La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007
Tra gli ospiti i premi Oscar Giuseppe Tornatore e Danis Tanovic, gli attori Luigi Lo Cascio, Enrico Lo Verso e Alessio Vassallo, il regista e direttore della fotografia Daniele Ciprì e i registi Costanza Quatriglio, Luca Barbareschi e Aurelio Grimaldi.
Il Baarìa Film Festival (Bagheria - Palermo), primo festival italiano interamente dedicato al "cinema insulare", ha annunciato il programma, tra opere inedite o poco note in Italia e il meglio tra le 1140 iscrizioni provenienti da tutto il mondo. In Arcipelaghi, sezione competitiva di lungometraggi, figurano tre film che hanno rappresentato il loro paese agli Oscar 2025: Old Fox del regista taiwanese Ya-chuan-Hsiao, romanzo di formazione ambientato nella Taiwan di fine anni Ottanta, Under the Volcano del polacco Damian Kocur, che segue le vicende di una famiglia ucraina bloccata a Tenerife dall'invasione russa, e My Late Summer del bosniaco Danis Tanovic dove una giovane donna di Zagabria che arriva su un'isola per questioni di eredità inizia una relazione con uno scrittore.
Da Cuba, in prima nazionale, arriva La Mujer Salvaje di Alàn Gonzàlez, storia di una madre alla ricerca del figlio per le strade dell'Avana, mentre la Repubblica Dominicana è rappresentata da Insular di Héctor M. Valdez, con un naufrago costretto a confrontarsi con i propri demoni; dalla regista finlandese Tiina Lymi arriva il dramma storico Stormskerry Maja, ambientato nella metà dell'Ottocento sulle Isole Åland, mentre Fog, thriller psicologico della regista russa Natalia Gugueva, ci porta su un'inaccessibile stazione meteorologica per indagare sulla misteriosa scomparsa di una coppia.
Dalla Nuova Zelanda arriva We Were Dangerous opera prima di Josephine Stewart-Te Whiu, storia di amicizia e ribellione che racconta di tre adolescenti Maori mandate in una scuola femminile per essere rieducate alla disciplina coloniale, mentre la Corea del Sud porta in anteprima nazionale A Ray of Sunlight di Sook-Hee Moon una storia di intrighi e tensioni familiari che lascia però spazio alla speranza. Ultimo film in competizione Fucking Bornholm dalla regista polacca Anna Kazejak che esplora le sfide della genitorialità, le crisi di mezza età e le complessità delle relazioni di coppia. Gran parte dei film in competizione saranno accompagnati dai registi o dagli attori.
Anche i cortometraggi presentati nella sezione Atolli arrivano da tutto il mondo. Troviamo quindi i toni biblico-shakespeareni di Two Knights di Piotr Szkopiak di produzione inglese, la scherzosa riflessione filosofica in Varitas de Ballena di Cuevas & Carola dalla Spagna, Just One Step di Heejun Yoo microparodia dalla Corea del Sud, mentre dalla Francia arrivano il romantico Les Oiseaux de Passage di Liza Diaz, L'Interview d'Elénore finta intervista ad un'isolana d'adozione di Ophélie Bellaton e il Kafka in salsa russa di The Universal Temple di Bertrand Normand.
Dall'Italia A domani di Emanuele Vicorito storia di un colpo di fulmine tra due ragazzi provenienti da mondi lontanissimi, La Femmina di Nuanda Sheridan rievocazione di una tragica relazione omo, Luca, Fuori Sincrono un divertente Woody Allen nostrano di Alessandro Marinaro, L'Ultima Pagina di Antonio Sidoti che mescola toni apocalittici e nostalgie famigliari e Al Buio di Stefano Malchiodi, corto postumo che racconta un imprevedibile incontro liparota. Ancora Italiani gli unici due documentari selezionati e provenienti dal Centro Sperimentale di Cinematografia: Acquasanta saggio visivo di Gianfranco Piazza e Tito Puglielli sui centenari cantieri di Palermo e Il Mare che amo da Morire di Yana Fedotova ritratto del pescatore Pino.
Cortometraggi anche da Cipro con il racconto dell'immigrato nigeriano che cita Capitan Sparrow in Parallel Poles di Ibrahim Dalkilic e dalla Turchia con la storia dell'orfanella in bilico tra dramma e favola in Morî di Takup Tekintangaç. Tre piccoli capolavori dal tema non strettamente insulare arrivano dall'Uzbekistan con Timur Amanshikov e il suo appuntamento con anello di fidanzamento in Atomic Bomb e dall'Iran con Steak di Kiarash Dadgar racconto attualissimo dello strazio bellico e CCTV di Samira Karimi che racconta di due ragazze chiuse nello spaziosoffocante di una scuola che impone e sorveglia. Si terrà anche un omaggio al regista Nico Bonomolo che presenterà il suo Maestrale, cortometraggio già vincitore del Premio David di Donatello 2022.
Per le Serate in Villa che si terranno nella settecentesca Villa Cattolica, sede permanete del Museo Guttuso, sono previste anteprime ed eventi speciali. In apertura un ciclo di film muti provenienti da alcune tra le più prestigiose Cineteche italiane e musicati dal vivo dagli allievi del Conservatorio di Palermo: Nella Conca d'Oro e Industria dell'Argilla In Sicilia entrambi del 1920 e presentati dal Museo del Cinema di Torino, Terremoto di Messina film del 1909 che viene dalla Cineteca Italiana di Milano. Dalla Cineteca di Bologna arriva Un Giorno a Palermo del 1914, e dalla Cineteca del Friuli L'Eruzione del Monte Etna, del 1910. Tra le proiezioni serali presentate dai registi troviamo Paradiso in Vendita commedia romantica e insieme politica di Luca Barbareschi su un'isola siciliana venduta ai francesi dallo Stato per far fronte alla crisi economica.
Oltre alle proiezioni di cortometraggi e di lungometraggi in concorso e fuori concorso, diversi eventi arricchiranno il programma: le conversazioni con Luigi Lo Cascio, Enrico Lo Verso e Alessio Vassallo per La Valigia dell'Attore, Il panel Fare cinema in Sicilia con il Presidente della Sicilia Film Commission Nicola Tarantino, il Direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia Ivan Scinardo, il regista e produttore Marco Amenta e l'incontro con il regista e direttore della fotografia Daniele Ciprì.
Il regista Premio Oscar Giuseppe Tornatore sarà l'ospite d'onore nella serata di sabato 5 luglio. Per una sera niente film, ma un momento unico per raccontare una carriera straordinaria in maniera insolita. Al centro della serata, infatti, un aspetto poco esplorato del percorso professionale del regista bagherese: il suo rapporto con la pubblicità (ha firmato una quarantina di spot). Un viaggio attraverso immagini conosciute e sequenze poco note, a curiosare fra i segreti di una carriera che da Bagheria si è subito allargata al mondo.
I premi per i lungometraggi saranno assegnati da una giuria composta dai registi Roberta Torre, Uberto Pasolini e Marco Amenta. La giuria dei cortometraggi sarà invece composta dal regista Nico Bonomolo (David di Donatello 2022 per il Miglior Corto), dallo sceneggiatore Paolo Pintacuda e dalla fotografa e docente universitaria Anna Fici. Prodotto dall'Associazione culturale Kinema di Bagheria, con il patrocinio del Comune, il festival è stato ideato e curato dal giornalista Andrea Di Quarto e ha come direttore artistico il critico cinematografico Alberto Anile.
La sede siciliana del Centro Sperimentale di Cinematografia è presente nella sezione "Atolli" con cortometraggi realizzati dagli allievi del corso di documentario e brevi pillole che anticipano le proiezioni. Questi brevi racconti, frutto di laboratori didattici sotto la supervisione della direttrice artistica Costanza Quatriglio, sono stati realizzati proprio nel territorio bagherese.
Il Baarìa Film Festival è realizzato con il patrocinio del Comune di Bagheria, Assessorato Turismo Sport e Spettacolo della Regione Siciliana, Sicilia Film Commission e Museo Guttuso, e il sostegno del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, Conservatorio Alessandro Scarlatti di Palermo, Museo Nazionale del Cinema di Torino, Cineteca di Bologna, Cineteca di Milano, Cineteca del Friuli e Istituto Polacco di Roma. (Comunicato ufficio stampa REGGI&SPIZZICHINO Communication)
Capitolium Art: Riemerge in asta un capolavoro disperso del caposcuola dei Fauves Maurice De Vlaminck
Esposizione: 23 e 24 giugno 2025
Palazzo Cigola Fenaroli Valotti - Brescia
www.capitoliumart.com
(Comunicato ufficio stampa Scarlett Matassi - 19 giugno 2025) - Come ben sanno gli studiosi e i collezionisti di tutto il mondo, nei cataloghi delle vendite all'incanto di opere d'arte spesso riaffiorano capolavori di cui si erano perse da lungo tempo le tracce. Un ritrovamento emozionante è ad esempio quello ascrivibile al fiuto degli esperti di una casa d'aste italiana, la Capitolium Art di Brescia, che giovedì 26 giugno metterà in vendita un'opera, ritenuta sino a oggi dispersa, del periodo più radicalmente fauve del più fauve dei fauve: il sanguigno, ribelle, anarchico Maurice de Vlaminck. Una notizia di non poco conto se si considera il potente impatto esercitato sullo sviluppo dell'arte moderna dal movimento che trovò in Matisse, Derain e, per l'appunto, de Vlaminck i suoi esponenti di punta.
Dell'opera, un esplosivo Champ de Blé dipinto da de Vlaminck intorno al 1906, si conosceva l'esistenza solo grazie a una piccola foto in bianco e nero archiviata dal Wildenstein Institute di New York nel 1973. Già in quella data la sua ubicazione risultava però sconosciuta. Lunedì 23 e martedì 24 giugno sarà visibile per la prima volta al pubblico in occasione dell'esposizione dei lotti che Capitolium batterà all'asta giovedì 26. Gli esperti della casa d'aste della famiglia Rusconi sono riusciti a ricostruire con buon margine di approssimazione le vicissitudini del paesaggio, approdato quasi subito in una collezione privata statunitense e poi, dai primi anni Settanta, il momento in cui se ne perdono le tracce, in una collezione privata milanese.
I colori dell'opera, una squillante tavolozza dominata da gialli, aranci, rossi e blu intensi, confermano l'esattezza della notizia che ne fa risalire l'esecuzione al 1906, vale a dire a ridosso di quel fatidico 1905 in cui il critico Louis Vauxcelles inventa per de Vlaminck e compagni il geniale nomignolo di Les Fauves, ovvero le belve feroci della nuova arte francese. La vicenda è nota ma vale la pena tornare a raccontarla perché la tela ritrovata da Capitolium presenta le stesse caratteristiche dei ruggenti lavori esposti nella famosa sala numero 7 del Salon d'Automne 1905, un ambiente in cui era stabilmente presente una scultura in stile neorinascimentale.
Nella sua beffarda e storica recensione, Vauxcelles, prendendo spunto dallo stridente contrasto tra la scultura e le creazioni della nuova pittura espressionista esposte sulle pareti, scrive di "Un Donatello tra le belve feroci (les Fauves)", siglando in questo modo la nascita di un movimento che ancora non si era dato un nome e tantomeno un manifesto.
Il lapidario epiteto coniato dal critico passato alla storia per aver inventato, suo malgrado, i nomi delle avanguardie che non amava - sua anche la creazione del sostantivo "cubismo" - non dispiacque agli interessati, effettivamente intenzionati a produrre una pittura istintiva e selvaggia. Ne fa fede lo stesso de Vlaminck quando nel suo testamento spirituale scrive: "Ho soddisfatto la mia volontà di distruggere le vecchie convenzioni, di disobbedire... ciò che non avrei potuto fare se non gettando una bomba, ho pensato di realizzarlo con la pittura, usando al massimo il colore puro".
Un perfetto esempio della volontà di usare il colore "come cartucce di dinamite" (Derain) è appunto l'opera ritrovata da Capitolium, un tassello prezioso del catalogo di de Vlaminck nel cuore della stagione fauve e, anche, una vera e propria dichiarazione d'amore per Van Gogh, scoperto dal pittore nel 1901 dopo averne visto le opere esposte nella famosa retrospettiva curata dalla galleria Bernheim-Jeune e da allora considerato il vero padre della sua ricerca.
Di quella connessione profonda, vissuta però anche come una sfida, parlano sia il soggetto dell'opera, un campo di grano che certamente rimugina sui tanti champs de blé prodotti da Van Gogh, sia i colori, portati sulla tela da un gesto impulsivo capace di restituire l'energia di paesaggi rappresentati come palpitanti brandelli di vita. L'avanguardistico Champ de Blé di Maurice de Vlaminck, stimato in catalogo 30.000 / 40.000 euro, partirà da una base d'asta di 15.000. Una partenza su cui potrebbe innestarsi una interessante gara tra collezionisti internazionali. Staremo a vedere.
Mostra ideata e prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi per Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, con la curatela di Massimiliano Gioni, Daniel Birnbaum e Marta Papini. La mostra è pensata dalla Fondazione Nicola Trussardi appositamente per gli spazi di Palazzo Morando, sede museale dedicata alla storia della città di Milano e residenza della Contessa Lydia Caprara Morando Attendolo Bolognini (Alessandria d'Egitto, 1876 - Vedano al Lambro, Monza Brianza, 1945), che tra Otto e Novecento raccolse una vasta biblioteca su temi occultistici, spiritici e alchemici, oggi custoditi all'Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana. È a partire dalla figura della Contessa e da questo luogo carico di suggestioni che prende forma l'idea di un progetto espositivo unico, dedicato a pratiche artistiche ispirate all'invisibile, all'automazione psichica e alla trance come modalità di creazione.
Fata Morgana è un personaggio mitologico appartenente al ciclo delle leggende di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, spesso associata a luoghi misteriosi come l'isola di Avalon, terra di passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti: nell'immaginario collettivo è una maga potente - ora benevola, ora spietata, custode di segreti, illusioni e mondi intermedi, capace di potenti incantesimi, sortilegi e inganni - ma anche, nelle interpretazioni più recenti, una donna libera, indipendente e anticonformista che vive senza seguire le regole imposte dalla società.
La mostra trae ispirazione dal poema Fata Morgana, scritto da André Breton nel 1940, e intreccia storia, arte e misticismo in un viaggio attraverso visioni, estasi, apparizioni e immaginari alternativi per esplorare il rapporto tra arte, occulto e dimensioni interiori. Con dipinti, fotografie, documenti, disegni e oggetti rituali Fata Morgana: memorie dall'invisibile presenta le opere di medium, mistiche e mistici, visionarie e visionari, artiste e artisti che hanno aperto varchi tra il visibile e l'invisibile. La mostra indaga le contaminazioni tra arti visive e fenomeni paranormali, esoterismo, spiritismo, teosofia e pratiche simboliche, restituendo un panorama vibrante e frammentario di ricerche nate ai margini della storia ufficiale ma capaci di trasformare radicalmente le convenzioni dell'arte e della società.
Al centro della mostra ha un posto di rilievo un prezioso nucleo di opere di Hilma af Klint, leggendaria pittrice svedese che agli inizi del Novecento - guidata da presenze medianiche - sviluppò un linguaggio astratto del tutto originale, precorrendo pionieri dell'astrazione come Wassily Kandinsky e Piet Mondrian. Si tratta di una rara occasione per ammirare in Italia un corpus di 16 tele risalenti alla primissima fase di sperimentazione "automatica": un'opportunità significativa, che si inserisce nel crescente interesse internazionale verso l'opera di af Klint, riscoperta dal grande pubblico a partire dal 2013 grazie alla Biennale di Venezia (curata da Massimiliano Gioni) e alla retrospettiva organizzata dal Moderna Museet di Stoccolma (allora diretto da Daniel Birnbaum, che è anche curatore del catalogo ragionato dell'artista), e che oggi è protagonista di un'importante mostra al MoMA di New York.
Accanto a quelle di Hilma af Klint verranno presentate opere e documenti di altre straordinarie figure storiche tra cui Georgiana Houghton, Emma Kunz, Linda Gazzera, Hélène Smith, Eusapia Palladino, Carol Rama, Man Ray, Pierre Klossowski, Victorien Sardou, Augustine Lesage, Annie Besant e Wilhelmine Assmann, che saranno poste in dialogo con artiste e artisti contemporanei che hanno interrogato gli stessi temi attraverso nuovi media e nuovi linguaggi come, tra gli altri, Judy Chicago, Kerstin Brätsch, Marianna Simnett, Andra Ursuta, Diego Marcon e Chiara Fumai. In mostra anche alcuni preziosi testi provenienti dalla biblioteca della Contessa Morando, concessi in prestito dalla Biblioteca Trivulziana.
Fata Morgana: memorie dall'invisibile non si propone di confermare l'esistenza del soprannaturale, ma di raccontare come, in diversi momenti storici, pratiche considerate eccentriche abbiano scardinato convenzioni artistiche e sociali, mettendo in discussione gerarchie di genere, autorità scientifiche e limiti del pensiero razionale. Attraverso una rete di narrazioni visive - dai diagrammi per "macchine influenzanti" nate in contesti psichiatrici ottocenteschi, alle fotografie spiritiche, alle testimonianze di sedute medianiche - Fata Morgana compone un atlante dell'invisibile, un mosaico di mondi interiori, utopie, derive mentali e alternative radicali alla razionalità dominante.
"Con Fata Morgana la Fondazione Nicola Trussardi rinnova la propria vocazione a esplorare territori artistici inattesi e a dare spazio a narrazioni alternative, portando l'arte contemporanea oltre i confini tradizionali - dichiara Beatrice Trussardi, Presidente della Fondazione Nicola Trussardi -. Dopo progetti come La Grande Madre e La Terra Inquieta, ci confrontiamo oggi con il potere perturbante dell'invisibile: in un'epoca attraversata da nuove forme di spiritualità e di ricerca interiore, abbiamo scelto di indagare come ciò che sfugge alla vista continui a segnare profondamente la storia dell'arte e a interrogare il presente.
Non è un caso che il poema Fata Morgana di André Breton sia stato scritto nel 1940: nei momenti più bui, il bisogno di immaginare un altrove e di riconnettersi a dimensioni invisibili si fa più urgente. Questo progetto nasce dall'incontro tra visioni radicali e sensibilità eccentriche, in un intreccio di arte, scienza e ignoto che interpreta pienamente la missione culturale della Fondazione."
Con una selezione di oltre cinquanta figure tra intellettuali, artiste e artisti storici e contemporanei, la Fondazione Nicola Trussardi, attraverso Fata Morgana: memorie dall'invisibile, invita a ripensare il ruolo del margine, dell'inspiegabile e del visionario nella creazione artistica, affidando il progetto a un team curatoriale di grande esperienza internazionale, che vanta per la prima volta in Italia ben due ex Direttori della Biennale di Venezia, e facendo di Palazzo Morando un portale per accedere a dimensioni altre, sospese tra passato e presente, tra immaginazione e realtà. (Comunicato stampa)
Immagine:
Hilma af Klint, Primordial Chaos, The WU/Rose Series, Group 1, 1906-1907, olio su tela cm. 53x37, courtesy of the Hilma af Klint Foundation / Photo: The Moderna Museet, Stockholm, Sweden
Rodney Smith
"Fotografia tra reale e surreale"
03 ottobre 2025 - 01 febbraio 2026
Palazzo Roverella - Rovigo
www.palazzoroverella.com
Per la prima volta in Italia, una grande mostra monografica che celebra l'opera dell'acclamato fotografo newyorkese Rodney Smith (1947-2016). L'ampia retrospettiva, che espone oltre cento opere evocative di Smith - a cura di Anne Morin - introduce il pubblico italiano a un grande protagonista della fotografia, noto per la sua inconfondibile estetica: un raffinato connubio di eleganza classica, composizione rigorosa e ironia elegante e surreale, che ha richiamato paragoni con le opere del pittore René Magritte.
Il percorso espositivo è suddiviso in sei sezioni tematiche: La divina proporzione, Gravità, Spazi eterei, Attraverso lo specchio, Il tempo e la permanenza, Passaggi. La maggior parte delle opere esposte sono in bianco e nero, a testimonianza del fatto che Smith ha iniziato a lavorare con il colore solo a partire dal 2002.
A lungo acclamato per le iconiche immagini in bianco e nero che combinano ritratto e paesaggio, Rodney Smith ha dato vita a mondi incantati e visionari pieni di sottili contraddizioni e sorprese. Realizzate con il solo ausilio di pellicola e luce naturale, le sue immagini oniriche, mai ritoccate, si distinguono per una meticolosa cura artigianale e una straordinaria precisione formale. Allievo di Walker Evans, influenzato da Ansel Adams e ispirato dall'opera di Margaret Bourke-White, Henri Cartier-Bresson e William Eugene Smith, le sue fotografie sono apparse su pubblicazioni di spicco quali "TIME", "Wall Street Journal", "The New York Times", "Vanity Fair" e molte altre. Non da ultimo, Smith ha ottenuto grandi riconoscimenti per la sua fotografia di moda in collaborazione con rinomati marchi tra cui Ralph Lauren, Neiman Marcus e Bergdorf Goodman.
L'estetica di Smith mostra inoltre evidenti parallelismi con la tradizione cinematografica, e si avvale di netti rimandi all'opera di registi del calibro di Alfred Hitchcock, Terrence Malick e Wes Anderson, e a leggende del cinema muto quali Buster Keaton, Charlie Chaplin e Harold Lloyd. Rodney Smith, uomo colto e studioso di teologia e filosofia, mosso da una ricerca continua del significato della vita, ha trovato nella fotografia il linguaggio che gli ha consentito di esprimersi al meglio. Proprio Smith che si descriveva come un "ansioso solitario", trovava conforto nel catturare immagini considerandole un modo per "riconciliare il quotidiano con l'ideale", per tradurre le proprie emozioni nella forma e per tramutarsi da osservatore a partecipe.
Le sue immagini iconiche catturano il mondo con humour, grazia e ottimismo. Con il suo stile distintivo ha affinato la percezione, portando ordine nel caos. Le fotografie di Rodney Smith stupiscono, affascinano e intrigano, conducendo l'osservatore in regni poetici di riflessi e riflessioni. Sereni luoghi immaginari evocano un senso di benessere e inducono chi li osserva a sorridere e ad abbandonarsi alla tenerezza e, grazie a questa apertura e distensione, a provare stupore e ammirazione.
Così la curatrice Anne Morin descrive il lavoro di Rodney Smith: "Ogni immagine creata da Smith, con la cura e la precisione di un orafo, è un tentativo sempre nuovo di ricreare questa armonia divina e di raggiungere uno stato superiore, anche solo per un istante. Ogni immagine è eterea ed estatica. (...) In qualsiasi punto dell'immagine si posi lo sguardo, l'occhio è immediatamente sedotto dalla grazia, dalla raffinatezza, dallo squisito accostamento di forme e contro forme, dalla diversità delle materie e dalla ricchezza narrativa che eccelle per sobrietà, parsimonia e silenzio."
Come spiega lo stesso fotografo: "Dopo quarantacinque anni e migliaia di rullini, provo ancora questo amore incondizionato per la pellicola in bianco e nero. Tuttavia, contrariamente a quanto pensavano molti miei conoscenti, ho cambiato idea e circa otto anni fa ho iniziato a scattare anche a colori. Assolve a una funzione diversa per me, e ne parlerò più avanti, tuttavia non c'è niente per me come l'oscurità e la sfolgorante intensità del bianco e nero. È un'astrazione che avviene per aggiunta. Sì, c'è molto più colore nel bianco e nero di quanto non ve ne sia nel colore".
Di fatto, una volta che Smith ha abbracciato il colore e la fotografia di grande formato, i risultati sono stati sorprendenti. Le opere di Rodney Smith sono ora esposte in musei, gallerie e importanti collezioni private in tutto il mondo. Accompagna la mostra un catalogo edito da Silvana Editoriale, curato da Anne Morin e corredato dai testi delle curatrici internazionali Anne Morin e Susan Bright e di Leslie Smolan, Executive Director presso Estate of Rodney Smith. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI, Sergio Campagnolo)
___ Presentazione di altre mostre di fotografia nella newsletter Kritik
Brassaï. L'occhio di Parigi
18 luglio (inaugurazione ore 18) - 09 novembre 2025
Centro Saint-Bénin - Aosta Presentazione
"Foto e Poesia"
14 giugno (inaugurazione) - 26 luglio 2025
Ccr Insieme Ets - Busto Garolfo (Milano) Presentazione
Gabriele Basilico | "Shanghai"
30 maggio (inaugurazione) - 06 settembre 2025
Galleria Michela Rizzo - Venezia Presentazione
Guido Guidi | "Da un'altra parte"
07 maggio - 27 luglio 2025
Galleria 10 Corso Como Presentazione
Alfred Eisenstaedt
13 giugno - 21 settembre 2025
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino Presentazione
Olivetti e i fotografi della Magnum
13 aprile (inaugurazione) - 26 ottobre 2025
Museo civico "P.A. Garda" - Ivrea Presentazione
"De Profundis" | Fotografie di Vukašin Šobot
12 aprile (inaugurazione) - 30 giugno 2025
JulietRoom - Muggia (Trieste) Presentazione
Pino Musi | "Phytostopia"
05 aprile (inaugurazione) - 14 settembre 2025
Rolla.info - Bruzella (Svizzera) Presentazione
Giorgetta Dorfles
"La colomba nel buio. Vertigini della psiche"
25 giugno (inaugurazione) - 04 luglio 2025
Battello Stampatore - Trieste
Esposizione fotografica con immagini e parole di Giorgetta Dorfles, che sarà introdotta da Marianna Accerboni. In mostra diciotto immagini fotografiche, realizzate nel corso degli anni, ispirate a ciascuno dei racconti presenti nel volume omonimo, uscito di recente per i tipi dell'editore Battello, e per la maggior parte inedite. Ogni foto è sottolineata da una frase significativa del racconto stesso.
In esposizione una serie di recenti dipinti a olio e china su carta applicata su tavola: sintetici lavori dal taglio narrativo, nei quali un minuscolo individuo - inconfondibile protagonista delle opere di Taddei - si ritrova in situazioni costantemente in bilico tra ironia e paradosso. L'artista propone una lettura metaforica della condizione umana, sdrammatizzando, con sottile ironia, il senso di vuoto e di caducità che l'uomo può provare dinanzi al proprio destino. La mostra, è organizzata dalla galleria Mercurio Arte Contemporanea di Viareggio in collaborazione con il Comune di Camaiore. E' corredata di catalogo con testo introduttivo di Ernesto Franco.
Valente Taddei (Viareggio, 1964), diplomato all'Accademia di Belle Arti di Carrara, ha all'attivo un nutrito curriculum espositivo, con numerose personali e collettive sia in Italia che all'estero. Ha eseguito illustrazioni per copertine di libri (per i tipi di: Mauro Baroni Editore, Viareggio; Giulio Einaudi Editore, Torino; Alberto Gaffi Editore, Roma; FrancoAngeli Edizioni, Milano) e cd musicali, per riviste (Notizie Lavazza, Cfr:), per siti Internet. Nel 2008 ha illustrato con 10 tavole inedite il saggio "Pandora, la prima donna" di Jean-Pierre Vernant, pubblicato da Einaudi nella collana 'L'Arcipelago'. Ha realizzato il logo e il manifesto ufficiale dell'edizione 2013 di EuropaCinema, festival cinematografico internazionale con sede a Viareggio, e il manifesto ufficiale del Carnevale Pietrasantino 2014. Nel 2020 il quotidiano Il Tirreno gli ha commissionato la realizzazione del Manifesto del Carnevale di Viareggio dedicato ai lettori della testata. (Comunicato stampa)
Immagine:
Valente Taddei, Scalalunio, olio e china su carta
Aldo Bressanutti
"Interni e studi per interni"
21 giugno (inaugurazione) - 04 luglio 2025
Galleria Rettori Tribbio - Trieste
Rassegna introdotta da Marianna Accerboni. In mostra 55 opere: oltre a 24 oli, 3 bozzetti a olio, 9 acqueforti colorate e in bianco e nero e una litografia, realizzati dagli anni '70 in poi, sono esposti 18 disegni a china colorati e in bianco e nero eseguiti dall'artista nel 2025. Bressanutti (Latisana, 1923), ha compiuto 101 anni nel 2024 ed è tuttora attivo.
Dal 1995 a oggi, Trieste Contemporanea ha realizzato oltre 300 esposizioni, in Italia e all'estero, ospitando grandi autori internazionali e giovani talenti emergenti, grazie a una solida rete di collaborazioni con partner culturali di tutta Europa. Trieste Contemporanea festeggia il suo trentesimo anniversario il prossimo 27 giugno e per l'occasione propone un programma espositivo e culturale che si svilupperà da giugno fino all'autunno, dal titolo Feelings of Togetherness. Il cuore delle celebrazioni sarà rappresentato da due mostre principali, affiancate da uno speciale evento online che coinvolgerà il pubblico anche a distanza, in uno spirito di condivisione e dialogo internazionale.
La prima mostra (Palazzo Costanzi - Trieste, 24 giugno (inaugurazione ore 19.00) - 06 luglio 2025) propone una narrazione visiva dei trent'anni di attività di Trieste Contemporanea attraverso quattro postazioni tematiche, che raccolgono opere d'arte, video, fotografie, libri, stampe e documenti. Feelings of Togetherness sarà accompagnata da una installazione sonora di musica generativa firmata dal musicista udinese Antonio Della Marina, che arricchirà l'esperienza del visitatore e offrirà una dimensione sensoriale immersiva. Alle pareti inoltre sarà leggibile un messaggio in codice morse scritto in 12 lingue europee per l'anniversario della fondazione del Comitato triestino.
La seconda mostra (Studio Tommaseo, 27 giugno (inaugurazione ore 19.00) - 26 settembre), nello sede storica di Trieste Contemporanea si sviluppa in continuità con la precedente, approfondendo i linguaggi e le traiettorie artistiche che hanno caratterizzato la storia del Comitato, da sempre impegnato a sostenere la creatività emergente e il dialogo con i paesi dell'Europa centro orientale.
Sempre il 27 giugno il pubblico potrà partecipare a un evento online diffuso sull'account ufficiale di Instagram. Dalle 11:00 alle 22:00 verrà trasmesso ogni ora un messaggio in codice Morse, tradotto in dodici lingue europee, come simbolico omaggio alla trasmissione culturale, alla costruzione condivisa del sapere e alla forza del dialogo tra persone e comunità diverse. Le mostre avviate in giugno sono realizzate nell'ambito degli eventi GO! 2025&Friends / con il contributo di Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia / con la co-organizzazione del Comune di Trieste. (Estratto da comunicato stampa)
Immagine:
Giulia Lantier, Feelings of Togetherness, 2025, mixed media, courtesy di Trieste Contemporanea
Max Mandel. Sguardi di Luce
01 luglio (inaugurazione ore 18) - 21 luglio 2025
Palazzo Lombardia - Milano
Ampia esposizione dedicata al fotografo Max Mandel, a cura di Giovanni Gazzaneo. Suddivisa in sei sezioni (Sguardi di luce, Istanti, Incontri, Lo spazio dentro, Forme senza tempo, L'altra metà del lavoro), la mostra invita a riscoprire, attraverso l'obiettivo di Mandel, la bellezza nascosta nel quotidiano, l'intensità dei piccoli gesti, la forza evocativa della luce. Un progetto di Fondazione Crocevia con Fondazione La Rocca, realizzato in collaborazione con Regione Lombardia, dove centoventi fotografie ripercorrono quarant'anni di attività, dal 1985 al 2025, con scatti artistici e di documentazione che raccontano viaggi internazionali, esperienze, opere d'arte, contesti urbani, architettonici, paesaggistici.
Nella prima sezione, Sguardi di luce, Mandel coglie particolari, anche minimi, e li traduce in immagini quasi astratte: giochi di luce e ombra su una parete, fiori in una vasca, aerei di carta in volo nella Galleria Vittorio Emanuele a Milano, immagini raccolte tra Europa, Medio Oriente e Asia. Istanti raccoglie una serie di fotografie realizzate tra il 2016 e il 2108 con il telefono cellulare, mentre in Incontri protagoniste sono le persone.
Nella sezione Lo spazio dentro l'occhio del fotografo si sofferma sulle suggestioni legate alle linee e ai volumi degli edifici, in Forme senza tempo protagonista è la scultura. Infine, L'altra metà del lavoro raccoglie la ricerca di Mandel sul lavoro femminile: una serie di intensi ritratti in bianco e nero. Lo sguardo fugge un approccio retorico e la persona si offre in dialogo con il fotografo proponendo oggetti o simboli legati alla sua attività.
«Lo sguardo di Mandel - scrive il curatore della mostra Giovanni Gazzaneo - è mosso dalla passione della bellezza del quotidiano. Capace di coniugare sapere e vedere, vuole offrirci della realtà non la superficie, che per quanto abbagliante è pur sempre scorza, ma l'essenza, la sua poesia più intima». Una poesia che, come annota Stefano Zuffi, sembra trasformarsi in immagine in grado di evocare la stessa atmosfera di un'haiku giapponese, o «la vibrazione impressionista di un'acqua increspata di Monet».
L'intensità delle immagini di Mandel è un gesto di attenzione profonda, un ascolto silenzioso, come osserva Arnoldo Mosca Mondadori, un'arte che “scorre come acqua piena di limpidezza”, capace di scomparire un attimo prima dello scatto come atto di generosità ma anche come scelta della propria poetica di lasciare spazio al mondo. Da questa attitudine nasce un equilibrio nelle opere di Mandel per cui le immagini sembrano restituire qualcosa di nascosto, che aggiunge al suo stile una qualità meditativa, aperta alla complessità della realtà e a tutti i suoi aspetti.
Santo Versace, descrive così la sensazione che traspare nell'ammirare le sue opere: «amore per le persone che incontra, per i luoghi che vede, per le cose del quotidiano che accoglie così come si offrono». Nei ritratti, come nelle vedute urbane o nei dettagli architettonici, l'approccio di Mandel è sempre lo stesso: uno sguardo discreto che non pretende, ma si fa ospite. Laura Leonelli lo descrive infatti, come un attraversamento più che una visione, un'accoglienza della materia del mondo così com'è. Alla base dei suoi scatti è sempre la realtà, per quanto fragile, luminosa o imperfetta, una qualità in merito a cui Henri Cartier-Bresson afferma: «Max Mandel è un occhio: sa vedere. È scoprire un mondo nuovo, e un'opera d'arte assoluta, che è al tempo stesso una particella autentica della nostra vita quotidiana».
La mostra è accompagnata da un catalogo pubblicato da Corsiero editore e Fondazione Crocevia, a cura di Giovanni Gazzaneo, con testi di Henri Cartier-Bresson, Giovanni Gazzaneo, Ottorino La Rocca, Laura Leonelli, Edoardo Milesi, Arando Mosca Mondadori, Guido Oldani, Marco Roncalli, Davide Rondoni, Zingonia Zingone, Santo Versace, Stefano Zuffi.
Max Mandel (Milano, 1959), fotografo e ricercatore iconografico nel corso della sua attività ha compiuto numerosi viaggi in Europa, Asia e Americhe. Dal 1988 al 2005 ha curato la documentazione fotografica delle campagne di scavo in Giordania dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, dirette da padre Michele Piccirillo. Impegnato nella divulgazione della storia della fotografia, si occupa con particolare riguardo del periodo della sua nascita e dei primi sviluppi nel XIX secolo. La sua ricerca percorre più strade, confluite nelle raccolte: Sguardi di luce, Appunti di Viaggio, L'altra metà del lavoro, Il Tigri e l'Eufrate, Viaggio in Italia, Ritagli di tempo, Decoupage, Cartoline da Street View. Le sue fotografie figurano in numerosi volumi e pubblicazioni di case editrici italiane ed estere. (Estratto da comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)
Immagine:
Max Mandel, Jin Mao Tower, Shangai, 2005
Oltre la forma. Il gesto
21 giugno - 21 agosto 2025
Castello dal Verme - Zavattarello (Pavia) www.fondazionematalon.org
Nel cuore pulsante dell'Oltrepò Pavese, là dove le colline smettono di essere solo paesaggio e le pietre custodiscono silenzi secolari, Zavattarello si riconsegna all'arte con un gesto che è molto più di una semplice decorazione urbana: è affermazione identitaria, apertura culturale e visione di lungo respiro. In questa geografia intima, antica eppure continuamente riscrivibile, il 21 giugno si inaugura un ambizioso progetto di riattivazione culturale e simbolica del borgo. Un parco diffuso di sculture monumentali - opera e lascito della visionaria Luciana Matalon - si intreccia con una doppia mostra fotografica di Nello Taietti che lega, in un fil rouge poetico e rivelatore, la dimensione umana del ritratto e quella materica dell'architettura.
Le opere di Matalon (artista milanese dalla profonda tensione spirituale, capace di coniugare rigore formale, verticalità del pensiero e tensione simbolica) trovano spazio nei punti più iconici del borgo - slarghi, scorci, vie lastricate - trasformandolo, sottilmente e irrevocabilmente, in un paesaggio d'autore. Non si tratta solo di bellezza ma di una forma di militanza culturale. Le sue figure - arcaiche e futuribili, visionarie e cosmiche - non invadono lo spazio ma ne emergono come presenze necessarie, come strutture dimenticate di un rito collettivo. Monumenti alla tensione umana verso l'infinito, radicati nella terra e rivolti al cielo, che sussurrano di imporsi. Sentinelle del tempo, materia incisa di memoria e visione.
È significativo che proprio in questo contesto si apra, al Castello Dal Verme, una stanza permanente dedicata all'artista, un luogo dove le sue visioni continuano a vivere e generare senso. Matalon diventa così figura tutelare del borgo e il castello, non più solo contenitore storico, diventa cuore critico: una fabbrica di visioni. Lì si snodano anche due mostre fotografiche, entrambe firmate da Nello Taietti, che ci proiettano in una dimensione estetica e antropologica dove lo sguardo non è mai neutro, ma partecipato, immersivo, calibrato sull'oscillazione sottile tra distanza e prossimità.
La fotografia di Nello Taietti è un actus poeticae proximitatis: non un gesto tecnico o uno sguardo che cattura, ma un esercizio empatico del vedere, dove la lente si fa strumento dell'anima. È uno sguardo che non cattura, ma convive; che non isola, ma connette. L'immagine, in questa prassi, non si limita a documentare: scava, interroga, ascolta. Ogni scatto nasce da una relazione, da un'intimità costruita nel tempo, da un incontro autentico tra l'artista e il suo soggetto. È in questa vicinanza che la fotografia si fa racconto, gesto di immersione, forma di presenza.
Nel dittico espositivo allestito presso il Castello, Taietti articola una doppia narrazione solo in apparenza disgiunta. Nella prima serie, il ritratto umano emerge non come semplice fisionomia, ma come epifania della presenza: volti che non si offrono allo sguardo, ma lo ricevono. Sono figure di un'umanità non estetizzata ma restituita, riconsegnata al suo paesaggio vitale con una delicatezza che si fa etica. Lo sguardo dell'artista si muove secondo il tempo dell'attesa, dell'ascolto e della reciprocità. Le sue immagini sono reliquiae viventes, non testimonianze ma risonanze. Figure che sembrano venire da un altrove immobile, icone di un mondo che non chiede d'essere salvato, ma di essere visto, con uno sguardo capace di rispetto e lentezza. Lontano da ogni estetica "instagrammabile", Taietti recupera l'etica del tempo lungo, l'empatia, l'immersione. La sua è una fotografia che respira, che resta, che sa aspettare.
La prima mostra - composta da intensi ritratti fotografici realizzati in un contesto rurale e ameno - racconta il silenzioso dialogo tra l'artista e le persone incontrate. L'obiettivo diventa strumento di indagine e coesistenza, non intrusione ma pellegrinaggio visivo. L'uomo e il luogo si fondono in una narrazione profonda, che interroga l'identità e la permanenza.
La seconda serie è invece un piccolo capolavoro concettuale: fotografie analogiche di portoni antichi a Varzi, paese limitrofo a Zavattarello. Anche qui, la soglia è protagonista. Ma mentre nella prima mostra la soglia è quella tra individuo e territorio, qui è tra interno ed esterno, tra passato e presente. Le superfici vissute, i legni incisi dal tempo, le ombre ferrose, diventano volti senza occhi, corpi senza voce. Ecco il punto di incontro tra le due esposizioni: la soglia. Il bordo. L'intercapedine tra ciò che siamo e ciò che eravamo. Che sia una porta chiusa o uno sguardo aperto, Taietti ci invita a sostare in quel punto di sospensione dove il significato si forma, tra il detto e il non detto. È un omaggio quasi archeologico in cui l'obiettivo non è documentare ma trasfigurare l'oggetto in segno. I battenti consunti, i ferri ossidati, le venature del legno diventano epidermidi del tempo, ritratti a loro volta, maschere.
In questo doppio corpo espositivo - perfettamente innestato nel contesto del Castello - la fotografia non è solo mediazione estetica: è strumento di indagine, di costruzione di legami. È, ancora una volta, un modo per pensare il territorio non come sfondo, ma come soggetto. Ed è in questo senso che l'intera operazione Zavattarello Arte si fa politica. Politica nel senso profondo e greco del termine: gestione della polis, costruzione di futuro attraverso la cultura. Un modello, per chi ha occhi per vedere. (Comunicato stampa)
Brassaï. L'occhio di Parigi
18 luglio (inaugurazione ore 18) - 09 novembre 2025
Centro Saint-Bénin - Aosta
www.studioesseci.net
La mostra presenterà più di 150 stampe d'epoca, oltre a sculture, documenti e oggetti appartenuti al fotografo, per un approfondito e inedito sguardo sull'opera di Brassaï, con particolare attenzione alle celebri immagini dedicate alla capitale francese e alla sua vita. Le sue fotografie dedicate alla Ville Lumière - dai quartieri operai ai grandi monumenti simbolo, dalla moda ai ritratti degli amici artisti, fino ai graffiti e alla vita notturna - sono oggi immagini iconiche che nell'immaginario collettivo identificano immediatamente il volto di Parigi.
La retrospettiva, promossa dall'Assessorato Beni e attività culturali, Sistema educativo e Politiche per le relazioni intergenerazionali della Regione autonoma Valle d'Aosta e prodotta da Silvana Editoriale, è curata da Philippe Ribeyrolles, studioso e nipote del fotografo che detiene un'inestimabile collezione di stampe di Brassaï e un'estesa documentazione relativa al suo lavoro di artista.
Ungherese di nascita - il suo vero nome è Gyula Halász, sostituito dallo pseudonimo Brassaï in onore di Brassó, la sua città natale - ma parigino d'adozione, Brassaï è stato uno dei protagonisti della fotografia del XX secolo, definito dall'amico Henry Miller "l'occhio vivo" della fotografia. In stretta relazione con artisti quali Picasso, Dalí e Matisse, e vicino al movimento surrealista, a partire dal 1924 fu partecipe del grande fermento culturale che investì Parigi in quegli anni.
Brassaï è stato tra i primi fotografi in grado di catturare l'atmosfera notturna della Parigi dell'epoca e il suo popolo: lavoratori, prostitute, clochard, artisti, girovaghi solitari. Nelle sue passeggiate il fotografo non si limitava alla rappresentazione del paesaggio o alle vedute architettoniche, ma si avventurava anche in spazi interni più intimi e confinati, dove la società si incontrava e si divertiva. È del 1933 il suo volume Paris de Nuit, un'opera fondamentale nella storia della fotografia francese. Le sue immagini furono anche pubblicate sulla rivista surrealista "Minotaure", di cui Brassaï divenne collaboratore e attraverso la quale conobbe scrittori e poeti surrealisti come Breton, Éluard, Desnos, Benjamin Péret e Man Ray.
"Esporre oggi Brassaï - afferma Philippe Ribeyrolles, curatore della mostra - significa rivisitare quest'opera meravigliosa in ogni senso, fare il punto sulla diversità dei soggetti affrontati, mescolando approcci artistici e documentaristici; significa immergersi nell'atmosfera di Montparnasse, dove tra le due guerre si incontravano numerosi artisti e scrittori, molti dei quali provenienti dall'Europa dell'Est, come il suo connazionale André Kertész. Quest'ultimo esercitò una notevole influenza sui fotografi che lo circondavano, tra cui lo stesso Brassaï e Robert Doisneau."
Brassaï appartiene a quella "scuola" francese di fotografia definita umanista per la presenza essenziale di donne, uomini e bambini all'interno dei suoi scatti sebbene riassumere il suo lavoro solo sotto questo aspetto sarebbe riduttivo. Oltre alla fotografia di soggetto, la sua esplorazione dei muri di Parigi e dei loro innumerevoli graffiti testimonia il legame di Brassaï con le arti marginali e l'art brut di Jean Dubuffet. Nel corso della sua carriera il suo originale lavoro viene notato da Edward Steichen, che lo invita a esporre al Museum of Modern Art (MoMA) di New York nel 1956: la mostra "Language of the Wall. Parisian Graffiti Photographed by Brassaï" riscuote un enorme successo.
I legami di Brassaï con l'America si concretizzano anche in una assidua collaborazione con la rivista "Harper's Bazaar", di cui Aleksej Brodovič fu il rivoluzionario direttore artistico dal 1934 al 1958. Per "Harper's Bazaar" il fotografo ritrae molti protagonisti della vita artistica e letteraria francese, con i quali era solito socializzare. I soggetti ritratti in quest'occasione saranno pubblicati nel volume Les artistes de ma vie, del 1982, due anni prima della sua morte. Brassaï scompare il 7 luglio 1984, subito dopo aver terminato la redazione di un libro su Proust al quale aveva dedicato diversi anni della sua vita. È sepolto nel cimitero di Montparnasse, nel cuore della Parigi che ha celebrato per mezzo secolo. La mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue italiano-francese edito da Silvana Editoriale e curato dallo stesso Philippe Ribeyrolles, con testi di Daria Jorioz, Philippe Ribeyrolles, Silvia Paoli e Annick Lionel-Marie, posto in vendita a € 36,00. (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)
25 giugno (inaugurazione) - 25 settembre 2025
MA-EC Gallery (Palazzo Durini) - Milano
L'esposizione, a cura di Fortunato D'Amico, co-curatore Yinghao Kou, vedrà una selezione di opere pittoriche rappresentative del Maestro Pignatelli e offrirà al pubblico la visione delle sue opere plastiche, finora inedite, frutto di una profonda riflessione lunga decenni sul rapporto tra forma e spazio.
Scrive Fortunato D'Amico: "Per la prima volta, Ercole Pignatelli espone questo nucleo di opere nate da una metamorfosi del fare. La pittura, da sempre un ambito privilegiato dell'artista, si espande oltre il confine della tela, abbandona il piano per animare degli oggetti costituiti da materiali residui. L'immagine prende corpo, il colore si unisce alla materia, il gesto si concretizza in forma tridimensionale. Materia / Metamorfosi. Dialogo nasce da questa trasmutazione. La pittura viene integrata in contesti originali. Diventa luce che aderisce ai volumi, pigmento che si radica nelle superfici, decorazione che germina come segno vivente.
Il passaggio è un evento. La tela è trascesa e si riversa nei materiali raccolti, nei frammenti trovati, nei resti che il tempo ha lasciato emergere. L'oro, il nero, il rosso, l'azzurro, il verde, il rosa continuano a emanare vibrazioni emozionali e sensuali, ma ora sulla pelle delle cose. Il pennello cede spazio al montaggio, al posizionamento, all'ascolto di una verità rivelata. Questa prima esposizione segna l'apparizione pubblica di una trama lessicale che da tempo agiva in silenzio, in studio, in ascolto. Ora, per la prima volta, si manifesta. E lo fa come organismo compiuto, come rito condiviso, come spazio magico della metamorfosi."
Le sculture, afferma Yinghao Kou, rappresentano un'estensione tridimensionale del suo linguaggio pittorico, e allo stesso tempo una più profonda esplorazione della relazione tra visibile e invisibile, materia e spirito. Le sue opere, impregnate di una quiete profonda e di una riflessione filosofica, richiamano le parole del filosofo cinese Zhuangzi: "Il cielo e la terra hanno una grande bellezza, ma non parlano." Attraverso la resa della coesistenza e dell'interdipendenza tra spazio positivo e spazio negativo, Pignatelli crea ambienti poetici carichi di tensione interna, che riflettono una visione dell'arte come armonia con le leggi intrinseche della natura. (Comunicato stampa)
Mirella Schott Sbisà
"Ricordando la maestra del segno"
16 giugno (inaugurazione) - 08 luglio 2025
Sala Carlo e Mirella Sbisà dell'Università Popolare di Trieste
La rassegna è organizzata e sostenuta dall'Università Popolare di Trieste, che nel 2025 festeggia i 125 anni di attività per la cultura italiana, e con i fondi della legge 16/2014 art. 27 bis della Regione Friuli Venezia Giulia ed è curata da Marianna Accerboni: in mostra una quarantina di acqueforti/acquetinte e alcuni dipinti a olio realizzati dalla pittrice, ceramista e acquafortista (Trieste, 1921-2015) soprattutto nel periodo centrale e maturo della sua creatività.
