiosi, analisti, e operatori dei mass media, il volume si caratterizza anche per una scansione narrativa efficace, tale da renderlo adatto anche ai lettori interessati ad approfondire la conoscenza di un territorio da sempre di rilevanza sovranazionale.

Aldo Ferrari, docente di Lingua e Letteratura armena presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, dirige il Programma di Ricerca Caucaso-Asia centrale dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano. E' vicepresidente dell'Associazione per lo Studio in Italia dell'Asia centrale e del Caucaso (ASIAC).



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Mondo ex e tempo del dopo

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Mostre sulla Georgia e di Artisti dalla Repubblica Georgiana

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La Grecia contemporanea (1974-2006)



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