Percorsi grafici per una Genesi informale - Monotipi di Giovanni D'Alessandro
30 agosto - 07 settembre 2025
Atrio colonnato della Scuola Elementare di Lakki (Leros, Grecia) www.aial.gr/mostra-monotipi-d-alessandro
Organizzata su iniziativa dell'Associazione Culturale Italo-Ellenica AIAL di Leros e con il sostegno dell'Accademia di Belle Arti di Palermo, viene proposta in circuitazione in Grecia ed in Sicilia una mostra itinerante che riunisce una selezione di opere del M° Giovanni D'Alessandro. La mostra, realizzata con il supporto di FSC Group di Atene e di Château Nico Lazaridi di Drama, ha ricevuto il Patrocinio dell'Istituto Italiano di Cultura di Atene, della Regione Siciliana e del Comune di Palermo.
Le opere esposte sono state selezionate dal curatore della mostra dr Luisa Maria Leto sulla scorta di un ipotetico asse conduttore che si ispira alla Genesi, rivisitandola in chiave informale. I trenta monotipi presentati costituiscono un ideale percorso grafico che si snoda attraverso la recentissima produzione dell'Artista con una peculiare armonia di linee e di colori, produzione realizzata in questi ultimi anni prevalentemente con questa tecnica grafica. La tecnica del monotipo viene generalmente attribuita a Giovanni B. Castiglione (detto il Grechetto) nella prima metà del '600, ma trovò riscoperta e largo uso (a partire da Edgar Degas) nella seconda metà dell'800.
Il monotipo (in inglese: monotype, da non confondere con il meccanismo per la stampa di testi, erede del linotype) nasce, per definizione in esemplare unico, come semplificazione del principio della xilografia: steso uniformemente a rullo l'inchiostro su una superfice piana e rigida (metallo, vetro, plexiglass), la matrice viene lavorata "per sottrazione" lasciando in situ l'inchiostro che verrà trasferito con un torchio da stampa sul foglio finale. Ma può essere realizzato, analogamente alla litografia, "per addizione" di colore alla matrice, e talvolta anche con aggiunta di materiale vario (come nel caso di arte informale della seconda metà del '900 e dello stesso D'Alessandro).
Il risultato non è rigorosamente prevedibile, a causa della pressione esercitata sull'inchiostro, e la stampa finale può essere ulteriormente lavorata (come spesso in Degas) con ritocco a pastelli o acquarelli. La matrice non è riutilizzabile (salvo il caso di una "ghost copy" piuttosto lontana dalla prima impressione). La mostra è dedicata alla memoria del compianto M° Riccardo Mazzarino (Palermo, 1957-2024), Docente di Grafiche d'Arte - Tecnica dell'incisione e litografia presso l'Accademia di Belle Arti di Palermo, recentemente scomparso.
Giovanni D'Alessandro (Palermo, 1958), consegue il diploma superiore presso l'istututo Artistico e completa la sua formazione presso l'Accademia di Belle Arti di Palermo. Inizia giovanissimo un'intensa attività espositiva in tutta Europa: il suo linguaggio artistico vira verso l'arte informale, influenzato dall'evoluzione delle avanguardie artistiche che si sviluppano tra gli anni '70 e '90. Dal 1993 è titolare della cattedra di Tecniche dell'incisione nel Corso di Grafica d'arte dell'Accademia di Belle Arti di Palermo. Fin dalla metà degli anni '70 partecipa attivamente ad innumerevoli manifestazioni artistiche ed a rassegne nazionali ed internazionali in Europa ed in America con mostre personali e collettive, tra le quali la mostra "Per lastre e per inchiostri" itinerante in Grecia da giugno a novembre 2011.
- Da una Genesi apocrifa
di Luisa Maria Leto (Saggista)
Giovanni D'Alessandro, fedele discepolo di cotanto Maestro, con un occhio alla natura ed un altro alla tavolozza, si esprime con forme e colori che si ispirano all'energia scaturita dal caos nell'atto della formazione dell'universo fino all'equilibrio finale, alla regolazione fine dell'ordine e del movimento del cosmo, serenità acquisita assieme alla certezza della inviolabilità della regia del Grande Inventore.
- D'Alessandro, artista e docente
di Umberto De Paola (Direttore dell'Accademia di Belle Arti di Palermo; Presidente della Conferenza nazionale Direttori di Accademia)
Giovanni D'Alessandro è un maestro nell'arte dell'incisione, capace di trasformare la tradizione in innovazione e di raccontare storie senza tempo attraverso segni e contrasti, luci e ombre, coniugando il rigore con l'invenzione. Le sue opere si collocano in un territorio unico, dove l'eccellenza tecnica si fonde con una sensibilità artistica profonda, dando vita a creazioni che parlano al tempo presente pur affondando le radici nella classicità.
- Nulla è più astratto del reale
Tino Signorini, 23.07.2011 [corrispondenza privata]
Guardo le incisioni che mi ha portato Giovanni D'Alessandro, […] noto un segno nervoso, quasi alla Wols che le caratterizza, inducendo l'osservatore a seguire l'intrecciarsi dei segni, l'intersecarsi delle linee, che ci suggeriscono paesaggi, momenti e stati d'animo. Un continuo dinamismo le sostiene, pertanto Giovanni D'Alessandro si rivela incisore autentico e padrone dei mezzi espressivi.
- Visioni riflesse metropolitane. L'opera grafico-pittorica di Giovanni D'Alessandro.
di Roberta Priori (Docente di Pedagogia e Didattica dell'arte)
Le sue qualità grafico-pittoriche costruiscono con grande padronanza uno spazio che dà proporzione al foglio di stampa e supporto scelto, si esprimono attraverso la tecnica del monotipo, contribuendo alla costruzione di disparate architetture e sviluppando contemporaneamente nella composizione un ritmo stilistico sospeso tra le forme "apparentemente" rigide e quelle quasi tradizionali che attingono dai colori e dalle forme della tradizione della pittura astratta novecentesca.
- Segno e colore, l'arte incisa
di Giovanni D'Alessandro
.. Il segno è l'elemento essenziale dell'espressione, il primo grado di una forma, l'articolazione di un linguaggio. (di Antonio Sanfilippo)
.. Il suo è un linguaggio moderno che ci trasmette un fascino intramontabile e delicato; sono "scatti" di grande effetto dal sapore "d'altri tempi", un film contemporaneo che mantiene intatta tutta la "magia" del passato e del ricordo. È un racconto continuo e senza fine; un racconto fatto con un alfabeto personale ed unico, costituito da una melodia calli-grafica senza precedenti. (di Giacomo Cuttone [Spiragli, a. 5 n* 3-4 - 2024]) (Comunicato stampa Associazione Culturale Italo-Ellenica)
Elogio al Blu
21 giugno (inaugurazione) - 06 luglio 2025
Spazio espositivo ranarossa 3.0 arte contemporanea - Modena www.ranarossagallery.it
Un'esplorazione visiva e poetica della tonalità più profonda e simbolica dello spettro cromatico. Diciannove artisti si confrontano con le infinite sfumature del blu, colore del cielo e del mare, per restituire, attraverso le varie tecniche artistiche, una visione emotiva e spirituale sulla contemporaneità. Il blu, da sempre associato all'infinito, al sacro, ma anche alla malinconia e al sogno, diventa in mostra materia viva e interrogativa. Le opere spaziano dal lirismo astratto a narrazioni più concrete e simboliche, in una coralità che evoca suggestioni letterarie, musicali e filosofiche.
In un'epoca segnata da crisi ambientali, migrazioni e trasformazioni globali, il blu non è solo colore ma linguaggio: una soglia che mette in dialogo l'intimità dell'individuo con l'orizzonte collettivo del nostro tempo. Il mare, visto ora come grembo generatore, ora come confine tragico. Il cielo, da sempre simbolo di libertà, oggi attraversato da nuove tensioni.
Gli artisti presenti in mostra: Stefano Allisiardi, Marco Andrighetto, Milva Bacchelli, Rossana Baraldi, Paolo Cancelliere, Cavallaro/Martegani, Viviana Cazzato, Daniele Cestari, Andrea Chiesi, Martina Dalla Stella, Paola Geranio, Cristina Iotti, Mauro Molle, Alessandro Monti, Beatrice Riva, Ersilia Sarrecchia, Cetti Tumminia, Gabriele Zannini, Alberto Zecchini.
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Diciannove artisti contemporanei si confrontano con una delle tonalità più evocative e complesse dell'intera gamma cromatica: il blu. Non celebrazione passiva, ma viaggio immersivo, percorso sensoriale. In tutte le sue gradazioni, questo colore racconta storie che vanno oltre la semplice immagine, non solo colore, ma dimensione mentale, tensione poetica, soglia emotiva che apre a nuovi orizzonti. Gli artisti si muovono tra astratto e figurativo, tra tecnica e intuizione, lasciando che la tinta del mistero racconti storie intime, ma le storie sono poi di tutti, lo sguardo le trattiene e le fa sue, ci si riconosce in una pennellata, un segno, uno strappo, una forma.
Libertà assoluta agli artisti dunque, nessuna tematica prestabilita, unico filo conduttore il BLU e le sue assortite sfumature. Il blu da sempre porta con sé molteplici significati e simbolismi. Presente in tutte le sue tonalità nel cielo e nel mare, i due spazi infiniti per eccellenza, elementi fondamentali della vita, diventa punto di partenza per esplorare territori sconfinati. In un contesto di crisi ambientali e incertezze geopolitiche, il blu diventa anche spazio di riflessione. Il mare, simbolo di vita e migrazione, custodisce memorie di speranze e tragedie contemporanee. Il cielo, che un tempo prometteva sogni di libertà, oggi ospita satelliti e droni, diventando anch'esso teatro di conflitti a noi incomprensibili. Non solo quindi una scelta estetica, ma un dialogo intenso tra l'artista e l'osservatore, dove il blu diviene una finestra che attraversa mondi paralleli. (Ersilia Sarrecchia)
Joseph Kosuth
"Non autem memoria"
14 giugno 2025 (inaugurazione) - 12 aprile 2026
Kunstmuseum Stuttgart - Stoccarda (Germania)
www.liarumma.com
Art as Idea as Idea è un principio tanto semplice quanto profondo, che Joseph Kosuth ha elaborato negli anni '60 e che ha guidato il suo percorso artistico da allora in poi. Kosuth è considerato uno dei più importanti esponenti dell'Arte Concettuale americana. In questo movimento artistico, l'idea alla base dell'opera riveste un ruolo centrale. Parole e linguaggio sono i principali strumenti artistici impiegati nella realizzazione dell'opera.
Stoccarda ha rappresentato una piattaforma importante per Joseph Kosuth negli anni '80 e '90. L'artista è stato protagonista in città con numerose mostre ed è stato docente presso l'Accademia Statale di Belle Arti dal 1991 al 1997. Il Kunstmuseum Stuttgart possiede un'eccezionale collezione di opere di Kosuth, la più ampia in Germania. In occasione del suo ottantesimo compleanno, il museo dedica una sala alla presentazione di opere tratte dalla collezione, a cura dell'artista stesso e di Ulrike Groos, direttrice del Kunstmuseum Stuttgart.
Joseph Kosuth (1945, Usa) è uno dei pionieri dell'arte concettuale e dell'arte installativa, iniziando negli anni Sessanta con opere che indagano il linguaggio e le strategie di appropriazione. Il suo lavoro ha esplorato coerentemente la produzione e il ruolo del significato all'interno dell'arte. La sua oltre cinquantennale indagine sul rapporto tra linguaggio e arte si è manifestata attraverso installazioni, mostre in musei, commissioni pubbliche e pubblicazioni in Europa, le Americhe e l'Asia. Kosuth ha partecipato tra l'altro a sette Documenta e quattordici Biennali di Venezia. (Estratto da comunicato stampa)
"Foto e Poesia"
14 giugno (inaugurazione) - 26 luglio 2025
Ccr Insieme Ets - Busto Garolfo (Milano)
www.eoipso.it
Un dialogo tra immagini e parole, tra luce e versi, tra emozione e tecnica: è questo lo spirito della mostra. L'esposizione, realizzata dal FotoClub La Rotondina di Nerviano, rappresenta uno dei momenti più attesi della proposta culturale estiva dell'associazione bustese. Il progetto, nato da una collaborazione tra il Circolo Socio Culturale Hobbisti e il FotoClub La Rotondina, ha coinvolto 41 fotografi, tutti soci del club nervianese, in un'affascinante sfida artistica: trasformare una poesia in una fotografia. Ogni partecipante ha ricevuto un breve testo poetico - selezionato tra autori di epoche e stili diversi - e ha avuto il compito di reinterpretarlo visivamente, restituendone lo spirito attraverso un'immagine rigorosamente in bianco e nero.
"Foto e Poesia" non è solo un'esposizione fotografica, ma un invito a osservare la poesia con occhi nuovi, a lasciarsi condurre dall'immagine verso il verso, e viceversa. Un'occasione per chi ama la fotografia, la letteratura e l'arte nelle sue forme più autentiche. Il risultato è una galleria di scatti che non solo dimostra l'abilità tecnica dei fotografi, ma ne rivela anche la profondità interpretativa. Ogni immagine è il frutto di un percorso personale, un'eco visiva di versi che si fanno luce, ombra, silenzio, materia. Il bianco e nero, scelto come vincolo espressivo, diventa cifra poetica ed elemento unificante, capace di evocare suggestioni intime e potenti.
«In questo dialogo tra immagini e parole, ritroviamo il senso più autentico della comunità, che come banca locale sosteniamo da sempre: valorizzare il talento, offrire spazi di espressione e costruire bellezza insieme», ha dichiarato Roberto Scazzosi, presidente della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate. «Gli artisti hanno dato vita a una suggestiva posa visiva della nostra umanità. "Foto e Poesia" è un progetto che unisce due forme d'arte in un linguaggio universale, capace di parlare direttamente alle emozioni. La fotografia, con il suo sguardo sensibile, e la poesia, con la sua forza evocativa, ci ricordano quanto sia importante coltivare la comunità in cui viviamo perché cresca anche dal punti vista culturale».
«Promuovere la cultura significa creare occasioni di incontro, di crescita e di condivisione. Con la mostra "Foto e Poesia" vogliamo dare spazio all'arte che nasce dal territorio e per il territorio, valorizzando la passione, la sensibilità e il talento di chi si mette in gioco per raccontare emozioni e pensieri attraverso la fotografia», ha dichiarato Maria Carla Ceriotti, presidente di Ccr Insieme Ets della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate. «Il nostro impegno culturale nasce dalla convinzione che la bellezza, quando è accessibile e partecipata, diventa un bene comune». (Estratto da comunicato ufficio stampa Eo Ipso)
"ARTinCLUB 13"
25 maggio - 20 settembre 2025
Residenza d'Epoca Hotel Club I Pini - Lido di Camaiore (Lucca) www.clubipini.com/artinclub13
Rassegna di pittura organizzata in sinergia con la galleria Mercurio Arte Contemporanea di Viareggio.
L'iniziativa ARTinCLUB, giunta quest'anno alla tredicesima edizione, offre al pubblico una proposta culturale che coniuga l'arte contemporanea con la raffinata atmosfera della villa fatta costruire dal pittore e ceramista Galileo Chini agli inizi del '900 per crearvi la propria dimora nei periodi di vacanza. Completamente ristrutturata lasciando inalterato il fascino originario, la Residenza d'Epoca Hotel Club I Pini accoglie ancora oggi numerose opere di Chini - dipinti, affreschi e oggetti d'arredamento - perfettamente conservate.
In mostra recenti dipinti di Annamaria Buonamici (Lucca, 1954), Daniela Caciagli (Bibbona, 1962), Riccardo Corti (Firenze, 1952), Guido Morelli (La Spezia, 1967), Armando Orfeo (Marina di Grosseto, 1964) e Valente Taddei (Viareggio, 1964): sei artisti dai diversi percorsi creativi, in un caleidoscopico ensemble che offre un'interessante panoramica sulla pittura figurativa attuale. La rassegna, curata da Gianni Costa, è patrocinata dal Comune di Camaiore. (Comunicato stampa)
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Armando Orfeo | "Oltremare"
07 giugno (inaugurazione ore 18.00) - 29 giugno 2025
Museo della Marineria 'Alberto Gianni' - Lungo Canale Est 32 a Viareggio (Lucca) Presentazione
Marzia Migliora
"Lotta per l'esistenza"
inaugurazione 21 giugno 2025
Arte Sella - Malga Costa, Villa Strobele, Borgo Valsugana (Trento)
Il progetto espositivo, a cura di Lorenzo Fusi, è composto da tre gruppi di opere realizzate in dialogo con il paesaggio della Val di Sella. La mostra, come rivela il titolo, prende ispirazione dal concetto centrale espresso nel trattato di Charles Darwin L'Origine delle Specie, in cui lo studioso afferma che la sopravvivenza delle specie dipende dalla loro forza e adattabilità.
Oggi che questa visione agonistica è messa in discussione, la riflessione contemporanea evidenzia il mutualismo, l'interdipendenza e la co-evoluzione ambientale, e la sopravvivenza viene vista come un processo che coinvolge tutte le forme di vita, interconnesse in un sistema complesso. Questa interconnessione viene interpretata da Marzia Migliora in opere che raccontano un mondo sempre più ibrido e fluido, tradotto in una dimensione ironica, sognante e talvolta perturbante, esplorando il rapporto tra natura, azione umana e trasformazione ecologica e interrogandosi poeticamente sulle forze che stanno ridisegnando la Natura in un'epoca segnata da instabilità climatica e crisi ambientale.
Il percorso espositivo si compone di tre capitoli: negli spazi della Malga Costa vengono esposti nelle nicchie tre diorami in carta, parte della serie dei Paradossi dell'Abbondanza iniziata dall'artista nel 2017. Questi diorami costituiscono l'introduzione al tema centrale della mostra, una riflessione sulla fragilità dell'ecosistema. Ogni diorama è uno spazio instabile e misterioso, in cui coesistono visioni scientifiche e mondi fantastici e la fragile carta con cui sono realizzati diventa simbolo della vulnerabilità dell'ambiente e della necessità di ripensare il rapporto dell'uomo con la natura. Tra i protagonisti dei diorami anche il Bostrico Tipografo (Ips typographus), un piccolo coleottero che negli alberi abbattuti dalla tempesta Vaia ha trovato l'habitat ideale proliferando incontrollato e trasformando il paesaggio di Arte Sella.
Sempre negli spazi della Malga, un'installazione immersiva realizzata in carta e cartapesta occupa quasi interamente lo spazio polifunzionale, dando forma a un paesaggio immaginario in continua metamorfosi, un ambiente teatrale e accogliente popolato da organismi che sfuggono ad ogni classificazione. La scenografia ideata da Migliora intreccia storie umane e naturali in un racconto di specie in evoluzione, in cui creature mutanti, funghi giganti, profili montani edi ghiacciai coesistono in divenire. Accompagna l'esposizione l'installazione sonora Run fast and bite hard, (2022), risultato della collaborazione dell'artista con il rumorista Marco Ciorba, che esplora i confini tra naturale e artificiale, tra ciò che è creato dall'uomo e ciò che appartiene alla natura.
La mostra prosegue negli spazi di Villa Strobele con l'ultima parte intitolata Cronaca dell'Assenza, che raccoglie un gruppo di opere su carta, nate da un intervento dell'artista sulle pagine originali dello storico domenicale La Domenica del Corriere. Con un gesto semplice e incisivo, Migliora cancella la presenza umana e animale dalle illustrazioni, lasciando che siano solo i paesaggi, le montagne, le foreste e le vallate a raccontare le vicende evocate dalle didascalie. Un mondo apparentemente vuoto, ma carico di significato in cui la Natura diventa testimone del passato e protagonista di un presente in cui l'umanità è scomparsa, da corpo a una riflessione sul destino dell'uomo e sulla necessità di ascoltare la Terra.
Con la mostra Lotta per l'esistenza, Marzia Migliora propone una messa in scena del rapporto dell'uomo con l'ambiente costruendo con linguaggi diversi - teatro, scienza, letteratura, storia - una narrazione eco-centrica che mette in discussione il nostro ruolo nel mondo. La natura, qui, non è solo sfondo, ma la protagonista, parte attiva di un racconto in cui esseri umani e non umani sono legati da relazioni di interdipendenza, in un ecosistema che cambia, in un paesaggio condiviso dove ogni forma di vita prende parte alla costante lotta per l'esistenza.
Questo progetto espositivo segna l'inizio di una collaborazione tra Marzia Migliora e Arte Sella che culminerà con la riapertura del percorso montano di collegamento tra Malga Costa e Villa Strobele, in fase di recupero dopo la tempesta Vaia nel 2018 e che tornerà presto a essere nuovamente accessibile. In occasione di Lotta per l'esistenza è stato riaperto come sede espositiva anche l'edificio dell'ex stalla che accoglierà gli appuntamenti con l'arte, la danza, il design, la musica e il teatro, grazie alla consolidata collaborazione con Levico Acque. Accompagna la mostra una pubblicazione bilingue (italiano e inglese) a cura di Lorenzo Fusi, edita da Dario Cimorelli Editore. (Comunicato stampa)
Immagine:
Marzia Migliora, Lotta per l'esistenza (Struggle for Existence), 2025, installazione ambientale, cartapesta dipinta a mano, carta telata, dimensioni variabili Foto di Mariano Dallago. Courtesy: the artist; Arte Sella; Lia Rumma Gallery
Otto Hofmann
L'immaginario e il reale. Dal Bauhaus, un artista libero. Opere 1930-1954
Circa cinquanta opere, che coprono un arco cronologico che va dal 1930 al1954, ripercorrono la produzione di Otto Hofmann (Essen, Germania, 1907 - Pompeiana, Italia, 1996). Mostra a cura di Paolo Bolpagni, ex direttore e attuale componente del Comitato scientifico della Fondazione, e di Giovanni Battista Martini, curatore dell'archivio dell'artista.
Nato nella Ruhr e cresciuto in Turingia, l'artista perfezionò la sua formazione pittorica al Bauhaus di Dessau, dove fu allievo di Vasilij Kandinskij e di Paul Klee. Abbracciò l'astrattismo con estrema originalità e senza alcun dogmatismo, anzi lasciandosi "contaminare" da elementi surrealisti e dada, non rifuggendo da retaggi figurativi, spesso alternando esiti iconici e aniconici, perseguendo una personale coerenza fondata su basi espressive, più che sull'adesione a movimenti e tendenze intese in senso chiuso. (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)
___ Presentazione mostre di artisti tedeschi nella newsletter Kritik
Rebecca Horn | "Cutting Through the Past"
23 maggio - 21 settembre 2025
Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea - Torino Presentazione
Alfred Eisenstaedt
13 giugno - 21 settembre 2025
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino Presentazione
Il teatro del quotidiano | Giacomo Francesco Cipper "Tedesco"
12 aprile - 14 settembre 2025
Castello del Buonconsiglio - Trento Presentazione
Andreas Schulze: Guardando e ascoltando | Dipinti di panorami e sculture in ceramica dal viaggio in Sicilia dell'artista tedesco
28 giugno - 17 agosto 2013
Galleria Sprüth Magers - Londra
Presentazione
Il FINC - Festival Internazionale Nouveau Clown torna a Giardini Naxos
IV edizione, 27-29 giugno e 04-06 luglio 2025
Parco Archeologico Naxos e altri luoghi di Giardini Naxos (Messina) www.fincfestival.com
Il FINC Festival è un invito a ridere, riflettere e lasciarsi sorprendere dal potere universale del corpo, della comicità e della clownerie senza parole. Un ricco programma con grandi nomi della scena comica contemporanea senza parole, tra i quali David Larible, Anatoli Akerman, Paolo Nani e Gardi Hutter. Gli spettacoli si svolgeranno al Teatro della Nike, nel Parco Archeologico Naxos, tranne lo spettacolo de "Il Grande Lebuski", che il 29 giugno si svolgerà nella piazza del Municipio. La kermesse viene realizzata con il sostegno del Parco Archeologico di Naxos - Taormina, del Comune di Giardini Naxos, in collaborazione con varie associazioni del territorio, con Théâtre GRRRANIT - Scène nationale de Belfort (Francia).
Il Festival è inoltre riconosciuto dal Ministero della Cultura come festival di circo contemporaneo di particolare interesse nazionale. Nato nel 2022 per iniziativa degli artisti Dandy Danno e Diva G - al secolo Daniele Segalin e Graziana Parisi - in pochi anni il Festival è ampiamente riconosciuto come uno dei progetti più innovativi e internazionalmente attivi nell'ambito della comicità fisica, poetica e senza parole. Un festival che unisce culture attraverso il linguaggio universale del corpo, celebrando l'arte della comicità fisica e visuale, senza parole.
Come per le edizioni precedenti l'obiettivo è duplice: da un lato valorizzare la figura del clown contemporaneo, nella sua dimensione poetica, ironica e inclusiva; dall'altro incentivare la partecipazione di nuovi spettatori, in particolare del giovane pubblico e delle famiglie, al mondo dello spettacolo dal vivo e del circo contemporaneo, avvicinandoli al linguaggio espressivo e accessibile del Nouveau Clown. Dopo l'ottima esperienza internazionale in Francia, con il FINC ON TOUR ospitato al Théâtre GRRRANIT di Belfort, il festival ritorna in Sicilia con un programma rinnovato, ricco e diffuso.
La manifestazione porterà nella cittadina siciliana artisti di fama internazionale, giovani talenti, studiosi del settore e un pubblico intergenerazionale. In programma spettacoli, workshop, talk, una mostra sul clown Grock e attività partecipative in vari luoghi del paese.
Il 27 giugno alle ore 21:30 aprirà il cartellone David Larible, "Il Clown dei Clown". Larible è stato il primo clown protagonista al centro pista con Ringling Bros., ha vinto il Clown d'Oro a Montecarlo e ha calcato i palcoscenici del Circo di Mosca, dei circhi Knie e Barnum, oltre ad aver collaborato con registi come Giorgio Strehler e artisti come Luciano Pavarotti. Larible sarà la star del "Nouveau Clown Gala", uno spettacolo che fonde tradizione e contemporaneità, con numeri esilaranti, gag senza tempo e un forte rapporto diretto con il pubblico. Nei giorni 28 e 29 giugno, Larible condurrà anche un workshop professionale aperto ad artisti e performer, per il quale stanno giungendo prenotazioni da tutta Europa.
Il 28 giugno alle 21:30 sarà la volta di Fabrizio Rosselli e del suo "Bakéké", un'indagine ironica e poetica sull'impossibile. Rosselli si è formato alla scuola Carampa di Madrid e alla FLIC di Torino. Da allora i suoi studi di clownerie e manipolazione d'oggetti lo hanno portato in numerosissimi festival e, con la sua compagnia BettiCombo, fino al prestigioso Festival Mondial du Cirque de Demain. In "Bakéké", un dolce e temerario personaggio gioca con secchielli colorati, erigendo torri instabili e ostinando il proprio ingegno di fronte all'assurdo. Con una miscela di clownerie, teatro fisico e teatro d'oggetti trasporta il pubblico in un mondo frenetico e surreale, dove astuzia e tenacia sono le chiavi per aggirare gli ostacoli della vita quotidiana.
Il 29 giugno il festival arriva nel cuore di Giardini Naxos, alle ore 18:30 in Piazza Abate Cacciola (piazza del Municipio), con Il Grande Lebuski, al secolo Gianluca Marra. Un originale spettacolo di teatro di strada e clownerie in cui un appassionato biciclettaio, armato solo di ruote, cerchioni e manubri, dà vita a numeri di giocoleria e acrobazie con parti di bicicletta, trasformandosi in un irresistibile supereroe determinato a salvare il mondo dai motori. Lo spettacolo è gratuito e aperto a tutti.
Sempre domenica, alle 21:30 è in programma "Splinters", una prima nazionale interpretata da Anatoli Akerman e Christof Schiele. I due artisti danno vita a uno spettacolo poetico e surreale, dove si alternano momenti di comicità astratta e grande precisione fisica. Akerman è un clown e attore fisico acclamato a livello mondiale: Ha fatto parte della creazione e del cast di KÀ e ZED del Cirque du Soleil, rispettivamente a Las Vegas e Tokyo. Ha lavorato con il celebre Circus Roncalli e ha interpretato un clown nel film "Dumbo" di Tim Burton per la Disney. Si è esibito su palcoscenici prestigiosi come il Wintergarten Varieté di Berlino, il Friedrichsbau di Stoccarda, il Cirque Bouffon e il Pomp Duck Circumstance.
Le serate del 4, 5 e 6 luglio si apriranno alle 21:00 con "Pass Pass", clown act di Jean-Pierre Bianco, artista tra i più versatili e premiati del teatro di strada italiano, finalista a Italia's Got Talent nel 2013, vincitore del Premio della Critica all'International Salieri Circus Award e del Special Prize al Budapest Circus Festival nel 2021.
Il 4 luglio alle ore 21:30 sarà protagonista Gardi Hutter con "Giovanna D'ArpPo". Gardi Hutter è un'icona del teatro clownesco mondiale. Considerata una pioniera del clown femminile, gira il mondo dal 1981, raggiungendo ad oggi oltre 4444 rappresentazioni in 44 paesi e aggiudicandosi 18 rinomati premi. Con la regia di Ferruccio Cainero, in Giovanna D'ArpPo una lavandaia trasognata e squinternata sogna grandi azioni eroiche e, non trovando nemici degni di lei, trasforma la sua lavanderia in un grottesco campo di battaglia.
Il 5 luglio alle ore 21:30 verrà dato spazio alla giovane creatività con il debutto dello spettacolo "From a Suitcase" di Enrico Mazza, vincitore della Call for Artists Under 35. Selezionato grazie alla partecipazione della giuria popolare degli "Spettatori Attivi" - un gruppo di cittadine e cittadini appassionati, chiamati ogni anno a scegliere tra le proposte emergenti - progetto che rende concreta la vocazione partecipativa del FINC, valorizzando il dialogo diretto tra pubblico e artisti. Mazza presenta un raffinato spettacolo di visual comedy, muto, poetico e ironico, che mescola mimo, clown, manipolazione d'oggetti e improvvisazione.
Il 6 luglio alle ore 21:30 chiuderà la programmazione a Giardini Naxos "La Lettera" di Paolo Nani, considerato un vero e proprio cult internazionale del teatro fisico. Liberamente ispirato al libro "Esercizi di Stile" di Raymond Queneau, lo spettacolo vede l'artista reinterpretare la stessa brevissima storia in 15 modi diversi, ogni volta da una persona diversa e con stili e registri opposti, in un'escalation di virtuosismo, intelligenza e comicità. In scena dal 1992, "La Lettera" ha superato le 1.800 repliche ed è stato rappresentato in più di 40 paesi in tutto il mondo. Ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi come il Primo Premio al Festival Impulse in Germania, il Premio dell'Associazione dei Critici Danesi, una nomination al Reumert Award - massimo riconoscimento teatrale danese - e la Menzione d'onore al Festival Copenhagen Stage.
___ Una mostra dedicata al "Re dei clown"
Dal 27 giugno al 6 luglio, al Parco Archeologico Naxos sarà visitabile la mostra con un focus sul Clown Grock, definito "il più grande clown del mondo" con oltre 30 pannelli che raccontano 250 anni di storia del Clown nel circo. La Mostra è allestita in collaborazione con il CEDAC di Verona, il Centro Educativo di Documentazione delle Arti Circensi. Un omaggio visivo e narrativo che ripercorre la storia dell'artista svizzero che ha rivoluzionato il linguaggio comico tra Ottocento e Novecento, ispirando generazioni di artisti e spettatori.
___ Talk: teoria, storia e visioni del clown
All'interno della sezione dedicata ai talk, il FINC Festival offre al pubblico e agli addetti ai lavori momenti di riflessione storica e teorica sull'arte del clown in collaborazione con il Prof. Dario Tomasello, docente di teatro presso l'Università di Messina, dove coordina il DAMS e ha fondato il Centro Internazionale di Studi sulla Performatività delle Arti e degli Immaginari sociali (UNIVERSITEATRALI).
Venerdì 27 giugno è in programma il talk "Connessioni Clown", alle ore 10:30 presso il DAMS dell'Università di Messina, nell'ambito di Open Circus, progetto di Circo e Dintorni per la diffusione della cultura circense e il ricambio generazionale nel settore, sostenuto dal Ministero della Cultura. Interverranno il professor Alessandro Serena, direttore artistico di Mosaico Errante, storico del circo e docente di Storia dello Spettacolo Circense e di Strada all'Università degli Studi di Milano, ed Elena Vladimirovna Petrikova, direttrice del Circo di stato di Mosca, clown d'argento al Festival di Montecarlo ed esperta della tradizione del clown russo, che proporrà una riflessione sulla specificità e l'evoluzione di questa figura nel panorama delle arti performative.
Alessandro Serena ripercorrerà l'evoluzione del clown dal circo tradizionale al nouveau clown, illustrando come questa figura sia riuscita a conquistare anche i palcoscenici teatrali, dai Festival internazionali come Montecarlo alle Scene National francesi, fino al FINC. Un viaggio attraverso idee, connessioni e trasformazioni che hanno fatto dell'autoderisione una potente chiave espressiva.
Il 6 luglio, alle ore 19:30 al Parco Archeologico sarà la volta dell'incontro intitolato "Il grande GROCK" con Antonio Giarola - presidente del CEDAC Centro Educativo di Documentazione delle Arti Circensi, co-fondatore dell'Accademia d'Arte Circense di Verona e direttore artistico dell'International Salieri Circus Award di Legnago.
___ Workshop
Come ogni anno, il FINC propone anche momenti di alta formazione per professionisti. Il 28 e il 29 giugno a Giardini Naxos, David Larible condurrà un workshop sul clown teatrale, trasmettendo la sua poetica personale maturata in decenni di carriera internazionale. Larible è stato il primo clown protagonista al centro pista con Ringling Bros., è vincitore del Clown d'Oro a Montecarlo e ha calcato i palcoscenici del Circo di Mosca, dei circhi Knie e Barnum, oltre ad aver collaborato con registi come Giorgio Strehler e artisti come Luciano Pavarotti. Il 9 e il 10 luglio ad Enna, Peter Shub, figura chiave del clown contemporaneo e insegnante per il Cirque du Soleil, la Folkwang Schule e l'ESAC di Bruxelles, proporrà il suo "Manuale di clownerie", un laboratorio unico che esplora tecniche, presenza scenica, comic timing e improvvisazione con approccio profondo e non convenzionale.
Venerdì 28 giugno, dalle 16:00 alle 17:30, presso la sede di Theatre Degart, l'artista e regista teatrale spagnolo Oscar Vidal condurrà un laboratorio dedicato ai bambini, offrendo un'esperienza giocosa e coinvolgente tra comicità, movimento e fantasia. Un'occasione per avvicinarsi al mondo del clown attraverso il linguaggio del corpo e la creatività, in un clima di divertimento e scoperta.
___ Altri eventi
Domenica 29 giugno, nella piazza antistante la chiesa di Santa Maria della Raccomandata a Giardini Naxos, è previsto l'incontro con il gruppo I Millepiedi di Varese e Azione Cattolica. Un momento di dialogo e condivisione che arricchisce il programma del festival con una riflessione sui temi dell'incontro, del servizio e del valore sociale del sorriso. (Comunicato ufficio stampa LP PRESS)
Personale del pittore Armando Orfeo. In esposizione un ciclo di recenti dipinti a olio e acrilico su tela. Protagonista dei suoi lavori è il personaggio, da lui ideato, del 'Signor Cozza', sorta di stereotipo del borghese medio: immerso in singolari ambientazioni marine, si muove inquieto in mezzo a numerosi oggetti simbolici e architetture audaci, perennemente combattuto tra routine e voli pindarici. La mostra, patrocinata dal Comune di Viareggio, è inserita nel ciclo di eventi "Il mare in bottiglia", promosso dall'Associazione Amici del Museo della Marineria di Viareggio. E' organizzata in collaborazione con la galleria Mercurio Arte Contemporanea di Viareggio ed è curata da Gianni Costa.
Così osserva Sandra Maria Dami nel testo introduttivo del catalogo che correda la mostra: "Orfeo porta dentro di sé i grandi maestri del Novecento dai quali apprende, e prende ispirazioni attraverso un costante dialogo immaginario. Escher, Sironi, Dalì, De Chirico sembrano tutti presenti in una stanza di pittura a guidare il suo pensiero, se non la sua mano. E' così che geometrie in volo, arte di sintesi, suggestioni della realtà, concezione dello spazio, perfino il grigio della pietra e la simbologia di alcuni oggetti diventano in Orfeo mestiere e stupore".
Armando Orfeo (Marina di Grosseto - Grosseto, 1964) vanta un nutrito curriculum espositivo, con numerose personali e collettive in Italia e all'estero, oltre alla presenza in importanti fiere d'arte e straniere. Negli anni '80 collabora con le riviste di fumetto d'autore 'Tempi supplementari' e 'Frigidaire', pubblicando una serie di storie con personaggi di sua invenzione. Come illustratore pubblicitario lavora, a partire dal 2000, con Artemidatre di Milano, per la quale esegue progetti di immagine commissionati da prestigiose aziende italiane e straniere. Nel 2009 realizza una serie di illustrazioni per la De Agostini Periodici, apparse sulle riviste 'Yacht Capital' e 'The Cup'. (Comunicato stampa)
Agnese Guido | Silvia Paci
"Storie Dipinte"
12 giugno (inaugurazione) - 25 luglio 2025
Galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea - Milano www.colomboarte.com
Doppia personale di Agnese Guido e Silvia Paci, a cura di Ivan Quaroni, che riunisce due tra le voci più originali della nuova figurazione italiana. La mostra esplora la dimensione narrativa della pittura, riportandola alle sue origini: quando l'immagine non era un fatto autonomo o autoreferenziale, ma un linguaggio per raccontare. In equilibrio tra tradizione iconografica e immaginazione contemporanea, Guido e Paci recuperano l'antica funzione del dipingere come costruzione di mondi, visioni, favole o enigmi visivi. Le loro opere si pongono lungo un asse che collega il racconto mitico e il vissuto personale, l'allegoria e l'autobiografia, il simbolo e il sogno.
Agnese Guido trasforma il quotidiano in una farsa magica. Le sue città, i suoi oggetti, i suoi personaggi sono sospesi tra ironia espressionista e invenzione surrealista, in una pittura che gioca con le proporzioni, sovverte le gerarchie e trasfigura l'ordinario in scena teatrale. Il suo lavoro è una riflessione fantastica sul reale, in cui ogni dettaglio diventa indizio narrativo, effetto di un relativismo pittorico che fa somigliare ogni scena ad un giallo onirico.
Silvia Paci, invece, affonda le radici nel mondo delle fiabe, del folclore e della mitologia. I suoi quadri sono abitati da maschere, feticci, bambole, scarpe artigliate e personaggi usciti dai racconti di Collodi o dai sogni dell'infanzia. Le sue opere sono scene corali, autoritratti in maschera o allegorie fiabesche in cui la bugia, il travestimento e la metamorfosi diventano dispositivi narrativi e simbolici. L'autoritratto dell'artista è un elemento ricorrente nei suoi dipinti, spesso affollate di personaggi come le tele del Seicento, dove verità e finzione si fondono senza soluzione di continuità.
Il titolo Storie Dipinte richiama esplicitamente la prima personale del 1958 di Dino Buzzati, pittore e scrittore che ha incarnato, più di altri, l'idea di un'arte capace di raccontare attraverso le immagini. Così anche le opere di Guido e Paci rinnovano il senso della pittura come linguaggio narrativo, restituendole quella forza evocativa, enigmatica e visionaria che la modernità ha provato a dimenticare.
Agnese Guido (Lecce, 1982), diplomata in pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, ha preso parte a diversi progetti espositivi in Italia e all'estero. Il suo lavoro è una ricerca intuitiva sulla simbologia delle immagini attraverso la pittura e il disegno, linguaggi con cui esplora il lato poetico e paradossale e perturbante della realtà. I suoi lavori recenti si orientano verso una dimensione più misteriosa ed evocativa e, allo stesso tempo, carnale, in cui l'imprevedibilità dei soggetti è un elemento chiave.
Silvia Paci (Prato, 1990), dopo aver studiato pittura all'Accademia di Belle Arti di Firenze, si trasferisce a Berlino nel 2016, dove continua la sua formazione con il pittore Eoin Llewellyn presso la "Berlin Art class". Nello stesso anno si reca a Pechino per una residenza artistica sponsorizzata dalla galleria "The showroom" e dal collezionista e ambasciatore australiano a Pechino Geoff Raby, nel quartiere di Chaochangdi. Nel 2020 si sposta a Milano per una residenza artistica presso VIAFARINI. La sua pittura rappresenta la realtà senza essere realistica, creando l'illusione non attraverso la mimesi, ma tramite la scomposizione dei soggetti, il taglio delle immagini e la scelta dei colori. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive in Italia e all'estero, sia in gallerie che in spazi istituzionali. (Comunicato stampa)
Isole e Idoli
27 giugno (inaugurazione) - 16 novembre 2025
Museo MAN - Nuoro
www.museoman.it | www.studioesseci.net
La mostra - a cura di Chiara Gatti e Stefano Giuliani - nasce per rispondere a queste domande e per comprendere come il potere simbolico e mitico delle figure arcaiche, custodite entro i confini dell'insularità, si sia rigenerato, a distanza di secoli, nelle forme del moderno. L'allestimento, curato dall'architetto Giovanni Maria Filindeu, organizza l'insieme delle opere esposte in una forma spaziale che richiama la configurazione di un arcipelago formato da piccoli raggruppamenti tematici. A guidare l'articolazione degli elementi, sia a parete che a pavimento, sono l'uso intenzionale e critico del colore e la scelta dei materiali. In particolare, il celenit (un aggregato di fibre di legno e cemento) utilizzato per le basi espositive, oltre all'impiego della sabbia lavata, legante naturale ed evocativo, i cui toni algidi sposano la palette estiva delle trame che disegnano mappe metafisiche.
Una selezione di oltre 70 opere conta reperti archeologici in arrivo dai maggiori musei di archeologia della Sardegna, dal Menhir Museum di Laconi e dai Musei della Bretagna, oltre al prestito eccezionale concesso dal Dipartimento di antichità greche, etrusche e romane del Musée du Louvre di Parigi. Accanto a questi, le opere dei maestri moderni giungono da importanti collezioni europee, fra cui la National Gallery Prague (per le sculture lignee di Gauguin), la Galleria d'arte moderna di Milano, il Musée départemental Maurice Denis, il Museo della città di Locarno, la Fondation Giacometti e gli Archives Henri Matisse, cui si aggiungono l'Archivio Florence Henri e collezioni private italiane come Diffusione Italia International Group srl e la collezione di stampe di Enrico Sesana.
Un affondo dedicato alla Sardegna preistorica offre, infine, un approfondimento sul mondo dell'idolo in terra sarda, articolato intorno a quattro nuclei tematici principali: il toro (simbolo maschile associato al culto del potere e della fertilità), la Dea Madre (figura femminile legata alla nascita e alla continuità della vita), il "capovolto" (rappresentazione dell'aldilà e del rovesciamento rituale), e le statue menhir antropomorfe, veri idoli scolpiti nella pietra e destinati a dominare il paesaggio come presenze eterne.
In bilico fra neolitico e alba del Novecento, fra archeologia ed avanguardia, fra gli idoli cicladici e le sculture lignee che Gauguin intagliò nei suoi anni di Tahiti, il percorso fluttua fra passato e presente in cerca di ritorni, sentimenti condivisi, eredità genetiche, spinte effusive destinate a riaffiorare a fasi alterne, come nei cicli geologici, e a guidare le mani degli autori tese a plasmare forme affini. Non, dunque, l'idea del viaggiatore che, esplorando, trova, assorbe e replica. Ma il concetto, più vitale, che l'antico e il moderno si tocchino al di fuori del tempo e dello spazio, fortissimamente nutriti da una medesima necessità: rappresentare l'altrove attraverso statue, steli, monoliti che personifichino l'invisibile in terra.
«Non serve - scrive Chiara Gatti nel suo testo - il revisionismo postcoloniale per affermare che, nella loro statura ieratica, non vi sia nulla di primitivo, esotico, conturbante. È astrazione allo stato puro. Sono dee madri, pietose e grandiose allo stesso tempo, come prefiche egizie, come offerenti etrusche, come ancelle rubate alla pittura vascolare greca. E i loro sguardi che scrutano nel vuoto, immersi in un'attesa casoratiana, ricordano l'immobilità disarmata della Melencolia di Dürer, allegoria dell'intelletto umano che medita sul destino del cosmo».
Ponendosi criticamente come una riflessione sui concetti odierni di alterità, primitivismo e sulle loro ricadute nel cuore del dibattito postcoloniale - esteso ben oltre la storia dell'arte - la mostra affonda dentro ragioni antropologiche connaturate alla presenza di figure totemiche nei circoscritti perimetri di un'isola e spiega quanto maestri del calibro di Gauguin, Pechstein, Miró, Arp o Matisse, nel corso dei loro viaggi, abbiano rielaborato tale convivenza, proiettando le loro stesse icone statuarie nella dimensione assoluta del sacro.
Partendo dalla prima "fuga" di Gauguin verso la Bretagna, nel 1886, secondo un concetto di isola come luogo ideale, immune dalle derive del mondo civilizzato, il percorso narra l'esperienza di Jean Arp, che collezionava statuette cicladiche, irretito dal loro magnetismo concentrato in un pugno, e di Max Pechstein approdato nel 1914 nell'arcipelago di Palau, dove visse a contatto con le comunità locali sull'isola di Angaur e vi ritrasse volti maschili solenni come divinità.
«Vedevo gli idoli scolpiti in cui una trepidante pietà e il timore reverenziale di fronte all'imperscrutabile potere della natura avevano impresso speranza, paura e soggezione, davanti al loro ineluttabile destino». Joan Miró, nei suoi appunti quotidiani, evocava le statue Moai dell'Isola di Pasqua, come riferimento potente per nuove forme scultoree, riconoscendo in esse l'incarnazione di uno spirito ancestrale. E ancora, Alberto Giacometti che aveva trovato la propria isola fra i massi erratici del Maloja, fece di ogni suo ritratto un idolo, un custode del tempio, inginocchiato al cospetto dell'immateriale.
Scrive Matteo Meschiari nel suo testo a catalogo: «Il punto è cercare di capire non tanto la sociologia, la filosofia e la geopolitica dell'essere e vivere l'isola, quanto in che modo la geomorfologia Terra-Mare contenga in sé dei fossili di pensiero mitico, in che modo l'incontro tra roccia e acqua sia una specie di campo morfogenetico in grado di generare mito. Gli stereotipi concettuali legati all'isola sono un filtro oscurante: esclusione, separatezza, solitudine, naufragio, arroccamento, prigione, esilio, confino, sono solo i più diffusi, ma appena ci spostiamo in culture Ocean-centered come quella vichinga o quella polinesiana, ci rendiamo conto che l'Occidente è impastoiato in un paradigma coloniale geocentrico che dà sempre priorità alle terre, uno sguardo continentale che perpetua un modello geografico egemonico dove il mare è il vuoto.
Per chi vive in mare, al contrario, l'acqua è il centro del mondo, le sue mappe indicano paesaggi sommersi e moti di correnti, mentre le isole, soprattutto quelle oceaniche, sono piccole pause, zone di sospensione nell'immensità salata, e l'arcipelago è un iperoggetto bucherellato tenuto assieme dal dinamismo delle acque, dal pieno del mare». (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI - Sergio Campagnolo)
IMPRESSIONISTI - Frammenti di luce e colore, da Monet a Renoir
24 maggio - 28 settembre 2025
Castello Maniace di Ortigia - Siracusa Locandina della mostra
La mostra, a cura di Stefano Oliviero sarà ospitata in uno dei luoghi simbolo di Siracusa: il Castello Maniace, situato all'estremità dell'isola di Ortigia e affacciato direttamente sul Mar Ionio. Costruito nel XIII secolo per volontà di Federico II di Svevia, il Castello rappresenta un capolavoro dell'architettura militare medievale mediterranea e oggi è un importante centro culturale e turistico. La scelta di questa location non è casuale: il dialogo tra la storia millenaria del sito e l'innovazione pittorica dell'Impressionismo crea un ponte ideale tra passato e modernità, tradizione e avanguardia.
IMPRESSIONISTI - Frammenti di luce e colore, da Monet a Renoir celebra uno dei movimenti artistici più influenti e innovativi della storia dell'arte occidentale che proprio lo scorso anno ha compiuto centocinquant'anni. La mostra prodotta da Mediterranea in collaborazione con Navigare, intende far risaltare lo spirito di gruppo, la loro comunione di intenti, il loro amichevole e umano rapporto, solido nonostante molte divergenze e diversi punti di vista. Gli anni dell'Impressionismo furono anni di grandi cambiamenti, non solo nel mondo dell'arte, ma soprattutto storici, sociali, economici.
Protagonisti assoluti dell'esposizione sono i grandi maestri dell'Impressionismo francese: Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley, Berthe Morisot, Edgar Degas, Édouard Manet e altri artisti che, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, rivoluzionarono il concetto stesso di pittura. Abbandonando i canoni accademici e le rigidità della pittura di storia, scelsero di ritrarre la vita moderna, i paesaggi naturali, la luce mutevole e i gesti quotidiani, rendendo protagoniste le emozioni, la percezione e l'esperienza soggettiva.
Il mondo, all'alba di un nuovo secolo, si vedeva proiettato in un futuro di grandi sconvolgimenti, annunciati con la comparsa della luce elettrica, del telefono, del volo, dei grandi treni sbuffanti, delle prime metropolitane, della nascente civiltà industriale e, per gli artisti, l'irrompere delle sconvolgenti novità della fotografia e del cinema, che li costrinse a fare i conti con una visione della realtà mai prima immaginata. Fu proprio anche grazie alla fotografia che ebbe vita l'Impressionismo. Infatti, fu nello studio di un fotografo, quel Nadar sopracitato, che ebbe luogo la loro prima mostra, esattamente centocinquanta anni fa.
Stefano Oliviero, storico dell'arte e curatore della mostra cita Boudin quando afferma che: «La perfezione è opera collettiva, senza l'una nemmeno l'altra sarebbe arrivata dove è arrivata. Ciò valse per questo gruppo di pittori che insieme apprendevano, lottavano, soffrirono ed esposero le loro opere. Spesso andarono contro i loro interessi reciproci e, come gruppo, furono divisi da qualche conflitto interno, ma la loro opera dimostrò, forse meglio delle loro azioni, come lottarono per conquistare una visione nuova, sia in maniera individuale che in maniera collettiva.»
La mostra si articola in più sezioni tematiche, ciascuna dedicata a uno degli aspetti fondamentali del movimento: la nascita del gruppo degli Impressionisti, le innovazioni tecniche, la rappresentazione della città e della natura, il ruolo delle donne artiste e l'eredità lasciata all'arte contemporanea. Oltre alle opere - olii tela, olii su tavolo, olii su cartoncino, pastelli su tela, acquerelli su carta, disegni su tela, litografie e riproduzioni in alta definizione e installazioni multimediali che guideranno il visitatore in un percorso immersivo e coinvolgente - saranno esposti anche materiali d'archivio, fotografie d'epoca, documenti originali, lettere tra gli artisti e apparati didattici pensati per offrire un contesto storico e culturale approfondito provenienti tutti da collezioni private. Un'intera sezione della mostra è dedicata alla "luce", ovvero alla capacità degli Impressionisti di catturare e restituire l'impressione visiva del momento attraverso tocchi rapidi, colori puri, contrasti dinamici e una pittura "en plein air" che ha cambiato per sempre il modo di dipingere.
«Ogni forma d'arte trae respiro dalla propria poesia, dalla capacità di abbracciare il mondo nella sua complessità, come dall'intento - che è anche intuizione - di riuscire a farci percepire quel mondo in maniera diversa da come ci appare», afferma il curatore della mostra. «I grandi protagonisti dell'Impressionismo hanno saputo liberare la pittura da convenzioni e imposizioni, rendendo l'arte accessibile, vitale, universale. Con questa mostra vogliamo restituire quello spirito originario di comunità, di scambio e di libertà che ha segnato un punto di svolta irripetibile nella storia dell'arte». (Comunicato ufficio Stampa Valentina Lucia Barbagallo)
___ Le tre sezioni in mostra
- Sezione I La rivoluzione realista e l'École de Barbizon. La strada verso l'Impressionismo
La rivoluzione realista avvenuta in Francia negli anni quaranta dell'Ottocento aveva sconvolto l'egemonia accademica che faceva da padrona. Il principale esponente fu Courbet insieme a Millet, Daumier, Fantin Latour e molti altri artisti che traducevano in pittura il dilatarsi degli interessi degli storici verso i problemi della società moderna. In questa sezione sono esposte le opere che raccontano il rapporto di questi artisti con la natura, vista in maniera "sentimentale", fiancheggiati dai pittori paesisti di Barbizon, un gruppo di uomini che rifiutavano la città trovando rifugio in campagna per vivere emotivamente la natura in tutti i suoi aspetti.
- Sezione II La conquista degli impressionisti
A Parigi, il 15 aprile 1874, si inaugura una mostra che segna la nascita di uno dei movimenti artistici più famosi al mondo: l'Impressionismo. Monet, Renoir, Degas, Morisot, Pissarro, Cezanne, Sisley e tanti altri esposero, in modo indipendente, le loro opere: dipinti chiari e luminosi che traducevano, con un tocco rapido e vivace, le loro fugaci impressioni provate di fronte al motivo. L'esposizione di questa sezione è impostata nella stessa maniera di quella del 1874. Le opere, create dai protagonisti e da molti altri artisti che hanno partecipato al gruppo, presentano una grande varietà di soggetti, tecniche e stili e costituiscono un nucleo solido, riconoscibile e compatto.
- Sezione III Dopo la conquista: l'arte non è solo riproduzione
L'impressionismo ha "rotto" delle regole provocando una frantumazione ideologica a cui corrispondeva una molteplice sperimentazione pittorica. L'arte del post-Impressionismo, nelle sue varie espressioni e declinazioni, come per esempio il movimento del Puntinismo, del Simbolismo, del Fauvismo e dei Nabis, comincia ad elaborare la costruzione di un rapporto intimo e, soprattutto, personale con la natura e con il quotidiano. Le opere presenti in questa sezione dimostrano che l'arte non è solo riproduzione. La strada per le future avanguardie è stata tracciata.
Immagini (da sinistra a destra):
1. Maurice Denis, La lecture, 1900 ca, olio su tela, cm 32x44, collezione privata
2. Édouard Manet, Vase de fleur, 1885, olio su cartoncino, cm 31x40, collezione privata
Con ideazione e cura di Fabrizia Buzio Negri, trenta le opere presentate in mostra, tra dipinti e sculture di forte presa visiva, affiancate da un importante portfolio fotografico documentaristico di una società dai mille contrasti e da 36 originali piatti unici d'autore: tra le bianche pareti del Chiostro si disegnano i grandi temi del nostro vivere, sociale e individuale. La ricerca della Sostenibilità nel cibo. Gli enormi sprechi degli alimenti. Le povertà nel mondo. I disturbi del comportamento alimentare. Il Cibo sempre più alla ribalta della cronaca, nella creatività di una cucina aperta a mille sperimentazioni e gusti.
Gli Artisti di "Contemporary Arte&Ambiente APS": Lorella Bottegal, Fabrizia Buzio Negri, Cristian Cacciatore, Pierangela Cattini, Gladys Colmenares -Marina Comerio, Irene Das Neves, Fabio Di Giacomo, Laura Fasano, Silvana Gadda, Elda Francesca Genghini, Martina Goetze Vinci, GuerraepaolO, Antonella Lelli, Stefania Mascheroni, Sonia Naccache, Carlo Pezzana, Elisabetta Pieroni, Viviana Poli, Idillio Pozzi, Elio Rimoldi, Elena Rizzardi, Andrea Santini Ersa, Donatella Stolz, Mariuccia Taino, Attilio Guido Vanoli, Gabriele Vegna, Roberto Villa, Francesca Zichi, Laura Zuccarello.
Dappertutto, le grandi installazioni Site-specific, concretizzate con profusione di materiali di scarto e di riciclo. "La fame e l'abbondanza" nei contrasti netti del nero/bianco, storicamente e nel contemporaneo; "Lo spreco", coinvolgente ampia realizzazione concepita dal gruppo Work per l'ingresso della mostra con gli impressionanti numeri del consumo scriteriato di cibo, nella finalità mirata a una forte sensibilizzazione di un più attento consumo alimentare; le suggestioni del "Mandala", rappresentazione simbolica del cosmo - qui nelle versioni personali di due artiste - suggerisce l'interiorità attraverso l'uso del polimaterico con pasta scaduta, riso e semi su supporti recuperati, con gesso, carta, colori acrilici, sul tema della contrapposizione tra il troppo e il nulla.
All'inaugurazione, coinvolgente il reading con le intense letture degli artisti sul tema Cibo. Ritorna come sempre la performance ideata da Francesca Zichi, quest'anno "Message in the bottle (per il mondo)". In un tempo iper-connesso, ecco una "creazione collettiva" con la magia della casualità e dei sentimenti da esprimere e da legare insieme con un filo sottile che li assembla in una lunga infinita catena. Per una sorprendente narrazione finale. (Comunicato stampa)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Silvana Gadda, La Natura veste rosso, polimaterico e olio su tela
2. Viviana Poli, Mandala, dettaglio
3. Cristian Cacciatore, Street Food Palermo
4. Andrea Santini Ersa, A tavola con lo spreco
Alice Pedroletti e Andrea Familari
"ARCHIPEL"
06 giugno - 06 luglio 2025
VORFLUTER Projektraum
La mostra fa parte del 48° Neukölln Festival (27-29 giugno 2025)
www.notalike.com | www.famifax.com/fami
"ARCHIPEL" esplora le città contemporanee come isole culturali e l'arcipelago come struttura sociale plasmata dalle relazioni tra gli abitanti. Immagina le città come spazi frammentati ma interconnessi, dove l'intelligenza artificiale costruisce il suo arcipelago di interazioni umane. Alice Pedroletti presenta Isolane, un archivio video in continua evoluzione che esplora l'isolamento, la memoria e l'appartenenza.
Attraverso incontri silenziosi e prossimità lontane, l'opera riflette su ciò che ci definisce come isole, dove l'identità emerge attraverso i luoghi e le relazioni che ci legano. Andrea Familiari presenta Atollo I, un'opera video nata dall'installazione Relate - Talk with Me, in cui i visitatori dialogano con un avatar basato sull'intelligenza artificiale. Attraverso l'uso di trascrizioni, l'opera reinventa il modo in cui le persone esprimono e riflettono sulle relazioni, tracciando legami emotivi all'interno di uno spazio urbano e sociale plasmato digitalmente.
Alice Pedroletti is a visual artist and researcher. Her interdisciplinary practice examines the intersection of architecture, geography, and archival methods as tools for visual and conceptual art practices. Working across photography, installation, sculpture, and writing, she investigates themes of memory, isolation, and spatial narratives.
Andrea Familari is a visual artist exploring how AI and technology shape human relationships. His recent works invite audiences into conversations with virtual beings, exploring themes of intimacy, communication, and perception. Using video, generative systems, and multi-screen setups, he creates spaces for emotional and critical encounters with machines. (Comunicato stampa)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Alice Pedroletti, Isolane, 2009, Immagine Video
2. Andrea Familari, Atoll I, 2025, Immagine Video
Paolo Bini
"Nient'altro che Pittura"
12 giugno (inaugurazione) - 06 settembre 2025
Alfonso Artiaco - Napoli www.alfonsoartiaco.com
Prima mostra personale di Paolo Bini. La ricerca pittorica di Paolo Bini (Battipaglia, 1984) si fonda su una costante riflessione sul paesaggio e sulle sue possibilità di traduzione in immagine. Nei suoi lavori, il colore non è mai semplice superficie, ma materia viva, portatrice di memoria e di tempo. Nella sua pittura, il colore si fa materia attiva, veicolo di memoria e stratificazione, mai semplice superficie ma presenza viva che attraversa la tela. Il processo pittorico si nutre di gesti quotidiani, di sedimentazioni e sottrazioni, dove rigore e intuizione convivono in un equilibrio dinamico. La pittura, per Bini, è insieme gesto e ascolto, struttura e abbandono, capace di evocare atmosfere che risuonano interiormente nello sguardo di chi osserva.
Il titolo della mostra, Nient'altro che Pittura, dichiara con limpida fermezza l'intenzione di affidare al solo linguaggio pittorico il compito di innescare un'esperienza diretta, sensibile e immersiva. La pittura, in questa nuova serie di lavori, diventa veicolo di un'emozione immediata e non mediata, uno spazio cromo-luminoso che si offre alla libera interpretazione dello spettatore, chiamato a perdersi e a riconoscersi nei riverberi di luce e colore.
Nel primo ambiente, la superficie pittorica si presenta in una gamma quasi monocromatica, dove l'uso di pigmenti micacei crea un gioco di riflessi che varia al mutare della luce. La materia pittorica non si limita a descrivere, ma suggerisce: affiora come visione sospesa, un paesaggio rarefatto che non si impone allo sguardo, ma si lascia percepire come presenza silenziosa. È una memoria luminosa, evanescente e profonda, che invita alla contemplazione e accompagna lo spettatore in un lento scivolamento tra esterno e interno, tra realtà e percezione.
Nel secondo ambiente, la pittura si fa traccia del tempo trascorso. Strisce orizzontali e verticali, aggiunte e poi sottratte in un processo di costante trasformazione, scandiscono il ritmo interno dell'opera, ne svelano i tempi dilatati, il respiro profondo. Le superfici si formano attraverso una lenta stratificazione del colore, un deposito di segni spesso generato in modo istintivo, che conferisce profondità e densità alle composizioni. In questo scenario si inserisce una delle opere realizzate con nastro carta e pittura acrilica, in cui il gesto pittorico si struttura in modulo e ripetizione: esercizi di sintesi in cui rigore e vibrazione poetica coesistono.
Il segno diventa eco e variazione, quasi un mantra visivo, essenziale e calibrato. Forte è la presenza della ricerca sul colore e sulla sua percezione, che si manifesta nell'interazione costante tra luce e oscurità. La superficie si fa così luogo di rivelazione: dove l'azione si trasforma in forma, il tempo in traccia, il silenzio in immagine. "Nient'altro che Pittura" è, in definitiva, un invito a riscoprire la dimensione essenziale dell'atto pittorico: uno spazio di ascolto e risonanza, in cui il tempo si dilata e la visione si fa esperienza. (Comunicato stampa)
Selene Cardia
"Chiodi d'ambra"
12 giugno (inaugurazione) - 06 settembre 2025
Alfonso Artiaco - Napoli
Prima mostra personale di Selene Cardia. Il lavoro di Selene Cardia (1995, Silius, Sardegna) si radica in una pratica pittorica rigorosa, in cui tempo e gesto assumono un ruolo fondativo, quasi liturgico. Ogni azione sulla superficie - dalla preparazione dei supporti alla stesura del colore - scandisce un ritmo intimo, silenzioso, ma pervasivo. Il gesto, ripetuto e riflessivo, non si esaurisce in un atto performativo, ma si fa misura del presente, punto fermo nella vertigine dell'istante. In questa grammatica personale, il tempo non è più rallentato per effetto di idealizzazione, ma restituito alla sua reale densità, come corpo vissuto.
Il legame con la terra d'origine - l'entroterra sardo, lasciato e ritrovato - non si manifesta in termini descrittivi, ma si condensa in una geografia soggettiva che informa il ritmo del fare. Nascere in un luogo significa assorbirne il tempo, trasformarlo in paesaggio sensibile. Così, nel processo pittorico, la dicotomia tra campagna e città si intreccia con la riflessione sul tempo come profondità: un tempo stratificato, percettivo, non misurabile ma presente, che abita ogni superficie.
Chiodi d'ambra, titolo tratto da un verso contenuto in Le mille e una notte, evoca un'immagine ambivalente: il chiodo, segno di penetrazione e fissazione; l'ambra, sostanza preziosa e trasparente, capace di trattenere ciò che fugge. Questa tensione tra violenza e custodia diventa chiave di lettura dell'intero progetto: la pittura si fa atto di resistenza, forma di permanenza che non immobilizza, ma protegge. In un tempo attraversato da incertezza, Cardia restituisce alla pittura la sua capacità primaria: quella di salvarsi, di dare forma a un respiro che non si esaurisce nel visibile.
Le tre opere della serie Ti penso, non ti penso nascono in ascolto, come frasi silenziose che si lasciano scrivere dal corpo. Ogni pennellata è un gesto di esposizione e ritiro, un passo avanti e uno indietro, che costruisce e disfa il pensiero dell'altro. L'oscillazione del titolo, tra prossimità e assenza, si traduce in una pittura che non afferma, ma suggerisce; non rappresenta, ma trattiene. Come nella narrazione frammentaria e incessante da cui il titolo della mostra prende origine, anche qui ogni segno è un frammento di resistenza, una parola non detta che salva.
La materia pittorica, densa e velata, attraversata da terre scure, rosa opachi, verdi spenti e grigi evanescenti, costruisce superfici che respirano. I quadri si aprono come soglie verso luoghi non vissuti ma evocati: un giardino, un deserto, un mare che non si mostra mai del tutto. Questi spazi segreti non si offrono alla vista, ma si insinuano lateralmente, come reminiscenze o premonizioni. La pittura, allora, non illustra: ustodisce. In questo equilibrio sottile tra contemplazione e urgenza, Cardia elabora un linguaggio che accoglie l'ambiguità come forma di cura, e il dubbio come atto necessario. (Comunicato stampa)
L'inclinazione del blu all'approfondimento è così grande che proprio nelle tonalità più profonde diventa più intensa e acquista un effetto interiore più caratteristico. Quanto più il blu è profondo, tanto più fortemente richiama l'uomo verso l'infinito, suscita in lui la nostalgia della purezza e infine del sovrasensibile. (Wassily Kandinsky) Così scriveva Kandinsky, questa selezione è un invito a tuffarci in questi blu di cielo, di mare e di altri elementi dipinti o fotografati da artisti contemporanei. Gli autori presenti sono: Maurizo Bottoni, Daniele Cestari, Gianluca Chiodi, Maurizio Galimberti, Roshanak Khalilian, Carolina Magnin, Gabriele Marsile, Massimiliano Muner, Enrico Pescantini e Tom Porta. (Comunicato di presentazione)
Gabriele Basilico
"Shanghai"
30 maggio (inaugurazione) - 06 settembre 2025
Galleria Michela Rizzo - Venezia
www.galleriamichelarizzo.net
Seconda personale del grande maestro della fotografia contemporanea in galleria alla Giudecca. La mostra raccoglie una ampia selezione di opere realizzate a Shanghai nel 2010, anno in cui la città cinese ha ospitato l'Esposizione Universale sotto il titolo Better City, Better Life, simbolo di una stagione di espansione urbana e fervore architettonico senza precedenti.
Divisa in due dal fiume Huangpu, Shanghai si presenta agli occhi di Basilico come un doppio paesaggio: da un lato la memoria storica di Puxi, cuore culturale e commerciale della città; dall'altro l'impeto futurista di Pudong, "foresta" verticale di grattacieli in continua espansione, emblema della Cina proiettata nel XXI secolo. Nel pieno della sua maturità artistica, Basilico affronta questa metropoli come un laboratorio vivente del rapporto tra spazio, architettura e identità. Le sue inquadrature rigorose, calibrate nei volumi e nei pieni/vuoti, restituiscono una Shanghai in bilico tra la conservazione della propria anima storica e la corsa inarrestabile verso la modernità.
Particolarmente significativi sono i suoi scatti "a volo d'uccello", realizzati dai piani alti dei grattacieli, che rivelano la violenta contrapposizione tra i tradizionali shikumen - quartieri popolari a bassa densità oggi quasi scomparsi - e le nuove torri che ridisegnano senza sosta lo skyline urbano. Lontano da ogni esotismo, il lavoro di Basilico a Shanghai è un'indagine lucida e poetica sulla metamorfosi urbana, dove l'elemento umano torna a riaffacciarsi in alcune immagini, a confermare che l'architettura non è mai solo struttura, ma anche corpo, storia e destinazione. Completano il percorso alcune riprese notturne, che enfatizzano la componente scenografica e cangiante della metropoli asiatica, in cui luce e colore diventano linguaggi autonomi, capaci di raccontare una città che vive 24 ore su 24.
La mostra si svolge in concomitanza con la Biennale Architettura 2025 di Venezia, sottolineando il profondo legame tra l'opera di Basilico e il mondo dell'architettura. Fin dagli esordi, infatti, l'artista ha dedicato la propria ricerca fotografica alla forma della città e alla trasformazione degli spazi urbani, restituendo una visione che unisce precisione analitica e sensibilità poetica. Shanghai non è solo un diario visivo, ma un documento critico di una città simbolo, riflesso delle tensioni e delle promesse della contemporaneità. Come sempre nel lavoro di Basilico, l'occhio dell'artista non si limita a osservare, ma interpreta e interroga, facendo della fotografia uno strumento per comprendere il mondo che cambia. (Dal testo di Filippo Maggia in Basilico Shangai, Electa 2024)
Gabriele Basilico (Milano, 1944-2013). Dopo la laurea in architettura (1973), si dedica con continuità alla fotografia. La forma e l'identità delle città e i mutamenti in atto nel paesaggio urbano sono fin dagli esordi i suoi ambiti di ricerca privilegiati. Milano. Ritratti di fabbriche (1978-80) è il primo lavoro dedicato alla periferia industriale e corrisponde alla sua prima mostra in un museo (1983, Padiglione di Arte Contemporanea, Milano). Nel corso degli anni ha realizzato moltissimi lavori di documentazione di città in Italia e all'estero. Tra i suoi ultimi lavori gli importanti progetti fotografici su San Francisco (2007, per incarico del SF Museum of Modern Art), Mosca (2008), Istanbul (2010), Shanghai (2010), Beirut (2011), Rio de Janeiro (2011). Nel 2012 partecipa alla XIII Mostra Internazionale di Architettura di Venezia con il progetto Common Pavilions.
Considerato un indiscusso maestro della fotografia contemporanea, ha esposto in molti Paesi e ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. Ha inoltre intrecciato il suo instancabile interesse per le trasformazioni del paesaggio urbano con attività seminariali, lezioni, conferenze e riflessioni scritte. Le sue opere fanno parte di importanti collezioni internazionali, pubbliche e private. Nel 2023-2024 la città di Milano gli ha dedicato due grandi mostre, alla Triennale e a Palazzo Reale, con il titolo comune Le mie città. Giudecca. (Comunicato stampa)
Immagine:
Gabriele Basilico, Shanghai 2010, 2011, Pure Pigment Print, Ed. 1-10, cm 140x110
Antonio Biasiucci
"Anamorfòṡi"
24 maggio - 20 luglio 2025
Castello di Postignano
www.castellodipostignano.it
Mostra di Antonio Biasiucci, uno dei più importanti fotografi contemporanei, a cura di Arianna Catania. L'esposizione, nell'ambito della 13a edizione della manifestazione culturale "Un Castello all'orizzonte", che si svolge al borgo umbro restaurato, potrà essere visitata all'appartamento "Sabbioneta".
Quando osserviamo qualcosa, gli occhi inviano segnali al cervello che prova ad associare all'immagine significati comprensibili. Non si tratta di un semplice "guardare", non c'è nulla di passivo ed automatico nel processo visivo: è piuttosto un complesso processo di decodificazione, che sfida ogni volta le nostre capacità mentali. Ma se le immagini che ci troviamo davanti, pur avendo una radice figurativa definita, mutano continuamente identità, il nostro cervello non può assegnare ad esse un significato univoco.
La mostra Anamorfòṡi esplora il concetto di percezione, sfida il nostro cervello con la metamorfosi visiva, indagando come le forme possano essere trasfigurate sotto la mano e l'occhio dell'artista, e come queste mutazioni possano dare nuovo senso alle immagini, modificando l'interazione tra uomo e realtà. La luce, vera sostanza del processo visivo, è lo strumento della metamorfosi: genera forme inaspettate, modifica gli oggetti, genera stupore in chi guarda.
Le immagini di Biasiucci, avvolte in un profondo bianco e nero, sono immerse in una dimensione di profonda astrazione: i suoi crani, i suoi pani, le sue mozzarelle, i suoi tronchi di legno non appartengono più alla realtà, diventano narratori di un altro mondo. Dimostrano la transitorietà delle cose e la relatività dello sguardo e del concetto stesso di reale. Gli oggetti cercano di sfuggire dalla rigidità della propria forma, perdono la propria funzione originaria. Traghettano su un paesaggio lunare, approdano su un altro pianeta. Il pane, simbolo di nutrimento, il cranio, metafora della morte, il tronco di legno, simbolo di vita, si trasformano in meteoriti, rocce, liquidi, in materiali in costante trasformazione.
In questa materia primaria appaiono volti, entità evanescenti e misteriose. Appare uno specchio che riflette chi guarda. Perché la geometria dei segni si fonde con la materia fotografata e le forme organiche si contaminano con forme astratte. Il gioco di prospettive cancella i contorni e ci invita a liberare le energie dell'immaginazione, sospesa tra il visibile e l'invisibile.
Antonio Biasiucci (Dragoni - Caserta, 1961) nel 1980 si trasferisce a Napoli, dove comincia un lavoro sugli spazi delle periferie urbane e contemporaneamente una ricerca sulla memoria personale. Fin dagli inizi la sua ricerca si radica nei temi della cultura del Sud e si trasforma, in anni recenti, in un viaggio dentro gli elementi primari dell'esistenza. Ha ottenuto importanti riconoscimenti, tra cui, nel 1992, ad Arles, il premio "European Kodak Panorama"; nel 2005 il "Kraszna/Krausz Photography Book Awards", per la pubblicazione del volume Res. Lo stato delle cose (2004) e, nello stesso anno, il "Premio Bastianelli"; nel 2016 Premio Cultura Sorrento. Numerosissime le mostre personali e le partecipazioni a mostre collettive, a festival e rassegne nazionali e internazionali. E' docente di "Fotografia come linguaggio artistico" presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli. Nel 2012 fonda il "LAB/per un laboratorio irregolare" come azione di volontariato sociale, un percorso per giovani artisti. Molte sue opere fanno parte della collezione permanente di musei e istituzioni, in Italia e all'estero. (Comunicato ufficio stampa Patrizia Cavalletti Comunicazione)
Giulia Galasso
"Acquerelli botanici, un viaggio tra forme e colori"
31 maggio (inaugurazione) - 02 novembre 2025
Castello di Postignano
www.castellodipostignano.it
Mostra di acquerelli presentata dall'agronoma e archeologa arborea Isabella Dalla Ragione. L'esposizione, nell'ambito della 13a edizione della manifestazione culturale "Un Castello all'orizzonte ", si svolge al borgo umbro restaurato. La mostra presenta i dipinti botanici realizzati dall'artista nell'arco di un ventennio. La rappresentazione della natura con l'acquerello consente di evidenziare con la trasparenza, la delicatezza e, al tempo stesso, la forza delle pennellate, la bellezza del mondo vegetale, la sua straordinaria varietà di strutture e colori.
Un tributo alla bellezza silenziosa del mondo naturale, ma anche un invito ad osservare con diverso sguardo e con profonda sensibilità la natura che ci circonda. La pittura botanica non come mera riproduzione fedele di una foglia o di un fiore, ma piuttosto come racconto visivo del dialogo intimo e profondo tra l'artista e il soggetto, dialogo fatto di osservazione scientifica, emozione e interpretazione.
Giulia Galasso (Napoli, 1960), laureata in Scienze dell'informazione ha lavorato nel settore dell'Information Technology e insegnato Informatica in diversi atenei. Spinta dalla passione avuta sin da bambina per le attività artistiche e dall'amore per la natura e i giardini, dal 2005 ha iniziato a seguire corsi di acquerello botanico con Maria Rita Stirpe via via con crescente interesse. Ha poi arricchito la propria formazione anche con altri artisti e sperimentato diverse tecniche. Nella pittura botanica ha trovato il mezzo ideale per unire le due anime, quella scientifica e quella creativa, trovando un punto di sintesi che corrisponde alla propria sensibilità. Ha partecipato a diverse mostre collettive di pittura botanica la prima delle quali nel 2010 a Villa Pisani a Stra. (Comunicato stampa Patrizia Cavalletti Comunicazione)
Pioniere del sapere e geni invisibili: donne che hanno riscritto la scienza
22 maggio (inaugurazione) - 08 luglio 2025
Palazzo delle Poste di Trieste
Un viaggio filatelico attraverso lo sguardo e le conquiste delle donne che hanno dato un contributo indelebile alla storia e al sapere. Perché c'è un filo sottile che lega le vite di scienziate, che nel silenzio, e spesso controcorrente, hanno avuto il coraggio di affermarsi, portando avanti esperimenti e idee anche in tempi in cui alle donne non era data la facoltà di avere un ruolo attivo nel campo della ricerca medica e scientifica. L'esposizione, nel solco già tracciato dalle precedenti mostre dedicate al talento femminile, rende omaggio a figure leggendarie come Ipazia d'Alessandria, figlia dal tragico destino di Teone di Alessandria considerata la prima donna matematica della storia o Margherita Hack, astrofisica e divulgatrice di fama internazionale a cui Trieste, città dove ha vissuto fino alla morte, ha intitolato l'osservatorio.
Madame Curie è una pietra miliare in questo ambito, prima donna a vincere il Premio Nobel e a riceverlo in ben due discipline, fisica e chimica, e Hedy Lamarr, vissuta nel periodo della Seconda Guerra mondiale, che ci ha lasciato in eredità le scoperte su una tecnologia a quel tempo d'avanguardia, su cui poggiano le fondamenta della tecnologia Wi-Fi. Attraverso lo studio e l'approfondimento delle vite di queste donne straordinarie, il percorso espositivo guida il visitatore alla scoperta di personalità che con tenacia, coraggio e intelligenza, hanno aperto nuove strade nel settore della ricerca scientifica contribuendo a rompere gli schemi e gli stereotipi oltre che a travalicare intricate barriere culturali. Celebrare il talento femminile nelle STEAM, Science,Technology, Engineering, Mathematics, significa veicolare un messaggio potente di rivoluzione silenziosa, in cui la scienza diventa uno spazio aperto dove il genio non ha genere e la curiosità non conosce confini. (Comunicato stampa)
Jan Van Eyck e le miniature rivelate
23 maggio - 08 settembre 2025
Palazzo Madama - Corte Medievale - Torino
www.palazzomadamatorino.it
La mostra, curato da Simonetta Castronovo, nasce dalla volontà di valorizzare e approfondire la conoscenza della collezione di manoscritti e miniature ritagliate (cuttings) del Museo Civico d'Arte Antica di Torino, costituita da 20 codici miniati, 10 incunaboli e da un ricco fondo di 80 tra fogli e miniature ritagliate, databili tra il XIII e il XVI secolo raramente esposta perché particolarmente delicata. Il progetto intende svelare e illustrare al pubblico un patrimonio che pochi conoscono, affiancando alle vetrine una grafica che, oltre a inquadrare ciascun volume e ciascun frammento nel giusto contesto geografico e stilistico, apra anche degli approfondimenti sia sulle tecniche di realizzazione dei manoscritti e i materiali impiegati, sia sulle biblioteche nel Medioevo e nel Rinascimento e sulla circolazione dei libri in questo periodo.
Il progetto ha preso avvio nel 2021, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Storici (prof. Fabrizio Crivello) e il Dipartimento di Chimica dell'Università di Torino (prof. Angelo Agostino), e il Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica dell'Università del Piemonte Orientale (prof. Maurizio Aceto). Il primo intervento è consistito nella schedatura sistematica dei materiali e in una campagna fotografica di tutte le opere prese in esame, seguite da una campagna di analisi scientifiche (quali misurazioni con le tecniche FORS e XRF riguardanti i supporti, i pigmenti, le dorature). La mostra nasce quindi dalla volontà di presentare, terminati i rilevamenti e le ricerche su questo fragile patrimonio, gli esiti degli approfonditi studi appena conclusi.
L'esposizione è articolata in sei sezioni cronologiche. Aprono la mostra, all'interno della sezione dedicata al Duecento e al Trecento, gli Statuti della Città di Torino del 1360 (manoscritto noto come Codice delle Catene, oggi conservato nell'Archivio Storico del Comune), un volume di grande importanza politica e simbolica per Torino, dal momento che racchiude i primi ordinamenti che regolavano la vita cittadina e i rapporti del Comune con i conti di Savoia; quindi, due statuti di Corporazioni medievali, la Matricola degli orefici e quella dei Cordovanieri di Bologna, e infine una Bibbia del 1280, autentico capolavoro del Duecento bolognese.
Al Gotico internazionale e lombardo appartengono una serie di frammenti provenienti da raffinati Libri d'ore e Antifonari legati al gusto della corte dei Visconti, come il Giovanni Battista di seguace di Michelino da Besozzo; mentre nella sezione dedicata al XV secolo in Francia e nelle Fiandre sarà presentato il celebre codice delle Très Belles Heures de Notre Dame di Jean de Berry, noto anche come Heures de Turin-Milan, con miniature di Jan van Eyck, l'opera più preziosa in assoluto del Museo Civico di Torino, mai più esposto al pubblico dal 2019; affiancato da altre testimonianze dell'arte fiamminga e franco fiamminga, alcune giunte precocemente in Piemonte: come il Messale commissionato dalla famiglia Buschetti di Chieri, il Libro d'Ore di Simon Marmion e il Libro d'ore di Chalons-sur-Saone di Antoine de Lonhy, il pittore borgognone poi attivo tra Savoia, Valle di Susa, Torino e Chieri nell'ultimo quarto del Quattrocento. Risalenti al XV e XVI secolo e provenienti da Ducato di Savoia sono invece, il Libro d'Ore Deloche del Maestro del Principe di Piemonte e il Laudario della Confraternita di Santa Croce di Cuneo.
Seguono una quinta sezione, dedicata al Rinascimento, con il Messale del cardinale Domenico della Rovere miniato da Francesco Marmitta e numerosi frammenti, e infine quella dedicata agli incunaboli miniati, con il raro Libro d'Ore di Antoine Vérard (Parigi 1481-1486). Chiude la mostra il cosiddetto Libro di Lettere Astrologiche (1550), in realtà un manuale di calligrafia, forse realizzato per il giovane Emanuele Filiberto di Savoia, con straordinarie iniziali a inchiostro, ancora di ispirazione medievaleggiante. La pubblicazione del catalogo sistematico di questa collezione, dove confluiranno anche i risultati delle indagini diagnostiche e che vede la collaborazione di ventisei specialisti di miniatura medievale e rinascimentale, è prevista per giugno 2025 per i tipi dell'Artistica Editrice di Savigliano. (Estratto da da comunicato ufficio Stampa Fondazione Torino Musei)
Rebecca Horn
"Cutting Through the Past"
23 maggio - 21 settembre 2025
Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea - Torino
La mostra, a cura di Marcella Beccaria, è la prima retrospettiva dedicata all'artista in un museo italiano e la prima grande esposizione dopo la sua recente scomparsa. Il progetto nasce dalla cooperazione tra il Castello di Rivoli e Haus der Kunst, Monaco di Baviera, a seguito della personale dell'artista organizzata dalla stessa istituzione nel 2024. La mostra riconosce il ruolo fondamentale di Rebecca Horn (Michelstadt, 1944 - Bad König, Germania, 2024) nello sviluppo della pratica artistica contemporanea, attraverso opere che negli anni hanno dato vita ad un inquietante teatro performativo, nel quale sono protagoniste tematiche fondamentali quali tempo, memoria, desiderio e relazioni di potere. Il lavoro di Rebecca Horn propone un inscindibile intreccio tra l'umano e il meccanico e anticipa problematiche al centro dell'attuale dibattito culturale, in un contesto definito da tecnologie e macchine che tendono a diventare nostre estensioni.
La mostra, il cui titolo rimanda a quello di una delle grandi installazioni dell'artista presente nella collezione del Castello, presenta oltre 35 opere dell'artista tra installazioni, sculture, video, film e disegni che si estendono dagli esordi negli anni sessanta a opere recenti, con importanti prestiti di opere raramente esposte provenienti dalla Fondazione Moontower, originariamente istituita in Germania dalla stessa artista.
Il percorso espositivo include iconiche macchine cinetiche come Pfauenmaschine (Macchina pavone), originariamente ideata dall'artista per la sua partecipazione a documenta, Kassel nel 1982, sino alla recente Hauchkörper (Corpo che respira), 2017, oltre alle installazioni monumentali Inferno, 1993-2024, Turm der Namenlosen (Torre dei senza nome), 1994. Nella sezione centrale della mostra, i visitatori potranno osservare le performance di esordio di Horn attraverso i video Performance I, 1970-1972, Performance II, 1972 e Berlin (10.11.1974 - 28.1.1975), 1974-1975. Recentemente digitalizzati, saranno proiettati in grande scala come in un paesaggio continuo. Valorizzando il nucleo di importanti lavori di Horn presenti nella collezione del Castello, la mostra presenta inoltre il film Der Eintänzer (Lo gigolò), 1978, e le coinvolgenti installazioni Cutting Through the Past (Tagliando attraverso il passato), 1992-1993, l'opera che dà il titolo alla mostra, e Miroir du Lac (Specchio del lago), 2004.
Dopo la mostra presso Haus der Kunst e la scomparsa dell'artista, la mostra al Castello pone inoltre particolare attenzione ai suoi disegni, pratica che la accompagna dagli esordi. Sono presenti rari disegni realizzati dal 1964 e soprattutto un importante gruppo di Bodylandscapes. Tra gli ultimi lavori di Horn, questi disegni pittorici di grande formato nascono da un processo performativo. La selezione evidenzia la ricorrente presenza di forme arrotondate e cerchi, interpretabili quali simboli del tempo concepito come entità ciclica e non lineare e allusioni ad una rigenerazione senza fine. Insieme all'installazione Das Rad der Zeit (La ruota del tempo), 2016, anch'essa presentata per la prima volta in un museo pubblico, queste opere manifestano la dimensione spirituale di Horn, in linea con una ricerca che comprende Piccoli Spiriti Blu, la grande opera pubblica che dal 2000 connota il paesaggio di Torino dall'alto della Chiesa di Santa Maria al Monte dei Cappuccini.
In concomitanza con la mostra, in accordo con la Fondazione Moontower, un disegno a muro di Rebecca Horn sarà nuovamente visibile al pubblico dopo essere stato nascosto per molti anni. Si tratta di una notazione quasi segreta eseguita dall'artista durante la metà degli anni novanta mentre si trovava al Castello. In occasione di Rebecca Horn - Cutting Through the Past, opere dell'artista saranno presenti anche alla Collezione Federico Cerruti, quale secondo episodio di Interferenze, programma incentrato su affinità e differenze tra il Castello di Rivoli e Villa Cerruti. In questa occasione, la selezione di opere, inclusiva di un grande Bodylandscape ed installazioni, comprenderà Cello (Violoncello), 1999. Originariamente allestita dall'artista a Weimar quale parte del grande progetto Konzert für Buchenwald (Concerto per Buchenwald), quest'opera, concepita come un violoncello che suona da sé con due archetti, è presentata nella sala della musica della Villa.
Luigi Boille: Le Baroque
18 maggio - 29 giugno 2025
CIAC (Centro Italiano Arte Contemporanea) - Foligno
www.ciacfoligno.it
La Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno rende omaggio all'artista Luigi Boille, protagonista tra i maggiori dell'Informale europeo. Un vortice di colori riempie il CIAC, con oltre 40 opere dell'artista: un'attenta selezione di 24 grandi opere che documentano l'attività di Luigi Boille dagli anni '50 ai '70 e dodici opere su carta degli anni '50/'60. Luigi Boille (1926-2015), nato a Pordenone, consegue la laurea in architettura a Roma nel 1950. Dal 1953 è attivo come pittore tra Parigi e Roma. La ricerca di Boille è stata sempre originale e stimolante, ma anche fedele a una cifra stilistica ben precisa ed inconfondibile. Una pittura di colori e segni sempre vitali e guizzanti. La mostra - a cura di Italo Tomassoni - è promossa e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, grazie alla diretta collaborazione con l'Archivio Boille di Roma e con la Ronchini Gallery di Londra. L'organizzazione è realizzata con Maggioli Cultura e Turismo.
Il curatore Italo Tomassoni: «Confluiscono, nella trama critica che attraversa il corpus delle opere di Boille e che delinea la vicenda di un linguaggio che ha segnato una parte cospicua di storia dell'arte degli anni '60, il periodo "barocco" di Fontana risalente agli anni Trenta, le teorizzazioni di Michel Tapié sulla "Morphologie Autre" e sul "Baroque Ensembliste" del '63; l'attività dell'International Centre of Contemporary Art (ICAR) di Torino; un saggio storico del curatore pubblicato a Roma nel 1962 con le Edizioni dell'Ateneo dal titolo "Per una ipotesi Barocca"».
La mostra, incentrata sul barocco contemporaneo, ricostruisce, attraverso una serie dettagliata di fatti largamente documentati, le diramate, intrecciate e per molti versi sorprendenti ragioni per le quali la pittura di Boille è stata definita, anche dallo stesso artista, "barocca". Boille esordisce con un linguaggio vicino alle formulazioni europee dell'Informale e si evolve rapidamente su immagini particolarissime che colpiscono a Parigi l'attenzione del critico e saggista Pierre Restany e, soprattutto, del critico e collezionista Michel Tapié che lo coinvolge nelle più importanti mostre della sua "Morphologie Autre" in Francia, Usa, Italia e Giappone, qui con il Gruppo Gutai di Sozo Shimamoto. (Estratto da comunicato ufficio stampa Sara Stangoni Comunicazione)
Immagine:
Luigi Boille, Signe-surface verts, 1959
OPEN
Confini di luce per un mondo di pace
Magazzino 26 del Porto Vecchio di Trieste / Sala Carlo Sbisà
17 maggio - 13 luglio 2025
Un progetto espositivo multimediale di arte visiva e musica che, attraverso la multiforme creatività di 7 artisti del Nord Est e dei territori limitrofi, di matrici culturali diverse, suggerisce, nello spirito e nel contesto borderless di GO! 2025 - Gorizia e Nova Gorica Capitale europea della cultura, un mondo di pace e di condivisione. La rassegna è ideata, curata e allestita dall'architetto Marianna Accerboni.
Io, Renato Guttuso
19 aprile (inaugurazione) - 19 ottobre 2025
Società Operaia di Mutuo Soccorso - Modica (Ragusa) www.sikarte.it | Locandina della mostra
Seconda tappa (la prima risale al 2020 presso il Comune di Noto), di questo progetto espositivo organizzato da Sikarte, associazione culturale siciliana che si propone come punto d'unione tra location d'eccezione e artisti storicizzati e contemporanei, cercando di rendere più fruibili al pubblico i luoghi unici del territorio isolano anche attraverso l'ideazione di mostre d'arte.
«Sikarte - spiega Graziana Papale, presidente dell'associazione culturale siciliana - vuole rendere il mondo dell'arte accessibile a tutti, coinvolgendo il pubblico a trecentosessanta gradi attraverso l'organizzazione di eventi e attività culturali. La mostra Io, Renato Guttuso intende celebrare il grande artista siciliano svelando le sue passioni e il suo animo, senza tralasciare il suo impegno politico e artistico. Questa seconda tappa del progetto, mantiene la linea curatoriale scelta da Giuliana Fiori, recentemente venuta a mancare e si nutre anche del nuovo contributo dato dall'altra curatrice, Anna Papale. A cambiare sono la location e la città che la ospita. La mostra, infatti, sarà allestita presso la sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso a Modica che rafforza ancora di più il senso ideologico di alcune tematiche sociali affrontate dall'artista».
Intento dichiarato della mostra - a cura di Giuliana Fiori e Anna Papale - è scandagliare l'animo forte e poliedrico di Renato Guttuso con opere che coprono un arco temporale che va dalla metà degli anni '30 alla metà degli anni '80, il suo Io più profondo e intimo. Sarà, infatti, realizzato un racconto visivo attraverso un'accurata selezione di opere - oli e disegni - che sveleranno il Guttuso uomo, artista, intellettuale, politico e scenografo.
Ogni lavoro esposto mostrerà un lato pubblico o privato della sua vita. Io, Renato Guttuso è una mostra/racconto dell'artista che ne ripercorre le varie fasi creative e di vita con i relativi stati d'animo. Dalla sua nostalgia per la Sicilia al suo trasferimento a Roma; dai suoi affetti/amori all'eros e alle muse ispiratrici. E ancora, dal suo impegno politico ai simboli dei valori sociali palesati nelle sue nature morte e nelle tele dal taglio storico in cui racconta le battaglie per l'uguaglianza sociale. Infine, la sua prolifica produzione di scenografie per il teatro, e la cospicua collezione di bozzetti dei costumi di scena, risalenti anche agli anni '50.
«La mostra - spiega Anna Papale - intende documentare il percorso artistico e l'impegno sociale di Guttuso, artista noto per le sue energiche rappresentazioni, ricche di esuberanti suggestioni espressive. Al tempo stesso, però, essa si propone come un mezzo per raccontare Renato Guttuso nella sua intima quotidianità, un modo per ripercorrere l'iter emotivo, intenso e passionale, che egli trasfuse a piene mani nella sua avventura creativa. Una duplice chiave di lettura dunque, dell'artista e di Renato, uomo intellettuale e popolare, cittadino militante, dalla quale traspare una densa vitalità e una libera (e spesso trasgressiva) partecipazione a tutto tondo alla realtà del suo tempo, vicina, vicinissima e lontana».
La mostra è ospitata presso la sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso che si trova nei bassi del Palazzo della Cultura di Modica, edificio seicentesco e Monastero di Benedettine fino al 1860, nei suoi interni oltre una parte del chiostro benedettino sono visibili i confessionali in pietra rinvenuti durante i lavori di restauro. La location gioca un ruolo fondamentale: le opere e l'impegno di Guttuso presentano un legame con la Società Operaia di Mutuo Soccorso per la forte componente sociale, politica e ideologica che nella storia ha caratterizzato entrambi. La pittura di Guttuso è stata un mezzo di denuncia sociale e impegno politico, la Società Operaia di Mutuo Soccorso, nata nel XIX secolo per offrire assistenza ai lavoratori, ha condiviso un intento simile verso la solidarietà e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Inoltre entrambi utilizzarono la cultura come patrimonio ideologico per elevare la coscienza di tutte le classi sociali ed esprimere istanze politiche e sociali.
Il progetto gode del patrocinio dell'Assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana, del Comune di Modica, dell'ARS (Assemblea Regionale Siciliana), della Società Operaia di Mutuo Soccorso, di Enjoy Barocco e di MUSEUM Osservatorio dell'arte contemporanea in Sicilia.
Si ringraziano, inoltre, gli sponsor che hanno reso possibile la realizzazione del progetto: Dr.ssa Tarico Chirurgia Plastica, Tariskin e DiCasaInSicilia; i partner: Casa d'arte San Lorenzo, Elenk'art; sponsor tecnici: Papercut, Miartè, Sikaniawood, Lo Magno Arte Contemporanea. I media partner: Ragusa News e Balloon Project; gli hospitality partner: Edel, 'a Lecca e 'a Mecca, Ferro Hotel e per il supporto: Sotto San Pietro, Salomone Assicurazioni, Cappero, Inghiotto.
L'Associazione culturale SIKARTE, ente senza scopo di lucro, persegue esclusivamente finalità culturali attraverso la promozione e la realizzazione di eventi nell'area delle arti visive, musicali, letterarie e teatrali. Diffonde l'arte nel mondo giovanile e non, con l'espletamento di attività didattiche da realizzare contestualmente a mostre ed eventi culturali quali laboratori, visite guidate e simili; amplia la conoscenza della cultura artistica in genere, attraverso internet e contatti fra persone, enti ed associazioni, incentivando le attività di artisti emergenti e professionisti. (Comunicato ufficio stampa Valentina Lucia Barbagallo)
Lista opere in mostra
___ Caminetto, olio su tela, 150,5x125 cm, 1984
___ Figura nell'interno (Interno con figura), olio su tela, 92x73 cm, 1946
___ Carciofi, olio su tela, 50x60 cm, 1958
___ Frutta su paesaggio, olio su tela, 60x80 cm, 1976
___ Oggetti, olio su tela, 60x75 cm, 1978
___ Barattoli, olio su tela, 38,5 x 60 cm, 1965
___ Ritratto di Parisi, olio su tavola, 30 x 22 cm, 1946
___ Bozzetto per pittura murale, tempera su carta (attestato della Cooperativa Agricola di Bagheria appartenuto al padre di Guttuso)
, 27x40 cm, 1935
___ Giocatori di carte, tempera, inchiostro e collage su carta intelata
, 72x101 cm, 1979
___ Ritratto, matita su carta
26x22 cm
, 1936
___ Autoritratto con Quasimodo, china su carta,
14x14 cm
, 1936
Adapted Sceneries
17 maggio - 07 settembre 2025
MAO Museo d'Arte Orientale - Torino www.maotorino.it
Mostra organizzata dal MAO Museo d'Arte Orientale di Torino in collaborazione con il Gwangju Museum of Art (Corea) dedicata alla pittura di paesaggio coreana (sansuhwa) e alle opere ispirate al Movimento di Democratizzazione del 18 maggio. Adapted Sceneries - a cura di Ik Yun, Hyeokjin Lee, Davide Quadrio e Anna Musini - offre uno sguardo approfondito sulla pittura Namjonghwa (Scuola di pittura del Sud), un genere fondamentale nella storia dell'arte coreana, insieme a reinterpretazioni contemporanee della pittura tradizionale. Tra le opere esposte, quelle di Heo Ryeon, Heo Baekryeon e Heo Hangmyeon sottolineano la sensibilità estetica della pittura coreana classica, mentre i lavori di Lee Sunbok, Heo Dalyong e Hong Sungmin mostrano l'evoluzione del linguaggio pittorico coreano attraverso un dialogo tra tradizione e modernità.
Adapted Sceneries esplora il modo in cui il paesaggio naturale coreano viene interpretato attraverso la pittura a inchiostro e colore: i paesaggi non ritraggono solo la bellezza della natura, ma incarnano lo scorrere del tempo, rivelando al visitatore che le esperienze e i ricordi personali sono profondamente intrecciati con l'espressione artistica. Esplorando l'interazione tra tradizione e trasformazione, nonché l'armonia tra elementi concettuali e tangibili, la mostra pone un'attenzione particolare alle opere ispirate al Movimento di Democratizzazione del 18 maggio, uno degli eventi più significativi della storia moderna coreana, quasi del tutto sconosciuto in Europa.
Attraverso queste opere e alcuni importanti materiali d'archivio forniti grazie al supporto 5.18 Democracy Movement Archives e The May 18 Foundation, il pubblico potrà approfondire le testimonianze drammatiche di questo momento storico cruciale per la Corea. Il concetto di adattamento, che dà il titolo alla mostra, assume un significato profondo nel contesto di questo scambio culturale: i paesaggi geografici e storici di Gwangju e Jeollanam-do vengono fruiti e percepiti in un contesto diverso da quello originale nel MAO e della città di Torino, promuovendo nuove interpretazioni e suggestioni. Attraverso queste opere, i visitatori potranno non solo ammirare la bellezza del panorama artistico e della storia di Gwangju, ma anche comprenderne il valore e il significato sia in relazione alla storia moderna coreana sia allo scenario culturale globale.
Il progetto si pone in continuità con la mostra Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone, in cui sono messi in evidenza alcuni aspetti dell'arte, della cultura e della storia della Corea. L'evento rientra nell'ambito del progetto Cultural City Gwangju 2025 e dell'accordo di collaborazione tra la città di Gwangju e la città di Torino sottoscritto nel 2024. Dal 2015 il Gwangju Museum of Art promuove l'arte di Gwangju e della regione di Jeollanam-do a livello internazionale, collaborando con istituzioni d'oltreoceano sotto l'egida del progetto Cultural City Gwangju. Adapted Sceneries offre un'opportunità significativa per far conoscere la tradizione artistica e la storia di Gwangju e Jeollanam-do al pubblico italiano attraverso la collaborazione con il MAO di Torino, città che si distingue per la sua vivacità culturale e che, come Gwangju, soprannominata la Città dell'Arte, valorizza la cultura come elemento chiave della sua identità. (Comunicato stampa)
L'Oro dipinto
El Greco e la pittura tra Creta e Venezia
Un nuovo approfondimento scientifico sulle "vie veneziane" della civiltà: una scuola pittorica, quella veneto-cretese, a metà, per più di quattro secoli, tra Oriente bizantino e Occidente latino. Un mondo di immagini da scoprire insieme ai loro originali artefici: tra questi anche Dominikos Theotokopoulos, divenuto poi El Greco. Un filo dorato lega le vicende storiche, artistiche, gli equilibri diplomatici e la devozione nel Mediterraneo lungo la rotta tra Venezia e Creta, la Candia dal XIII secolo,perla dello Stato da Mar della Serenissima.
L'oro dipinto, che fa risplendere di luce spirituale le icone, è il protagonista della mostra curata dalla Direttrice Scientifica di Fondazione Musei Civici Chiara Squarcina, dal responsabile del Museo Correr Andrea Bellieni e dal Direttore Generale Museo Bizantino e Cristiano di Atene Katerina Dellaporta; esso fa da sfondo ad una lunga storia di intense relazioni pittoriche tra due isole.
Dopo la Caduta di Costantinopoli (1453) Candia diventa il più importante polo artistico per l'antica tradizione bizantina, alla quale si richiamano fedelmente oltre cento botteghe di "madoneri", soprattutto autori di immagini devozionali popolari. Parallelamente Venezia - come una nuova Bisanzio - vede l'arrivo di un numero sempre maggiore di opere e di artisti dall'isola dell'Egeo: "pittori iconografi" in viaggio o immigrati tra Creta, le isole dello Ionio e la capitale. Il risultato fu l'incontro e l'originale sintesi tra la nativa impronta aulica bizantina - già una delle anime essenziali della stessa tradizione veneziana - e il linguaggio figurativo occidentale, prima tardogotico, poi rinascimentale, umano-centrico, naturalistico e vivace.
Le sette sezioni della mostra scandiscono e illustrano cronologicamente tale singolare percorso pittorico: dalle origini nel secolo XV, coi primi maestri che progressivamente guardano all'occidente gotico - tra questi Angelos, Akotantos e Andreas Ritzos - per passare col maturo Quattrocento a significative vicinanze coi modelli del grande rinascimento veneziano - in primis quelli dei Bellini e dei Vivarini - in pittori come Ioannis Permeniatis. L'evoluzione prosegue nel Cinquecento con felici ibridazioni fra tradizione bizantina e libere ispirazioni occidentali, mediate soprattutto dalle immagini a stampa, con prolifici e rinomati maestri come Georgios Klontzas e Michael Damaskinos; quest'ultimo importante per il lungo periodo di attività trascorso a Venezia tra gli anni '70 e '80 del Cinquecento.
Al centro dell'avvincente racconto di storia e di pittura si colloca il più celebre e stravagante rappresentante della "scuola": Dominikos Theotokopoulos, El Greco (1541-1614). Nella natia Creta muove i primi passi nell'educazione alla tradizione postbizantina per giungere a Venezia, il viaggio imprescindibile per gli autori dell'epoca, intorno al 1567. L'incontro qui è con e con l'arte sorprendente del maturo Tiziano, di Bassano, di Tintoretto. Una tappa cruciale, prima del passaggio per Roma e poi in Spagna, dove si impone come il geniale El Greco. A testimonianza di questi emblematici passaggi, la mostra ospita la Fuga in Egitto (1570 circa), eccezionale prestito dal Museo del Prado di Madrid, a confronto ad opere della maturità fino al periodo spagnolo con il San Pietro (1600-1607) dalla National Gallery - Alexandros Soutsos Museum di Atene.
Inevitabile l'affondo sul periodo delle Guerre di Morea: la città di Candia - attuale Heraklion - assediata dagli ottomani e strenuamente difesa dai veneziani cade nel 1669 con la resa trattata dal capitano generale Francesco Morosini. L'attività dei pittori iconografi e delle loro botteghe si dovette forzatamente trasferire nelle altre isole venete, come Corfù e Zante; è qui che riprendono a lavorare e inviare opere Theodoros Poulakis, Elias Moskos, Lambardos, Prete Victor e altri. Alcuni scelsero di trasferirsi nella stessa Venezia, come Emmanuel Tzanes.
Fedele alla vocazione inclusiva della Serenissima, una vivace comunità greca aveva potuto formarsi e prosperare, fino ad oggi, perfettamente integrata all'interno del tessuto economico e civile della città, portatrice feconda della propria spiccata identità culturale e religiosa, con polo essenziale nella sua Scuola e adiacente Chiesa di San Giorgio dei Greci. Nelle ultime due sale arte e scienza prendono vita grazie all'intelligenza artificiale: il visitatore diventa protagonista con i due progetti ideati da camerAnebbia, studio fondato nel 2014 tra Milano e Venezia, specializzato nella creazione di video installazioni interattive per mostre e percorsi espositivi nell'ambito dell'arte e della comunicazione scientifica.
Per la mostra il collettivo ha ideato l'installazione Imago Physis che trae origine dalle analisi su una specifica icona, realizzate in collaborazione con l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare - CHNet Cultural Heritage Network: indagini non invasive, che permettono l'esplorazione dell'opera sia della parte scientifica, attraverso fotogrammetrie e rilievi digital per studiarla fin nel profondo, con incursioni "virtuali" nel suo contesto artistico. È così possibile scoprire numerosi documenti e il patrimonio storico artistico dell'Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia, visitare la Chiesa Ortodossa di San Giorgio ai Greci osservandola sin nei minimi dettagli.
Nella seconda e ultima sala trova spazio l'installazione interattiva basata su una rete neurale: un sistema creato con l'intelligenza artificiale che ha scansionato e immagazzinato le icone in mostra, i quadri e le immagini per creare una rete in grado di reinterpretare tutta l'iconografia attraverso il solo tocco della mano sul touch screen. Così il visitatore, dopo aver ammirato con lo sguardo le opere, diventa per un momento pittore avendo la straordinaria occasione di riprodurre con un piccolo gesto la propria opera d'arte. Si può scegliere tra tre iconografie: le figure, l'angelo e il San Giorgio, opzionando poi le dimensioni delle immagini e la loro permanenza.
Gli elementi delle icone si concatenano e le forme prendono corpo istantaneamente sia sul touch screen che nella proiezione a parete, per pochi effimeri secondi, dando vita a un susseguirsi di immagini in movimento. È la prima volta che questa installazione viene proposta al pubblico, un primato per Venezia che consente di unire due mondi finora distanti, quello delle icone dorate e dai colori vividi con quello dell'intelligenza artificiale che diventa, a sua volta, strumento di interpretazione che dà la possibilità al pubblico di diventare protagonista della mostra. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI, Sergio Campagnolo)
Immagine:
El Greco, Annunciazione, Museo Nazionale di Madrid
Un'esplorazione poetica e visiva che indaga la soglia tra istinto e consapevolezza, tra gesto naturale e perdita di spontaneità. Il progetto raccoglie una serie di piccoli dipinti, disegni e sculture, nati da un gesto pittorico e da un'azione personale dell'artista, che mettono in scena una dimensione poetica, sospesa e allo stesso tempo inquieta: quella di uccelli che non stanno volando, ma cadendo. Questi uccelli non sono prigionieri della gravità, ma del pensiero. Non si tratta di una resa, né di una fine, piuttosto di un momento di coscienza nuova. Il volo per questi uccelli non risulta più un atto istintivo e naturale, ma è in qualche modo interrotto. Il progetto artistico si interroga su una possibilità angosciante: cosa accadrebbe se gli uccelli dimenticassero, improvvisamente, come si vola?
«L'obiettivo del progetto espositivo non è solo estetico, ma profondamente esperienziale. Scordare il volo non è solo una mostra, ma un invito a una riflessione più profonda circa il ruolo della coscienza nella nostra capacità di vivere in equilibrio con noi stessi e con il mondo, a guardare la vita con nuovi occhi e a riscoprire il mistero che si cela nei gesti più semplici.» - così Sofia. Ogni opera del progetto è un frammento di questa narrazione. (Comunicato stampa)
Immagine:
Sebastiano Sofia, A Robin forgot how to fly #1, 2024, olio su legno cm 20.3x25.4
Giancarlo Sangregorio. 100 anni (1925 - 2025)
La pietra il legno i luoghi. Un viaggio tra le opere e i luoghi dello scultore
Nel centenario della nascita dello scultore milanese Giancarlo Sangregorio (1925-2013), per valorizzarne il lungo percorso creativo, la Fondazione che porta il suo nome presenta l'ambizioso progetto ideato e curato da Lorella Giudici e Francesca Marcellini, un itinerario artistico, culturale e naturalistico, con esposizioni tematiche, eventi e approfondimenti. L'importante percorso diffuso coinvolge musei, spazi pubblici lombardi, piemontesi e svizzeri partendo da Milano - sua città di nascita - fino a Varese, ai comuni sulle sponde del Lago Maggiore lombarda e piemontese, al Lago d'Orta, la Val Vigezzo fino al MUSEC di Lugano.
Per condurre il pubblico alla scoperta delle opere dello scultore è stata studiata la nuova app gratuita fsg-app, dai contenuti interattivi, dinamica e intuitiva. Uno strumento che trasforma la scoperta artistica in un'esperienza di connessione con il paesaggio e con il tessuto cittadino, in un dialogo continuo tra arte, ambiente e storia. L'evento ha i patrocini di Regione Lombardia e del Comune di Milano, il sostegno di Fondazione Cariplo ed il coinvolgimento di istituzioni prestigiose, come Palazzo Citterio, Pinacoteca di Brera, Gallerie d'Italia, Museo della Permanente, MUSEC, MA*GA, Università degli Studi dell'Insubria e una rete di comuni e di enti legati al territorio in cui l'artista ha vissuto e lavorato.
Una innovativa proposta che nasce dalla consapevolezza che per Sangregorio la scultura, e più in generale l'arte, deve comunicare con la natura e con l'uomo, in un cammino costellato di sorprendenti connessioni, di approfondimenti e di stupore reciproco. In quest'ottica, il centenario è stato pensato come viaggio nello spazio e nel tempo, che mette in connessione le opere con i luoghi che le hanno viste nascere o che le hanno accolte. Il cuore delle iniziative è la Fondazione Sangregorio a Sesto Calende (Varese), dove sono programmate visite guidate alla scoperta della casa-museo dello scultore.
Giancarlo Sangregorio nasce a Milano nel 1925. Comincia da autodidatta a scolpire la pietra, affascinato dalla materia delle cave dell'Ossola, dove trascorre lunghi periodi. Terminati gli studi classici, frequenta i corsi di scultura all'Accademia di Brera a Milano, sotto la guida di Marino Marini. Esordisce nel 1948 partecipando alla Prima Biennale d'Arte Sacra al Palazzo del Broletto di Novara. Nel 1949 prende invece parte al Premio Internazionale Città di Varese allestita a Villa Mirabello e nel 1950 partecipa al Concorso d'arte contemporanea presso la Galleria Nazionale d'arte moderna di Roma.
Dal 1950 al 1958 soggiorna spesso in Versilia, dove lavora il marmo delle Apuane, modella figure e cuoce ceramiche nelle fornaci di Viareggio. Intraprende lunghi viaggi all'estero, in particolare a Parigi, dove ha uno studio. È del 1952 la sua prima personale a Milano alla Galleria Colonna. Da allora è presente alle più significative manifestazioni d'arte nazionali e internazionali. A partire dagli anni Sessanta incomincia un'intensa attività espositiva in tutta Europa: Bruxelles, Düsseldorf, Stoccarda, Locarno, Basilea, Colonia, Friburgo.
L'interesse per le arti primitive, lo avvicina all'Africa dei Dogon e proprio in Mali viene a contatto con la realtà cultuale delle maschere. Dopo l'Africa, è la volta di un viaggio in Oceania che lo porta lungo il corso del fiume Sepik dove si avvicina ai lavori degli scultori della Nuova Guinea. All'inizio degli anni settanta nascono le prime impronte in cellulosa di lino e cotone, una ricerca che nasce dalle forme della sua scultura, impresse nella carta bagnata, e che porterà avanti fino agli anni duemila. Giancarlo Sangregorio ha vissuto e lavorato a Sesto Calende fino al 2013, nella casa-atelier oggi sede della Fondazione da lui voluta per sostenere e divulgare la sua opera. (Estratto da comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)
Immagine:
Giancarlo Sangregorio, Studio per itinerario nel vuoto, 1983
Cetty Previtera
"Chroma"
Con composizioni musicali di Lorenzo Lionello
11 maggio (inaugurazione) - 06 luglio 2025
Chiesa di San Benedetto e Santa Chiara - Licodia Eubea (Catania) Locandina della mostra
Nello spazio culturale creato e gestito dall'Archeoclub d'Italia "Mario Di Benedetto" la mostra pittorica di Cetty Previtera musicata dalle composizioni di Lorenzo Lionello, a cura di Bianca Basile. Chroma è un termine sinestetico che associa la vista all'udito. In ambito musicale la croma è ma un valore ritmico, pari a un ottavo. Il riferimento visivo è di dubbia origine. Un'ipotesi più tecnica sostiene che anticamente la cadenza venisse accentata sul pentagramma tramite il colore; una teoria più lirica sostiene invece che il ritmo conferisse «colore» alla musica.
Con la sua pennellata stratificata, guizzante e riflessiva, la pittrice Cetty Previtera, fa sì che ogni immagine appaia all'occhio come una sinfonia armoniosa, che non può essere colta con un unico sguardo. La lentezza dei tempi di asciugatura dell'olio, ricalca il ritmo del contesto paesaggistico in cui la pittrice vive e crea. Guardare un suo quadro richiede lo stesso tempo che cogliere un paesaggio, soggetto quasi esclusivo dei suoi dipinti, o ascoltare una melodia.
Il coinvolgimento di Lorenzo Lionello, sassofonista e compositore, scaturisce da tali riflessioni e dall'analogia stilistica e tematica tra i due artisti, in riferimento alla percezione e restituzione del paesaggio. "Composizione per ambienti sonori" è lo stile compositivo che Lionello sta sviluppando e che incorpora l'uso di varie altre tecniche e linguaggi compositivi esistenti, colti ed extra colti. Utilizza sia strutture classiche sia contemporanee, che non si basano esclusivamente su un singolo tema (sequenza di note e ritmi), ma piuttosto su un insieme di temi e melodie scritti in stili compositivi accostabili per assonanza e contrasto, che il musicista accosta e sovrappone, in diverse combinazioni.
Previtera costruisce ogni immagine per contrasto, accostando tra loro colori complementari che portano il paesaggio a un livello di realtà diverso da quello che ci circonda. Nella differenza, le cromie si esaltano l'un l'altra in un concerto vitale, saturo, in cui il canone classico della pittura occidentale di paesaggio viene reso personale, emotivo. L'occhio allo stesso tempo si perde nel fitto del paesaggio e si esalta nel seguire i fitti tocchi di colore.
Lionello dedica una composizione a ogni opera scelta per la mostra, seguendo l'allestimento come un percorso, scritto per quintetto di archi (violini, viola, violoncello) e pianoforte. Ogni brano sarà nominato con il titolo del dipinto cui si ispira direttamente, mescolando uno stile compositivo più classico (tonale) a diversi più contemporanei e sperimentali, alternando e sovrapponendo in vari modi due temi principali.
Il dialogo tra i due artisti smonta l'esperienza del paesaggio "da cartolina" o "da screensaver". L'interpretazione sinestetica della mostra promuove un'interlocuzione diretta, personale e multisensoriale dell'ambiente plurale in cui siamo immersi. Di conseguenza la riflessione tocca anche il tempo che dedichiamo all'ascolto, inteso in senso lato, nel nostro quotidiano. In mostra il pubblico viene mosso a domandarsi, a partire dalla propria esperienza, se nella contemporaneità esista un tempo di risonanza della vita e quanto contribuisca alla sua qualità.
Cetty Previtera (Svizzera, 1976), vive e lavora in Sicilia. Dopo la Laurea in Scienze della Formazione e un Master in Comunicazione e Linguaggi Non Verbali, approfondisce lo studio della pittura. Incontra i maestri Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro. Frequenta all'Accademia di Belle Arti Abadir il corso libero di Pittura. Nel 2010 è finalista del Premio Nazionale delle Arti e nello stesso anno espone alla Galleria Lo Magno di Modica, L'Unico tratto, curata da Piero Zuccaro. Con La ragazza con l'orecchino di perla di Jan Vermeer al Palazzo Fava di Bologna (2014), espone in Attorno a Vermeer. Del 2017 è la sua prima personale, Primavera, curata da Goldin alla Quam di Scicli.
Segue una personale alla Carta Bianca Fine Arts (Catania), Dream Up, e una collettiva alla George Billis Gallery (New York, 2019). Espone in Attorno a Van Gogh (2021), al Centro Culturale San Gaetano di Padova, con Van Gogh e i colori della vita. Nel 2023 la seconda personale alla galleria Quam, Mi ricordo i fiori e alla Carta Bianca Fine Arts, Just Bloom (2024). Diverse le esperienze di residenza: Ritratto a mano con Jorge Peris (2018), il Simposio di Pittura (2022) a cura di Luigi Presicce alla Fondazione Lac o Le Mon, Landina (2023) a cura di Lorenza Boisi, Rammemorazioni (2024) a cura di Francesco Piazza.
Lorenzo Lionello (Torino, 2006), saxofonista e compositore, vive e lavora a Torino. Attualmente studia composizione presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, con il Maestro Orazio Mula, e composizione e direzione d'orcestra presso l'Accademia Internazionale Tiziano Rossetti di Lugano, presso la quale ha vinto una borsa di studio (2024). Sta completando anche i suoi studi presso il Liceo Classico e Musicale Cavour di Torino dove frequenta l'ultimo anno. Ha vinto diversi premi internazionali di Composizione quali quelli promossi dal Franz Schubert Conservatorium di Vienna, dalla World Online Music Competition Organization (WOMCO) e presso la Universal Maestro Society.
Tra i premi più significativi che ha ricevuto nel 2024 si ricordano: Platinum Award conseguito al Global Young musicians competition con il quartetto per sassofoni "Rapso", lo stesso brano con cui gli è stato assegnato il primo premio e una mezione speciale in occasione della Bach International Music Competition, nonché il secondo posto alla Word Championship in Composition ed altri ancora. Attualmente in segna in alcune scuole private di musica seguendo i corsi di Sassofono, Orchestra e Teoria e Solfeggio e collabora come redattore con la casa editrice Voglino per la collana Musica Practica. (Comunicato stampa)
Immagine:
Cetty Previtera, Walk through the wild_ selvatica, 2021, olio su tela cm 100x80
Elisa Benini, Alice Galizzi, Luca Lombardi, Silvia Rosa
"Quotidianità Deposte"
10 giugno (inaugurazione) - 31 luglio 2025
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano www.glendacinquegrana.com
Mostra collettiva estiva a cura di Valentina Schito, dedicata a quattro giovani pittori italiani Elisa Benini, Alice Galizzi, Luca Lombardi, Silvia Rosa. In un momento storico in cui la velocità domina la percezione, la pittura torna ad abitare l'oggi come strumento di riflessione sul quotidiano. Accomunati non solo dalla formazione presso l'Accademia di Brera, ma anche dalla pratica pittorica basata sul costante procedimento di trasfigurazione del reale, i quattro artisti sono presentati in mostra come accomunati da una visione della pittura come archivio vivo, come deposito di tempo, memoria e materia, come scrive la curatrice. La tela è il terreno di sedimentazione di queste immagini, dove ciò che vi appare è ciò che resta, dopo il gesto, dopo il vissuto, dopo il reale.
L'elemento di realtà ricorrente nelle opere di Elisa Benini (Calcinate, Bergamo 1999) è il fiore, dove non è mai oggetto, ma movimento depositato, apertura temporale, vibrazione che si consuma. Il procedimento di lavoro della Benini rende il quadro uno spazio atmosferico in cui il soggetto smaterializzandosi, lascia al colore e alla superficie il compito di evocarlo.
Alice Galizzi (Bergamo, 2000) crea una figurazione che altro non è che architettura dell'intimo. Come dice la Schito nel testo critico, la sua è una topografia mentale dell'abitare: oggetti, stanze, finestre, superfici domestiche - tutto è compresso e ricomposto come in una mappa affettiva. I frammenti di architetture e oggetti si fanno presenze evanescenti, viste nell'atto di apparire e scomparire.
La pittura di Luca Lombardi (Brescia 1996) nasce dalla sensibilità per il mondo digitale e in particolare dalla pratica dello scrolling. Il suo procedimento di lavoro, fatto di stratificazioni sottili di colore, in cui le forme si sovrappongono e si dissolvono fino a creare campiture luminose, ispirate alle cromie dell'universo virtuale. Come dice la Schito, la sua pratica si situa in una zona liminale tra controllo e perdita, dove la superficie diventa campo di interrogazione e non solo di rappresentazione.
L'operazione pittorica di Silvia Rosa (Latina, 1998) è l'atto di deporre frammenti di realtà digitale sulla tela. Il suo lavoro parte da frammenti di immagini digitali manipolate, fino a produrne una pittura astratta. Nei suoi quadri troviamo immagini in dissoluzione come cieli rinascimentali, fondali romantici, strutture compositive classiche: tutto viene evocato e poi dissolto in un equilibrio nuovo, dove la forma è sempre prossima allo slittamento, e ogni riferimento al reale è filtrato da un processo di sfocatura estrema. (Comunicato stampa)
05 maggio (inaugurazione) - 20 luglio 2025
Sandro Bongiani Arte Contemporanea - Salerno www.sandrobongianivrspace.it
Retrospettiva a cura di Sandro Bongiani, organizzata dalla Collezione Bongiani Art Museum di Salerno. E' costituita da 73 opere più rappresentative realizzate dal 2013 al 2025; dalle opere del primo periodo di Noviadi Angkasapura fino alle opere recenti del 2025. L'artista indonesiano Noviadi Angkasapura, per la prima volta è presente con una mostra retrospettiva in Italia. Nato nel 1979 a Jayapura, nella provincia di Irian Jaya, sull'isola pacifica della Nuova Guinea che dal 1963 appartiene all'Indonesia. E' un'artista autodidatta dell'Art Brut, senza alcuna formazione artistica, Le rappresentazioni di Angkasapura nate da un incontro spirituale, raffigurano figure anamorfiche, demoni insieme al suo mantra guida, "Jujur, Sabar".
Nonostante sia ancora molto giovane vi è stata quasi da subito la dovuta attenzione da parte della critica e del sistema ufficiale dell'arte con l'acquisizione di diverse opere dell'artista indonesiano da parte della Collection de l'Art Brut di Losanna in Svizzera, un museo dedicato espressamente agli outsider dell'Art Brut e degli emarginati sociali. Il lavoro di Angkasapura è stato già esposto in tutto il mondo, tra cui all'Outsider Art Fair di New York, al Centre for Intuitive and Outsider Art di Chicago.
Dal 2021 Noviadi Angkasapura è presente nel contesto della "Donation d'Art Brut de Bruno Decharme", in Francia, al Centre Pompidou di Parigi, nella Collection of Mediumistic Art (CoMA) di Elmar R. Gruber in Germania e nella Collection Eric Moinat di Vienna. Oggi, Angkasapura è degnamente rappresentato dalla Henry Boxer Gallery in Inghilterra e soprattutto dalla Cavin-Morris Gallery negli Stati Uniti che per primo ha scoperto il suo talento e la sua originale creatività.
Nelle opere di Noviadi Angkasapura si evidenzia la straordinaria forza di un atto resistente, senza freni inibitori, che deve necessariamente implicare l'alta febbre dell'ossessione per essere credibile e autentica, cosciente di avere una missione da compiere che lo spinge a creare immagini in un terreno primordiale in cui la raffigurazione e la scrittura si compenetrano e si integrano insieme. L'arte - scrive Sandro Bongiani - è ossessione e Noviadi Angkasapura è un artista altamente visionario di grande creatività e immaginazione.
Ogni sua opera è sempre una nuova improvvisa rinascita di un mondo carico di oscuro mistero, un universo di esseri strani con organi interni visibili, animali immaginari e traboccanti creature antropomorfe di diversa dimensione e presenza che si condensano provvisoriamente nello spazio immaginativo "oltre il limite" con l'utilizzo di diversi punti di vista in cui viene negata la consueta e logica visione prospettica dello spazio. Un qualcosa come una improvvisa e misteriosa occupazione di personaggi che vanno a saturare quasi del tutto lo spazio della visione e altresì un senso di libertà espressiva che contraddistingue da sempre il suo importante lavoro.
Le sue opere sono caratterizzate da una visione altamente espressiva e personale; hanno una significativa qualità mistica e sembrano essere ispirate da elementi mitologici tradizionali della cultura in cui vive con simboli e apparizioni enigmatici. Si direbbe una visione di essenze dell'anima, non semplicemente immaginate ma anche condivise, suggerite dall'invisibile e dall'ossessione come atto liberatorio. In connessione con l'aldilà, in uno stato transitorio di profonda partecipazione, l'artista condivide una sorta di trascendenza in cui la ragione tracolla a beneficio di un atto forte e potente alla ricerca di mondi invisibili e territori irrazionali ancora inesplorati.
Un'esperienza interiore e mistica con un risvolto ossessivo e oscuro che caratterizza da sempre la sua esperienza creativa, con le sue inattese apparizioni che scandagliano il profondo dell'essere umano, a rilevare e a condividere i misteri oscuri e stratificati della mente nati dall'abisso e dal buio oscuro della notte. Per lui, sperimentare il limite e come indagare ogni giorno, tra nemesi e catarsi le emozioni e le forze oscure del corpo e dell'anima, in una dimensione "sorprendente", alla ricerca del mistero della vita. In tutto ciò sta la grande capacità espressiva e poetica di uno dei più grandi interpreti internazionali dell'invisibile.
All'età di quasi ventiquattro anni, Noviadi Angkasapura raccontò di aver ricevuto la visita di uno spirito che gli insegnò a disegnare. Questa esperienza ha provocato in lui un risveglio morale e spirituale e da allora ha continuato a creare disegni basati su una frase ripetuta instancabilmente, in cui predominano i concetti di onestà e pazienza. In questo senso, l'atto del disegno è per lui una preghiera e una forma di meditazione che gli permette di trasmettere i messaggi che provengono da questo spirito.
Utilizzando penna, grafite e matite colorate, disegna esseri strani e spesso inquietanti su piccoli pezzi di carta. Ha esposto per la prima volta alcune delle sue opere all'Outsider Art Fair di Parigi nel 2013. Le sue opere sono esposte nella Collection de l'Art Brut di Losanna ed è rappresentato all'estero dalle gallerie Henry Boxer in Inghilterra e la Cavin-Morris Gallery a New York. Si ringrazia l'Archivio personale di Noviadi Angkasapura di Giacarta e la Cavin-Morris Gallery di New York per aver permesso, per la prima volta in Italia, la realizzazione di questa importante retrospettiva che riassume con 73 opere di 13 anni di assiduo lavoro (2013-2025). (Comunicato stampa)
Migrating Modernism. The architecture of Harry Seidler
09 maggio - 13 luglio 2025
SMAC San Marco Art Centre - Venezia
www.smac.org | www.studioesseci.net
Un'ampia retrospettiva sulla vita e l'opera dell'architetto australiano di origine austriaca Harry Seidler (Vienna 1923 - Sydney 2006). Seidler, uno degli architetti moderni più influenti, è stato responsabile della progettazione di numerosi edifici pionieristici in Australia, oltre che di edifici in Messico, a Parigi, a Hong Kong e, alla fine della sua carriera, di nuovo nella città natale, Vienna.
Migrating Modernism. The architecture of Harry Seidler è curata da Ann Stephen del CCWM e Paolo Stracchi della Scuola di Architettura, Design e Pianificazione dell'Università di Sidney, con la consulenza di Nikolaus Hirsch. La mostra prenderà in considerazione in modo approfondito sia i singoli progetti che le collaborazioni di Seidler con architetti e artisti. Tra questi Josef Albers, Alexander Calder, Helen Frankenthaler, Frank Stella, Lin Utzon e Sol LeWitt. Seidler ha anche collaborato con il famoso ingegnere strutturale italiano Pier Luigi Nervi.
Il percorso espositivo presenterà materiali come lettere, disegni e modelli insieme a documenti personali e opere d'arte di coloro che lo hanno influenzato o con cui l'architetto ha collaborato. Ann Stephen: "Vivendo a Sydney, possiamo apprezzare come la visione moderna di Harry Seidler abbia introdotto una cultura decisamente cosmopolita nelle città australiane, non solo attraverso i suoi edifici, ma anche attraverso l'arte che ha portato negli spazi pubblici". Paolo Stracchi: "Al di là del suo raffinato linguaggio formale, l'architettura di Seidler è un riflesso delle più ampie condizioni culturali, storiche e architettoniche del suo tempo".
Harry Seidler fuggito dalla Vienna nazista all'età di 15 anni, si rifugiò in Inghilterra prima di essere internato come straniero nemico e successivamente deportato in altri campi di internamento in Canada, dove poi, una volta liberato, conseguì la laurea in architettura e prese il titolo di architetto. Successivamente Seidler si trasferì negli Stati Uniti, studiando e lavorando con una notevole serie di maestri come Walter Gropius, Josef Albers e Marcel Breuer, e collaborando con Oscar Niemeyer in Brasile, prima di trasferirsi a Sydney all'età di 24 anni.
Un decennio dopo avvenne l'incontro con Penelope che ne diventò la moglie, compagna di vita e partner professionale. Uniti da una profonda passione per l'architettura e l'arte, si crearono una vita arricchita da collaborazioni con artisti come Alexander Calder, Josef Albers, Helen Frankenthaler, Frank Stella, Lin Utzon e Sol LeWitt. Seidler collaborò anche con il famoso ingegnere strutturale italiano Pier Luigi Nervi. Dopo aver studiato nelle Americhe, Seidler arrivò a Sydney nel 1948 per progettare una casa per suoi genitori, la Rose Seidler House e l'anno dopo, nel 1949, fondò il suo studio. In Australia si è affermato come una delle figure più importanti del movimento moderno, con il suo lavoro che spazia da case singole radicali a torri monumentali.
La competenza tecnica di Seidler, formatosi in parte in una scuola di ingegneria, in particolare in materia di cemento armato, era rara tra i designer della sua generazione e lo distingueva dai suoi colleghi. Questo ha anche fornito le basi per le forme fluide prodotte con Pier Luigi Nervi che hanno caratterizzato il suo lavoro a partire dai primi anni Sessanta. La combinazione di competenza ingegneristica ed estro scultoreo lo rese uno dei pochi progettisti della sua epoca in grado di realizzare il sogno modernista di integrare arte e tecnologia.
Celebrato come una delle voci più influenti del movimento moderno in Australia, Seidler ha dato vita a un'eredità che comprende case monofamiliari, torri originali, edifici pubblici e programmi di edilizia residenziale sociale. Questi sono stati realizzati in città diverse come Sydney, Acapulco, Parigi, Hong Kong e la natia Vienna. La vita e l'opera di Seidler tracciano l'arco temporale del modernismo come un viaggio personale e una narrazione globale, invitando a riflettere sull'architettura come espressione stratificata della società e mezzo attraverso cui le idee migrano attraverso i continenti e il tempo.
Come ha notato Jørn Utzon, l'architetto della Sydney Opera House: "Harry è il miglior esempio di come un nuovo arrivato, un migrante, affronti il problema di far costruire qualcosa. Ha insegnato ad altri a farlo, me compreso. Era un architetto meravigliosamente talentuoso... ha mostrato un nuovo modo di vivere in tempi moderni". (Estratto da comunicato stampa Studio ESSECI)
A cura di Alessandro Rabottini, la mostra è concepita come un'ampia indagine sull'opera fotografica di Guidi attorno a uno specifico tema: l'ombra come risultato dell'incontro tra la luce e lo spazio. Guido Guidi (Cesena, 1941) è un autore internazionalmente riconosciuto per il suo contributo al campo della fotografia a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, celebrato per una visione sul paesaggio, l'architettura e le cose che è insieme lirica e analitica. Le sue immagini distillano una riflessione sulle forme più quotidiane, marginali e antimonumentali che abitiamo e che ci circondano, rendendo tattile e sospeso nel tempo ciò che spesso siamo propensi a trascurare.
Nei decenni, Guidi ha affermato la necessità di una "poetica dell'attenzione": nelle sue opere l'atto stesso del vedere non è mai dato per scontato ma, al contrario, analizzato da molteplici punti di vista, da quello esistenziale fino ai suoi significati formali e teorici. Attraverso la costanza con cui ha scrutato e scruta gli aspetti più laterali della realtà, Guidi ha influenzato generazioni di fotografi, attraverso un linguaggio che è tanto sottile quanto seminale. Da un'altra parte, a cura di Alessandro Rabottini, raccoglie un'ampia selezione di fotografie realizzate tra i primi anni Settanta e il 2023, in un allestimento incentrato sulla persistenza e la ricorrenza di certi temi attraverso i decenni.
Nonostante Guidi concepisca, pubblichi e mostri il proprio lavoro attraverso il formato della serie fotografica, in questa mostra le opere sono state selezionate concentrandosi su singole immagini, estrapolate dalle serie di appartenenza. Le opere sono poste in dialogo le une con altre secondo un principio di tensione poetica e formale, al di là della successione cronologica e della separazione tra i generi del ritratto, della natura morta e della fotografia di architettura. (Comunicato stampa)
Armen Eloyan
"Couples"
10 maggio (inaugurazione) - 05 luglio 2025
Tim Van Laere Gallery Rome (Palazzo Donarelli Ricci) - Roma
www.timvanlaeregallery.com
Nuova mostra personale dell'artista di fama internazionale Armen Eloyan. Questa è la quinta mostra personale di Eloyan da quando si è unito alla Tim Van Laere Gallery nel 2012, nonché la sua prima mostra nel nostro spazio romano. L'artista presenta in questa esposizione una nuova serie di dipinti, sculture in legno e ceramica. Armen Eloyan è un artista noto per il suo stile crudo ed espressivo, che mescola astrazione, narrazione personale e riferimenti ai cartoni animati. Le sue opere sono potenti riflessioni sulla società contemporanea, intrise di ironia, arguzia e una profonda comprensione della natura umana.
Nato in Armenia, Eloyan ha saputo fondere influenze culturali americane ed europee, attingendo, in particolare, dall'universo dei cartoni animati e dei fumetti quotidiani di George Herriman, il cui spirito giocoso ha permeato il suo lavoro. Le sue figure, spesso contorte e simili a personaggi da cartone animato, sembrano una parodia non solo dei soggetti, ma anche delle strutture sociali, criticando l'assurdità della vita moderna, il consumismo e l'alienazione che ne derivano. Eloyan rivela la tragicità e la comicità insite nel comportamento umano, offrendo una riflessione su come la cultura e l'identità vengano costantemente rimodellate e ridefinite.
Le influenze di artisti come Philip Guston, Willem de Kooning e Paul McCarthy sono evidenti nelle sue opere, ma l'approccio unico di Eloyan porta questi temi in un territorio più giocoso e a volte grottesco, riflettendo le nostre contraddizioni con una chiarezza brutale. Nei suoi lavori, linguaggio, identità e narrazioni si frantumano, i simboli perdono la loro stabilità, e ciò che una volta sembrava leggibile diventa opaco e sfuggente. C'è una tensione consapevole tra ciò che appare familiare e ciò che invece sembra illeggibile, come un riflesso di un mondo in cui la verità è sfuggente e la coerenza e le immagini ingannano tanto quanto rivelano.
Nella sua nuova serie di dipinti, Armen Eloyan si addentra nella psicologia e nella simbologia delle coppie significative. Superando le sue tradizionali figure grottesche e narrazioni assurde, l'artista si concentra su coppie iconiche che condividono uno spazio comune nell'inconscio collettivo. Tra queste, Braccio di Ferro e Olivia, personaggi radicati nella comicità e nella caricatura, emergono come avatar inaspettati e potenti di tensione emotiva e resilienza. Eloyan non riduce la coppia a semplici reliquie dei cartoni animati, ma li reinterpreta come archetipi di interdipendenza, conflitto e mito che persiste nel tempo. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)
Diego Esposito
"Cielo che risuona del riverbero del sole"
04 giugno (inaugurazione) - 19 settembre 2025
Galleria Allegra Ravizza - Milano www.allegraravizza.com
Seconda mostra personale dell'artista Diego Esposito. Il titolo abbraccia due sfere sensoriali da sempre molto care all'artista: quella del suono e quella visiva, entrambe sollecitate dalle vibrazioni della luce solare in un gioco di volumi e riflessi. In mostra sarà presentata una trasversale raccolta di lavori che spaziano dalla sua produzione di tavole in maiolica alla realizzazione di superfici ricoperte di foglia d'oro, che rappresentano reminiscenze di rovine architettoniche greche ammirate a Delos, fino all'inedita serie di mosaici, frutto dell'influenza ricevuta dalla Basilica di San Marco durante un lungo soggiorno dell'artista a Venezia.
In questi nuovi lavori, Diego Esposito torna alle radici dell'immagine astratta, che stanno, da sempre, nella rappresentazione dell'origine del mondo. Barnett Newman l'aveva intuito: l'immagine astratta, che comunemente si crede senza soggetto, ha invece un tema unico, che è il ritorno con la mente (con gli occhi) a quell'attimo in cui il mondo, per esistere, prende forma. L'astratto è un passato irraggiungibile, che si dispiega nel presente, una utopia che diventa immagine.
In questi mosaici, il punto dell'origine nasce come un segreto bagliore, come la traccia di una luce che non si dimentica. Quel che l'artista insegue, è il momento di una nascita, l'origine di una cosmogonia di cui captare la prima luce. Questa evocazione di un infinito nel finito, è stata a lungo sensibile nel suo lavoro. È il vero senso di quel frammento di cielo iscritto nella pietra, che tante sue opere hanno evocato. Oggi è la materia del mosaico che quella luce trasforma in oro, in rosso, in nero: e sono ancora cieli. (Carlo Severi per Diego Esposito)
Luca Padroni
"Into the Wild"
21 maggio (inaugurazione) - 18 luglio 2025
MAAB Gallery - Milano www.maabgallery.com
Una selezione di recenti opere su tela e su carta di Luca Padroni (Roma, 1973) che appartengono al ciclo iniziato nel 2021 con la mostra La vita continua presso il Museo Orto Botanico di Roma. Le opere in mostra invitano il pubblico a immergersi in una natura incontaminata e dall'aura persino primordiale, dalla quale le tracce umane sembrano ancora assenti. L'intrico della foresta, con gli animali che la abitano, sembra non avere tempo e luogo, rimanda a una dimensione distante dallo scorrere della vita degli esseri umani e restituisce l'idea di un ecosistema ancora in equilibrio, con le sue regole complesse e la sua energia vitale.
Alla luce della recente pandemia e della crisi ecologica costantemente in atto, la natura mostrata dalla pittura di Luca Padroni, pur selvaggia e piena di pericoli, comunica un senso di ristabilito equilibrio e persino di serenità, mettendo in scena sia una memoria personale dell'artista, che insieme alla famiglia ha vissuto parte dell'infanzia in Africa tra Mozambico, Sudan e Namibia, sia una memoria ben più lontana, archetipica e transgenerazionale, che non permette in realtà di associare le scene dipinte da Padroni a un'unica e particolare area geografica della terra.
A tal proposito in queste opere emerge una visione complessa e al tempo stesso elementare, tanto che l'artista, parlando della creazione di queste vere e proprie visioni della natura, ha fatto riferimento a una percezione incontaminata del mondo di cui solo i nostri più lontani antenati potevano avere familiarità ed esperienza diretta. La natura a ben guardare qui è due volte una scena primaria: quella dove s'è mossa parte dell'infanzia di Padroni, e quella ancestrale che rimanda all'infanzia dell'umanità e della prima vita sulla terra. Dalla sovrapposizione di questi diversi piani temporali, tra biografia e immaginazione, narrazioni e biologia, si gioca la ricerca pittorica dell'artista.
La sua pittura costruisce così mondi evocativi tra storia e mito, tra attese metafisiche e desideri reconditi, tra riferimenti colti derivati dalla storia della pittura e rimandi alla cronaca e allo scorrere quotidiano della vita, tra avventure letterarie e fatti realmente esperiti. In questo modo l'esperienza visiva di ciò che era familiare in altri tempi diviene oggi aspirazione e desiderio, un ricordo sfrangiato di speranza che il caleidoscopio dell'arte di Luca Padroni sa rendere attuale e remoto allo stesso tempo.
Luca Padroni è un artista italiano contemporaneo noto per le sue opere su larga scala in cui campi di colore formano diversi spazi architettonici. Il punto di partenza del suo lavoro sono i disegni e gli studi su piccola scala in olio che si evolvono in dipinti monumentali. Potenti e ambigui, i suoi dipinti abbracciano l'osservatore come parte integrante dell'immagine. Padroni ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Italia e all'estero. (Comunicato stampa)
Immagine:
Luca Padroni, La natura non la frega nessuno, 2021, olio su tela, cm. 100x150
Francesco Candeloro
"Cime nel tempo"
22 maggio (inaugura) - 15 luglio 2025
Galleria A arte Invernizzi - Milano www.aarteinvernizzi.it
Una mostra personale in cui saranno presentate opere inedite. Francesco Candeloro (Venezia, 1974) crea sin dall'inizio degli anni 2000 un continuo gioco di nascondimento e rivelazione che sfrutta appieno le potenzialità delle evanescenze cromatiche fatte vibrare dalla luce. Le sue opere accolgono il mutare della luminosità proiettando sulle pareti interne delle sale il trascorrere del tempo. Al piano superiore della galleria sono esposte le opere Cime nel tempo (2025), pensate come un'unica installazione che si sviluppa sia a parete che al centro della sala, grazie ad una struttura composta da montanti metallici che sospende le opere nello spazio.
In questo modo il visitatore è invitato ad immergersi e attraversare i profili di plexiglas sia fisicamente che mentalmente - grazie alla trasparenza del materiale e alla sua sovrapposizione - sperimentando la variazione della visione dove ciò che è dato a vedere è un luogo altro attraversato dal ritmo dell'esistenza nell'istante dell'incontro-scontro con l'opera. Candeloro racconta così il tempo, attraverso il tempo, creando uno spazio immersivo di grande suggestione emotiva, senza alcun intervento tecnologico, ma unicamente catalizzando l'energia stessa della luce.
Questo racconto fondato sulla trasparenza, la duplicazione e l'inversione, si ritrova al piano inferiore dello spazio espositivo. Le pagine dei "libri" squadernate sulla parete, posizionate seguendo costruzioni geometriche e giochi combinatori, diventano il modus operandi di esplorare e misurare lo spazio attraverso un personale "alfabeto della mente" dove le fessure sui fogli accoppiati ai filtri in acetato proiettano l'esterno nell'interno e viceversa. Queste ultime opere dialogano con gli skylines di città in plexiglas - ognuno composto da quattro diverse lastre, di differenti colori, suddivise in coppie speculari e sovrapposte - legati alla memoria dell'artista e dalla sua esperienza diretta dei luoghi, che rilegge e ripropone attraverso un sua personale rielaborazione. In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue contenente un testo di Giorgio Verzotti, la riproduzione delle opere in mostra e un aggiornato apparato bio-bibliografico. (Comunicato stampa)
Scenari | Sei Mostre a Scenari
Firenze, 12 aprile - 20 novembre 2025
"Scenari" si campiona ad essere, in una città come Firenze, lo specchio di un'arte di frontiera, assolutamente in movimento, ipermoderna, ipertesa, ipercolta, mente e cuore, ma anche progetto e destino della comunicazione estetica. E' con questo progetto, ideato e diretto dall'illustre Storico dell'Arte Moderna e Contemporanea Prof. Carlo Franza, figura di piano internazionale, che si vuole indicare e sorreggere l'arte nuova e, dunque, protagonisti e bandiere, bandendo ogni culto del transitorio per porgere a tutti il culto dell'eterno.
Il terzo millennio che fa vivere i processi creativi in un clima di saccheggiamento della realtà, perchè il futuro è ora, fra rappresentazioni e interpretazioni, ci porta a cogliere il nuovo destino della bellezza. Con l'arte vogliamo aprire finestre sul mondo, con l'arte vogliamo aprire stagioni eroiche, con l'arte vogliamo inaugurare una nuova civiltà. Finestre sul mondo è un punto di partenza. Con "Scenari" si troveranno ad essere coinvolti, ogni volta, sei artisti con sei mostre personali. I sei di questo capitolo sono Andy Ceausu, Sergio Gimelli, Monica Gorini, Pierluigi Ghidini, Fulvio Marino, Mario Zappa.
___ Pierluigi Ghidini | "La biblioteca dei sogni"
Plus Florence - Piano Terzo Rosso
Scrive Carlo Franza nel testo: "Pierluigi Ghidini ha scoperto e umanizzato la materia e il colore, in un racconto fantastico che è diventato una biblioteca dei sogni. Un mondo capace di accogliere la fisionomia dell'universo nei suoi tre regni, vegetale, minerale e animale, con una figuralità altamente poetica da richiamare i versi di Segio Corazzini e Aldo Palazzeschi. L'artista bresciano è divenuto oggi un campione assoluto del colore e del segno, è stato capace di movimentare capitoli e romanzi colorati ove si leggono non solo i dati dell'esistenza e del vivere, ma il sogno miracolato di un mondo che tutti noi vorremmo.
Una pittura altamente educativa che vive tra i profili e i segni che paiono rifarsi a Paul Klee, essa mostra la vita nel senso della durata della qualità e dell'immediatezza, senza classificazioni stucchevoli e leziose. Ogni dipinto è una sorta di abbecedario del mondo, e la realtà riedifica rigorosamente i profili del vissuto, di oggetti, cose e animali che si succedono in ordine memoriale, come un inventario civile e pubblico. Pierluigi Ghini come pochi artisti italiani rivisita la natura, l'ambiente che ci circonda, il mondo, riprendendo e producendo una tormentata e magica interpretazione delle forme a volte, di quelle occasioni che circolano e si mostrano come influorescenze cromatiche a volte fauves, a volte da realismo magico.
La sua lezione, alta e singolare, è un grande racconto sulla natura, e la visione del mondo si legge e si vede come un libro aperto da riprodurre. Questi dipinti sono oggi un vero patrimonio dell'umanità, ma vanno letti anche come frammenti musivi per la grafia e dispensatori di un legame profondo con la bellezza per l'estetica. Pierluigi Ghidini contempla il mondo prima di riscriverlo a colori, e l'universo è percepito attraverso il gesto creativo oggi affogato in una luce profonda, testimoniale, preziosa, magica, unica, sorprendentemente avvolta in una sana follia".
Pierluigi Ghidini (Brescia, 1944) si avvicina alla pittura molto giovane ed è attivo già dal 1960, mentre nel 1966 inizia la sua attività lavorativa alla "Società italiana per l'esercizio telefonico" (Sip). Seguono riflessioni per una ricerca stilistica e alcune presenze e incontri con altri artisti, come Eugenio Levi e Alberto Bizzai. Frequenta l'ambiente artistico vivendo le prime esperienze negli studi di pittori quali Gianni Boscaglia e Giulio Mottinelli, nel clima di un'amicizia nel condividere i dibattiti sull'arte di quegli anni.
I primi passi sono determinati dalla sua indole semplice che lo condurrà sul sentiero di un vedutismo tradizionale richiamabile al maestro Ennio Morlotti, di cui assorbe gli interessi informali-materici orientati all'elaborazione di tematiche ricorrenti. A Brescia la prima personale nel 1969 alla "Galleria La Tavolozza", cui seguirà quella di Bergamo, alla "Galleria La Simonetta" nel 1972, che decreta e prevede un successo che poi si avvererà nelle mostre che seguiranno (...) Nel 2013 entra a far parte del "Catalogo Sartori d'Arte moderna e contemporanea". Alla metà degli anni Settanta inizia a liberarsi dagli schemi espressivi di derivazione geometrica. Nel corso del decennio successivo, infatti, ne segna il distacco e abbraccia con decisione una nuova idea di natura includendo nei suoi paesaggi la flora e la fauna.
Negli anni Novanta sposta la sua azione artistica verso un rinnovamento della società, quale punto di partenza per la sua pittura impegnata sul versante della poetica naturalista cui aggiunge i sentimenti della città nella denuncia della globalizzazione consumistica. (...) Il Duemila di Pier Luigi Ghidini è nell'affermare la sua ricerca artistica con elementi simbolici accompagnati da un "filo" che diverrà la firma della sua cifra stilistica. Ora la sua pittura muta, in cui la componente fantastica viene sempre più ad assumere il suo ruolo. (...)
___ Sergio Gimelli | "Storie di ieri e di oggi"
Plus Florence - Piano Primo Fucsia
Scrive Carlo Franza nel testo: "La mostra presenta un nucleo consistente di opere che abbracciano "storie di ieri e di oggi", ovvero opere variamente datate di diverse epoche. Segnano non solo un percorso artistico di sicuro interesse, ma offrono anche la visione totalizzante di uno svolgimento ideativo, creativo, tecnico, e artistico. Il recente capitolo di opere di Sergio Gimelli, muove all'interno di quel filone che è propaggine naturale dell'immagine ormai compromessa, così da portarsi ad appartenere ad una sorta di "nuova icona" che approdata su rive lontane dal realismo lirico, è divenuta oggi realtà sublime, assolutamente libera, svaporata, transitante; sicchè ormai lontana da un realismo tout court per essere, come di fatto lo è, "ideographic picture", estetica nuova della cultura europea, che si fa racconto dell'oggi.
Con tecniche diverse, carte applicate, ritagli e colori e toni pastellati, il lavoro di Gimelli vive una radicalità del nuovo gesto pittorico, racconta il presente, si fa diario e memoria di tracciati esistenziali e di figure - occasioni già care a molti artisti contemporanei - che riprendono con naturalità l'umano desiderio del sublime e di emozioni assolute. Memorie, ma anche nostalgie, leggende dell'oggi, miti, dove la concretizzazione ha lasciato il posto all'accenno, a tracce impresse in modo talvolta informale, immagini imperanti che sfuggono ormai le intenzioni figurative o narrative, per essere infine eroiche, oltre la bellezza, in quanto ritornanti all'arte anestetica, non bella, ma decisamente pretesto e filosofia.
Egli racconta la storia dell'oggi, quotidiana, transitante, attraverso una narrazione che utilizza elementi di cronaca domestica e privata, il cui contenuto e la cui costruzione sono ugualmente significativi all'interno di uno spazio dove si trasmettono dei pensieri che vanno al di là del tempo e lo spazio rappresentati. Gimelli scandaglia il mondo e lo ferma con l'immagine, tra il fotografico e la distorsione, l'occasione sopraggiunta, propizia, con la visione potenziata nel clima del colore piuttosto che nel segno, va alla ricerca del tempo perduto grazie a una creatività che fa aggallare interi mondi di recupero della memoria, attraverso materiali che sollevano il pensiero fra intervalli di tempo".
Sergio Gimelli (Milano, 1976), dopo la Laurea in Pittura, allievo di Stefano Pizzi, e in Nuove Tecnologie all'Accademia di Brera, la sua formazione artistica ha trovato continuità nella frequentazione dello studio dell'artista Marisa Settembrini portando maggiormente la sua ricerca verso la sperimentazione pur non tralasciando il suo interesse per il ritratto e la figura. (...) Ancora nel 2021 è presente con un'opera al Barriques Museum di Gibellina; è invitato a partecipare all'8a edizione della biennale del "Museo sotto le stelle" di Casoli di Atri curata dal Prof Giorgio Seveso (...)
Del 2021 e 2022 è la partecipazione presso la Casa Museo Sartori di Castel d'Ario (MN) nelle rassegne "Autoritratti e ritratti di personaggi illustri" e "Artisti per Nuvolari", entrambe curate da Arianna Sartori. Nel 2022 è anche presente con un nucleo di opere alla mostra "I ritmi delle tracce", a cura di Arianna Sartori e Carlo Franza, alla Galleria Sartori di Mantova e, invitato dal Prof. Pizzi alla realizzazione di un'opera per la mostra "Guerra alla Guerra!" promossa dall'Accademia di Brera. (...)
___ Monica Gorini | "Sperimentazioni visuali"
Plus Florence - Piano Arancio
Scrive Carlo Franza nel testo: "Installazioni, fotografia, performance, linguaggi multimediali e molto altro, sono il parlato visivo dell'artista Monica Gorini e del suo furore, del dono della creatività che si spinge verso un'estremizzazione del concetto di limite, di rapporto tra l'esistente e i significati che l'esistente mostra. Nel tracciato tra inconscio e conscio, il tramite è il mestiere, che ogni artista si fabbrica da solo, specie nella contemporaneità. L'artista è quasi obbligato, dalla sua stessa forza, a praticare il percorso della creazione, fino allora finita; da questo assunto occorre partire per leggere questa mostra che presenta una serie di disegni, di appunti, di studi, di idee. Beninteso, non che questi fogli siano da meno di opere finite, anzi si mostrano in tutta la loro freschezza e illuminazione. Sono a mio avviso opere compiute.
Linee, tracciati, esagoni, triangoli, cerchi, rettangoli, angoli, frattali, geometrie dell'universo, tutto si mostra in un linguaggio basato su ciò che percepiamo e che, secondo la scienza attuale, è molto diverso dalla realtà. La realtà atomica delle cose, di un oggetto, di un dipinto, di una scultura, di un foglio di carta è uno spazio nel quale si aggirano sistemi di particelle che poco hanno in comune con l'apparenza di ciò che vediamo. Monica Gorini con questi disegni esplora l'invisibile e lo traduce in materia, geometria e forme pittoriche.
Questi disegni della Gorini oscillano tra rigore scientifico ed emotività, tra logica e intuizione. La percezione del mondo vivente come rete di relazioni rende il ragionare in questa prospettiva la caratteristica fondamentale del pensiero sistemico. La Gorini con istinto e speculazione critica ha creato un proprio linguaggio, immagini vitali ma indefinite, diventate icone. Arte astratto-geometrica che si spinge, pur con una spiritualità contenuta, verso un costruttivismo utopico, costruttore di ordine e progetto".
Monica Gorini (Domodossola, 1967), diplomata all'Accademia di Belle Arti di Brera, ha da sempre affiancato all'attività artistica la formazione in ambito pedagogico didattico, collaborando con Università e Accademie, con Istituzioni legate al mondo dei non vedenti come U.I.C. Unione Italiana Ciechi e Istituto dei Ciechi di Milano. Tra le esperienze all'estero, in questo settore, si ricorda la partecipazione alla poster session della conferenza: "Multimodal approach to learning, creativity and communication" organizzata da Art Education for the blind di New York, e da Teachers College Columbia University, presso il Metropolitan Museum of Art di New York. È in questa occasione che l'artista ha esposto due sue sculture multisensoriali.
Monica Gorini, facendo tesoro dell'esperienza vissuta per molti anni con persone non vedenti, ha sviluppato una forma di espressione che si avvale di diversi linguaggi: pittura, scultura, fotografia, video e installazioni. Nel suo approccio cross-modale alla Natura, ossia con una interconnessione tra i sensi, molto vicini alla sinenstesia, il suo pensiero è olistico, c'è il riconoscimento di una intelligenza dell'Universo che unifica il Tutto e che coinvolge molti aspetti del sapere: matematici, botanici, filosofici, estetici, scientifici, poetici, persino spirituali.
Le sue opere, frutto di sperimentazioni, sono spesso accompagnate da testi poetici che compone in prima persona. Autodidatta in ambito fotografico, combina sovente riferimenti e materiali del proprio mondo poetico e onirico con teorie scientifiche e filosofiche riunendoli in un'unica forma di narrazione. Sensibilmente legata al mondo della natura e dei diritti è alla ricerca di un'estetica che stimoli anche riflessioni attuali ed intime, finalizzate allo sviluppo di una coscienza sociale e di una nuova ecologia spirituale del mondo Ha esposto sia in Italia che all'estero in mostre personali e collettive.
___ Andy Ceausu | "Mondi immaginari"
Plus Florence - Piano Quinto Verde
Scrive Carlo Franza nel testo: "Ancora una mostra di eccezionale progettualità e dimensione creativa, quella di Andy Ceausu costruita sul versante dell'arte digitale, il cui titolo "Mondi immaginari" ben movimenta e focalizza una realtà che si è fatta poesia, dopo essersi addentrata nella storia e nelle finestre del mondo, carpito quanto potesse essere utile alla formulazione di una nuova visione e ricreare nuovi mondi, nuove realtà, nuove finestre, nuove occasioni di spazio e di natura così che la poesia insufflasse una sorta di anima, di ribaltare e creare nuove illusioni, intervenendo pittoricamente, dopo aver filtrato e creato una distanza reale fra noi e i soggetti rappresentati.
Lavora in modo eccelso sulla classicità, su reperti antichi, motivando nuove citazioni, nuove costruzioni, nuovi spazi rivisitati, citazioni quasi pop, lasciando a noi proiezioni e interpretazioni. Questa mostra "Mondi immaginari" lascia muovere da una parte brillanti cromie e paesaggi visionari, ma anche trasfigurazioni di ardente intensità che lasciano catturare e mostrare uno stile pittorico quasi ermetico, spirituale, orfico. L'incontro del reale si mescola nella luce di iconografie fantastiche, evidenziando in Ceausu una personalità forte, potente, dove lo straniamento dell'immagine lo pone oggi fra le figure più significative del fare arte digitale. Ma i mondi sono soprattutto luoghi, capaci di immaginazione e poesia, e cogliere e mostrare, come sa ben fare l'artista, quelle segrete corrispondenze di ascendenza baudelairiana, creando un dialogo fra l'io e la realtà esterna.
Questi luoghi, tessere di memoria hanno, per sua capacità, di riscoprire la lingua delle cose, la voce degli elementi, renderli comprensibili attraverso la visione di ciò che essi sono, mondi nella loro pura essenza. Ancora una volta Ceausu s'è mostrato maestro di rilievo, fotografo e artista che miracolosamente ha posato l'occhio su un focus, su talune immagini, amate per cultura e poesia, intrecciando storia di ieri e di oggi, e ne è venuto fuori un libro visivo di straordinaria forza, un documento artistico prezioso e attualissimo".
Andi (Andy) Ceausu è un vignettista Israeliano, nato e cresciuto in Romania. Andy si è laureato in Ingegneria Elettrica nel 1987. Alla ricerca del modo migliore per esprimere idee umoristiche e spirito satirico, Andy ha scelto un linguaggio universale: i fumetti/vignette e le rappresentazioni grafiche in generale. Ha partecipato a mostre e concorsi internazionali, pubblicando vignette e illustrazioni su varie riviste. Negli ultimi anni ha spostato il suo interesse principalmente sulle mostre a tema. Le sue mostre personali sono incentrate in particolar modo sui fenomeni sociali, sulla cultura e sulla protezione dell'ambiente. Dal 2016 pubblica saggi umoristici e satirici su un giornale locale. Andy è membro dell'Associazione Israeliana Vignettisti dal 1994.
___ Mario Zappa | "L'incanto del paesaggio lombardo"
Pluce Florence - Piano Terra Beige
Scrive Carlo Franza nel testo: "Questa mostra parte e vuole essere come un primo evento di una serie che intendono celebrare Mario Zappa, artista brianzolo, per rendere omaggio all'artista lombardo scomparso il 31 dicembre 2017 a 94 anni. Uno deicaposcuola del paesaggio lombardo, maestro indiscusso. L'attività artistica di Mario Zappa, un pittore conosciuto per i suoi "grigi" e per essere stato indicato come il continuatore del naturalismo lombardo caratterizzato dalla pittura di Ennio Morlotti e di altri artisti che del paesaggio ne hanno fatto un emblema. Così si è espresso il Sindaco di Desio, Simone Gargiulo: "Mario Zappa, un pittore desiano conosciuto per le sue opere di "grigi" e per le rappresentazioni del naturalismo lombardo, capace di catturare i paesaggi locali offrendo, a chi li osserva, l'opportunità di poter apprezzare la bellezza dei luoghi attraverso il suo sguardo artistico".
Preziose le parole del Prof. Franco Cajani: "Ho conosciuto Mario Zappa, nella primavera del 1975, in occasione della sua personale, presentata dall'amico critico Carlo Fumagalli, presso la Galleria seregnese diretta da Olga Colombo. Allora registravo a suo favore "l'umore denso e materico che sta tra la concessione pittorica di un Morlotti e quella di un Dubuffet" sviluppando una propria ricerca soprattutto materica al lume dei lirici valori inconfondibilmente lombardi. Non posso esimermi dal ricordare il suo soggiorno parigino nella Mecca dell'Arte.
Zappa ha rivisitato i luoghi sacri ai grandi artisti francesi, respirato l'arte, violato le clausure degli impressionisti: dal quartiere di Montparnasse alla Cattedrale di Notre Dame, da Montmartre al Louvre. All'avvicinarsi dell'evento del Terzo Millennio, con il quinto volume della "Collana artisti contemporanei", per i tipi editi All'Insegna dell'Annunziata, registriamo che il lirismo di Zappa va di pari passo con quello poetico degli uomini del suo tempo perseverando nello studio e nella ricerca assidua del colore, accendendolo con un dato materico che il caleidoscopio della tavolozza fa trasparire con ascendenti di francesismo frutto dei suoi soggiorni "bohemiens".
L'intera articolazione delle tematiche affrontate dall'artista è varia, paesaggi, nature morte, ritratti, processioni e altro; ma è il paesaggio brianzolo a vivere e a raccontarsi in un tripudio di colori, che vanno dai rossi ai verdi, dai gialli ai blu, dai bianchi ai grigi, ecc. Quel che mi ha maggiormente colpito in tutti questi dipinti che raccontano la Brianza è quel dipingere alla maniera "informale" che già visse Morlotti fra gli anni Cinquanta e Sessanta, un descrivere il paesaggio a tocchi, a pennellate, in uno sfarfallio materico che aveva abbandonato ogni traccia di realismo.
Eppoi i titoli stessi dei dipinti mostrano e raccontano come la Brianza fosse diventata per l'artista la bandiera del vivere, il cuore della sua pittura, l'artifizio del suo procedere pittorico, così in "Paesaggio manzoniano", "Brianza", "Lago di Brianza", "Fiori sul lago di Oggiono", "Maggio in Brianza", "Lago di Lecco", "Alba in Brianza", "Carnevale in Brianza", ecc. E infine, tra i dipinti dell'artista, taluni in donazione al Comune di Desio, non può non sorprendere quel bel dipinto che ha titolo "Omaggio a Ennio Morlotti" del 2005 (olio su tela, 46x59cm). Quella di Mario Zappa non è stata solo una vita per l'Arte, ma un vivere l'arte lombarda, e un territorio come la Brianza, in modo quasi sacrale, consegnandoci una pittura che si è fatta storia del Nord e d'Italia".
Mario Zappa (Monza, 1924), allievo di Vittorio Viviani, negli anni '50 del secolo scorso, all'interno della "Libera Accademia di pittura" di Desio. Da subito ha ottenuto premi e riconoscimenti ai concorsi cui partecipava. Viene identificato, negli anni '60, come "Il pittore dei grigi". L'esperienza di partecipazione alla politica attiva desiana (1965-1970), in un periodo di forte contestazione studentesca e non solo, lo porta a riflettere e realizzare una serie di opere sul tema della "Condizione umana e sociale nell'Universo" (1969-1973). A metà degli anni '70, Zappa abbandona il colore grigio. Le opere diventano colorate, fortemente materiche, tanto che Ennio Morlotti lo indica, nel 1977, come suo degno erede e continuatore del "Naturalismo Lombardo".
Gli anni '80 sono dedicati alla rappresentazione della "Brianza" (campi, laghi, boschi, fiori, marcite) con un breve intervallo di opere dedicate a "Parigi" (1987). Gli anni '90 si identificano con una sola parola: "Divertimento". Costituiscono un vero e proprio spazio di ricerca sia per gli argomenti sia per le tecniche utilizzate (alternando la pittura ad olio con tecniche miste, la realizzazione di piccole sculture in creta e di incisioni xilografiche) e sia per l'uso di supporti diversi dalla tela (tra cui anche manichini di negozio e lastre di plexiglass).
Nei primi anni 2000, alla soglia degli 80 anni, Zappa si confronta con il tema dell'esistenza prendendo in prestito la Divina Commedia, dipingendo figure oniriche e paesaggi immaginari (2003-2005), e l'arte sacra con una serie di crocifissioni e deposizioni (2005-2007). Dal 2007 rivisita il paesaggio lombardo aprendo il periodo delle "Impressioni della memoria" e dal 2010 l'attenzione si concentra sul tema "Le Acque" dipingendo marine, scorci di lago, scorci di fiumi, marcite, temporali. Dipinge fino alla fine dei suoi giorni; muore il 31 dicembre 2017 a quasi 94 anni d'età. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, in Italia ed all'estero. (...)
___ Fulvio Marino | "Opere aperte"
Plus Florence - Piano Quarto Azzurro
Scrive Carlo Franza nel testo: "Lontana ormai da copie di natura, l'arte di Fulvio Marino vive e chiarisce le impressioni ottiche che sono di esperienze visuali, che si possono trasferire sulla tela semplificando, arricchendo di colori, rafforzando qualità immanenti del quadro, perché l'arte può essere capita come qualcosa di artificiale, come decisione emotiva o spirituale alla ricerca di un'armonia di vita. L'arte di Fulvio Marino pare quindi una citazione postmodern di quei nuclei astratto-geometrici che hanno anche declinato il secondo novecento.
Il pittore concentra l'immagine astratta, quasi un fuoco, piuttosto che disperdere, portandosi verso un punto che muove l'osservatore ad una visione totale, punto che conferisce ai quadri una grandezza immaginaria. I quadri iniziano da qualche parte e si spingono verso la fine della tela, mostrano la concentrazione frammentaria di un avvenimento, di un'idea, di una riflessione in crescita. Queste forme astratto-geometriche, votate a un'inclinazione informale che mi riporta a nomi illustri dell'arte italiana degli anni Sessanta, queste scansioni matematiche di spazi liberi di tolleranza tanto da far parlare di "opere aperte" spiegano un nuovo senso del possibile che deve esistere, esattamente come il senso del reale.
Esplosioni, eruzioni, paesaggi stellari, nebulose, spazi infiniti, fuochi d'artificio, tutto gioca su simmetrie e corrispondenze, e i percorsi, le tracce, la polpa materica generante, soggiacciono a una tensione emotiva che fa meditare il ripensamento e l'appropriazione di strutture spaziali, rendendo questo lavoro opera "in divenire", dove velo e materia, forza del segno ed equilibrio cromatico, grafie e tralicci compositivi, sono linguaggi personalissimi di una severa coscienza, architetture rigorose quanto palpitanti. Luce e colore, talvolta anche squillanti, fatti di travestimenti, insinuazioni, esplosioni, affermazioni atmosferiche, sono al servizio di queste costruzioni formali, e il processo di crescita via via arriva all'affermazione di timbri stellari, bloccati e raffreddati come un magma rappreso".
Fulvio Marino è un'artista contemporaneo con radici nella cultura urbana e un background accademico nel design. Sin da giovane, ha trovato nella street art e nei graffiti il suo primo mezzo di espressione, sperimentando con colori, forme e simbolismi che ancora oggi caratterizzano il suo linguaggio visivo. Dopo aver affinato il suo talento nelle strade, ha deciso di approfondire la sua conoscenza dell'arte e del design frequentando l'Istituto Europeo di Design (IED), dove ha esplorato nuove tecniche e materiali, ampliando la sua visione creativa.
Questa esperienza gli ha permesso di fondere la spontaneità dell'arte urbana con un approccio più strutturato e concettuale. Oggi, la sua produzione spazia dalla pittura alla street art, mantenendo sempre un forte legame con le tematiche dell'identità, della memoria urbana e della trasformazione degli spazi pubblici. Ha collaborato con progetti istituzionali che promuovono l'arte come strumento di dialogo sociale. Attraverso il suo lavoro, Fulvio Marino continua a esplorare il confine tra arte istituzionale e sperimentazione urbana, mantenendo viva l'energia e l'autenticità delle sue origini artistiche.
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___ Salvatore Spedifico | "Il simposio della bellezza"
Plus Florence - Salone delle Regole
In uno spazio ove alberga già il progetto "Scenari", a Firenze, è ospitata la mostra "Il simposio della bellezza" con opere dell'artista Salvatore Spedicato. L'esposizione, ideata e curata dall'illustre Storico dell'Arte Moderna e Contemporanea Prof. Carlo Franza, figura di piano internazionale, è una sorta di termometro della spettacolarità e della storicità dell'arte nuova, di un'arte che si fa veicolo di novelle idee scolpite nella cultura occidentale, di un'arte capace di rigenerare mondi e uomini, e si fa anche bussola in un mare di proposizioni della cultura e delle arti internazionali.
Scrive Carlo Franza nel testo: "E' grande scultore, nel forgiare il bronzo, modellare la pietra e l'argilla, come altrettanto lo è nel disegnare. Nel disegno Salvatore Spedicato, artista italiano e salentino, già docente e direttore dell'Accademia di Belle Arti di Lecce, è superlativamente un virtuoso, un impeccabile maestro di cultura occidentale, ma anche greca e romana. Qui si innesta la sua ricerca della bellezza, di quella grande piacevolezza descrittiva e di sicura professionalità, che lo hanno portato alle sue opere eccellenti, per la consumata abilità nell'incisione e la grazia dei soggetti femminili. Il suo stile si è sempre distinto per l'uso di linee fluide e delicate, con una particolare attenzione ai dettagli dei volti, dei capelli e dell'abbigliamento delle sue modelle.
Molto appartiene alla classicità, alla grecità, alla mitografia. Nella sua arte e ancor più nel suo disegno Salvatore Spedicato riusciva a catturare l'essenza e la grazia femminile, utilizzando colori tenui e giochi di luce. I suoi ritratti trasmettono, ancora oggi, un senso di raffinatezza e intimità, con una grande attenzione ai dettagli e una forte sensibilità estetica. Non si dimentichi che J. Joachim Winckelmann osservò: "La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e quieta grandezza, sia nella posizione che nell'espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l'espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un'anima grande e posata".
Certamente Salvatore Spedicato è grande scultore ma lo è altrettanto nell'arte del disegno, per via dell'essere dotato del "sentimento del bello" che non è poca cosa. E' così che oggi il suo procedere lo apparenta a quella grande compagine di scultori figurali o figurativi che annovera Manzù, Fazzini, Greco, Messina, Montanarini, e altri. Il sentimento e la poesia della Magna Grecia, quell'anima che virtuosa vive nelle forme, la cultura del mondo ellenico che si riversò sul Salento e alla quale Spedicato ha sempre aderito ad essa con intima spontaneità, enucleando via via in un linguaggio personalissimo, lirico, un prezioso e vero documento spirituale.
Paesaggi e figure femminili, una società raffinata leggibile nei panneggi, veneri della bellezza, santuari campestri, simboli e paesaggi bucolici della sua terra, oggetti e anfore, fontane greche, miraggi di cielo, terra e mare tradotti in scultura e in pittura, una mitologia quasi pompeiana filtrata dal suo cuore e dalla sua mente, tutto si sfoglia come radice e ornamento in un'atmosfera composita, impreziosita dalle innumerevoli possibilità di amplissime proporzioni del segno e del disegno, con la nostalgia della storia greco-romana e del mito universale dell'antico.
Segnatamente per gli aspetti esperienziali, nei suoi fogli vive sia l'esperienza poetica, che l'esperienza amorosa e l'esperienza politica del vivere. Questi tre campi, infatti, sono quelli più e meglio rappresentati nella pittura lirica simposiale che giunge nel suo lavoro, e, per quanto il ragionamento possa apparire circolare, proprio questa centralità tematica è spia dell'importanza ricoperta da poesia, amore e politica del vivere. La mostra diventa così evento storico di grande rilevanza, per un artista che è stato determinante nel Novecento e oltre e che ha lasciato, disseminate un po' ovunque, opere di virtuosa fattura, di incredibile bellezza".
Salvatore Spedicato (Arnesano, 1939) si forma nell'Istituto d'Arte "G. Pellegrino" di Lecce, acquisendo il diploma di maestro d'arte nel 1956. Dal 1960 è abilitato all'insegnamento in diversi istituti d'arte a Bari e nel Salento. Da citare la docenza presso l'Istituto d'arte di Parabita e la direzione della scuola serale di Disegno e Plastica "E. Maccagnani" di Lecce. Giudicato da una commissione composta dai maestri Luigi Montanarini, Raffaele Spizzico e Pericle Fazzini, dal 1971 sino al 2006 tiene la cattedra di Scultura presso l'Accademia di Belle Arti di Lecce, dove per quattordici anni (1979-1993) ne è autorevole direttore. Scultore attivo dal 1957, partecipa, a partire dagli anni Sessanta, a numerose rassegne nazionali ed internazionali, documentate da numerosi critici e storici dell'arte.
___ Eugenia Serafini | "Di rose e di fiori"
Plus Florence - Salone del Glicine
In uno spazio ove alberga già il progetto "Scenari", a Firenze, è ospitata la mostra "Di rose e di fiori" con opere di Eugenia Serafini. L'esposizione, ideata e curata dall'illustre Storico dell'Arte Moderna e Contemporanea Prof. Carlo Franza, figura di piano internazionale, è una sorta di termometro della spettacolarità e della storicità dell'arte nuova, di un'arte che si fa veicolo di novelle idee scolpite nella cultura occidentale, di un'arte capace di rigenerare mondi e uomini, e si fa anche bussola in un mare di proposizioni della cultura e delle arti internazionali.
Scrive Carlo Franza nel testo: "Di rose e di fiori", con questo bel titolo si apre la nuova mostra dell'illustre artista italiana Eugenia Serafini, coinvolgendo il suo fare e la sua creatività attorno a un tema che da sempre ha toccato il cuore, la mente e l'anima di tantissimi artisti italiani ed esteri. Il più famoso ritrattista della Belle Epoque francese, l'italiano Giovanni Boldini (1842-1931) amava sostanzialmente due cose, le belle donne aristocratiche e le rose. Il periodo più significativo della sua produzione artistica, che va dal 1880 al 1920 circa, vede la messa a punto di una tecnica pittorica molto personale, fatta di pennellate fluide e potenti che donavano una vitalità sofisticata alle donne ritratte, spesso in pose delicatamente seduttive, da rendere ciascuna d'affascinante moderna bellezza.
Tipiche quanto le sue famose pennellate sono anche le rose che l'artista spesso sceglieva di posizionare sulle stesse donne ritratte, come accento del loro fascino e come simbolo di sensualità femminile. Sono quasi sempre rose ibride di tè, una grande novità dell'epoca e "alla moda" quanto i vestiti dei suoi soggetti.Mi vien da pensare anche alla "Rosa Meditativa di Salvador Dalì, visto che il movimento pittorico surrealista sapeva ben coniugare realtà e sogno, e in questo famoso dipinto di Dalì, una grande rosa rossa fluttua sopra un paesaggio minimalista e scarno in contrasto con l'imperiosa voluttà del fiore e l'immensità del cielo.
Da sempre la rosa, nell'immaginario collettivo, è associata a significati e simbologie varie, può rappresentare, in base al colore, la passione e l'amore, la purezza, la vanità, la bellezza, la decadenza o la morte. La rosa nell'arte è simbolo dell'amore che trionfa, è legata al mito di Venere e Adone, indica i martiri e i tormenti che hanno subito, la rosa bianca simboleggia la purezza virginale. Vi è un'opera del pittore inglese Lawrence Alma Tadema, in cui la rosa è davvero protagonista, ha per titolo "Le rose di Eliogabalo".
Potrei aggiungere tanti altri nomi, ne aggiungo solo uno ed è quello di Elica Balla (Roma, 1914-1993), la minore delle due figlie di Giacomo Balla, quasi recluse nel variopinto ambiente della casa-studio del grande futurista, seguì le orme del padre nella pittura e nelle arti applicate, e che ci ha lasciato un bellissimo dipinto che ha per titolo "Rose". Coinvolgenti, spettacolari, cariche di vita e di speranza, ed anche di generosità, queste opere su rose e fiori di Eugenia Serafini sono un capitolo di grande passione per la bellezza e la vita di ogni persona. Sono anche una sorta di pittura augurale.
Mai dimenticata la tenue tonalità di quelle fiorescenze botaniche in questa serie di carte colorate, Eugenia Serafini sceglie spesso le forme vulcaniche e i colori intensi di queste rose nuove con un cuore "a spirale" un gesto della natura che forse ha ispirato non poco le sue personali pennellate, e fiori multipli, iris, petunie, papaveri, calle, rose bianche. L'artista esprime con tocchi veloci e attraverso colori meravigliosi e variopinti la bellezza dei fiori e la loro magnificenza, essi, tutti, sono il segno evidente della bellezza, di una natura incontenibile.
Fiori terrestri e fiori celesti, fiori e rose colte nella loro bellezza naturale e nella loro freschezza, attraverso svariati colori la Serafini ha inscenato una scena paradisiaca, unica, divina, magica, dove i fiori sono diventati parte principe di essa, capaci di farsi leggere dal tratto delle pennellate, spesso morbide, acquerellate; uno splendore toccante, non eterno ma ricco d'infinito, dove la realtà si tocca attraverso le ore della giornata, dalla mattina alla sera".
Eugenia Serafini, Docente universitaria, artista e scrittrice/performer, giornalista, si è laureata in Lettere Classiche all'Università La Sapienza di Roma ed è stata allieva del grande e illustre Natalino Sapegno. Figura complessa e interessante, è stata Docente di Storia dell'Arte dell'Accademia di Belle Arti di Carrara e dell'Accademia dell'Illustrazione e della Comunicazione Visiva di Roma, e dal 1999 Docente di Disegno dell'Università della Calabria. E' nata a Tolfa (RM), piccolo e attraente borgo etrusco, nel 1946 e il suo percorso culturale l'ha portata a diventare artista di spicco nell'arte contemporanea internazionale.
Poeta performer e installazionista, lavora da anni alla contaminazione intermediale e all'arte totale, utilizzando e fondendo gli apporti di diversi rami creativi: da quello visivo-digitale a quello teatrale, poetico e musicale che utilizza nella creazione delle sue installazioni performative. Direttrice editoriale dell'Artecom-onlus, ne ha ideato e dirige la Collana di Libri d'Artista e la Sezione per l'Ex-libris ed è responsabile delle rubriche di Arte e Letteratura Contemporanea della rivista FOLIVM. Numerose le sue pubblicazioni di saggi e monografie di artisti moderni e contemporanei.
Vanta una vasta produzione di scrittura creativa e libri d'artista. Una delle sue ultime pubblicazioni è il bellissimo volume di poesia visuale e performativa con CD delle sue Performances, "Canti di cAnta stOrie", Roma 2008, presentato dall'indimenticabile professor Mario Verdone che le è stato vicino per tanti anni nel suo percorso artistico ed esistenziale. Realizza da anni eventi di Cultura sul Territorio nella città di Roma ed eventi multimediali con partecipazioni internazionali di altissimo livello. (Estratto da comunicato stampa)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Opera di Pierluigi Ghidini nella mostra La biblioteca dei sogni
2. Opera di Sergio Gimelli nella mostra Storie di ieri e di oggi
3. Opera di Monica Gorini nella mostra Sperimentazioni visuali
4. Opera di Andy Ceausu nella mostra Mondi immaginari
5. Opera di Mario Zappa nella mostra L'incanto del paesaggio lombardo
5. Opera di Fulvio Marino nella mostra Opere aperte
6. Opera di Salvatore Spedifico nella mostra Il simposio della bellezza
7. Opera di Eugenia Serafini nella mostra Di rose e di fiori
Haori | Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone
12 aprile - 07 settembre 2025
MAO Museo d'Arte Orientale - Torino
Una singolare esplorazione della cultura materiale giapponese attraverso circa 50 haori e juban (le giacche sovrakimono e le vesti sotto kimono maschili), nonché alcuni abiti tradizionali da bambino, provenienti dalla collezione Manavello, in dialogo con installazioni di artisti contemporanei. La mostra non ha attualmente precedenti né in Italia né in Europa e si pone quindi come una novità assoluta nel panorama delle proposte aventi come tematica l'arte dell'estremo Oriente. Le raffigurazioni che decorano gli abiti presentati non sono solo esempi di preziosa manifattura, ma documenti e testimonianze che approfondiscono il Giappone del primo Novecento, un periodo cruciale segnato da trasformazioni sociali, culturali e politiche, tra modernizzazione accelerata e tensioni imperialiste. Nel percorso espositivo sono presentate opere di artisti contemporanei come strumenti di analisi e riflessione, invitando il pubblico a orientarsi in un'epoca storica di relazioni complesse tra Giappone, Cina e Corea ancora poco conosciuta in Italia.
Il progetto espositivo si avvale della consulenza curatoriale di Silvia Vesco (docente di Storia dell'Arte Giapponese presso l'Università Ca' Foscari di Venezia), Lydia Manavello, You Mi (curatrice indipendente e attualmente docente di Arte ed Economia all'Università di Kassel), in collaborazione con il Direttore del MAO, Davide Quadrio, e la curatrice Anna Musini, con l'assistenza di Francesca Corrias.
Svelare, non esibire, suggerire senza palesare. A questi principi si ispira la millenaria cultura giapponese che, sull'equilibrio in perenne divenire fra pieni e vuoti e sul senso dell'armonia, tesse ancor oggi la propria esistenza. L'abbigliamento concorre a definire i ruoli e gli spazi in cui si configura e si muove la complessa società nipponica; in questo contesto grande interesse ha sempre destato il kimono femminile, mentre l'ambito degli indumenti maschili è stato ancora poco indagato. Meno appariscenti ma assai interessanti, le vesti da uomo costituiscono, in realtà, una parte consistente del ricco apparato tessile giapponese.
Nell'eleganza austera del completo cerimoniale o nella sobrietà di un abito da vivere tutti i giorni, i kimono da uomo racchiudono e definiscono un universo che si rende accessibile solo nel contesto domestico o nel segreto di un incontro amoroso. A rivelare l'anima di chi li indossa sono i soggetti che impreziosiscono gli interni delle giacche o l'intera superficie dei sotto kimono: immagini seduttive o narrative, sempre sofisticate, abilmente tessute o dipinte, elaborate con minuzia o appena suggerite da qualche tratto d'inchiostro, raccontano la cultura del Sol Levante con riferimenti alla letteratura e all'arte della guerra, al mondo naturale e alla sfera divina.
Tradizionalmente considerati espressione dell'intimità quotidiana, gli haori e le juban presentati in mostra assumono un nuovo significato e diventano un'occasione per affrontare temi di grande attualità, fra cui le questioni legate all'espansione giapponese del XX secolo in Asia e alle implicazioni politiche e sociali che ne caratterizzarono il contesto storico. Tra queste anche la propaganda, affidata non solo ai tradizionali mezzi di comunicazione ma, in modo tanto sorprendente quanto pervasivo, proprio agli abiti, tra i quali anche quelli da bambino, cui è dedicata un'apposita sezione in mostra.
L'esposizione esplora, dunque, l'immaginario comune del Giappone in Occidente, ancora legato a una visione tradizionale e romantica, in contrapposizione alla percezione di un Giappone diverso, a tutt'oggi poco conosciuto, che è quello che trapela dagli abiti maschili; le immagini che li caratterizzano da un lato celebrano il mito dell'Occidente, dai plurimi volti, dall'altro mirano ad enfatizzare l'orgoglio nazionale nipponico, entrambe culminati nell'evoluzione tecnologica e nella strenua difesa della propria identità, prima e durante il secondo conflitto mondiale. Questa eredità, lungi dall'essere cancellata dal tempo, sopravvive ancor oggi in Paesi e realtà al di fuori del Giappone ma allora coinvolti, e di essa le installazioni e i video contemporanei in mostra offrono una tangibile testimonianza, arricchendo il racconto con riflessioni sul tempo passato e presente.
Fra i lavori all'interno del percorso espositivo il video A Needle Woman e le sculture Bottari di Kimsooja (Taegu, Corea, 1957), che indagano il rapporto tra individuo e società, con particolare attenzione all'idea di ibridismo culturale e linguistico, ponendo l'accento su come il nomadismo e la migrazione plasmino l'identità personale e collettiva; la grande installazione Kotatsu (J. Stempel) di Tobias Rehberger (Esslingen, Germania, 1966) che, unendo due tradizioni agli antipodi come quella giapponese e quella tedesca, affronta il tema della morte e della trasformazione. Infine il video Kishi the Vampire di Royce Ng (Hong Kong, 1983), che riscrive la storia di Kishi Nobusuke (primo ministro giapponese dal 1957 al 1960) come una storia di vampiri, utilizzando questo personaggio storico per proporre una rilettura fantastica dell'economia politica tra Giappone, Corea e Cina del XX secolo; a quest'opera fa eco il film Tungus, di Wang Tuo (Changchun, China, 1984) che tratta gli stessi temi attraverso una ricerca storico-artistica che intreccia fatti storici, archivi culturali, finzione e mitologia in narrazioni speculative.
In linea con la programmazione del MAO, la mostra è concepita come un organismo vivo e, per tutta la sua durata, presenta un programma musicale e performativo, a cura di Chiara Lee e freddie Murphy. A giugno 2025 sarà presentato il catalogo della mostra in lingua italiana e inglese, con saggi critici inediti e un ampio apparato iconografico, edito da Silvana Editoriale. (Comunicato stampa)
Alfred Eisenstaedt
13 giugno - 21 settembre 2025
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino
www.camera.to
Mostra inedita, a cura di Monica Poggi, che celebra in Italia il fotografo Alfred Eisenstaedt. Autore della famosa immagine "V-J Day in Times Square", in cui un marinaio bacia un'infermiera in mezzo a una folla festante al termine della Seconda Guerra Mondiale, Eisenstaedt è stato uno dei principali fotografi della rivista "Life", per la quale ha raccontato il mondo e la sua contemporaneità attraverso uno sguardo divertito e indagatore.
A trent'anni dalla sua morte e a ottanta dalla realizzazione del celebre scatto, l'esposizione curata da Monica Poggi presenta una selezione di 150 immagini, molte delle quali mai esposte, a partire dai primi scatti nella Germania degli anni Trenta, dove realizzò le inquietanti fotografie ai gerarchi nazisti, tra cui quella celeberrima a Joseph Goebbels. La mostra a CAMERA - la prima in Italia del 1984 - ripercorre tutto l'arco della sua carriera, passando dalla vita vertiginosa degli Stati Uniti del boom economico, al Giappone post-nucleare, fino alle ultime opere realizzate negli anni Ottanta.
Davanti al suo obiettivo ritroviamo anche personaggi come Sophia Loren, Marlene Dietrich, Marilyn Monroe, Albert Einstein e J. Robert Oppenheimer. Due sezioni della mostra sono inoltre dedicate all'importante reportage che Eisenstaedt realizza in Europa prima della Seconda Guerra Mondiale e a quello realizzato in Italia nel dopoguerra, dove i cartelloni stradali iniziano a cambiare le prospettive e i paesaggi, riflettendo le trasformazioni sociali ed economiche in corso.
Lo stile di Eisenstaedt si inserisce nella grande tradizione documentaria americana, ma si arricchisce talvolta di visioni poetiche, che richiamano la pittura dell'Ottocento - come negli scatti dedicati alle ballerine di danza classica dove risuona l'eco delle opere di Degas - oppure di arguta ironia, costruita tramite scenari stranianti che richiamano gli espedienti dell'arte surrealista europea. «Quando scatto una fotografia - affermava Alfred Eisenstaedt - cerco di catturare non solo l'immagine di una persona o di un evento, ma anche l'essenza di quel momento».
Nato nel 1898 a Dirschau, nella Prussia Occidentale (oggi Polonia), il suo primo approccio con la fotografia avviene durante l'adolescenza, quando uno zio gli regala una Eastman Kodak Nr. 3, che lo accompagna durante tutti gli anni di studio. Alla fine degli anni Venti, inizia a lavorare per l'Associated Press, a cui segue nel 1929 la pubblicazione delle prime immagini sulla rivista tedesca "Berliner Illustrirte Zeitung". Nel 1935, per fuggire alle leggi razziali, emigra negli Stati Uniti dove l'anno seguente inizia a collaborare con la celebre rivista americana "Life" con cui firmerà alcuni dei suoi servizi più conosciuti. Eisenstaedt muore nel 1995, all'età di novantasette anni, nella casa di villeggiatura sull'amata isola di Martha's Vineyard. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)
Olivetti e i fotografi della Magnum
Wayne Miller - Erich Hartmann - Henri Cartier-Bresson - Sergio Larrain
13 aprile (inaugurazione) - 26 ottobre 2025
Museo civico "P.A. Garda" - Ivrea
La mostra racconta una storia: la straordinaria collaborazione tra l'industria Olivetti e alcuni fotografi dell'agenzia Magnum nel corso del secolo scorso. L'Associazione Archivio Storico Olivetti conserva fotografie in originale, provini, diapositive e inediti carteggi di corrispondenza tra Giorgio Soavi (Ufficio Ricerche Pubblicità Olivetti) e l'ufficio parigino dell'agenzia, in particolare con il responsabile per l'Europa, Michel Chevalier. L'intreccio dei documenti cartacei e di quelli fotografici ha permesso ai curatori di mettere in luce molti aspetti, ancora inediti, della collaborazione avviata nel 1958 per la pubblicazione "Olivetti 1908-1958" e continuata per molta parte degli anni sessanta con documenti fino al 1970. Il percorso espositivo evidenzia l'importanza della fotografia come documento storico e visivo attraverso scatti che sono testimonianze della cultura, della visione sociale e industriale ma anche dell'innovazione tecnologica del medium fotografico.
In mostra opere di:
.. Wayne Miller (1918-2013) per il negozio Olivetti di San Francisco.
.. Erich Hartmann (1922-1999) per i negozi Olivetti di New York e di Buenos Aires, le fabbriche Olivetti in Argentina e Brasile e Harrisburg.
.. Henri Cartier-Bresson (1908 - 2004) per la fabbrica e le abitazioni Olivetti di Pozzuoli.
.. Sergio Larraìn (1931 - 2012) per le fabbriche Olivetti in Argentina e Brasile.
Ogni fotografo ha deciso il taglio dell'inquadratura, la scelta del soggetto da riprodurre, le modalità di ripresa, la composizione dell'immagine, la profondità, l'illuminazione e il contrasto. Sulle scelte artistiche personali influiscono altri fattori quali la tecnologia a disposizione, fattori ambientali impossibili da modificare per esempio in riprese esterne. La "singolarità" dello sguardo del fotografo, a volte, è poi anche influenzata da indicazioni del committente o da comportamenti del soggetto che viene ritratto soprattutto se si tratta di esseri umani.
La lente di ingrandimento sulla relazione Olivetti-Magnum permette anche di indagare procedure interne alla committenza Olivetti nell'affidamento degli incarichi, con indicazioni molto precise sui servizi fotografici da realizzare, le modalità di scelta delle stampe dai fogli provini, le finalità per le quali venivano richiesti tali servizi, i pagamenti. Protagonista emergente dai documenti è, ancora una volta, Giorgio Soavi, curatore di grandi progetti legati all'arte e all'editoria per Olivetti. Nel contempo, proprio sul finire degli anni Cinquanta, l'agenzia Magnum assume i connotati di una grande agenzia di fotografia che pubblicizza anche e soprattutto a livello commerciale l'attività dei suoi soci fotografi.
La mostra fa emergere anche l'esistenza di un Archivio fotografico Olivetti, di un Reparto fotografico interno e di una sistematica attività di riproduzione e catalogazione dei servizi fotografici di tutti i fotografi che lavorarono per la società Olivetti da parte dell'Ufficio Documentazione Fotografica. Lo studio dei carteggi e delle pubblicazioni si intreccia ai servizi fotografici, all'analisi delle stampe vintage, dei fogli di provini, dei negativi e dei servizi a colori in pellicola. Curatori della mostra e del catalogo sono Paolo Barbaro, Claudia Cavatorta, Paola Mantovani e Marcella Turchetti.
Gaetano di Tondo, Presidente dell'Associazione Archivio Storico Olivetti, così commenta Olivetti e i fotografi della Magnum: "Il filmato storico "Sud come Nord" di Nelo Risi e il grande plastico della fabbrica di Pozzuoli, appena restaurato, sono rappresentativi di scelte curatoriali multidisciplinari: esse offrono al pubblico un campione altamente significativo del valore del patrimonio culturale degli archivi del Novecento e rivelano una presa di distanza dall'idea di fotografia pura, esteticamente emozionante, ad alto godimento, ma sradicata dai suoi contesti di relazione. "Archivi negli archivi" che intersecano le vicende Magnum e vanno a comporre altri tasselli di un profilo culturale Olivetti che abbraccia anche la fotografia." (Estratto da comunicato stampa)
Renato Casaro
L'ultimo uomo che ha dipinto il cinema
11 aprile (inaugurazione) - 06 luglio 2025
Museo nazionale Collezione Salce - Treviso www.studioesseci.net
Omaggio a Renato Casaro, il re dei cartellonisti cinematografici, dedicandogli una delle Sale espositive della sede museale di San Gaetano, a Treviso. Nel 2024 il Maestro ha donato allo Stato italiano e per esso alla Direzione regionale Musei nazionali Veneto, Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso, un nucleo di opere da lui realizzate nel corso della sua pluridecennale carriera internazionale: disegni, bozzetti, manifesti e locandine.
"Quando Renato Casaro ci ha comunicato la sua decisione, afferma Daniele Ferrara direttore della Direzione regionale Musei nazionali Veneto, indicando come contesto culturale più adeguato a ospitare la testimonianza della sua arte il Museo Salce, dedicato all'arte della pubblicità, abbiamo naturalmente accolto la sua volontà, intitolandogli come omaggio e ringraziamento una sala. La Sala Renato Casaro accoglierà costantemente delle monografie tematiche del Maestro trevigiano. A curare queste monografiche sarà lo stesso artista con opere tratte da quelle donate al museo e dal suo archivio personale."
"Avremo così l'opportunità, davvero preziosa, afferma Elisabetta Pasqualin, che del Museo nazionale Collezione Salce è la direttrice, di approfondire la conoscenza di uno dei più originali cartellonisti del secondo Novecento italiano ed internazionale, e di seguire l'intero processo creativo delle sue opere, dai primi schizzi dettati dall'incontro-confronto di Casaro con i diversi registi, ai bozzetti, sino alle immagini di scena, al lettering che accompagna le immagini e infine alla distribuzione dei manifesti e delle locandine nella sale cinematografiche. Nonché alle diverse versioni del manifesto, che a seconda del paese di proiezione del film, poteva mutare soggetto e veste".
Sarà lo stesso Maestro, in una serie d'incontri con il pubblico a far rivivere il dietro le quinte di suoi capolavori, opere che sono diventate oggetto del desiderio dei collezionisti del settore e hanno fornito l'immagine, che è diventata memoria collettiva, a decine di film di successo della cinematografia italiana e di Hollywood.
Artigiano di genio, sin dagli esordi Casaro misura la sua arte con quanto Cinecittà e il cinema internazionale andavano proponendo. Via via il suo stile conquista i grandi registi: Jean-Jacques Annaud, Dario Argento, Marco Bellocchio, Ingmar Bergman, Bernardo Bertolucci, Luc Besson, John Boorman, Tinto Brass, Liliana Cavani, Francis Ford Coppola, Milos Forman, Costa-Gavras, Pietro Germi, Claude Lelouch, Ugo Liberatore, Sergio Leone, Sidney Lumet, Anthony Mann, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Alberto Sordi, John Sturges, Giuseppe Tornatore, François Truffaut, Carlo Vanzina, Carlo Verdone, Quentin Tarantino.
Firma l'immagine grafica di film popolari e serie come Trinità e Rambo o gli indimenticabili manifesti di capolavori quali I magnifici sette, C'era una volta in America, Amadeus, Il nome della rosa, Il tè nel deserto, L'ultimo imperatore, Nikita, Balla coi lupi e molti altri. Era stata la mostra monografica "Renato Casaro. L'ultimo cartellonista del cinema. Treviso, Roma, Hollywood" ad inaugurare il 12 giugno 2021 la nuova sezione del Museo Nazionale Collezione Salce, nella ritrovata chiesa di Santa Margherita. Mostra coronata da un grandissimo successo. Per questa sua prima monografica a tema, nella sede di San Gaetano, Casaro ha scelto di raccontare una parte forse più leggera ma sicuramente popolarissima della sua produzione, quella riservata alla commedia. Seguiranno poi western, fantasy, horror, classic/cult e molti altri. (Comunicato stampa Studio Esseci)
Nella JulietRoom di Muggia, spazio promozionale dell'associazione Juliet, la personale del fotografo sloveno Vukašin Šobot a cura di Elisabetta Bacci. La mostra, composta da circa venticinque fotografie, sarà introdotta da Elisabetta Bacci. Vukašin Šobot è fotografo, cameraman e regista indipendente con oltre vent'anni di esperienza nel campo della fotografia e quindici anni nella produzione video. L'apice della sua espressione viene toccato con la fotografia documentaristica e giornalistica. Nel suo curriculum vanta la partecipazione a oltre quaranta mostre collettive e ha realizzato circa nove mostre personali. L'autore è gallerista e curatore nella sua Galerija f 2,8 di Zagorje, uno dei rari spazi dedicati alla promozione della fotografia in Slovenia. Tiene, inoltre, workshops per fotografi oltre a essere anche videogiornalista.
In particolare, il progetto "De Profundis" che verrà presentato alla JulietRoom, è attualmente un work in progress. La mostra è composta da foto dove il soggetto è costituito da vari soggetti ripresi nell'atto di fumare ripresi all'interno di un contesto culturale oltre che nella normalità della vita quotidiana. Ogni singolo ritratto ferma il momento in cui si manifesta il piacere che i fumatori provano in ciò che stanno facendo, senza particolari segni di preoccupazione per la loro salute. Le foto non vengono incorniciate affinché il fumo possa trovare anche un piccolo foro per scivolare via o debordare dai perimetri della foto.
Nella sequenza di queste immagini, la centralità della narrazione risiede nella capacità da parte dell'autore di tradurre la percezione ottica del singolo soggetto, per trasformare il semplice sguardo sulla realtà, in rappresentazione. Nel giocare, per esempio, nei dettagli espressivi su un volto o sulle nuvole di fumo, queste fotografie divengono allora processo di conoscenza per l'autore e per chi le guarda, in una tensione di rimandi e di richiami di responsabilità. (Comunicato stampa)
Immagine:
Vukašin Šobot, immagine dal progetto "De Profundis", stampa fotografica, work in progress
___ Puoi proseguire con la seguente mostra promossa da "Juliet" e presentazione del volume
19 marzo - 19 dicembre 2025
AD FORMANDUM - Trieste Presentazione
Le parole risuonavano con incoraggiante semplicità
di Roberto Vidali, postfazione: Gabriele Perretta, pagg 206, Juliet Editrice, settembre 2024 Presentazione
Da AD FORMANDUM (società cooperativa sociale / socialna zadruga), la mostra con le opere di sette artisti. Questa proposta è indice di un confronto tra autori diversi per formazione e per provenienza geografica, e di cui negli anni la rivista JULIET ha seguito il percorso artistico e ne ha promosso il lavoro per mezzo di progetti editoriali ed espositivi di varia natura. Sebbene questi autori, di primo acchito, sembrino rispondere a istanze emotive distanti fra loro, in seconda battuta denotano, tuttavia, nel loro linguaggio espressivo delle note comuni legate alla dinamica di un canto cromatico molto articolato e vivace. Nessun azzeramento, quindi, né rarefazione concettuale che possa farci pensare alla pittura sottrattiva degli anni Settanta è riscontrabile nelle opere esposte all'interno degli spazi del Centro di formazione AD FORMANDUM.
Ricordiamo i nomi degli autori che ritroveremo all'interno di questo percorso: Elisabetta Bacci, Nino Barone, Massimo Barzagli, Carlo Fontana, Ferdy Poloni, Antonio Sofianopulo, Oreste Zevola. Un insieme di opere di grandi e piccole dimensioni saranno quindi disposte in dialogo serrato dove un colore richiamerà quello contermine e una campitura si manifesterà come perimetro di un mondo sconosciuto e il segno diverrà vocabolo primario e primigenio. Questo progetto sarà presentato da Roberto Vidali, direttore della rivista d'arte "Juliet". A fine serata seguirà un rinfresco organizzato dagli allievi del corso di tecniche di cucina e operative per il servizio sala e bar, coordinati dagli insegnanti della scuola alberghiera. La mostra è promossa dall'Associazione Juliet. (Comunicato stampa)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Elisabetta Bacci, "Untitled", dal ciclo Light Square del 2021, acrilico su tela cm 100x100 / 50x50 / 25x25, installazione realizzata nel giugno del 2024 a Banja Luka, Photo credit: Borislav Brezo, courtesy of Banski Dvor
2. Oreste Zevola, pittura a tempera su tela a grana sottile, 2010
3. Carlo Fontana, Due cerchi 2012, pittura alchidica su tela, cm 100x150
Joseph Kosuth
"The Question"
inaugurazione il 10 aprile 2025
Galleria Lia Rumma - Napoli www.liarumma.com
La nuova importante mostra personale di Joseph Kosuth, che segna il ritorno dell'artista in città. L'artista americano Joseph Kosuth (Toledo/Ohio, USA, 1945), considerato uno dei pionieri dell'Arte Concettuale, che ha da poco festeggiato il suo ottantesimo compleanno con varie mostre organizzate tra Europa e America (Sprüth Magers, Londra (gennaio-marzo 2025); Sean Kelly, New York (marzo-aprile 2025)), torna ad esporre a Napoli confermando la solida e duratura collaborazione con Lia Rumma che nel 1971 ha aperto la sua galleria proprio con Kosuth, con una installazione passata alla storia: L'Ottava Investigazione (A.A.I.A.I.) proposizione 6.
In questo nuovo progetto espositivo, Kosuth ritorna a riflettere sul concetto di "tempo" che prende avvio da un'urgenza sia personale che filosofica. Una riflessione che assume la forma di una indagine sul processo di produzione di significato nella sua pratica artistica, presentando una serie di lavori realizzati in vari momenti della sua carriera. Perché come scriveva Borges: "Se lo spazio è infinito, siamo in qualsiasi punto dello spazio. Se il tempo è infinito, siamo in qualsiasi punto del tempo".
'The Question', oltre ad essere il titolo della mostra, rimanda anche ad un nuovo lavoro del 2025: un grande orologio a parete su cui compare la frase Suppose no one asked a question, what would be the answer ("Se nessuno facesse una domanda, quale sarebbe la risposta", citazione del 1928 della scrittrice americana Gertrude Stein). Il tempo è così citato sia letteralmente (con le lancette che segnano un'ora scelta dall'artista) che figurativamente attraverso un rimando ad un altro autore. Ma la presenza di un orologio analogico (nell'installazione del 1971 da Lia Rumma ce n'erano 12), si ritrova in altri due lavori della serie "Existential Time" (2019), questa volta accompagnati da due citazioni al neon di George Eliot e James Joyce, nei quali Kosuth tende a sottolineare la mancanza, i limiti e la sovrabbondanza di significato che circonda l'esperienza del tempo e della vita, esplorando il presente, la sua potenza e il suo spazio circoscritto.
In mostra anche One and three Rakes (1965) con il quale si fa un salto indietro nel tempo e si ritorna alle "Proto-Investigazioni" degli anni 1965-'66. Un lavoro iconico che presenta, accostati, l'oggetto reale (il rastrello), una fotografia del rastrello e la sua definizione tratta da un dizionario che descrive il termine in tutti i suoi vari significati. Assemblando un oggetto, una fotografia di quell'oggetto e una definizione ingrandita tratta da un dizionario, Joseph Kosuth mette lo spettatore di fronte alla complessità di un sistema linguistico tanto più articolato quando si confronta con quello dell'arte. «L'arte che chiamo concettuale è tale perché si basa su un'indagine sulla natura dell'arte - ha sottolineato più volte Kosuth -. Fondamentale per questa idea di arte è la comprensione della natura linguistica di tutte le proposte artistiche, siano esse passate o presenti, e indipendentemente dagli elementi utilizzati per la loro costruzione».
Joseph Kosuth è uno dei pionieri dell'arte concettuale e dell'arte installativa, iniziando negli anni Sessanta con opere che indagano il linguaggio e le strategie di appropriazione. Il suo lavoro ha esplorato coerentemente la produzione e il ruolo del significato all'interno dell'arte. La sua oltre cinquantennale indagine sul rapporto tra linguaggio e arte si è manifestata attraverso installazioni, mostre in musei, commissioni pubbliche e pubblicazioni in Europa, le Americhe e l'Asia. Kosuth ha partecipato tra l'altro a sette Documenta e quattordici Biennali di Venezia una delle quali presentata al Padiglione Ungherese (1993).
Tra i riconoscimenti possiamo citare il Brandeis Award del 1990, il Frederick Weisman Award del 1991, la Menzione d'Onore alla Biennale di Venezia del 1993 e il titolo di Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres assegnatogli nel 1993 dal governo francese e nel 1999 lo stesso governo ha emesso un francobollo da 3.00 Franchi in onore del suo lavoro a Figeac. Nel 2001 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Lettere e Filosofia dall'Università di Bologna. è del 2003 la Croce di Cavaliere di Prima Classe al Merito della Repubblica d'Austria, il massimo riconoscimento nelle scienze e nelle arti.
Nel 2012 Kosuth ha ricevuto la Classe des Arts de l'Academie Royale dall'Accademia Reale delle Scienze, Lettere e Belle Arti del Belgio. Nel 2015 l'Instituto Superior de Arte dell'Università di L'Avana gli ha conferito un Dottorato Honoris Causa durante la XXII Havana Bienial dove ha esposto una grande installazione alla Bibiolteca Nacional. Nel 2025, riceve un Diploma Honoris in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo dall'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. (Estratto da comunicato stampa)
Immagine:
Joseph Kosuth, The Question (G.S.), 2025, (project)
Giubileo di luce di Helidon Xhixha
Una Croce d'acciaio ed altre sculture per l'Abbazia di San Galgano
12 aprile (inaugurazione) - 30 settembre 2025
Abbazia di San Galgano - Chiusdino (Siena)
www.xhixhahelidon.com | www.morinostudio.com
Il Giubileo 2025 si illumina di una nuova luce grazie all'arte di Helidon Xhixha, celebre scultore italo-albanese, che sceglie l'Abbazia di San Galgano per un'installazione monumentale in acciaio inox. Un luogo mistico e affascinante, un artista visionario e un tema universale: la Luce. Helidon Xhixha presenta "Luce Divina", un'opera monumentale che unisce spiritualità e modernità attraverso una croce d'acciaio di sette metri che interagisce con la luce naturale, trasformandosi in un simbolo di fede, speranza e riflessione.
La mostra, promossa dal Comune di Chiusdino e dalla Fondazione San Galgano, con il contributo della Camera di Commercio di Arezzo-Siena, è stata ideata e curata da Carlo Pizzichini. L'inaugurazione sarà accompagnata da un suggestivo concerto per pianoforte e violoncello, con Kristina Petrollari al piano e Dorina Laro al violoncello, che eseguiranno musiche di Faure, Beethoven, Chopin, Gluck, Piazzolla. Questa straordinaria celebrazione è pubblica e un'occasione unica per immergersi nella bellezza della luce, dell'arte e della musica in un luogo senza tempo.
Helidon Xhixha (Durazzo, 1970) è uno scultore di fama internazionale, noto per il suo uso innovativo dell'acciaio inox lucidato e la capacità di creare opere che dialogano con lo spazio e la luce. Le sue installazioni monumentali sono state esposte in prestigiose sedi internazionali, da Dubai a Venezia, da Londra a Miami, e ora trovano in San Galgano un luogo di profonda ispirazione e contemplazione.
Xhixha è rimasto colpito dal fascino mistico dell'Abbazia di San Galgano, una chiesa gotica senza tetto, immersa nel verde delle colline senesi. Un luogo in cui il cielo diventa volta celeste, dove spiritualità e natura si fondono. L'artista ha scelto questo sito per il forte valore simbolico: decadenza e rinascita, storia e modernità, fede e arte si incontrano in un dialogo visivo che invita alla riflessione. Tutte le opere sfruttano la luce naturale per creare un'esperienza immersiva, coinvolgendo i visitatori in un viaggio tra arte, storia e spiritualità.
Luce Divina: la Croce d'Acciaio: posizionata accanto all'Abbazia, la croce in acciaio inox lucente di sette metri riflette la luce solare, amplificandone l'intensità e creando un dialogo visivo con la spiritualità del luogo. L'opera si inserisce in un contesto ricco di storia e sacralità, accogliendo i pellegrini con i suoi bagliori che richiamano il trascendente e l'infinito. L'opera si lega idealmente alla leggenda di San Galgano, il cavaliere convertito in eremita che conficcò la spada nella roccia presso la vicina Cappella di Montesiepi, simbolo di pace e rinuncia alla guerra. La croce contemporanea di Xhixha riprende questa simbologia, trasfigurandola in un faro luminoso di riflessione e spiritualità.
Accanto alla croce, l'esposizione si arricchisce di ulteriori sculture in acciaio inox, posizionate in diversi punti dell'Abbazia: Baia di Luce, Reflexes, Venere e Piramide di Luce: installate tra le maestose navate dell'Abbazia, creano un suggestivo gioco di riflessi e forme, moltiplicando l'effetto delle arcate gotiche e la fusione tra architettura e natura. Inner Peace: collocata nella sacrestia restaurata, rappresenta la ricerca della pace interiore e della spiritualità nel silenzio del sacro. Le opere di Xhixha, grazie alla loro capacità di riflettere l'ambiente circostante, coinvolgono lo spettatore in un'esperienza immersiva, trasformando il visitatore in parte integrante dell'installazione. (Estratto da comunicato stampa Morino Studio di Morino Laura Maria)
Il teatro del quotidiano
Giacomo Francesco Cipper "Tedesco"
12 aprile - 14 settembre 2025
Castello del Buonconsiglio - Trento
www.studioesseci.net
Un'ampia, documentata mostra incentrata su un artista, Giacomo Francesco Cipper (Feldkirch, 1664 - Milano, 1736) comunemente noto come il Todeschini (ma firmava i suoi quadri semplicemente come "Tedesco") le cui opere sono patrimonio dei maggiori musei europei e delle più importanti collezioni d'arte antica, ma sul quale si continuano ad avere più interpretazioni - talvolta suggestive - che reali certezze. Con il titolo "Il teatro del quotidiano", la mostra, a cura di Maria Silvia Proni e Denis Ton, riunisce opere provenienti da una grande raccolta privata milanese e da diversi musei italiani e stranieri e altri collezionisti.
"Non è una monografica pura - sottolineano i curatori - ma propone, accanto ad un vasto corpus di opere del maestro, attivo per lo più a Milano nei primi decenni del Settecento, diverse tele di artisti del contesto, in particolar modo lombardo, che hanno influenzato Cipper o da questi ne hanno tratto ispirazione: Antonio Cifrondi, Felice Boselli, Monsù Bernardo, il Maestro della Tela Jeans, Giacomo Ceruti. Con primizie assolute, come un inedito Ritratto di pellegrino di Ceruti e una versione poco nota della Filatrice di Pietro Bellotti. Accanto ai dipinti vengono esposti talvolta oggetti che aiutano a capire la concretezza e il legame del pittore con la cronaca e la materia: strumenti musicali, bussolotti da elemosina...".
Di certo Giacomo Francesco Cipper o, alla tedesca, Zipper, fu un artista vulcanico. Dipingeva, con anticonformismo e libertà di tratto, scene di vita quotidiana, di cronaca vera. Popolani al mercato, contadini, ambulanti, vagabondi, mendicanti, zuffe o lezioni di musica, arti e mestieri, giocatori di carte e morra. Tutti protagonisti su un palcoscenico, quello della vita, dove ad essere rappresentata non è la desolazione ma la vitalità e il divertimento.
In queste sue "istantanee" Cipper riesce a cogliere ovunque un movimento e un sorriso, vita non tristezza. In ciò distinguendosi dagli altri pittori di "Pitocchi" e dallo stesso grande Giacomo Ceruti, che pur conosceva vivendo entrambi nello stesso quartiere di Milano. "Le scene di vita quotidiana e le nature morte di Cipper incontrano il gusto della committenza italiana ma non solo. Entrano così a far parte delle raccolte di molte grandi famiglie e casate, in area lombarda e italiana innanzitutto,
Nonostante le scene umili, spesso i suoi committenti e collezionisti erano di rango elevato. Una Lezione di musica, già nel Settecento nella residenza inglese di Richard Temple a Stowe sarà presente in mostra. Le sue invenzioni sono apprezzate anche in Austria e Germania, Cecoslovacchia, Polonia e persino in Russia. Sono dipinti che colpiscono per il loro realismo, per la capacità di racconto, quasi ad anticipare il moderno fotogiornalismo, ma anche per l'ironia, la benevolenza, la positività dello sguardo con cui l'artista coglie le situazioni. Cipper racconta la miseria ma non indulge sull'abbruttimento.
Il successo porta l'artista a "riscrivere" i suoi dipinti e stimola altri artisti, meno fantasiosi e dotati, ad ispirarsi ad essi o copiarli. Per questo ancora oggi il mercato è invaso da opere attribuite al maestro, inquinandone la grandezza e la figura. Che questa importante mostra intende mettere correttamente a fuoco. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI, Sergio Campagnolo)
Nonostante insista sui soggetti inanimati, la natura morta è un genere pittorico tutt'altro che passivo. Lungo la storia dell'arte, è stata al servizio di messaggi etici ed edificanti, come nelle vanitas olandesi, ricche di allegorie sulla fugacità della vita e sull'impermanenza; o, ancora, il genere è stato precursore della rottura con la pittura tradizionale, con il collasso della prospettiva all'avvento del contemporaneo, presagito dalla sensazione di movimento data dalla luce che si posa sulla buccia di una mela.
Gli artisti a un certo punto, attraverso questo moto, scoprirono che la natura morta, con la sua rappresentazione apparentemente oggettiva, era in realtà il mezzo ideale attraverso cui esplorare la vera controparte della realtà - il suo sostrato, i suoi difetti e i suoi contorni irregolari. Da qui proviene la mistica di Giorgio Morandi, la cui semplicità pittorica, fatta di pose fuori fuoco di oggetti quotidiani sui tavoli, dai volumi caratteristici e dalle palette austere, tradisce la natura fittizia della percezione.
Melissa Brown si inserisce nel solco di questa tradizione di nature morte concepite per mettere alla prova l'esperienza del reale. Le sue opere sono manifestazioni di ricordi duplicati più volte - lei stessa le definisce "le mie impressioni della memoria". Muovendosi a più direzioni tra osservazione, reminiscenza e documentazione fotografica dei luoghi (in tempi recenti la città di Trento, situata nel Nord Est italiano, sul fiume Adige, alle pendici delle Dolomiti), Brown compone tableaux che sono al contempo centrati e dislocati rispetto al soggetto. Nei lavori della serie Flower Games, i fiori tracciano il percorso, dall'impressione iniziale alla rappresentazione pittorica.
Mentre Brown inizia a dipingere i gigli in "Door to the Inner Chamber" (2024), le piante perenni, amanti dell'estate, lasciano il passo alle ortensie, dipinte in altre opere. Ai fiori selvatici e alla flora alpina di Trento si intervallano i fiori recisi che crescono nel suo cortile, ricomposti nei vasi. A ciò si aggiungono altri elementi caratteristici delle composizioni di Brown, che, come nelle serigrafie, appaiono giustapposti, strato dopo strato. Carte, specchi e simboli legati alla futura sorte suggeriscono un gioco di prestigio finale.
In un mondo in cui la maggior parte delle immagini è determinata da un algoritmo, dove così poco spazio è lasciato al caso, ogni minima traccia di mistero prende i contorni del sogno. Di fronte alle opere di Brown, comunque, siamo testimoni non tanto della riflessione di uno stato subconscio, quanto invece dell'unione di molteplici modalità di risveglio. L'artista condivide la serietà con Morandi e la dimensione metafisica con Carrà e de Chirico, ma la sua fissazione rimane legata al fenomeno reale. Nell'opera "The Conversation" sottili steli di fiori digitali spuntano da una tazza di ceramica dipinta, affiancata da due sculture antiche, che si stagliano sullo sfondo giallo di un soffitto voltato.
Ogni elemento è tratto da un segmento della vita dell'artista: i fiori a trombetta provengono fortuitamente da un vivaio all'aperto del New Jersey, vicino a casa di sua zia; la tazza, classico esempio del gusto kitsch americano, è dell'artista; e le figure di bronzo sono state fotografate da Brown l'estate scorsa, durante la visita al Castello del Buonconsiglio di Trento. Una piccola finestra rettangolare si apre su un gradente di cielo, di un blu caramella filante, che non fornisce nessun indizio sull'ora del giorno. L'uso della pittura vinilica Flashe su dibond, la sua tecnica caratteristica, permette a Brown di congiungere questi frammenti narrativi in maniera atemporale.
Non c'è da meravigliarsi se Brown trova ispirazione nel Castello del Buonconsiglio, che già di per sé è una sorta di collage. Eretto nel XIII secolo come sede del principe vescovo che governava la città, il castello fu poi usato come caserma militare, e infine trasformato in carcere, prima dell'ultimo e definitivo restauro avvenuto negli anni Venti del Novecento. Osservandolo dalla strada, sembra che gli elementi architettonici caratteristici dei vari periodi e i loro slittamenti stilistici si affastellino su di esso come una barriera corallina, a partire dalle fortificazioni medievali, fino agli affreschi tardo-gotici e rinascimentali. Le sue molte vite sono testimoniate dalle variegate collezioni del museo del castello, che annoverano oggetti d'uso comune, ornamenti, mappe, monete e altri artefatti, una selezione dei quali è riprodotta nelle opere di Brown; ad esempio, un calice di Murano dell'inizio del XVI secolo nell'opera "Prince's Goblet" (2024).
L'artista re-immagina il vessillo ornato riempito da un bouquet di pallide rose gialle, le stesse che punteggiano i giardini del castello. Queste "nature morte impossibili" - queste le parole dell'artista - sono frammenti di tempo sovrapposti, che si coalizzano nella sua mente e si traducono nella composizione finale. Segmenti di passato, presente, futuro, con il dominio atemporale della memoria, selezionati e ri-assemblati, giacciono sul piano pittorico. I tarocchi, motivo ricorrente nella vita e nella pratica di Brown, appaiono spesso nel suo lavoro, portando la consapevolezza che esistiamo solo nello spazio creato dall'intersezione fra queste realtà. Così, le cime del Monte Bondone fanno capolino da un groviglio di campanule colorate, appena colte dal suo giardino, dispiegandosi come girandole da un vaso da fiori poggiato su una carta degli Arcani minori - il seme è di spade, simbolo di impeto e di arguzia: nonostante non se ne riesca a leggere distintamente il numero, è un invito a ricordarci del nostro destino.
Trento è spesso chiamata la "città dipinta", grazie alla ricchezza degli affreschi, soprattutto rinascimentali, che adornano all'interno e all'esterno le case e gli edifici storici, come il Castello del Buonconsiglio. Questo aspetto deve essere stato irresistibile per un'artista affascinata dall'architettura della soggettività - la realtà non è come è, ma come la si vede. Se nel nostro tempo la maniera più frequente di relazionarsi con gli altri avviene attraverso la nostra immagine, producendo continuamente versioni alternative di noi stessi, l'eccellenza di Brown consiste nell'immaginare le molteplicità degli altri. L'artista ha la capacità di trattenere nella sua mente centinaia di angolazioni della stessa veduta. Amici e sconosciuti le chiedono consigli. Forse è per questo che, quantunque sia improbabile e costruito, l'universo dei suoi dipinti non sembra straniante e innaturale: perché lei crede che sia possibile.
Melissa Brown ha visitato Trento all'inizio dell'estate 2024. Il mondo è già cambiato molto da allora, ma presto le zinnie fioriranno ancora. Il castello rimane inalterato, immerso in un inesplicabile tepore, riflesso sottosopra dentro una sfera di vetro. I portoni pesanti, le sale affrescate, l'ombra degli alberi - tutto è esattamente come lo ricorda. (Valentina Di Liscia)
Niele Toroni
Impronte di pennello n. 50 - Dal 1959 al 2024
15 marzo (inaugurazione) - 17 agosto 2025
Museo Casa Rusca - Locarno
www.aarteinvernizzi.it
In concomitanza e in collaborazione, il Museo Comunale d'Arte Moderna di Ascona presenta la mostra "Omaggio a Niele Toroni e Harald Szeemann", a cura di Bernard Marcadé (15 marzo (inaugurazione) - 11 maggio 2025). Niele Toroni (Muralto, 1937), tra le figure più rilevanti dell'arte contemporanea svizzera e internazionale, è il protagonista della nuova grande retrospettiva del Museo Casa Rusca. Emigrato a Parigi nel 1959, Toroni ha esposto in istituzioni di prestigio come il Centre Georges Pompidou di Parigi e il MoMA di New York, ricevendo riconoscimenti di rilievo quali il premio Meret Oppenheim (2012) e il Rubenspreis (2017), che testimoniano la sua profonda influenza nell'ambito artistico globale. Tuttavia, in Ticino il suo lavoro è rimasto sorprendentemente poco conosciuto, nonostante il suo legame profondo con la sua terra di origine.
Questa mostra, a cura di Bernard Marcadé, rappresenta dunque un'occasione unica per riscoprire Niele Toroni attraverso la prima esposizione a lui interamente dedicata in un museo della Svizzera italiana dal 1991. In mostra si ripercorrono le sei decadi della sua carriera, dalle prime opere degli anni Cinquanta fino alle più recenti, mettendo in luce l'evoluzione del suo linguaggio e la sua visione innovativa della pittura. Accanto a lavori iconici, saranno presentate anche opere più intime e inedite, fondamentali per comprendere lo sviluppo e la profondità del suo approccio artistico.
A partire dal 1967, Niele Toroni adotta una metodologia rigorosa: l'applicazione di "impronte di pennello n. 50 ripetute a intervalli regolari di 30 cm", su superfici e contesti differenti, e soggette a variazioni cromatiche. I suoi dipinti si estendono su una vasta gamma di supporti: dalla tela alla tela cerata, dal vetro al legno, dal cartone alla carta di giornale, dagli spartiti musicali ai tessuti fino alle pareti degli edifici, instaurando un intenso dialogo con il contesto architettonico.
La mostra invita il pubblico a confrontarsi fisicamente con un'opera che, pur nel suo approccio radicale e innovativo, mantiene una potenza visiva straordinaria. Un'occasione per entrare nell'universo di un artista che, con un linguaggio essenziale, ha saputo mantenere una coerenza e una forza espressiva in grado di attraversare decenni senza mai tradire la sua essenza. In concomitanza con la retrospettiva, viene presentata una monografia che raccoglie testi dell'artista, per la prima volta tradotti in italiano, edita da Casa Rusca e da Edizioni Casagrande. Un'ulteriore celebrazione della sua figura si tiene in collaborazione con il Museo Comunale d'Arte Moderna di Ascona, che presenta una mostra omaggio a Niele Toroni e Harald Szeemann, evidenziando il sodalizio unico tra due protagonisti indiscussi della scena artistica internazionale. (Comunicato stampa)
Pino Musi
"Phytostopia"
05 aprile (inaugurazione) - 14 settembre 2025
Rolla.info - Bruzella (Svizzera) www.rolla.info
"Nel 2021, durante il periodo della pandemia Covid-19, ho fotografato in Francia, Belgio e Italia alcuni 'muri vegetali' che non avevano ricevuto manutenzione, ed una serie di situazioni altrettanto bizzarre nella loro forma, quanto inquietanti, dove la vegetazione ha modificato un apparente equilibrio fra natura, cultura e habitat." Pino Musi Phytostopia è la ventiquattresima mostra della Fondazione Rolla. Le undici opere esposte provengono dall'archivio di Pino Musi e dalla collezione privata di Philip e Rosella Rolla. In catalogo un saggio dello storico e teorico del paesaggio Michael Jakob e un breve testo di Pino Musi.
Pino Musi é fotografo e artista visivo con base a Parigi. Il suo lavoro ha intersecato molteplici aree d'interesse come l'antropologia, l'architettura, l'archeologia o, ancora, l'industria. Le opere fotografiche di Pino Musi sono presenti in collezioni private e pubbliche, tra cui la Collezione Rolla, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la Fondazione Modena Arti Visive, la Fondazione di Sardegna, il Frac Bretagne, la Fondazione MAST di Bologna, la Art Vontobel di Zurigo, il Canadian Centre for Architecture di Montréal. Sono stati pubblicati finora ventisette libri con sue opere.
Michael Jakob è professore di lettere comparate all'università di Grenoble e di storia e teoria del paesaggio presso l'Accademia di Architettura di Mendrisio e la Graduate School of Design (Harvard University). Saggista, curatore internazionale di mostre e autore di documentari, ha pubblicato da ultimo La Leda scomparsa (Silvana Editoriale). (Comunicato stampa)
Immagine:
Pino Musi, Phytostopia #01, 2021/2025, stampa digitale fine art cm 128.8x92
Bianco al femminile
Sei secoli di capolavori tessili dalle collezioni di Palazzo Madama
26 febbraio 2025 - 02 febbraio 2026
Palazzo Madama - Sala tessuti - Torino
www.palazzomadamatorino.it
Un'esposizione che racconta la stretta connessione, materiale e simbolica, che lega il bianco, il colore naturale della seta e del lino, alla donna. Attraverso una selezione di cinquanta manufatti tessili custoditi nelle collezioni di Palazzo Madama, di cui sei restaurati in occasione di questa occasione e quattordici esposti per la prima volta, la curatrice Paola Ruffino accompagna lungo una storia secolare che passa per ricami minuti, intricati merletti e arriva al più iconico degli indumenti femminili di colore bianco: l'abito da sposa.
Il ricamo in lino medievale, la lavorazione dei merletti ad ago o a fuselli, il ricamo in bianco su bianco sono arti con cui le mani femminili hanno creato capolavori. Questo legame sottile e indissolubile attraversa i secoli e vede le donne nel ruolo di autrici, creatrici e custodi della tradizione, raffinate fruitrici e committenti di tessuti e accessori di moda. Momento clou della moda del bianco è, in Francia e in Europa, il finire del XVIII secolo. Il fascino esercitato dalla statuaria greca e romana ispira un abbigliamento che guarda all'antico. Le giovani adottano semplici abiti en-chemise, trattenuti in vita da una fusciacca; il modello del cingulum delle donne romane sposate, portato alto sotto al seno, dà avvio ad una moda che durerà per trent'anni. I tessuti preferiti sono mussole di cotone, garze di seta, rasi leggeri, bianchi o a disegni minuti, come le porcellane dei servizi da tè.
Intorno a questo fulcro, illustrato da abiti, miniature, ventagli e accessori femminili, l'esposizione esplora il passato e il futuro. Al XIV e XV secolo riconducono i ricami dei monasteri femminili, in particolare di area tedesca e della regione del lago di Costanza, lavorati in lino su tela di lino naturale, dove il disegno, fatto di punti semplici ma ampiamente variati, è delineato soltanto da un contorno in seta colorata. Un tipo di lavoro che, per la povertà dei materiali e per la facilità di esecuzione, si diffuse poi in ambito domestico laico, per la decorazione di tovaglie e cuscini. In Italia, sui teli domestici perdurarono a lungo motivi decorativi di origine medievale tipicamente mediterranei, quali uccelli, castelli, alberi della vita, delineati in bianco sui manufatti in tela 'rensa', una tela rada e sottile, di cui due rari esemplari sono in esposizione, forse siciliani o sardi.
Tra XVI e XVII secolo nacque in Europa la lavorazione del merletto, che vide protagonisti i lini bianchissimi e la straordinaria abilità delle merlettaie veneziane e fiamminghe. Una scelta di bordi e accessori in pizzo italiani e belgi illustra gli eccezionali risultati decorativi di quest'arte esclusivamente femminile, che nel Settecento superò gli stretti confini della casa o del convento e si organizzò in manifatture.
Nel XIX secolo, l'inizio della produzione meccanizzata causò la perdita di virtuosismo nell'arte manuale del merletto, virtuosismo che riemerse invece nel ricamo in filo bianco sulle sottili tele batista e sulle mussole dei fazzoletti femminili. Quattro splendidi esemplari illustrano l'alta raffinatezza raggiunta da questi accessori, decorati con un lavoro a ricamo che, a differenza di quello in sete policrome e oro dei grandi parati da arredo e liturgici e dell'abbigliamento, fin dal medioevo praticato anche dagli uomini, restò sempre un'attività soltanto al femminile, anche quando esercitata a livello professionale.
L'esposizione si conclude nel XX secolo con uno dei temi che più vedono uniti la donna e il colore bianco nella nostra tradizione, l'abito da sposa, con un abito del 1970, corto, accompagnato non dal velo ma da una avveniristica cagoule, una scelta non scontata che ribadisce la forza e la persistenza del rapporto tra l'immagine della donna e il candore del bianco. La selezione di tessuti è accostata nell'allestimento a diverse opere di arte applicata, fra cui miniature, incisioni, porcellane, legature provenienti dalle collezioni del museo.
In occasione del nuovo allestimento delle collezioni tessili, Palazzo Madama propone un laboratorio di cucitura in forma meditativa a cura di Rita Hokai Piana nelle giornate di sabato 15 e 22 marzo e 5 e 12 aprile 2025. Tutte le info sul sito. (Comunicato ufficio stampa Fondazione Torino Musei)
Anna Dormio
"Trigger"
08 marzo (inaugurazione) - da definire (prolungamento del periodo di mostra per tutta l'estate)
Ass. Culturale beBOCS - Catania
Mostra a cura di a cura di Giulia Papa. La ricerca di Anna Dormio è rivolta alla manipolazione delle superfici e delle identità di oggetti e corpi. Attraverso la commistione di varie tecniche artistiche, prevalentemente pittura e fotografia, Dormio compie prelievi/appropriazioni di frammenti, scarti, brevi testi, appunti dimenticati o perduti, antiche fotografie, su cui apporta interventi pittorici o da cui derivano lente e continue accumulazioni, in grado di riconfigurare la loro identità e rigenerarne il senso. Un'azione affettiva e semantica con cui rielabora piccoli eventi originati dalla casualità, dalla perdita o dall'abbandono.
Anna Dormio si è laureata in pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Lecce, città in cui ha fondato il collettivo artistico e project space Kunstschau. È attiva e impegnata nel panorama artistico contemporaneo in Puglia e in tutto il territorio nazionale. (Estratto da comunicato stampa)
Visitate l'Italia!
Promozione e pubblicità turistica 1900-1950
13 febbraio - 25 agosto 2025
Palazzo Madama - Museo Civico d'Arte Antica di Torino
www.palazzomadamatorino.it
Un racconto inedito sull'avvincente storia della promozione turistica italiana, dalla fine dell'Ottocento ai primi anni della ricostruzione dopo il Secondo conflitto mondiale, attraverso duecento manifesti, centinaia di guide e pieghevoli illustrati, accompagnati da tanti oggetti iconici. A cura di Dario Cimorelli e Giovanni C.F. Villa, Direttore di Palazzo Madama, e con un allestimento di Emilio Alberti e Mauro Zocchetta.
L'esposizione ripercorre l'evoluzione del manifesto turistico attraverso i grandi protagonisti dell'illustrazione italiana dell'inizio del Novecento. Dalle prime testimonianze pubblicitarie firmate da importanti nomi, quali ad esempio Leopoldo Metlicovitz e il giovane Marcello Dudovich, a cui si affiancano artisti come Ettore Tito, Ettore Ximenes, Galileo Chini, fino alla nascita nel 1919 dell'ENIT, l'Ente Nazionale per l'incremento delle industrie turistiche, con il quale le commissioni iniziano a seguire regole diverse. Da questo momento si inizia infatti a privilegiare l'affidamento di campagne promozionali plurisoggetto a uno stesso illustratore - tra questi ad esempio ritroviamo Mario Borgoni, Giovanni Guerrini, Marcello Nizzoli e Virgilio Retrosi - oppure a esecutori rimasti anonimi spesso legati alle tipografie.
Il percorso espositivo si sviluppa in cinque grandi sezioni che consentono un viaggio nella creazione dell'immaginario italiano. Partendo dalle Alpi e seguendo la dorsale appenninica, si giungerà alla meraviglia delle nostre isole per poi risalire l'Italia delle acque termali, del mare e delle spiagge, del divertimento e dello sport, della salute e della Belle Époque, alla scoperta di quello che diventerà il mito dell'Italia del secondo dopoguerra.
Si parte dalla fine del XIX secolo, quando la crescita del commercio e dell'industria, insieme al progressivo benessere del giovane Paese unitario, trovano un valido sostegno nella nascita e nel consapevole utilizzo di nuovi strumenti pubblicitari e di promozione. Nasce così il manifesto, che ben presto diventa uno dei mezzi di maggiore efficacia anche in questo settore, capace di saldare in immagini e parole i capisaldi della creatività italiana, dando un impulso fondamentale alla promozione turistica. Al passaggio tra Ottocento e Novecento località balneari delle Riviere romagnola e ligure, rinomate cittadine montane e lacustri diventano protagoniste di campagne pubblicitarie che, dai muri delle città, echeggiano e anticipano stagioni estive e invernali.
Con il suo sviluppo, il manifesto turistico diviene simbolo dell'immaginario del nostro Paese, dando vita a opere iconiche capaci nel tempo di connettere indelebilmente i ricordi dei viaggiatori di tutto il mondo. Una parabola che parte dalla tradizione del Grand Tour e ha in Johann Wolfgang von Goethe un protagonista in grado di rendere il Bel Paese un fenomeno di moda europeo fin dall'uscita, nel 1816, dei due volumi del Viaggio in Italia, divenendo di fatto il primo travel blogger dell'era moderna e aprendo la via a due secoli di successo del turismo in Italia.
Se sull'onda del viaggio culturale i luoghi inizialmente più ricercati sono i monumenti e le rovine dell'antichità - con Roma, Pompei e la Sicilia a divenire protagoniste assolute -, lo sviluppo dei mezzi di trasporto, primo tra tutti la ferrovia, porta all'Italia una posizione di preminenza a livello europeo, affacciandosi verso un turismo di massa che si rivolge anche oltreoceano, con l'alta borghesia americana che invade lo Stivale e mete quali Capri e Ischia trasformati in veri santuari della vacanza di lusso.
Agli inizi del Novecento il turismo comincia ad avere un peso importante nell'economia italiana e, dopo il drammatico arresto causato dalla Prima Guerra mondiale - che riduce ai minimi termini l'affluenza verso i luoghi turistici e le sue diverse forme di promozione - l'istituzione dell'ENIT consente all'Italia di progettare il riavvio dell'economia del paese e, conseguentemente, anche quella del turismo. L'Ente Nazionale per l'incremento delle industrie turistiche - strettamente legato alle Ferrovie dello Stato - è fortemente voluto dal Touring Club Italiano ed è preposto alla promozione, alla gestione e al coordinamento dell'attività turistica e alberghiera dipendente dal Ministero dell'Industria, Commercio e Lavoro. Un ente capace di portare nuovo sviluppo alla promozione del turismo in Italia e all'estero, ampliando significativamente la riflessione sulle cosiddette attrazioni turistiche italiane.
Nel corso degli anni l'ENIT sostiene un'intensa attività pubblicistica con opuscoli, dépliant, cartine geografiche e manifesti, promuovendo le località e gli eventi artistici e sportivi. La rinascita del turismo italiano è così affidata all'arte pubblicitaria in quella che diverrà l'epoca d'oro del manifesto. Un'illustrazione più duttile, economica e facilmente riproducibile della fotografia, cui spetta il compito di evocare con la grafica le destinazioni più affascinanti. Sono gli anni in cui vedono la luce alcuni tra i manifesti più iconici della pubblicità italiana: le vedute di Capri, Ischia, Pompei e Napoli a opera di Mario Puppo; i panorami di Portofino di Leonetto Cappiello; le Rimini e Padova di Marcello Dudovich. Autori di raffinatissime interpretazioni di un'Italia che diviene un coloratissimo caleidoscopio di luoghi desiderabili e di immagini capaci non solo di proporre una destinazione, ma anche un modo di vivere, un'esperienza totalizzante. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore con i saggi dei curatori e di Anna Villari.
Trent'anni separano la prima e l'ultima immagine del video in mostra Visitare l'Italia!. Primi anni Venti del Novecento, operai al lavoro: ponti, strade, impianti diventano i simboli del rapido completamento dell'unificazione d'Italia e del suo ammodernamento. Primi anni Cinquanta: turisti si mettono in posa per una foto di gruppo. In mezzo, l'Italia turistica e delle nuove forme di svago collettivo: mare, lago, montagna, città d'arte. Gli sport acquatici, quelli invernali, le arrampicate estive, le gare motoristiche. La moda che si adegua, il costume - e i costumi - che cambiano. E a fare da filo conduttore, l'impatto dell'infrastrutturazione viaria e ferroviaria, che porta nuovi flussi di villeggianti ed escursionisti dalle città alle grandi spiagge, alle vette, ai lungolago.
Fino al dopoguerra, e alle prime forme di vero e proprio turismo di massa, anche internazionale: con l'Italia che torna ad essere meta privilegiata, preparandosi a incarnare, qualche anno più tardi, il grande sogno della Dolce Vita. Il video, curato da Jacopo Bulgarini d'Elci, esplora tutti questi aspetti, ricorrendo a fonti video-documentarie d'epoca provenienti dall'Archivio Storico Luce. Musiche del periodo accompagnano la selezione di decine di documenti visivi (dal 1922 al 1954). (Comunicato stampa)
Immagine:
Marcello Nizzoli (1887-1969), "Agrigento", 1928, Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso
Maddalena e la Croce. Amore Sublime
05 aprile - 13 luglio 2025
Museo Civico di Santa Caterina - Treviso
A cura dei Civici Musei, è una mostra che affronta temi universali quali passione, sofferenza, devozione, redenzione, amore. E lo fa attingendo alle interpretazioni che nei secoli grandi artisti hanno saputo elaborare intorno alle figure di Cristo e Maria Maddalena, esplorandone lo straordinario potenziale emotivo. La mostra non si limita a raccontare il sacro ma comprende e trascende la storia evangelica per farne una esperienza universale, capace di toccare corde profonde dell'animo umano. Le figure di Cristo e della Maddalena diventano così specchi della condizione umana, crogiolo in cui si fondono dolore e speranza, emozione e riflessione. Ognuna delle oltre cento opere riunite in questa straordinaria mostra - tra esse molti capolavori della storia dell'arte - stimola a penetrare i misteri più profondi del nostro sentire ed essere.
Tra i capolavori, citiamo ad esempio le miniature bolognesi della straordinaria "Bibbia di San Paolo", fino alla alla grande pittura rinascimentale, con Bellini, Jan Polack, Tiziano, Paolo Veronese, Jacopo Bassano, Giampietrino, Palma il Giovane, Guercino per giungere a Bernardo Strozzi, Ludovico Carracci, Carlo Saraceni, Domenico Tintoretto, Sebastiano Ricci, Mattia Bortoloni, Rutilio Manetti, Antonio Canova, Gaetano Previati, Mosè Bianchi, per approdare ad Alberto Martini, cui è riservato un omaggio, nel suo Centenario.
Nelle dodici sale per altrettante sezioni si è condotti a intraprendere un doppio viaggio: innanzitutto nella creazione artistica e nel tempo, per seguire l'evoluzione che l'arte ha compiuto nel raccontare quell'Amore Sublime. Accanto a un secondo, parallelo ma più personale ed intimo: Maddalena diventa archetipo di una spiritualità universale che supera il credo. Tutti siamo chiamati a immedesimarci nel percorso fatto dalla santa che diventa un modello: dalla difficoltà e la caduta, alla conversione, fino alla redenzione. Un esempio di spiritualità certo, ma soprattutto di speranza, fiducia e amore.
La ricca mostra vedrà l'esposizione di opere che attraversano i secoli, dal Duecento al Novecento, a conferma del fascino che la tematica ha sempre rivestito nelle arti figurative e a riprova dell'universalità del tema, capace di rinnovarsi continuamente nella mente e nello spirito degli artisti di tutta Europa. A trasmettere l'intensità del dramma salvifico della Crocefissone concorre un nucleo di sculture lignee, paramenti e raffinate oreficerie del primo Rinascimento, patrimonio, per quanto riguarda la scultura lignea, proveniente dei Civici Musei Trevigiani. Capolavori che, restaurati, vengono finalmente svelati al pubblico, a confermare come le Collezioni Civiche di Treviso siano tra le più significative del nord Italia relativamente alla scultura lignea. Accanto ad essi, decine di altri prestiti eccezionalmente concessi da musei italiani e stranieri.
La narrazione attorno a Maria Maddalena offre una straordinaria panoramica sull'evoluzione della sua iconografia. Questa figura iconica, simbolo di peccato e redenzione, oscillante tra spiritualità più profonda e sensualità terrena, viene interpretata da generazioni di artisti, che ne hanno catturato sfumature emotive e spirituali in modi sempre nuovi ed affascinanti, raccontandone la complessità, e rivelando come, nei secoli, Maria Maddalena sia diventata il ponte tra il sacro e l'umano, tra divino e terreno". Ogni opera in mostra invita a un viaggio intimo e contemplativo, che supera le barriere del credo e si fa portavoce di una spiritualità universale, in cui la dimensione umana si intreccia con quella divina, svelando i misteri più profondi della nostra esistenza. (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI, Sergio Campagnolo)
Apre la Fondazione Maria Cristina Carlini
Un nuovo centro dell'arte contemporanea a Milano
La Fondazione Maria Cristina Carlini apre ufficialmente le porte al pubblico sotto la direzione scientifica di Flaminio Gualdoni, critico e storico dell'arte, profondo conoscitore della scultura contemporanea. Lo spazio si propone come luogo d'incontro, studio e conservazione, con l'obiettivo di valorizzare il vasto patrimonio artistico e documentale dell'eclettica carriera di Maria Cristina Carlini, che abbraccia oltre cinquant'anni di attività artistica. La Fondazione no-profit, nata in un quartiere molto caro all'artista, si pone in dialogo con realtà istituzionali e internazionali e vuole essere un punto di riferimento dedicato a studiosi, appassionati, giovani artisti e a coloro che intendono ampliare la propria conoscenza, nell'ambito della scultura.
La sede è concepita come uno spazio multifunzionale che permette di ammirare le opere di Maria Cristina Carlini, distribuite tra l'area interna e il giardino esterno.
Nel calendario sono previsti eventi, conferenze e mostre temporanee, tutti volti a promuovere un dialogo vivace e interattivo sull'arte contemporanea, in linea con la espressione artistica di Maria Cristina Carlini. È presente un archivio in costante aggiornamento, nel quale è consultabile l'intera produzione della scultrice, a cui si accede tramite cataloghi e documenti che illustrano il suo percorso artistico. È inoltre possibile vedere documentari e testimonianze video realizzate nel tempo, che ne raccontano il mondo, e approfondiscono la conoscenza della sua personalità e della sua arte, tra loro quasi inscindibili.
Carlini, infatti, è da sempre trasportata da un profondo amore per l'arte e, finiti gli studi umanistici, comincia il proprio percorso artistico a Palo Alto, in California, negli anni Settanta, dove segue un corso di ceramica. Durante la sua attività ha esplorato nuove tecniche e ampliato il suo linguaggio visivo con l'utilizzo di diversi materiali tra cui il grès, la porcellana, la lamiera, il ferro, l'acciaio corten e il legno di recupero. Nelle sue opere sono presenti riferimenti impliciti ed espliciti che riconducono a temi cardine della sua poetica.
Fra questi il legame a elementi naturali come la terra, nella quale viene ritrovata l'origine, il nesso col passato e con ricordi ancestrali. Ad essa, che viene plasmata con cura, dedizione e forza, è strettamente connessa la memoria, individuale o collettiva, che unisce passato, presente e futuro. I simboli impressi nella terra sono traccia di accadimenti lontani che evocano emozioni, sentimenti e guidano lo spettatore a ripercorrere i propri vissuti o a percepire un senso di appartenenza, di identità e di memoria condivisa.
Le sculture, soprattutto quelle di grandi dimensioni mostrano, attraverso accostamenti di materiali e composizioni, il sottile equilibrio fra leggerezza e potenza, un invito a riflettere sulla fragilità della natura e sulla necessaria salvaguardia dell'ambiente. Nel tempo, l'artista ha esposto in mostre personali e collettive di rilievo e le sue sculture monumentali installate in permanenza lasciano un'impronta distintiva nel panorama artistico internazionale, dall'Europa agli Stati Uniti fino alla Cina. (Comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)
Il Ritratto dell'Artista
Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie
22 febbraio - 29 giugno 2025
Museo Civico San Domenico - Forlì
www.mostremuseisandomenico.it
Mostra a cura di Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice, un nuovo lungo viaggio tra capolavori, che ricostruisce la progressiva definizione della consapevolezza di sé dell'artista nella storia dell'arte. Il ritratto dell'artista è un autografo esistenziale. Segno, traccia, memoria, riflesso da tradurre in un'immagine definitiva, giocata nel tempo, contro il tempo, oltre il tempo. Nell'autoritratto il pittore si sdoppia nel duplice ruolo di modello e di artista. L'occhio si posa sull'immagine riflessa per ritrarsi e l'immagine ritratta è un alter da sé ed è un sé. Spesso ne viene fuori una maschera. Personaggio più che persona. Per molti artisti è così, dal Quattrocento al Novecento.
L'artista figura tra gli uomini illustri, si fa metafora, protagonista e immagine del proprio tempo. L'artista recita, si mette in mezzo, sbuca da una sua opera che parla d'altro: in mezzo a un racconto mitologico, a una storia sacra, a un evento storico. Come fanno Giovanni Bellini, Tintoretto, Lavinia Fontana, Sofonisba Anguissola, Lotto, Pontormo, Parmigianino, Rembrandt, Tiziano, Hayez, Böcklin, De Chirico, Balla, Sironi, Bacon fino a Bill Viola e Chuck Close.
Ciò che rende così affascinante e quasi irrinunciabile l'autoritratto agli occhi degli artisti - e non solo - è la sua capacità di sostituirsi interamente alla persona di cui è copia. L'immagine funziona da doppio del soggetto, come nel mito di Narciso ripreso da tutta la storia della pittura e della letteratura fino ad approdare, nel Novecento, alla psicoanalisi freudiana.
«Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell'acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto. Poi è arrivato il selfie. Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato - per ogni artista - una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù». Così Gianfranco Brunelli, Direttore delle Grandi Mostre del Museo Civico San Domenico, descrive la prospettiva da cui è nato questo progetto. (Comunicato ufficio stampa Lara Facco P&C)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Federico Barocci, Autoritratto
2. Maschera teatrale da Megara Hyblaea
Alphonse Mucha / Giovanni Boldini
22 marzo - 20 luglio 2025
Palazzo dei Diamanti - Ferrara
Esposti i capolavori di due protagonisti dell'arte europea tra Otto e Novecento: Alphonse Mucha e Giovanni Boldini, straordinari cantori della bellezza e del fascino femminile. Artista di origini ceche, Alphonse Mucha (Ivancice, 1860 - Praga, 1939) raggiunse fama internazionale nella Parigi fin de siècle. Sebbene sia noto in tutto il mondo per i manifesti degli spettacoli della celebre attrice Sarah Bernhardt, Mucha fu poliedrico e versatile: oltre che pittore, disegnatore e illustratore, fu anche fotografo, scenografo, progettista d'interni creatore di gioielli e packaging designer.
Le sue opere divennero presto emblematiche della nascente Art Nouveau, alla cui affermazione contribuì elaborando uno stile inconfondibile e seducente (detto appunto "Le style Mucha"), come dimostrano Gismonda (1894), la serie de Le stagioni (1896), Job (1896), Fantasticheria (1897), Médée (1898). Quando nel 1904 visitò per la prima volta gli Stati Uniti la stampa lo celebrò come «il più grande artista decorativo del mondo».
La grande mostra monografica, organizzata da Arthemisia e Fondazione Ferrara Arte in collaborazione con la Mucha Foundation e curata da Sarah e John Mucha, racconta la biografia, il percorso artistico e i molteplici aspetti della produzione di Mucha, il quale era fermamente convinto che la bellezza e la forza ispiratrice dell'arte potessero favorire il progresso dell'umanità e garantire la pace e l'unione dei popoli.
Donne aggraziate ed eleganti furono indiscusse protagoniste non solo delle opere di Alphonse Mucha, ma anche di quelle di Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 - Parigi, 1931) che, come l'artista ceco, risiedette stabilmente a Parigi, dove si affermò come ritrattista mondano, ricercatissimo da una facoltosa clientela internazionale. Le sale dell'ala Tisi di Palazzo dei Diamanti ospiteranno una significativa selezione di dipinti, disegni e incisioni dedicati al tema del ritratto e della figura femminile provenienti dal Museo Giovanni Boldini, la più importante raccolta pubblica di opere del grande maestro ferrarese, che riaprirà nel rinnovato complesso ferrarese di Palazzo Massari nel 2026.
Accanto a capolavori come La signora in rosa (1916) e Fuoco d'artificio (c. 1890) saranno presentati studi di donne a figura intera e di singoli volti femminili che documentano il rapporto iperattivo dell'artista con la realtà circostante, nonché la sua abilità e prontezza nel registrare pose e attitudini che gli sarebbero poi serviti per conferire vitalità e dinamismo alle protagoniste dei suoi dipinti, contraddistinti da quella peculiare scrittura rapidissima e insieme controllata che rende inconfondibile, e unico, il suo stile. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Alphonse Mucha, Fantasticheria
2. Giovanni Boldini, La signora in rosa
Hammershøi e i pittori del silenzio tra il nord Europa e l'Italia
22 febbraio - 29 giugno 2025
Palazzo Roverella - Rovigo
www.palazzoroverella.com
Curata da Paolo Bolpagni, la prima mostra italiana dedicata a Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864-1916), che fu il più grande pittore danese della propria epoca, uno dei geni dell'arte europea tra fine Ottocento e inizio Novecento. Da pochi anni è in atto la sua riscoperta, e da personaggio quasi dimenticato Hammershøi è diventato uno dei più richiesti al mondo: nel mercato le quotazioni hanno raggiunto livelli strabilianti, con aumenti esponenziali osservabili addirittura di mese in mese; e i musei di tutto il globo si stanno contendendo le sue opere per organizzare retrospettive.
Nel 2025 quella di Palazzo Roverella sarà non soltanto la prima mostra italiana dedicata al pittore danese, ma l'unica a livello internazionale. Ciò rende davvero eccezionale l'impresa rodigina, che si pone anche l'obiettivo di porre a confronto i capolavori di Hammershøi con opere di importanti artisti a lui contemporanei, con un occhio di riguardo - in tali accostamenti - all'Italia, ai Paesi scandinavi, alla Francia e al Belgio. In effetti ci sono elementi che accomunano gli appartenenti a questa poetica del silenzio, della solitudine, delle vedute cittadine deserte, dei "paesaggi dell'anima".
Però i visitatori scopriranno che in Hammershøi c'è qualcosa di più, di sottilmente inquietante, di angoscioso e forse addirittura di torbido: le sue donne sono ritratte quasi sempre di spalle; gli ambienti domestici, in apparenza ordinati e tranquilli, lasciano in realtà presagire o sospettare drammi segreti, o l'attesa di tragedie incombenti, con un senso claustrofobico.
La biografia stessa dell'artista, che viaggiò di frequente (in special modo in Italia, in Inghilterra e nei Paesi Bassi), ma in verità fu un uomo solitario, induce a riflettere su alcuni aspetti enigmatici: pur sposatosi, Hammershøi mantenne un rapporto strettissimo, quasi simbiotico, con la madre, tornando spesso a dormire da lei; la moglie e modella prediletta, Ida Ilsted, fu colpita da una grave malattia mentale; la sua pittura, che ispirerà il grande regista cinematografico Carl Theodor Dreyer, fu definita "nevrastenica". (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)
Alcune fotografie di Claudio Argentiero, personalità attiva da più di trent'anni nel mondo della fotografia, tra progetti personali e curatela di mostre. Da sempre interessato alla documentazione del territorio e ai mutamenti avvenuti nel tempo, legati al decadimento dell'industria manifatturiera e alla trasformazione del paesaggio. Nelle sue corde l'interesse per il territorio che non fa clamore, ambito da indagare e rivelare attraverso sguardi personali che riportano il quotidiano alla poetica delle piccole cose. (Estratto da comunicato di presentazione)
Immagine:
Claudio Argentiero, Sicilia - Scala dei Turchi, 2017, carta cotone certificata, formati cm 50x70 e 60x90
Nasce l'Archivio Regina
www.archivioregina.it
Dopo la prima grande retrospettiva museale italiana presentata alla GAMeC di Bergamo nel 2021, in seguito alla parallela acquisizione da parte del Centre Pompidou di Parigi di un significativo nucleo di opere dell'artista e dopo essere tornata protagonista nel 2022 in occasione della 59. Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, l'eredità intellettuale di Regina Cassolo Bracchi (Mede 1894 - Milano 1974) trova rappresentanza nell'associazione a lei intitolata, denominata "Archivio Regina Cassolo Bracchi", a Milano.
Fondato per iniziativa di Gaetano e Zoe Fermani, con il supporto scientifico di Paolo Campiglio, Chiara Gatti e Lorenzo Giusti, l'Archivio Regina è un'associazione culturale nata per studiare, catalogare e promuovere l'arte di Regina Cassolo Bracchi a livello italiano ed estero, curando la tutela del suo nome, della sua produzione artistica e della documentazione a essa riferita, tramite la certificazione e l'archiviazione della sua opera generale, oltre alla realizzazione di un catalogo ragionato.
Regina Cassolo Bracchi è stata la prima scultrice dell'avanguardia storica italiana. Fu futurista negli anni della formazione e astrattista radicale nella piena maturità. È stata la prima donna del Novecento italiano a utilizzare materiali sperimentali, come latta, alluminio, filo di ferro, stagno, carta vetrata. E anche la prima artista in Italia ad appendere nell'aria geometrie fluttuanti fatte di frammenti plastici, Plexiglass, perspex o rhodoid. Innovativa nei modi e nelle intuizioni, sosteneva che il progetto e l'idea fossero superiori, nella loro originalità larvale, all'opera finita. «Scelgo temi di tale semplicità, costruzioni talmente elementari che potrebbero essere riprodotte da chiunque in base ad una mia esatta descrizione».
Eppure la storia l'aveva dimenticata. Come molte donne dell'arte di inizio secolo, Regina era rimasta ai margini dei manuali. Un caso femminile all'ombra dei maestri, seppure il suo nome comparisse in calce ai manifesti del Futurismo (firmò nel 1934 il Manifesto tecnico dell'aeroplastica futurista) e sebbene sia stata notata da André Breton e da Léonce Rosenberg che, dopo un incontro parigino nel 1937, le propose un contratto con la sua galleria, cui lei rinunciò per tornare in Italia. La critica ha spesso distrattamente omesso la sua presenza dalle cronache, nonostante Regina avesse avuto un ruolo di punta quale unica donna del MAC italiano, il Movimento Arte Concreta (fondato nel 1948), sempre attiva nei contatti con la direzione del gruppo francese "Espace" (nato nel 1951). La sua mente teorica animò, infatti, la vivacità culturale del secondo dopoguerra, coinvolta nel dibattito artistico dall'amico Bruno Munari che la conobbe al tempo dell'avventura futurista e la volle poi al suo fianco nel mondo dell'arte concreta.
Impegnato nel regesto del corpus completo delle opere di Regina Cassolo Bracchi, fra sculture, disegni, maquette, taccuini, l'Archivio Regina lancia un appello per censire esemplari a oggi non conosciuti o non catalogati, al fine di costituire un database offerto in consultazione a studiosi e studenti, in vista di una sempre maggiore e approfondita conoscenza e divulgazione della ricerca dell'artista. L'Archivio Regina è costituito dal lascito dell'artista a Gaetano e Zoe Fermani, membri del comitato scientifico accanto a Paolo Campiglio, docente di Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università degli Studi di Pavia, Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC di Bergamo, e Chiara Gatti, direttrice del MAN di Nuoro.
Fra i prossimi appuntamenti internazionali che vedranno la presenza di Regina, si segnalano sin da ora: il nuovo allestimento del Centre Pompidou di Parigi che riserverà una sala del percorso alla vicenda del gruppo MAC e del suo gemellaggio con il gruppo francese "Espace", partendo proprio dalle opere di Regina giunte recentemente in collezione e la pubblicazione, a cura di Alessandro Giammei e Ara Merjian, del volume monografico dedicato alla scultura moderna in Italia, Fragments of Totality, edito da Yale University Press. (Comunicato stampa)
Nasce in Italia l'archivio online dell'artista pre-pop americano Ray Johnson
Aperto permanentemente alla consultazione dal 13 gennaio 2023
Sandro Bongiani Arte Contemporanea - Salerno www.sandrobongianivrspace.it
Dopo l'Archivio "Ray Johnson Estate" di New York, nasce in Italia "Ray Johnson Archivio Coco Gordon", archivio online del grande artista pre-pop Ray Johnson, uno dei più influenti artisti americani contemporanei accessibile ora nella startup Sandro Bongiani Arte Contemporanea con una raccolta ragionata di materiali inediti per tutti gli studiosi e per chi intende conoscerlo meglio. In questa piattaforma web é possibile consultare una parte considerevole di opere, foto dell'artista, performances, e testi scritti di Ray Johnson degli anni 1970-1995, che grazie alla collaborazione di Coco Gordon in oltre 25 anni di assidua frequentazione ha raccolto e conservato, ora finalmente pubblicati online.
Oggi, nell'era del Web e del sapere stratificato, la raccolta dell'archivio digitale Ray Johnson di Coco Gordon conserva e diffonde il sapere rispondendo a esigenze specifiche di consultazione dei materiali visivi archiviati assolvendo alla fondamentale funzione di conservazione, selezione e accessibilità dei dati che diventano l'oggetto primario di attenzione e consultazione da parte dello studioso d'arte. Uno strumento necessario e utile che svolge la doppia funzione di rendere accessibile il patrimonio e conservarlo correttamente senza esporlo a imprevedibili rischi. L'Archivio Ray Johnson comprende un ampia raccolta di materiali tra cui, ma non solo, corrispondenza, mail art, collage, fotografie documentarie, oggetti e cimeli. Un ringraziamento speciale va all'artista Coco Gordon e ai diversi collaboratori che hanno contribuito a realizzare la sezione del sito web dedicato a Ray Johnson. (Sandro Bongiani)
La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea nata come spazio culturale no-profit, vuole mettere in discussione il proprio ruolo di spazio culturale indipendente sostenendo nuovi modi di interagire con il pubblico e attivando nuove forme di partecipazione e di coinvolgimento con presenze e progetti interattivi che possano essere condivisi in tempo reale con il maggior numero di utenti in qualsiasi parte del mondo. A distanza di 60 anni dalla nascita della Mail Art (1962) e a 50 anni esatti (1972) dalla prima e unica mostra in Italia di Ray Johnson presso la Galleria Schwarz a Milano con una presentazione di Henry Martin, noi della Sandro Bongiani Arte Contemporanea di Salerno abbiamo dedicato quasi un intero anno di lavoro a Ray Johnson con cinque mostre interattive e un progetto internazionale svolte da aprile fino a novembre 2022, in contemporanea con la 59 Biennale Internazionale di Venezia 2022.
Inoltre, a 27 anni esatti dalla scomparsa di Ray Johnson (13 gennaio 1995), è stata realizzata catalogazione e la digitalizzazione online di tutte le opere di Ray presenti nell'Archivio Coco Gordon di Colorado USA, con oltre 780 documenti tra opere e foto inedite dell'artista americano, testi, inviti, lettere, opere e riflessioni con i relativi commenti di Coco Gordon, memorial e collaborazioni, cronologia degli eventi e testi critici di Sandro Bongiani, archiviati, ognuna per codice numerico per essere più facilmente consultata, in una utile e significativa presentazione interattiva destinata ad essere conosciuta e valorizzata da parte degli studiosi per opportuni studi e approfondimenti sul lavoro innovativo svolto da questo importante artista pre-pop americano.
L'Archivio Ray Johnson, a completamento dell'attività in corso, viene presentato ufficialmente e reso visibile permanentemente il 13 gennaio 2023, (giorno e mese della sua scomparsa), nella startup web sandrobongianivrspace.it, che si affianca con orgoglio e per importanza all'Archivio americano "Ray Johnson Estate" di New York. Tutto ciò ci sembra un chiaro esempio di come si può relazionare con l'arte contemporanea in modo creativo e produrre nuova cultura. (Sandro Bongiani)
Ray Johnson (1927-1995) è stato un personaggio chiave nel movimento della Pop Art. Primariamente un collagista, è stato anche un precoce performer e un artista concettuale. Definito nei primi tempi "Il più famoso artista sconosciuto di New York", è considerato uno dei padri fondatori e un pioniere dell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. In scena negli anni ' 60, il suo lavoro e il modo in cui che ha deciso di distribuirlo ha influenzato il futuro dell'arte contemporanea. Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, Johnson ha frequentato il Black Mountain College sperimentale con Robert Rauschenberg e Cy Twombly. Ray Johnson era un artista americano noto per la sua pratica innovativa di Correspondence Art.
Una pratica basata su collage, il suo lavoro combina fotografia, disegno, performance e testo su distanze geografiche, attraverso la spedizione della posta. I progetti di Johnson includevano prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini psichici. "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente", ha detto l'artista. I suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina.
Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. nel 1948, trascorse un po' di tempo creando arte astratta e poi approdando al Dada con suoi collage che incorporano frammenti di fumetti, pubblicità e figure di celebrità. Johnson spesso rifiutava di partecipare a mostre in galleria e ha preferito creare una rete di corrispondenti di mailing e un nuovo modo di fare arte. Questo metodo di diffusione dell'arte divenne noto come la corrispondenza School di New York e ampliato per includere eventi improvvisati e cene. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art.
Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo insieme la pratica artistica con la vita. Nel 1995 Ray Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Le circostanze in cui è morto sono ancora poco chiare. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny, ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art. In questi ultimi anni tutto il suo lavoro sperimentale è stato rivalutato dalla critica come anticipatore della Pop Art e persino dell'arte comportamentale americana.
Potrà restare per sempre ad Atene il Fregio del Partenone proveniente dalla Sicilia
Il governo della Regione Siciliana, con delibera di Giunta, ha dato il proprio consenso alla cosiddetta "sdemanializzazione" del bene, cioè l'atto tecnico che si rendeva necessario per la restituzione definitiva del frammento. Dallo scorso 10 gennaio, il frammento si trova già al Museo dell'Acropoli di Atene, dove nel corso di una cerimonia, a cui ha preso parte il Premier greco Kyriakos Mitsotakis, è stato ricongiunto al fregio originale.
In base all'accordo, a febbraio da Atene è arrivata a Palermo un'importante statua acefala della dea Atena, databile alla fine del V secolo a.C., che ha già riscosso notevole successo di visitatori e che resterà esposta al Museo Salinas per quattro anni; al termine di questo periodo, giungerà un'anfora geometrica della prima metà dell'VIII secolo a.C. che potrà essere ammirata per altri quattro anni nelle sale espositive del museo archeologico regionale. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)
Archivi tematici del XX secolo
Galleria Allegra Ravizza - Lugano
www.allegraravizza.com
Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizione di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva. La cultura è come il rumore, per citare John Cage (Los Angeles, 1912- New York, 1992): "Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina" (J. Cage, "Silenzio", 1960). Il rumore della cultura è imprescindibile e continuo in ogni aspetto della nostra vita. (...) Ma quando lo ascoltiamo, l'eco del rumore della Cultura, sentiamo che rimbalza su ogni parete intorno a noi e si trasforma per essere Conoscenza e Consapevolezza. (...) Chi ama la musica tecno, metallica e disco non può ignorare Luigi Russolo (Portogruaro, 1885 - Laveno-Mombello, 1947), probabilmente, lo dovrebbe venerare, in quanto la sua intuizione ha trasformato per sempre il Rumore. (...)
In questa epoca dove, per naturali dinamiche evolutive del pensiero, la ragione del figlio prevale su quella dei padri, come nel Futurismo o nel '68, il desiderio di annullamento è comprensibile e necessario ma la conoscenza storica di quello che si vuole rinnovare ne è il fondamento. Per questo motivo proponiamo dodici archivi tematici con oggetto di ricerca proprio la comprensione. La troviamo adatta a questo periodo storico che ci racchiude nelle nostre stanze e ci sta cambiando profondamente. La speranza è che ci sarà un nuovo contemporaneo, forse più calmo ma più attento, una nascente maturità verso un nuovo Sincrono. Cassaforti come scatole del Sin-Crono (sincrono dal greco sýnkhronos "contemporaneo", composta di sýn "con, insieme" e khrónos "tempo") per la comprensione dell'arte dei Rumori e del teatro Futurista, della Poesia e della musica che ci hanno traghettato lungo il secolo scorso. (Estratto da comunicato stampa)
[1] J. Cage, "Silence", 1960
[2] J. Cage, "Silence", 1960
[3] For a greater understanding, see L. Russolo, Futurist manifesto "L'Arte dei Rumori", 1913
[4] Synchrony, sinkrono/ adj. [from the Greek sýnkhronos "contemporary", composed of sýn "with, together" and khrónos "time"]. - 1. [that happens in the same moment: oscillation, noun].
Forme uniche della continuità nello spazio
Nella Galleria nazionale di Cosenza la versione "gemella" dell'opera bronzea di Umberto Boccioni
Presso la casa d'aste Christie's di New York, è stato venduta l'opera bronzea di Umberto Boccioni (1882-1916) Forme uniche della continuità nello spazio per oltre 16 milioni di dollari (diritti compresi), pari a oltre 14 milioni di euro, dà, di riflesso, enorme lustro alla Galleria nazionale di Cosenza. Nelle sale espositive di Palazzo Arnone, infatti, i visitatori possono ammirare gratuitamente una versione "gemella" della preziosa opera del grande scultore reggino donata alla Galleria nazionale di Cosenza dal mecenate Roberto Bilotti. L'opera è uno dei bronzi numerati, realizzati tra il 1971 e 1972 su commissione del direttore della galleria d'arte "La Medusa" di Roma, Claudio Bruni Sakraischik.
Forme uniche della continuità nello spazio è stata modellata su un calco del 1951 di proprietà del conte Paolo Marinotti, il quale, nel frattempo, aveva ottenuto l'originale dalla vedova di Filippo Tommaso Marinetti, ritenuto il fondatore del movimento futurista. La celebre scultura è stata concepita da Boccioni nel 1913 ed è oggi raffigurata anche sul retro dei venti centesimi di euro, proprio quale icona del Futurismo che più di tutte ha influenzato l'arte e la cultura del XX secolo. Il manufatto originale è in gesso e non è stato mai riprodotto nella versione in bronzo nel corso della vita dell'autore. Quella presente nella Galleria nazionale di Cosenza, dunque, rappresenta un'autentica rarità, insieme ai tanti altri tesori artistici e storici esposti negli spazi di Palazzo Arnone. (Comunicato stampa)
La GAM Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo di Palermo insieme a Google Arts & Culture porta online la sua collezione pittorica
Disponibili su artsandculture.google.com oltre 190 opere e 4 percorsi di mostra: "La nascita della Galleria d'Arte Moderna", "La Sicilia e il paesaggio mediterraneo", "Opere dalle Biennali di Venezia" e "Il Novecento italiano". La GAM - Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo - di Palermo entra a far parte di Google Arts & Culture, la piattaforma tecnologica sviluppata da Google per promuovere online e preservare la cultura, con una Collezione digitale di 192 opere.
Google Arts & Culture permette agli utenti di esplorare le opere d'arte, i manufatti e molto altro tra oltre 2000 musei, archivi e organizzazioni da 80 paesi che hanno lavorato con il Google Cultural Institute per condividere online le loro collezioni e le loro storie. Disponibile sul Web da laptop e dispositivi mobili, o tramite l'app per iOS e Android, la piattaforma è pensata come un luogo in cui esplorare e assaporare l'arte e la cultura online. Google Arts & Culture è una creazione del Google Cultural Institute.
- La Collezione digitale
Grazie al lavoro di selezione curato dalla Direzione del Museo in collaborazione con lo staff di Civita Sicilia, ad oggi è stato possibile digitalizzare 192 opere, a cui si aggiungeranno, nel corso dei prossimi mesi, le restanti opere della Collezione. Tra le più significative già online: Francesco Lojacono, Veduta di Palermo (1875), Antonino Leto, La raccolta delle olive (1874), Ettore De Maria Bergler, Taormina (1907), Michele Catti, Porta Nuova (1908), Giovanni Boldini, Femme aux gants (1901), Franz Von Stuck, Il peccato (1909), Mario Sironi, Il tram (1920), Felice Casorati, Gli scolari (1928), Renato Guttuso, Autoritratto (1936).
- La Mostra digitale "La nascita della Galleria d'Arte Moderna"
La sezione ripercorre, dal punto di vista storico, sociale e artistico, i momenti fondamentali che portarono all'inaugurazione, nel 1910, della Galleria d'Arte Moderna "Empedocle Restivo". Un'affascinante ricostruzione di quel momento magico, a cavallo tra i due secoli, ricco di entusiasmi e di fermenti culturali che ebbe il suo ammirato punto di arrivo nell'Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92, evento chiave per la fondazione della Galleria e per le sue prime acquisizioni, le cui tematiche costituiscono la storia di un'epoca.
- La Mostra digitale "La Sicilia e il paesaggio Mediterraneo"
Un viaggio straordinario nel secolo della natura, come l'Ottocento è stato definito, attraverso le opere dei suoi più grandi interpreti siciliani che hanno costruito il nostro immaginario collettivo: dal "ladro del sole" Francesco Lojacono ad Antonino Leto, grande amico dei Florio in uno storico sodalizio artistico, per giungere al "pittore gentiluomo" Ettore De Maria Bergler, artista eclettico e protagonista dei più importanti episodi decorativi della Palermo Liberty, e infine Michele Catti, nelle cui tele il paesaggio si fa stato d'animo e una Palermo autunnale fa eco a Parigi.
- La Mostra digitale "Opere dalle Biennali di Venezia"
In anni di fervida attività espositiva, la Biennale di Venezia si contraddistinse subito come eccezionale occasione di confronto internazionale e banco di prova delle recenti tendenze dell'arte europea. Dall'edizione del 1907 presente all'evento con la sua delegazione, la Galleria d'Arte Moderna seppe riportare a Palermo opere che ci restituiscono oggi la complessa temperie della cultura artistica del primo Novecento, dalle atmosfere simboliste del Peccato di Von Stuck, protagonista della Secessione di Monaco, alla raffinata eleganza della Femme aux gants di Boldini.
- La Mostra digitale "Il Novecento italiano"
Un percorso che si snoda lungo il secolo breve e ne analizza le ripercussioni sui movimenti artistici coevi, spesso scissi tra opposte visioni e ricchi di diverse sfumature e declinazioni. Tra il Divisionismo di inizio secolo, figlio delle sperimentazioni Ottocentesche, e l'Astrattismo degli anni Sessanta, si consumano in Italia i conflitti mondiali, il Ventennio fascista, i momenti del dopoguerra. La lettura delle opere d'arte può allora funzionare come veicolo attraverso il quale comprendere le complesse evoluzioni e gli eventi cardine che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento italiano. (Comunicato stampa)
Concluso l'intervento di adeguamento strutturale e funzionale del sito, la Fonte Aretusa ha aperto al pubblico il 6 agosto con un percorso di visita che consente di ammirarne dall'interno la bellezza, accompagnati dalle voci italiane di Isabella Ragonese, Sergio Grasso e Stefano Starna. Il percorso di visita restituisce l'emozione di un "viaggio" accanto allo specchio di acqua dolce popolato dai papiri nilotici e da animali acquatici, donati dai siracusani come devozione a una mitologia lontana dalle moderne religioni, superando le difficoltà di accedervi e permettendo di compiere una specie di percorso devozionale in piena sicurezza.
L'audioguida è disponibile anche in lingua inglese, francese, spagnola e cinese.
È il primo risultato del progetto di valorizzazione elaborato da Civita Sicilia come concessionario del Comune di Siracusa con la collaborazione della Fondazione per l'Arte e la Cultura Lauro Chiazzese. Il progetto, elaborato e diretto per la parte architettonica da Francesco Santalucia, Viviana Russello e Domenico Forcellini, ha visto la collaborazione della Struttura Didattica Speciale di Architettura di Siracusa e si è avvalso della consulenza scientifica di Corrado Basile, Presidente dell'Istituto Internazionale del papiro - Museo del Papiro.
Da oltre duemila anni, la Fonte Aretusa è uno dei simboli della città di Siracusa. Le acque che scorrono nel sottosuolo di Ortigia, ragione prima della sua fondazione, ritornano in superficie al suo interno, dove il mito vuole che si uniscano a quelle del fiume Alfeo in un abbraccio senza tempo. È un mito straordinario, cantato nei secoli da poeti, musicisti e drammaturghi. La storia di Aretusa e Alfeo è una storia d'amore, inizialmente non corrisposto, tra una ninfa e un fiume che inizia in Grecia e trova qui il suo epilogo, simbolo del legame che esiste tra Siracusa e la madrepatria dei suoi fondatori. Ma la Fonte Aretusa è anche il luogo nelle cui acque, nel corso dei secoli, filosofi, re, condottieri e imperatori si sono specchiati e genti venute da lontano, molto diverse tra loro, sono rimaste affascinate, anche attraverso le numerose trasformazioni del suo aspetto esteriore.
La Fonte ospita da millenni branchi di pesci un tempo sacri alla dea Artemide e, da tempi più recenti, una fiorente colonia di piante di papiro e alcune simpatiche anatre che le valgono il nomignolo affettuoso con cui i Siracusani di oggi talvolta la chiamano, funtàna de' pàpere. Dalla Fonte si gode un tramonto che Cicerone descrisse "tra i più belli al mondo" e la vista del Porto Grande dove duemila anni fa si svolsero epiche battaglie navali che videro protagonista la flotta siracusana e dove le acque di Alfeo e Aretusa si disperdono nel mare in un abbraccio eterno. (Comunicato Ufficio stampa Civita)
Prima del nuovo numero di Kritik... / Iniziative culturali
La Fondazione Luciano Bianciardi invita alla presentazione del primo volume delle Lettere "inutili" di Luciano Bianciardi edito da ExCogita nella collana della FLB, con la curatela di Arnaldo Bruni. Si tratta della prima cospicua sezione dell'epistolario bianciardiano (123 lettere sulle 443 totali), destinata ai familiari. Il volume, grazie al commento di Arnaldo Bruni, si offre come repertorio eccellente di indicazioni sul tormentato percorso di vita di Bianciardi, una sorta di mappa di un viaggio che sin dalle sue origini, segnate dal servizio militare e dai i tormenti della guerra, si presenta "agro", rimanendo tale anche nei resoconti inviati a casa da Milano, quando ormai si è consolidato il mestiere della straordinaria scrittura dell'autore grossetano.
La presentazione, condotta da Emilio Guariglia, caporedattore de "Il Tirreno" a Grosseto, vedrà la partecipazione di Luciana Bianciardi, figlia di Luciano e direttrice di ExCogita, insieme a Nicola Turi, docente di letteratura italiana all'Università di Firenze. (Comunicato stampa)
L'estate cinematografica con il Kinoatelje
Itinerante cinema Isonzo - Kino Soca sotto il cielo stellato
Le colline si tingono di verde, le giornate si allungano, e le serate invitano a lasciarsi trasportare da storie raccontate sotto le stelle. Il Kinoatelje dà il via a una nuova stagione dei cinema all'aperto: un tempo in cui gli schermi prendono vita su prati, piazze, lungo fiumi e ponti - là dove il cinema abbandona la sala per diventare un'esperienza condivisa dalla comunità. Cuore pulsante di questo percorso estivo è l'Itinerante cinema Isonzo - Kino Soca, che nello spirito della cooperazione e del legame transfrontaliero porta il racconto cinematografico in luoghi dove altrimenti regnerebbe il silenzio.
Fino alla fine di agosto ci attendono oltre trenta appuntamenti cinematografici lungo il nostro confine sia in Italia che Slovenia in collaborazione con numerosi partner, culminando in una proiezione d'eccezione in Piazza Transalpina / Trg Evrope, con la presentazione del film Tre quarti di sole (Tri cetrtine sonca) del grande regista sloveno Jože Babic. Tutte le proiezioni presentate nel testo saranno sottotitolate in italiano.
La stagione è stata inaugurata dal nuovo Kino Basaglia a Gorizia, con un omaggio a Franco Basaglia e una selezione di film dedicati alla storia della psichiatria in Italia. Prosegue poi il tradizionale fine settimana cinematografico a San Pietro al Natisone: il 28 giugno sarà proiettato Fiume o morte! di Igor Bezenovic, che con tono ironico rievoca l'occupazione di Fiume da parte di Gabriele D'Annunzio. Il film sarà riproposto anche a Topolò il 10 agosto. Il 29 giugno, invece, faremo un tuffo nel passato con un classico del cinema sloveno ambientato durante la guerra: La valle della pace (Dolina miru) di France Štiglic.
Il viaggio cinematografico continua in un luogo completamente nuovo: il 2 luglio ci sarà l'inaugurazione cinematografica dell'anfiteatro del Teatro nazionale di (SNG) Nova Gorica, con la proiezione del documentario Pianoforte, in cui appare anche Alexander Gadjiev. In quest'occasione i sottotitoli verranno proposti in lingua inglese. Seguirà, l'8 luglio, una spettacolare proiezione sotto il ponte di Salcano, con il film La dama delle montagne (Lepotica pod gorami, 2025) di Matija Jerman - un'ode visiva alla linea della Transalpina e ai suoi paesaggi, girata poco prima della cessazione delle corse del treno-museo.
La serata si prenderà vita sulla piazzola sotto il più lungo arco in pietra del mondo. Il 12 luglio, a Lusevera, sarà proiettato il film Gigi la legge del regista friulano Alessandro Comodin - un ritratto ironico e profondamente intimo di un uomo radicato nel proprio ambiente, sospeso tra documentario e finzione, realtà e immaginazione.
Dopo il Premio Sergio Amidei, il testimone passa al versante sloveno, dove prende vita la 13ª edizione del Silvan Furlan open-air cinema, l'arena estiva cittadina che quest'anno propone undici serate cinematografiche. Un vero caleidoscopio di delizie filmiche che comprende anche due opere di registi italiani: il pubblico potrà assistere alle proiezioni di Follemente di Paolo Genovese e Parthenope di Paolo Sorrentino.
Il 6 e 7 agosto, l'esperienza cinematografica si trasferisce nella cornice incantata di Villa De Nordis. Alla fine della Seconda guerra mondiale, la villa apparteneva alla contessa Liduška de Nordis Hornik; oggi questo ambiente storico accoglierà due straordinarie proiezioni, immerse nel fascino del suo giardino secolare. Saranno presentati due film pluripremiati: Little trouble girls (Kaj ti je deklica) della regista Urška Djukic e Vermiglio dell'autrice Maura Delpero - due serate dedicate a voci femminili forti, capaci di raccontare con sensibilità e coraggio storie che lasciano il segno.
A fine agosto, un grande omaggio sarà dedicato alla città, impressa su pellicola più di sessant'anni fa. Il 31 agosto, in Piazza Transalpina - Trg Evrope, nel cuore della città transfrontaliera, tornerà sul grande schermo Tre quarti di sole (Tri cetrtine sonca, Jože Babic, 1959) - il primo lungometraggio sloveno girato a Nova Gorica, proprio nella stazione ferroviaria. Questa proiezione non sarà soltanto un omaggio alla storia del cinema, ma anche la chiusura simbolica di un viaggio cinematografico iniziato lungo i fiumi, proseguito oltre i confini, e concluso là dove cinema e città respirano all'unisono.
L'itinerante Cinema Isonzo - Kino Soca fa parte del progetto Go Green Cinema, che si rivolge a un vasto pubblico transfrontaliero, ai residenti locali, ai visitatori stranieri occasionali e ai partecipanti del programma ufficiale della Capitale Europea della Cultura GO! 2025. Il progetto è realizzato con il supporto dell'Unione Europea attraverso il Fondo per i piccoli progetti GO! 2025 del programma Interreg VI-A Italia-Slovenia 2021-2027, gestito dal GECT GO. (Estratto da comunicato stampa)
Il Magna Graecia Film Festival a Soverato
22esima edizione, 26 luglio - 02 agosto 2025
Il Magna Graecia Film Festival torna nel luogo del cuore, dove per la prima volta ha preso forma il sogno di dare vita ad un grande evento dedicato al cinema e, in particolare, alle opere prime e agli autori emergenti. La kermesse, ideata dai fratelli Alessandro e Gianvito Casadonte, riscopre la propria origine itinerante e riparte da Soverato, la perla dello Jonio in provincia di Catanzaro, in un ideale ponte tra passato, presente e futuro.
Come ogni anno, ad illuminare la manifestazione sarà un'Ambassador scelta tra i volti emergenti dello star system. La scelta per il 2025 è Denise Capezza, reduce dal successo nei panni di Moana in "Diva futura" presentato all'ultimo Festival del Cinema di Venezia e in "Crimes of Future" di David Cronenberg. L'attrice è ora acclamata in Turchia per il suo ruolo da protagonista nella serie dal titolo "Sakir Pasa Ailesi" ed è stata nel cast di diverse serie di successo come "Vincenzo Malinconico" su Rai1, "Sul più bello" e "Bang Bang Baby" su Prime video, "Inganno" diretta da Pappi Corsicato e "Baby" su Netflix e "Gomorra" su Sky.
Negli ultimi anni, il format del MGFF si è arricchito sempre di più di nuovi contenuti, con l'ambizione di rappresentare non solo uno straordinario "happening" in cui registi, attori, addetti ai lavori e pubblico di appassionati si incontrano lungo il filo conduttore del cinema. Un sogno cullato nelle prime edizioni, svoltesi proprio a Soverato, grazie alla "benedizione" di maestri del calibro di Ettore Scola, Mario Monicelli, Citto Maselli, Ugo Gregoretti, Giorgio Arlorio e tanti altri, che hanno contribuito, attivamente, a far crescere la manifestazione a livello nazionale ed internazionale.
La kermesse si è poi consolidata nel tempo annoverando la presenza di luminose star di Hollywood come Kevin Costner, Tim Robbins, Michel Platini, Russell Crowe, Richard Gere, Susan Sarandon, John Landis, Matt Dillon, Matthew Modine, Paul Haggis, Michael Radford, Mira e Paul Sorvino, Nastassja Kinski, Michel Madsen, Pamela Anderson, Tim Roth, Rupert Everett, Richard Dreyfuss, Oliver Stone, Cristopher Lambert, Nick Vallelonga, John Savage, Peter Greenaway. A tutti gli ospiti internazionali è stata consegnata la Colonna d'oro realizzata dal brand G.B Spadafora.
Il Magna Graecia Film Festival si è distinto nel panorama dei grandi eventi nazionali, soprattutto per la valorizzazione dei giovani autori e delle opere prime e seconde italiane, internazionali e documentaristiche e per aver lanciato l'idea di un contenitore culturale, in cui confluiscono tutte le forme d'arte, che si caratterizza anche per l'impegno sociale e rappresenta un importante traino verso una nuova narrazione del territorio. Il MGFF è sostenuto dal Ministero della Cultura, Calabria Straordinaria - brand della Regione Calabria - Assessorato al Turismo - Calabria Film Commission e Comune di Soverato. (Estratto da comunicato ufficio stampa REGGI&SPIZZICHINO Communication)
Il cinema delle Avanguardie
30 maggio - 11 luglio 2025 (ogni venerdì alle ore 18.00 - ingresso libero fino a esaurimento posti)
Casa Morra. Archivi d'Arte Contemporanea - Napoli www.casamorra.org
In occasione della mostra Giovanni Fontana: prospettive epigenetiche, promossa dalla Fondazione Morra in collaborazione con la Fondazione Bonotto nell'ambito del quarto Anno di Millenanni, prende il via la rassegna cinematografica Il Cinema delle Avanguardie, a cura dello storico del cinema Mario Franco. Gli Archivi Cinematografici Mario Franco di Casa Morra - Archivi d'Arte Contemporanea ospiteranno una selezione di film che esplorano le molteplici intersezioni tra cinema e avanguardia, in un dialogo vivo con la ricerca verbo-visiva e sonora di Giovanni Fontana. La rassegna, intitolata Il cinema delle Avanguardie, propone un percorso attraverso le estetiche radicali e sperimentali che hanno segnato il Novecento e oltre, mettendo in luce le contaminazioni tra linguaggio filmico e arti visive, musica, performance e poesia.
Alcuni tra i film in programma:
- Vormittagsspuk (1928) di Hans Richter, esempio di cinema dadaista e anti-narrativo;
- Povere Creature (2023) di Yorgos Lanthimos, reinterpretazione postmoderna della figura creaturale e del corpo femminile;
- Blow-Up (1966) di Michelangelo Antonioni, indagine visiva e metafisica sul rapporto tra realtà, immagine e percezione;
- Due opere fondamentali di Jonas Mekas, padre del cinema diaristico e figura chiave del New American Cinema.
Il ciclo guarda alle Avanguardie Storiche - Duchamp, Picabia, Richter, Satie, Buñuel, Ernst - per poi estendersi alle sperimentazioni degli anni '60, in movimenti quali Fluxus, il Living Theatre, il cinema Underground americano, la Body Art, la Pop Art e l'arte concettuale, mettendo in relazione queste traiettorie con le pratiche transdisciplinari di Fontana, in cui il linguaggio si fa corpo, spazio e tempo. Il Cinema delle Avanguardie offre così una cornice visiva e storica per comprendere l'orizzonte artistico in cui si colloca l'opera di Giovanni Fontana, sottolineandone le affinità e le risonanze con le esperienze cinematografiche più radicali del Novecento e contemporanee. (Comunicato stampa)
SalinaDocFest 2025
Festival del documentario narrativo
Il SalinaDocFest 2025 cambia pelle, anticipando le sue date e approdando nel mese più bello dell'estate: l'Isola di Salina, nelle Eolie, tornerà a essere palcoscenico di cinema, dialoghi, incontri e visioni. Tra i primi ospiti: Oliver Stone. Un vero e proprio salto temporale e strategico per la 19esima edizione del festival, che lascia il mese di settembre per aprirsi a un pubblico più ampio, giovane e internazionale, con l'obiettivo di favorire una maggiore partecipazione e di incentivare l'approdo turistico sull'isola in un periodo della stagione estiva che ancora non vive di grandi afflussi. Una scelta pensata per allargare gli orizzonti del documentario narrativo, sdoganarlo definitivamente come forma d'arte accessibile e coinvolgente, e far risplendere Salina e la Sicilia come meta culturale, oltre che paesaggistica.
Il tema scelto per questa edizione è Nuove Parole / Nuove Immagini, un invito esplicito a riscoprire l'autenticità e la profondità del linguaggio nell'era digitale e del rumore. "Nel mondo dell'intelligenza artificiale il potere del linguaggio si è ormai identificato con il linguaggio del potere - spiega la direttrice artistica Giovanna Taviani - privando le parole del loro significato originario. Il nostro compito oggi è restituire alle parole una propria responsabilità morale (che oppone l'argomentazione alla propaganda, l'ascolto agli slogan) utilizzando il linguaggio audiovisivo come strumento di resistenza culturale".
Il festival intende così aprire uno spazio dove registi, scrittori e pensatori possano confrontarsi e ricostruire un immaginario condiviso, o di un contro-immaginario, capace di ridare senso e fiducia alla narrazione della realtà. Al centro del festival, come sempre, il Concorso Internazionale del documentario narrativo, l'anima che da sempre caratterizza il SalinaDocFest. Sei film, scelti dal comitato di selezione del festival in corsa per il Premio Palumbo Editore al Miglior Documentario, il Premio Media Fenix al Miglior Montaggio e il Premio Signum del Pubblico.
"Il SalinaDocFest - dichiara Giulia Giuffrè, Presidente dell'associazione organizzatrice del festival - si è affermato come punto di riferimento per il documentario narrativo e per tutti coloro che credono nel cinema come strumento di conoscenza e trasformazione. Questa edizione segna un nuovo slancio verso l'internazionalizzazione, mantenendo salda l'identità del festival come spazio di incontro tra linguaggi, generazioni e culture. Un risultato possibile grazie al sostegno prezioso dei nostri partner, che condividono con noi la volontà di raccontare e valorizzare la Sicilia e l'isola di Salina come finestra aperta verso il mondo."
Tra i primi nomi annunciati dal festival, spicca quello di Oliver Stone. Il grande regista americano sarà protagonista di un dialogo con Silvia Bizio, ripercorrendo il suo straordinario percorso umano e artistico, segnato da un'irrequieta ricerca di verità e da un'intensa esperienza personale, narrata nella sua autobiografia Cercando la luce. L'incontro attraverserà i suoi film più iconici - da Platoon a Wall Street, da Nato il 4 luglio a JFK, fino a The Doors e al recente Lula, presentato a Cannes - senza dimenticare opere come Natural Born Killers e Snowden, che hanno contribuito a definire il suo stile provocatorio e visionario. In programma anche la proiezione speciale di Salvador, film del 1986 che segnò una svolta nel suo impegno politico e sociale.
Durante l'incontro, Stone renderà omaggio a Val Kilmer, straordinario interprete di Jim Morrison in The Doors, in un momento che si preannuncia tra i più emozionanti di questa edizione. Con la sua presenza, il SalinaDocFest rinnova il proprio impegno verso l'internazionalizzazione, nell'intento di riportare le Eolie al centro del dibattito cinematografico: l'arcipelago fu infatti set di film memorabili, e tuttora rappresenta uno snodo creativo dove il paesaggio si fonde con lo schermo, e il mare con l'immaginazione.
Il legame con il territorio è da sempre il cuore pulsante del festival. Salina, già sede della leggendaria Panaria Film, si conferma Isola del Cinema: un luogo dove si può vivere l'estate senza rinunciare al pensiero, alla cultura e alla bellezza dell'incontro. Le proiezioni e gli eventi saranno gratuiti e all'aperto, ospitati in luoghi suggestivi tra piazze, porticcioli, terrazze affacciate sul mare e giardini incastonati nel verde mediterraneo, là dove un tempo si giravano Il Postino e Caro Diario. Il festival non si limita a raccontare storie, ma mostra anche come si fanno: torna l'attenzione ai Mestieri del Cinema con una sezione dedicata alla colonna sonora.
Fondamentale, anche quest'anno, l'anteprima a Messina il 7 e 8 giugno. Un momento di connessione simbolica e reale tra l'isola maggiore e le Eolie, che apre idealmente il viaggio del SalinaDocFest verso l'estate. Due giornate dense di incontri e visioni: Elio Germano, ospite d'onore, riceverà il Premio Speciale SDF - Fondazione Messina per la Cultura e dialogherà con Marcello Sorgi sulla responsabilità morale delle parole, a partire dal film Berlinguer - La grande ambizione, intenso ritratto di un leader politico e della sua eredità.
L'opera, diretta da Andrea Segre - tra i più interessanti documentaristi del panorama odierno e vincitore nel 2008 del SalinaDocFest con Come un uomo sulla terra - è valsa a Germano il David di Donatello 2025 come Miglior Attore Protagonista, a conferma della sua straordinaria capacità di interpretare figure complesse con rigore, umanità e profondità emotiva. Lidia Ravera condurrà un viaggio tra vulcani e figure femminili, ripercorrendo le suggestioni della cosiddetta "guerra dei vulcani" che vide protagonisti Rossellini, Ingrid Bergman e Anna Magnani, e presenterà il suo ultimo libro Volevo essere un uomo, un racconto potente e attuale sui temi dell'identità e delle battaglie di genere.
Matteo Malatesta, regista di Musicanti con la Pianola, parlerà invece del suo documentario dedicato al lavoro di Pivio e Aldo De Scalzi, autori di alcune delle colonne sonore più rappresentative del cinema italiano recente, attraverso le testimonianze dirette dei registi con cui hanno collaborato. Infine, Marco Morricone interverrà per un omaggio intimo e personale al padre Ennio Morricone, ripercorrendone la figura umana e artistica a partire dal suo recente libro Ennio Morricone. Il Genio, l'Uomo, il Padre, offrendo uno sguardo inedito su una delle icone musicali più amate di sempre. L'anteprima del festival è realizzata con il Sostegno e la compartecipazione della Fondazione Messina per la Cultura e il Patrocinio del Comune di Messina e della Città Metropolitana di Messina.
La nuova edizione del SalinaDocFest, il cui programma in dettaglio verrà presentato ufficialmente a giugno a Roma, si configura come un ponte tra la memoria e il futuro del cinema documentario. Un festival in continua evoluzione, che rilancia la propria missione culturale accendendo nuove prospettive e riportando al centro dell'attenzione il valore del linguaggio, l'urgenza dell'ascolto e la vitalità delle immagini. (Comunicato stampa Ufficio stampa NowPress: Raffaella Spizzichino)
Torna l'appuntamento con il Matera Film Festival, mostra e concorso internazionale dedicato al cinema, alle serie tv, al comics & game e ai nuovi linguaggi audiovisivi. L' 8 maggio si apriranno le iscrizioni al concorso, fino al 31 agosto. I registi e le registe interessate potranno inviare le proprie opere cinematografiche fino al 31 agosto 2025 per essere valutate ai fini della selezione ufficiale. Tutte le informazioni, il regolamento completo e le modalità di partecipazione sono disponibili sul sito ufficiale
I premi Balena Giuliana saranno assegnati dalla giuria tecnica al miglior lungometraggio, documentario e cortometraggio, e sono offerti da Fratelli Cartocci Srl, una storica azienda romana attiva nel settore cinematografico e televisivo fondata nel 1947. Oltre ai premi principali, verrà conferito il Premio Balena Giuliana alla carriera a una figura di spicco del cinema internazionale. Saranno inoltre attribuite menzioni speciali per opere particolarmente meritevoli.
Il programma 2025 in continuità con le precedenti edizioni comprenderà circa cento opere cinematografiche suddivise in sezioni competitive e non competitive. Le tre sezioni competitive saranno: il concorso lungometraggi, che accoglierà un massimo di dieci film selezionati; il concorso documentari, con un massimo di dieci opere; e il concorso cortometraggi, che potrà accogliere fino a venti titoli. Le sezioni non competitive includeranno il fuori concorso e le retrospettive. Le sezioni collaterali, come negli anni precedenti, saranno: Qui e Ora, Eroi per casa, Matera Film Edu, Fuori serie, Focus Italia, Matera for the World, Città visibili o condivisibili.
Inoltre, in seguito al riconoscimento di Capitale Mediterranea della Cultura e del Dialogo 2026, il presidente Dario Toma e il direttore generale Nando Irene annunciano che, già a partire da questa edizione, il festival concentrerà un'attenzione speciale sulla cinematografia dei Paesi mediterranei nel programma "MFF Focus Mediterraneo". Il programma includerà una sezione tematica, tavole rotonde, retrospettive e ospiti internazionali, con l'obiettivo di esplorare, attraverso il cinema, culture, trasformazioni e bellezze di questa area, crocevia di civiltà attraverso un dialogo per la pace. Nel 2026 sarà previsto un forum con le delegazioni degli altri festival del Mediterraneo.
Il simbolo del festival, la Balena Giuliana, è ispirato alla figura emersa dal ritrovamento fossile avvenuto nei pressi di Matera, divenuta emblema di un legame profondo tra il territorio e la memoria geologica e culturale. Rappresenta un ponte ideale tra passato e futuro, proprio come il cinema, capace di raccontare storie e trasformazioni. L'apertura ufficiale della sesta edizione avrà luogo sabato 8 novembre presso il CineTeatro Guerrieri di Matera con la proiezione di un film in anteprima. (Estratto da comunicato ufficio stampa REGGI&SPIZZICHINO Communication)
Millenanni Quarto Anno
Giovanni Fontana: prospettive epigenetiche
06 maggio - 31 luglio 2025
Casa Morra. Archivi d'Arte Contemporanea - Napoli www.fondazionemorra.org
Il programma prevede conferenze, dialoghi e performance che riflettono sulla poesia, l'avanguardia e le sperimentazioni sonore e visive. Tra gli eventi principali, il concerto elettroacustico Che la poesia riconosca il suo corpo, le videoproiezioni di Videoverbigerazioni sonore e la trilogia performativa Liber'action, con la partecipazione di artisti come Alain Arias-Misson, Julien Blaine e Giovanni Fontana; altri interventi performativi di rilievo, quelli di Serge Pey, Chiara Mulas, Luigi Cinque e Lello Voce.
Un'occasione per approfondire le connessioni tra linguaggio, arte e performance, con interventi di esperti e autori che offrono nuove prospettive sull'arte contemporanea. Di supporto al ciclo di tre giornate, tra i mesi di maggio, giugno e luglio, si svolgerà la rassegna cinematografica Millenanni Quarto Anno presso Casa Morra - Archivi d'Arte Contemporanea, nella sede degli Archivi Mario Franco, con un focus speciale sul tema Il Cinema delle Avanguardie, a cura dell'omonimo storico del cinema.
Questa rassegna esplorerà le contaminazioni tra il cinema e le Avanguardie Storiche, indagando l'influenza di artisti come Duchamp, Richter, Picabia, Satie, Bunuel ed Ernst sulle pratiche cinematografiche. L'attenzione sarà rivolta alle sperimentazioni cinematografiche degli anni '60, in particolare l'Underground americano, i movimenti Living e Fluxus, così come alle recenti tendenze artistiche, tra cui la Body Art, l'arte concettuale e la Pop Art. Un'occasione unica per analizzare le intersezioni tra cinema e arte contemporanea e per riflettere sul potenziale rivoluzionario delle avanguardie nel contesto del linguaggio visivo.
Figura cardine della sperimentazione verbo-visiva e sonora in Italia e in ambito internazionale, Giovanni Fontana (Frosinone, 1946) ha costruito un'opera multiforme e radicale, che si dispiega attraverso poesia, performance, installazione, musica e videoarte. La sua traiettoria si colloca nell'alveo delle neoavanguardie, ma se ne distingue per l'originalità con cui attraversa e intreccia i linguaggi, senza mai aderire a un unico codice o sistema espressivo. Tra i principali promotori della poesia sonora in ambito europeo, Fontana elabora una scrittura performativa in cui la voce, l'azione e il segno grafico convivono in un continuo processo di trasduzione e slittamento di senso.
Le sue opere, spesso raccolte sotto la definizione di poesia epigenetica, superano la dimensione testuale per situarsi in una dinamica evolutiva che coinvolge il corpo, lo spazio e il tempo come elementi costitutivi del testo. A partire dalla sua lunga attività come teorico, editore e promotore culturale, Fontana ha saputo rifondare la nozione stessa di poesia, svincolandola dalla pagina e riattivandola come dispositivo esperienziale.
Tra i suoi strumenti: registratori, sintetizzatori, la macchina da scrivere, il nastro magnetico, la voce in stato di alterazione, ma anche il gesto scenico, il disegno e la parola scritta. Ogni mezzo è un campo di tensione in cui la materia verbale viene disgregata, ricomposta, riformulata. In Fontana la parola è organismo instabile, forza dinamica e incarnata. Il significato si scioglie in energia acustica, il segno visivo si espande nello spazio, la sintassi si frantuma in ritmo. L'autore si fa operatore di una comunicazione altra, che sfida la logica sequenziale e privilegia l'emergenza del sensibile, del frammentario, del non lineare. (Comunicato stampa)
BFF Baarìa Film Festival
"La Sicilia e le altre isole"
Bagheria (Palermo), 02-06 luglio 2025
www.baariafilmfestival.com
È stato presentato oggi a Bagheria (Palermo), il Baarìa Film Festival (BFF), primo festival italiano di lungometraggi interamente dedicato al "cinema insulare" che si tiene nella città natale di Giuseppe Tornatore (regista), Renato Guttuso (pittore), Ferdinando Scianna (fotografo) e Ignazio Buttitta (poeta). IL BFF si propone di promuovere il racconto cinematografico della condizione insulare a livello nazionale e internazionale, con particolare riferimento alla Sicilia, offrendo un affascinante approdo a registi emergenti e già affermati. Il festival si propone inoltre di valorizzare il patrimonio artistico e paesaggistico della Sicilia, di favorire il dialogo interculturale e offrire spunti di riflessione su temi ecologici.
All'affollata conferenza stampa, hanno partecipato il Sindaco di Bagheria Filippo Maria Tripoli, Daniele Vella, Vicesindaco e Assessore alla Cultura di Bagheria, Andrea Di Quarto ideatore del progetto e Direttore generale BFF e, con videomessaggio, il Direttore artistico Alberto Anile. Durante l'incontro, sono state delineate le linee guida della prima edizione del Festival, che offrirà al pubblico la possibilità di vedere opere che parlano di isole, girate o ambientate su un'isola, a cominciare da quella che ospita la manifestazione.
Come suggerisce il sottotitolo "La Sicilia e le altre isole", il BFF prevede infatti una sezione competitiva con lungometraggi provenienti da isole di tutto il mondo, a cui si alterneranno film riguardanti la Sicilia, inclusi muti d'inizio Novecento e corti realizzati da under 30. I premi saranno assegnati da una giuria composta da personalità del mondo el cinema e da una giuria popolare formata da studenti delle scuole superiori.
La rassegna avrà proiezioni pomeridiane in sala, e serate all'aperto in una delle spettacolari ville nobiliari di Bagheria: Villa Cattolica, sede permanente del Museo Guttuso. Attorno al nucleo centrale di film, la programmazione del festival porterà in vari luoghi della cittadina altri appuntamenti ed eventi: convegni, presentazioni di libri, omaggi, incontri con il pubblico. Le mattine del BFF saranno dedicate a eventi dal vivo, fra cui incontri con cineasti, e una tavola rotonda su "Fare cinema in Sicilia".
Atolli è la sezione dedicata ai cortometraggi, con una scelta dei migliori saggi di documentario degli allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo (direttore artistico Costanza Quatriglio) e altri di finzione a tema insulare, proiettati al Cinema Excelsior nel primo pomeriggio.
Arcipelaghi è la sezione più ampia e internazionale del BFF. Dieci lungometraggi di finzione provenienti da tutto il mondo racconteranno storie "insulari". La giuria assegnerà un premio al miglior film e uno al miglior interprete (maschile o femminile). Gli "Arcipelaghi" saranno proiettati al Cinema Excelsior, due al giorno, dopo gli "Atolli".
Serate in Villa: 5 serate a Villa Cattolica. Una sarà interamente dedicata a Giuseppe Tornatore; un'altra vedrà la premiazione di un cineasta come "siciliano ad honorem", con la proiezione di un suo film; nell'ultima sarà proiettata l'opera giudicata miglior film della sezione "Arcipelaghi" e consegnati anche i riconoscimenti al miglior attore o attrice e il Premio assegnato dagli studenti superiori bagheresi. Ogni serata in Villa sarà aperta da cortometraggi muti d'inizio secolo girati in Sicilia, 5 preziosi minuti, musicati dal vivo, provenienti dagli archivi del Museo del Cinema di Torino, della Cineteca del Friuli, della Cineteca di Bologna e della Cineteca Italiana di Milano.
Andrea Di Quarto, fondatore e direttore del "Baaria Film Festival", citando Sciascia che diceva che «il cinema si interessa della Sicilia perché la Sicilia è cinema», ha ricordato che «l'Isola, dopo il Lazio con Roma, in cui ha sede Cinecittà, è la regione italiana in cui sono stati girati più film. Palermo (e la sua provincia) è stata, ed è a tutt'oggi, la città-set siciliana più prolifica, e molti di questi film sono stati girati a Bagheria, il luogo dove sono cresciuto e ho scoperto la bellezza del grande cinema e dove ho imparato a guardare il mondo con occhi diversi, tra le immagini di tutti quei registi che hanno saputo raccontare la realtà e la sua complessità, che un ragazzo un po' più grande di me, "Peppuccio" Tornatore, ci mostrava in un cinemino che aveva trasformato nel "Circolo culturale l'Incontro". Per me, il Baaria Film Festival è un modo per ritornare alle mie radici attraverso qualcosa che amo, il cinema. Spero che questa prima edizione sia solo l'inizio di un lungo viaggio».
«Sarà un'occasione per "isolarsi" in un paradiso di buon cinema», ha anticipato il Direttore artistico Alberto Anile, «per riscoprire la regione e salpare verso le altre "sicilie" sparse per il globo. Ci è sembrato interessante unire un discorso sull'Isola con la I maiuscola, alle cinematografie che realizzano film all'interno di territori simili. Si dice che in Sicilia tutto è esasperato, più passionale. È vero, ma è vero un po' per tutte le isole. I luoghi circondati dall'acqua, isolati dal continente, hanno elementi che vengono esaltati, sottolineati. Diventano più vitali solo per il fatto di essere chiusi all'interno di un territorio. Attraverso questo filo rosso cercheremo di raccontare la condizione isolana. Della Sicilia e delle altre isole».
Il Sindaco di Bagheria Filippo Maria Tripoli ha aggiunto: «Il Baarìa Film Festival, che abbiamo il piacere di patrocinare, non è solo un evento cinematografico, ma un vero e proprio progetto culturale che mira a valorizzare il nostro territorio, ricco di storia, arte e tradizioni. La città di Bagheria, che ha dato i natali a illustri figure come Giuseppe Tornatore, Renato Guttuso, Ferdinando Scianna e Ignazio Buttitta, si conferma un luogo di fermento culturale e di promozione del talento».
Per Daniele Vella, Vicesindaco e Assessore alla Cultura di Bagheria, «la nascita di un festival Cinematografico nella nostra Città è un evento da salutare con entusiasmo. Pensare di sviluppare il Baarìa Film Festival significa anche che il lavoro culturale e amministrativo di questi anni ha creato in città delle condizioni positive e feconde, e di questo siamo contenti. L'amministrazione sarà sempre a sostegno delle iniziative culturali provenienti da privati propositivi e animati di buona volontà».
Le iscrizioni per partecipare alla prima edizione del Baarìa Film Festival sono aperte fino al 30 aprile 2025 sulla pagina dedicata di filmfreeway.com o direttamente sul sito internet.
Il BFF è prodotto dall'Associazione culturale bagherese Kinema con il patrocinio del Comune di Bagheria, della Regione Siciliana Assessorato Sport e Turismo, della Sicilia Film Commission, del Museo Guttuso e con il sostegno del Centro Sperimentale di Cinematografia sede di Palermo, del conservatorio di Musica Alessandro Scarlatti, del Museo Nazionale del Cinema di Torino, della Cineteca di Bologna, della Cineteca di Milano e della Cineteca del Friuli. (Comunicato ufficio stampa REGGI&SPIZZICHINO Communication)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Il mostro di Palagonia
2. Panorama di Bagheria in una foto di Giuseppe Sorce
3. Logo del Baaria Film Festival
4. Villa Palagonia a Bagheria in una foto di Giuseppe Sorce
Lavori avviati per il Premio cinematografico Atena Nike, che si terrà nella suggestiva città di Taormina a fine giugno 2025. Il riconoscimento, che giunge alla quarta edizione, sarà un'intensa due giorni interamente dedicata alla celebrazione della Settima Arte e dei suoi protagonisti.
Dietro le quinte, una rinnovata direzione artistica che vede tra gli altri il fondatore del Premio Fabio Saccuzzo, che ha posto le basi per un rinnovamento della direzione artistica, con la presenza di due condirettori, il produttore Giampietro Preziosa e la corrispondente internazionale Alina Trabattoni e un management artistico con l'attore e direttore di doppiaggio Fabrizio Apolloni, l'agente cinematografica Emanuela Corsello, il casting director Armando Pizzuti, l'attore e producer musicale Salvo Saverio D'Angelo. L'Academy è guidata da Claudia Gerini, affiancata dall'attrice Lucia Sardo, il duo Colapesce Dimartino e la produttrice Federica Vincenti.
Nato per valorizzare le tematiche sociali trattate nel cinema, con particolare riguardo a quello emergente, con autori e artisti di nicchia, il Premio si pone di restituire la giusta attenzione e rilevanza a chi ha dimostrato ingegno e creatività, facendo di questo mestiere non solo una professione, ma una missione. Per questo l'Atena Nike gode da sempre di prestigiosi patrocini - tra cui anche la Regione Siciliana - e coinvolge ogni anno numerosi e celebri personaggi del mondo della cultura e del cinema, dando così vita a un evento unico.
Suddiviso in due sezioni - Lungometraggi e Cortometraggi - con due distinte giurie e con diversi premi ciascuna, l'Atena Nike vanta anche una Sezione Speciale che annovera tra gli altri il Premio Atena Nike Impresa Donna, il Premio Speciale al Talento Siciliano e il Premio Atena Nike Legalità. I film finalisti verranno annunciati nei prossimi mesi e saranno selezionati dalla giuria dell'Academy, che si compone anche di una speciale sezione stampa, composta da giornalisti di prestigiose testate della stampa nazionale e internazionali, presieduta dalla giornalista della stampa estera Vera Naydenova. Le candidature si chiudono alla fine di gennaio, con le valutazioni e votazioni della giuria e si completano alla fine di febbraio. Tutte le informazioni sono disponibili al sito Premioatenanike.it.
«Anche quest'anno - spiega il patron e fondatore Fabio Saccuzzo - celebreremo la vittoria dell'Arte. Questa manifestazione è nata per sostenere e restituire il giusto valore al cinema italiano in qualità di modello e punto di riferimento in tutto il mondo. Ed è questo che desideriamo essere: un punto di riferimento dove attori, professionisti del settore, addetti ai lavori e cinematografi si incontrano e confrontano non solo con l'obiettivo di celebrare le opere, ma l'intera industria».
Si riconfermano in questo ambito anche i workshop di Cinema&Imprese, appuntamenti di alta formazione professionale organizzati dallo stesso Fabio Saccuzzo - commercialista esperto di diritto cinematografico e fiscalità d'impresa - per mettere in connessione il mondo cinematografico e quello dell'imprenditoria per far conoscere le opportunità di investimento e i benefici finanziari del settore. Un'occasione di crescita che si svolgerà in collaborazione con tutta l'Academy e il management artistico.
E così, in linea con l'espressione simbolica dell'Atena Nike - dea alata della vittoria - il Premio diventa esso stesso icona perfetta in cui identificare questo particolare momento storico di rinascita e riscoperta, in cui l'arte, la cultura e la bellezza si incontrano e si mescolano, per celebrare e premiare coloro che contribuiscono a fare del nostro Cinema un modello e un esempio in tutto il mondo. (Comunicato ufficio stampa NowPress)
.. Pisa, 8-9 febbraio: presentazione libro Teoria del rembetiko e laboratorio Suonare la Grecia
.. Milazzo (Messina), 22 febbraio: presentazione del libro I canti greci di Niccolò Tommaseo
.. Trieste, 15-16 marzo: presentazione Teoria del rembetiko e laboratorio Suonare la Grecia
.. Torino, 28-29 marzo: presentazione Teoria del rembetiko e laboratorio Suonare la Grecia
.. Bologna, aprile (date da definire): presentazione Teoria del rembetiko e laboratorio Suonare la Grecia
.. Salonicco, 11-12-13 luglio: progetto Sentire Salonicco (visita la pagina per scoprire di cosa si tratta!)
Per partecipare ai laboratori Suonare la Grecia è necessaria una preiscrizione, gratuita e senza impegno. Questo vi permetterà di ricevere in anticipo i materiali che saranno oggetto dell'incontro. Potete trovare il link al form di registrazione nella pagina dedicata all"evento: Pisa | Trieste | Torino. (Estratto da comunicato stampa)
Immagine:
Copertina del libro Teoria del rembetiko, di Carmelo Siciliano
Sul canale Mi Ricordo - L'Archivio di tutti, la playlist FEDIC-72 anni di cinema, composta da 70 cortometraggi di autori FEDIC (Federazione Italiana dei Cineclub), tra cui ricordiamo Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli e Bruno Bozzetto, conservati e digitalizzati dal CSC-Archivio Nazionale Cinema Impresa. La rassegna online è composta da opere che fanno parte della storia della FEDIC, un'Associazione Culturale nata nel 1949 a Montecatini Terme, e realizzate da registi il cui contributo rilevante è servito a promuovere il superamento dell'etichetta di cinema amatoriale, per arrivare ad affermare quella di Cinema Indipendente.
La playlist propone titoli di fiction e documentari di impegno civile, di critica sociale, di osservazione della realtà, come quelle di Giampaolo Bernagozzi, Nino Giansiracusa, Renato Dall'Ara, Adriano Asti, Luigi Mochi, Francesco Tarabella e del duo Gabriele Candiolo - Alfredo Moreschi; non mancano opere narrative, spesso poetiche, come quelle di Paolo Capoferri, Piero Livi, Mino Crocè e Nino Rizzotti, ma anche di Massimo Sani, Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli, che si sono poi affermati come autori cinematografici e televisivi.
Un impegno che si riscontra anche nella sperimentazione di nuove forme espressive, si pensi a Tito Spini e, per quanto riguarda il cinema d'animazione, a Bruno Bozzetto e Nedo Zanotti. Non mancano opere recenti capaci di offrire uno sguardo acuto sul nuovo millennio, tra queste ricordiamo i film di Enrico Mengotti, Turi Occhipinti - Gaetano Scollo, Rocco Olivieri - Vincenzo Cirillo, e Franco Bigini, Giorgio Ricci, Giorgio Sabbatini e Beppe Rizzo che rende omaggio a Totò. Sono testimonianze, tracce interessanti, da leggere nel loro insieme, per aggiungere un punto di vista nuovo sul Paese. Uno sguardo che completa quello offerto dal cinema d'impresa, di famiglia e religioso conservato, digitalizzato e reso disponibile dall'Archivio Nazionale Cinema Impresa sui propri canali: Youtube CinemaimpresaTv, Documentalia e Mi ricordo-l'archivio di tutti. Il fondo FEDIC, composto da 5442 audiovisivi, è stato depositato nell'Archivio di Ivrea nel 2017. (Estratto da comunicato stampa)
Il diario di Angela. Noi due cineasti
Ogni giorno, da sempre, Angela tiene un diario, scritto e disegnato: fatti pubblici, privati, incontri, letture, tutto vi viene registrato. Anche il rapporto di due viaggi in Russia, 1989-1990. Cadeva l'URSS. Diario su librini cinesi, sin da prima di Dal Polo all'Equatore (1986), del nostro ininterrotto lavoro sulla violenza del 900. Dai nostri tour negli Stati Uniti con i "Film Profumati" di fine anni '70, all'Anthology Film Archive di New York, al Berkeley Pacific Film Archive... Rileggo ora questi diari e rivedo il film-diario di tutti questi anni, sono rimasto da solo, dopo molti anni di vita e di lavoro d'arte insieme. L'ho portata sulle Alpi Orientali che amava e dove insieme camminavamo.
Angela rivive per me nelle sue parole scritte a mano, con calligrafia leggera, che accompagnano i suoi disegni, gli acquarelli, i rotoli lunghi decine di metri. Guardo i nostri film privati, dimenticati. Registrazioni che stanno dietro al nostro lavoro di rilettura e risignificazione dell'archivio cinematografico documentario. La vita di ogni giorno, fatta di cose semplici, le persone vicine che ci accompagnano, la ricerca nel mondo dei materiali d'archivio, un viaggio in Armenia sovietica con l'attore Walter Chiari. Testimonianze che nel corso del tempo abbiamo raccolto. E' il mio ricordo di Angela, della nostra vita. Rileggo questi quaderni e ne scopro altri a me sconosciuti. (...)
Rivedere l'insieme dei quaderni del Diario infinito di Angela e lo sguardo all'indietro dei nostri film privati, che accompagnano la nostra ricerca. Il mio disperato tentativo di riportarla al mio fianco, di farla rivivere, la continuazione del nostro lavoro come missione attraverso i suoi quaderni e disegni, una sorta di mappa per l'agire ora, che ne contiene le linee direttrici e ne prevede la continuazione. Angela ed io abbiamo predisposto nuovi importanti progetti da compiere. La promessa, il giuramento, di continuare l'opera. (Yervant Gianikian)
Angela Ricci Lucchi è nata a Ravenna nel 1942. Ha studiato pittura a Salisburgo con Oskar Kokoschka. E' scomparsa lo scorso 28 febbraio a Milano. Yervant Gianikian ha studiato architettura a Venezia, già dalla metà degli anni '70 si dedica al cinema, l'incontro con Angela Ricci Lucchi segnerà il suo percorso artistico e privato. I film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono stati presentati nei più importanti festival internazionali, da Cannes a Venezia, da Toronto alla Berlinale, da Rotterdam a Torino alle Giornate del Cinema Muto. Retrospettive della loro opera sono state ospitate nelle maggiori cineteche del mondo (dalla Cinémathèque Française alla Filmoteca Española, dalla Cinemateca Portuguesa al Pacific Film Archive di Berkeley) e in musei come il MoMA di New York, la Tate Modern di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.
Tra i luoghi che hanno ospitato le loro installazioni, citiamo almeno la Biennale di Venezia, la Fondation Cartier Pour l'Art Contemporain di Parigi, la Fundacio "La Caixa" di Barcellona, il Centro Andaluz de Arte Contemporaneo di Siviglia, il Mart di Rovereto, il Witte de With Museum di Rotterdam, il Fabric Workshop and Museum di Philadelphia, il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, il Museo d'Arte Contemporanea di Chicago, l'Hangar Bicocca di Milano, Documenta 14 a Kassel. (Comunicato stampa Lara Facco)
«In bocca al lupo»
Racconto di Sasha Marianna Salzmann ispirato alla città di Palermo
"Hausbesuch - Ospiti a casa", progetto del Goethe-Institut, ha portato la scrittrice, curatrice e drammaturga tedesca Sasha Marianna Salzmann a Palermo, ospite in casa dei palermitani. Da questa esperienza è nato il racconto ispirato al capoluogo siciliano In bocca al lupo.
Sasha Marianna Salzmann (Volgograd - ex Unione Sovietica, 1985) attualmente è autrice in residenza del teatro Maxim Gorki di Berlino, ben noto per le sue messe in scena dedicate alla post-migrazione. La sua pièce teatrale Muttermale Fenster blau ha vinto nel 2012 il Kleist Förderpreis. Nel 2013 il premio del pubblico delle Giornate Teatrali di Mülheim (Mülheimer Theatertage) è stato assegnato all'opera teatrale Muttersprache Mameloschn che affronta tre generazioni di tedeschi ebrei. Sasha Marianna Salzmann è famosa per i suoi ritratti umoristici dedicati a tematiche politiche. Il suo racconto In bocca al lupo è stato scritto durante il suo soggiorno nel capoluogo siciliano nel luglio 2016 per il progetto "Hausbesuch - Ospiti a casa" del Goethe-Institut. Tradotto in cinque lingue, farà parte di un e-book che uscirà in primavera e che il Goethe-Institut presenterà alla Fiera del Libro di Lipsia. (Comunicato Goethe-Institut Palermo)
Alla Biblioteca "Luigi Chiarini" del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma è conservata una sceneggiatura dattiloscritta del 1964 intitolata Le Ultime Cento Ore, attribuita a Stanley Kubrick, della quale non esiste traccia in nessuna monografia, filmografia, studio. Si tratta di una copia di deposito legale catalogata nei primi anni '90. Il primo a sollevare dei dubbi sull'autenticità del copione fu Tullio Kezich nel 1999 sollevando un gran polverone sulla stampa nazionale, quello che venne definito il "giallo Kubrick" rimase irrisolto fino ad oggi. Grazie alla passione di uno studioso kubrickiano, Filippo Ulivieri, che non si è accontentato di come la questione fosse stata accantonata. Sono state ricostruite le vicende e individuati gli autori, finalmente Filippo Ulivieri ha reso noto il resoconto e come sono stati risolti i relativi misteri del "giallo Kubrick". (Comunicato Susanna Zirizzotti - Ufficio Comunicazione/stampa e archivio storico Centro Sperimentale di Cinematografia-Scuola Nazionale di Cinema)
"Basta muoversi di più in bicicletta per ridurre la CO2"
Nuovo studio dell'European Cyclists' Federation sulle potenzialità della mobilità ciclistica nelle politiche UE di riduzione delle emissioni di gas climalteranti entro il 2050
Le elevate riduzioni delle emissioni dei gas serra previste dalla UE sono sotto esame: quest'anno i progressi e i risultati effettivi sembrano non raggiungere gli obiettivi fissati dalla stessa Unione Europea. Recenti rapporti sulle tendenze nel settore dei trasporti europei mostrano che la UE non riuscirà a ottenere la riduzione delle emissioni dei mezzi di trasporto del 60% tra il 1990 e il 2050 affidandosi alla sola tecnologia. Un interessante approccio all'argomento è messo in luce da un recente studio effettuato dall'European Cyclists' Federation (ECF), che ha quantificato il risparmio di emissioni delle due ruote rispetto ad altri mezzi di trasporto.
Anche tenendo conto della produzione, della manutenzione e del carburante del ciclista, le emissioni prodotte dalle biciclette sono oltre 10 volte inferiori a quelle derivanti dalle autovetture. Confrontando automobili, autobus, biciclette elettriche e biciclette normali, l'ECF ha studiato che l'uso più diffuso della bicicletta può aiutare la UE a raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas serra nel settore trasporti, previsti entro il 2050. Secondo lo studio, se i cittadini della UE dovessero utilizzare la bicicletta tanto quanto i Danesi nel corso del 2000, (una media di 2,6km al giorno), la UE conseguirebbe più di un quarto delle riduzioni delle emissioni previste per il comparto mobilità.
"Basta percorrere in bici 5 km al giorno, invece che con mezzi a motore, per raggiungere il 50% degli obiettivi proposti in materia di riduzione delle emissioni", osserva l'autore Benoit Blondel, dell'Ufficio ECF per l'ambiente e le politiche della salute. Che aggiunge: "Il potenziale di raggiungimento di tali obiettivi per le biciclette è enorme con uno sforzo economico assolutamente esiguo: mettere sui pedali un maggior numero di persone è molto meno costoso che mettere su strada flotte di auto elettriche". Lo studio ha altresì ribadito la recente valutazione da parte dell'Agenzia europea dell'ambiente, secondo la quale i soli miglioramenti tecnologici e l'efficienza dei carburanti non consentiranno alla UE di raggiungere il proprio obiettivo di ridurre del 60% le emissioni provenienti dai trasporti. (Estratto da comunicato stampa FIAB - Federazione Italiana Amici della Bicicletta)
Presentazione libri da Comunicato case editrici / autori
I nascosti
di Valentina Tamborra, Minimum fax, 2024
Il libro è stato presentato l'11 giugno 2025 presso Nonostante Marras (Milano) www.antoniomarras.com
Ormai ridotti a poco più di ottantamila anime, i sami sono un popolo in larga parte nomade, dedito all'allevamento delle renne, che si muove da sempre libero negli immensi paesaggi artici oggi suddivisi tra quattro distinti paesi: Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia. Valentina Tamborra li ha raggiunti, ritratti, interpellati per quattro anni consecutivi, nel corso di altrettanti viaggi, e ha costruito un reportage fotografico e narrativo senza precedenti. Ne ha raccontato la vita e le tradizioni, la resistenza a un lungo processo di integrazione forzata, i problemi quotidiani legati a un cambiamento climatico che sembra non conoscere sosta.
«Sono arrivata oltre il Circolo Polare Artico, nel Finnmark, per ascoltare la storia di chi per troppo tempo non ha avuto voce. Oggi provo a restituirla attraverso volti, parole, immagini, e non so se riuscirò a farlo nel modo migliore perché parlare delle storie altrui è complesso, ci si sente sempre in qualche modo inadeguati. C'è qualcosa però che mi fa sentire di poterci provare: vengo da un confine io stessa, ho imparato ben presto cosa significa stare ai margini».
Valentina Tamborra è fotografa e giornalista. Si occupa principalmente di reportage e ritratto e nel suo lavoro unisce scrittura e immagine. I suoi progetti sono stati oggetto di mostre a Milano, Venezia, Roma e Napoli. Numerose le pubblicazioni sui principali media nazionali, ha altresì partecipato come ospite a diverse interviste radiofoniche e televisive. Docente di fotografia presso Istituto Italiano di Fotografia, a Milano. Ha realizzato e realizza workshop e speech in alcuni fra i più prestigiosi istituti italiani. Ha sviluppato progetti con enti del turismo e ambasciate. Nell'Aprile 2018, in occasione del Photofestival di Milano, vince il Premio AIF Nuova Fotografia. Nel 2024 ha pubblicato con minimum fax il volume fotografico e narrativo "I Nascosti" in doppia edizione italiana e inglese. (Comunicato ufficio stampa Nonostante Marras)
Walter Rosenblum. Master of photography
di Angelo Maggi, Silvana Editoriale, 2025
Il volume è stato presentato il 4 aprile 2025 alla Sala Rossini Caffè Pedrocchi (Padova)
Walter Rosenblum (1919-2006) è stato un esponente di spicco nella storia della fotografia per oltre mezzo secolo. La nuova monografia di Angelo Maggi esplora la vita di Rosenblum, il suo lavoro e gli eventi storici significativi che egli ha documentato, offrendo uno sguardo completo sui suoi contributi nel campo della fotografia. Durante la giovinezza, l'esperienza diretta delle condizioni degli immigrati in America ha plasmato il suo approccio empatico alla fotografia e il suo impegno per la giustizia sociale. Come membro attivo della Photo League, ha documentato molte istanze pressanti del suo tempo, dagli anni turbolenti della Grande Depressione alle realtà sanguinose della Seconda Guerra Mondiale.
L'eredità fotografica di Rosenblum fornisce intensi affondi nelle vite di coloro che ha immortalato e mette in risalto la sua appassionata determinazione nel cogliere l'essenza dei soggetti. L'architettura della fotografia si riferisce al potere del fotografo di comporre l'immagine con magistrale lucidità visiva. Delineare i confini dello sguardo fotografico stabilisce un dialogo tra soggetto e contesto proprio come in un progetto architettonico. La mostra fotografica "Walter Rosenblum. Master of Photography" allestita alla Galleria Civica Cavour è aperta fino al 4 maggio 2025. (Comunicato stampa)
Itinerari della rabbia
La rabbia. Malattia del corpo, della mente, dello spirito
a cura di Renato Rizzi, Edizioni NEMS
Il libro è stato presentato il 25 marzo 2025 alla Fondazione Mudima (Milano) www.mudima.net
La rabbia, altrimenti declinata come ira, collera, bile, sdegno è un sentimento ancestrale. Spesso viene detto che la rabbia è un sentimento positivo, che ci aiuta a non rimuginare sul torto subito e perciò impedisce una sua deriva nell'astio o, peggio, nel rancore. Questo stato emotivo, perciò, è una reazione a ciò che si percepisce come ingiusto o sbagliato e che si tramuta in indignazione, irritazione, contrarietà. A titolo di esempio si può citare l'elaborazione di un lutto o di una prognosi infausta, che passa attraverso cinque fasi.
La rabbia, dopo la negazione/rifiuto occupa il secondo posto, ed è una fase molto delicata e bisognosa di aiuto. Altro esempio banale è la rabbia scatenata da un insulto o presunto tale nei confronti non solo di se stessi, ma di un amico, parente, consorte: Will Smith che dà uno schiaffo al comico Chris Rock che aveva fatto una battuta sulla calvizie della moglie. Ognuno di noi almeno una volta al giorno è rabbioso o arrabbiato. Al primo termine si dà solitamente una valenza caratteriale, al secondo comportamentale. D'altra parte, la rabbia è stata sin dall'inizio sia malattia che metafora, un groviglio di significati dove medicina e politica, sapere e potere sono avviluppati in modo irrimediabile.
L'approccio a tale tema viene svolto in questo volume prendendo in considerazione tutti gli argomenti che girano intorno al termine "rabbia". Per tale ragione verranno commentate non solo le basi psicologiche e sociologiche, comprese le tecniche di "sollievo", ma anche gli ambiti interessati alla rabbia, dalla pittura alla letteratura, dalla etologia alla medicina, dall'anziano al bambino, dalla religione alla storia, dalla economia alla politica. Gli autori provengono sia dal mondo accademico che dal mondo della comunicazione, in modo che il volume sia fruibile da gran parte dei lettori. (Comunicato stampa)
Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto
di Francesca Alfano Miglietti e Daniele Miglietti, Shake Edizioni, 2025
Il libro è stato presentato il 18 marzo 2025 alla Nonostante Marras (Milano)
www.antoniomarras.com
Un ritratto intenso e approfondito di Yoko Ono, artista che ha rivoluzionato il sistema dell'arte e le sue regole. Il volume indaga l'impatto che "la donna più odiata del rock" ha avuto sulla musica sperimentale, sul punk, sulla new wave e sulla cultura underground, ridefinendo il concetto stesso di artista e icona, esplorando le opere e le mostre più recenti dedicate a Ono ed intrecciandole con il contesto sociale, artistico e politico che ha reso possibile quella stagione di sperimentazione radicale.
Come dice Francesca Alfano Miglietti: "si colma finalmente un'irrazionale lacuna: l'assenza nel panorama editoriale di un testo organico su Yoko Ono, figura centrale della controcultura artistica del Novecento. Negli anni cinquanta Yoko Ono iniziò a scrivere quelle che definiva "istruzioni", ovvero delle "partiture" per l'arte più e più volte interpretabili dal pubblico, rifiutando così l'aura mistico-borghese dell'artista ma anche il concetto di opera d'arte come oggetto materiale e tangibile e pertanto idoneo al mercato. Anticipando il concettualismo emerso nel decennio successivo, abbatté i confini tra musica, performance, poesia e arte visiva, inaugurando l'utilizzo dei concerti e degli eventi artistici quali luoghi per incoraggiare il pubblico a prendere coscienza delle proprie idee. È stata pioniera dell'arte concettuale e partecipativa, ma anche della musica underground di fine secolo".
Per Yoko Ono arte e attivismo andavano di pari passo e molte delle sue opere sono manifesti contro la guerra. Di questi la più nota è sicuramente la performance Bed-In del 1969, durante la quale Yoko Ono e John Lennon rimasero a letto per tutta una settimana per protestare contro la guerra in Vietnam. "La trasformazione della loro luna di miele in performance, - osservano gli autori - ha cambiato la tradizione pacifista dei sit-in, un'ulteriore forma di condivisione di un momento privato e felice, trasformato in una campagna internazionale per la pace che includeva la diffusione del loro famoso slogan: War is over - if you want it". (Estratto da comunicato stampa)
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Yoko Ono
"Wish Tree for Sicily" ("L'albero dei desideri per la Sicilia")
Taormina, 27 luglio - 30 settembre 2024
Progetto di arte interattivo e itinerante avviato da Yoko Ono diversi anni fa che questa estate approda in Sicilia, allestito a Isola Bella. Il progetto della celebre artista sceglie Taormina per lanciare a tutto il mondo messaggi universali di pace e solidarietà. Protagonisti i visitatori internazionali che, come in Giappone, esprimono i loro desideri su bigliettini di carta appesi agli alberi dell'isolotto.
"Cose"
di Giulio Paci, ed. Clinamen, 2025, p. 62, euro 13,50
Il libro è stato presentato l'01 marzo 2025 a Lo Spazio (Pistoia)
Giulio Paci presenta la sua nuova raccolta poetica. Dialoga con l'autore Andrea Ulivi. Se considerassimo l'uomo solo dal punto di vista delle cose che possiede e che lo circondano smarriremmo del tutto il senso del tempo e gli eventi apparirebbero solo come una inafferrabile evanescenza. Più nessun sapere, allora. Ma l'uomo non è solo le sue cose: ogni volto rimanda a simboli e segni vitali, disvelando la vita nella sua continua interruzione e rinascita. Ogni volto è anche lo scorrere delle parole che l'uomo confida a se stesso, un sapere che pur sembra arenarsi nello sconforto di non poterle superare, nella stasi della loro ripetizione quotidiana.
Nella nostra radicale distanza da noi stessi e da quel mondo che le parole dicono, sempre si chiede di poter andare oltre il confine delle cose mostrate. Ricordare certi frammenti del tempo talvolta reca un po' di pace, crea la possibilità di rigenerare quella sfida originaria che è la vita stessa, ripercorrendone i passi, così da acquietare la radicale insoddisfazione di trovarsi nudi di fronte a un paesaggio umano fatto di cose e da cose limitato.
Giulio Paci si è laureato in Filosofia presso l'Università di Firenze e, sempre presso quella Università, ha conseguito la laurea in Scienze Filosofiche. Tra le sue raccolte poetiche, ricordiamo: Niente (2018) e La Soglia (2019) con Giuliano Ladolfi Editore. Con Edizioni della Meridiana ha pubblicato i seguenti lavori: Io sono già morto (2021), Profugo (2022), Anche il nulla riposa (2023), Nessuna Moltitudine (2024).
Martire a domicilio
di Beatrice Beneforti, ed. Castelvecchi, 2025, p. 128, euro 19,50.
Il libro è stato presentato il 20 febbraio 2025 alla Libreria Lo Spazio di Pistoia
"Sogno i morti di tutto il mondo" scriveva Carlo sui fogli che gli davano in ospedale. Ora è un anziano schizofrenico incapace di qualunque interazione. Lei, la protagonista senza nome, lo ha conosciuto nel duemilaventi. In mezzo alla strada che costeggia il vecchio manicomio di Pistoia, aveva trovato la sua cartella clinica, tutta piena di disegnini fatti con la biro. Alberto ha invertito il giorno con la notte, preferisce la luna. Ha un materasso singolo nella struttura di un letto matrimoniale. Pare non soffrire mai. Segue una terapia piuttosto forte. Come sarebbe senza? Violento? Lui che è così innocuo. Lui che, buono buono, segue le indicazioni del medico, al contrario di lei che cerca sempre di fare di testa sua, di negare ogni potere alla malattia.
La malattia mentale come inciampo ma anche come lente d'ingrandimento per cercare una forma di verità non melliflua come quelle persone educate che non sai mai se fanno qualcosa perché devono o perché vogliono. Una storia che si muove in una provincia di gesti semplici e rassicurazioni facili ma che sa essere crudele, che non perdona lo scarto e si accanisce con chi non sa ubbidire. Con chi si porta appresso ombre pesanti, con gli indecisi. Coi pazzi, soprattutto.
Beatrice Beneforti, fotografa e autrice. Ha lavorato come artista di Trash Art per l'azienda Hera Ambiente, in Officina Scart. Insieme ad altri coetanei ha creato il collettivo "BUG! Bollettino Urgenze" che si occupa di salute mentale. Da anni lavora sul tema della malattia mentale, intervistando ex pazienti manicomiali e raccogliendone le testimonianze: da qui nasce questo primo romanzo. (Comunicato stampa)
"0 1 2"
di Daniel Wisser
Il libro è stato presentato lo 05 febbraio 2025 al Forum Austriaco di Cultura a Roma
www.austriacult.roma.it
Daniel Wisser, «una delle voci più interessanti della letteratura austriaca contemporanea» (Süddeutsche Zeitung), già insignito del Österreichischer Buchpreis nel 2018 per "Königin der Berge", presenta a Roma "0 1 2", il suo ultimo romanzo, uscito in lingua tedesca. L'incontro e le letture sono in lingua tedesca. In cooperazione con l'Österreich Institut Roma e l'Associazione Austriaci in Roma.
__ Sinossi
Morto da trent'anni, al programmatore Erik Montelius viene concessa una seconda vita: è il primo paziente al mondo a uscire dalla conservazione criogenica. Ora vede la propria esistenza non più divisa in vita e morte, ma in prima vita, seconda vita e morte. Ma anche nella seconda vita il mondo non è migliore: sua moglie ha sposato il socio in affari di Erik, che ha anche rubato le sue idee. Le persone indossano mascherine a coprire naso e bocca, scorrono i propri computer portatili e hanno rinunciato alla possibilità di una società giusta e rispettosa dell'ambiente. Erik non ha nulla, né soldi, né casa, né documenti. Ma ha un sospetto sulla persona da ringraziare per la sua prima morte. E ha un contratto per un libro e quindi l'opportunità di portare alla luce la verità... (Comunicato stampa)
Trentasei Minuti
di Sandro Cappelli, Nuove Esperienze, 2025
Il libro è stato presentato il 17 gennaio 2025 presso Lo Spazio (Pistoia)
È solo attraverso l'immaginazione più intima, quella che rievoca sensazioni e ricordi che si può pensare di unire il confine che delimita il sogno dalla realtà. Di questo fanno parte anche i dialoghi impossibili instaurati con chi non è più presente, o più semplicemente, si è allontanato da noi. Questo libro descrive, con malinconica ironia, la necessità di ogni uomo di calarsi in una dimensione diversa per ricreare il contatto diretto con qualcuno con cui si è venuto a creare un legame indissolubile. Un viaggio nei ricordi che testimonia come nel profondo dell'anima, presente e futuro, così come sacro e profano, possano fondersi fino a diventare irriconoscibili.
Oltre alla scrittura Sandro Cappelli (Pistoia, 1960) è impegnato in attività di volontariato in ENPA e come attore e adattatore di testi nella compagnia teatrale Teste fra le Nuvole, che opera per scopi benefici. Nel 2023 ha pubblicato il suo primo romanzo "È quasi ora di andare". (Comunicato stampa)
"Il carteggio con Heinz Riedt"
di Primo Levi, ed. Einaudi, 2024, p. 420, euro 23,00
Il libro è stato presentazione l'11 gennaio 2025 alla Libreria Lo Spazio (Pistoia)
Martina Mengoni presenterà "Il carteggio con Heinz Riedt" di Primo Levi, da lei curato per Einaudi. Dialogheranno con lei Massimo Bucciantini, Giovanni Capecchi e Donatella Giovannini, mentre Massimiliano Barbini inteverrà con letture dal carteggio.
Heinz Riedt era un tedesco molto diverso da quelli che Primo Levi conobbe ad Auschwitz: fu soldato nella Wehrmacht e poi partigiano nella Resistenza veneta; lavorò con Brecht e tradusse Goldoni, Calvino e Pinocchio; visse a Berlino Est e poi fuggí in Germania Ovest con la famiglia. E fu lui a tradurre in tedesco Se questo è un uomo e Storie naturali. Ai quesiti lessicali che Riedt gli pone, Levi risponde rievocando il gergo e le espressioni del Lager. La ricerca della parola piú adatta costringe Levi a rituffarsi nella sua drammatica esperienza per riportarla nella lingua in cui l'ha vissuta: il tedesco. Ma le loro lettere non riguardano solo il lavoro tecnico della traduzione: a poco a poco diventano un dialogo fra amici che si scambiano opinioni sulla letteratura, sulla politica, sul mondo editoriale, e sulle rispettive vite. Questo con Heinz Riedt è il primo carteggio di Levi pubblicato in volume.
«Non ho mai nutrito odio nei riguardi del popolo tedesco, e se lo avessi nutrito ne sarei guarito ora, dopo aver conosciuto Lei. Non comprendo, non sopporto che si giudichi un uomo non per quello che è, ma per il gruppo a cui gli accade di appartenere. So anzi, da quando ho imparato a conoscere Thomas Mann, da quando ho imparato un po' di tedesco (e l'ho imparato in Lager!), che in Germania c'è qualcosa che vale, che la Germania, oggi dormiente, è gravida, è un vivaio, è insieme un pericolo e una speranza per l'Europa». (Primo Levi a Heinz Riedt 13 maggio 1960)
«E al Suo libro, cosí necessario e giusto, posso solo augurare che venga letto con intelligenza in Germania, che "parli" non a pochi, ma a molti, moltissimi, che abbia la sua "reazione". E cosí sarà anche per me in un certo senso una risposta, una delle risposte che attendo dai tedeschi con chiarezza». (Heinz Riedt a Primo Levi 8 giugno 1960) (Comunicato stampa)
Croce e il fascismo
di Mino Franzinelli, Laterza 2024
Il libro è stato presentato il 29 novembre 2024 alla Biblioteca della Fondazione Spadolini (Firenze) www.fondazionerossisalvemini.eu
Per vent'anni Benedetto Croce fu l'unica voce libera del nostro Paese. L'unico intellettuale a cui il regime fascista, per il suo prestigio e il suo carisma, concedeva una certa libertà di espressione. Da solo, attraverso i suoi libri, la sua rivista e le sue relazioni, riuscì a tenere accesa la fiamma della speranza in tanti giovani. Un racconto che ripropone l'eterna battaglia tra libertà e asservimento della cultura. Benedetto Croce non è stato soltanto uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento ma ha svolto una funzione fondamentale durante il Ventennio fascista, impedendo al regime di ottenere una egemonia assoluta sulla cultura del nostro Paese.
Con un taglio originale, questo libro, oltre a seguire l'atteggiamento di Croce dinanzi al fascismo - accolto con simpatia, poi combattuto con tenacia e inventiva -, ricostruisce non soltanto la biografia del filosofo nel ventennio più tormentato del Novecento, ma ricollega lo studioso liberale ai protagonisti della cultura italiana ed europea, da Thomas Mann a Stefan Zweig.
Con una ricca documentazione inedita, Franzinelli illustra l'offensiva degli squadristi e la 'macchina del fango' scatenata contro il filosofo dissidente. Emerge il ruolo di Croce nella formazione di giovani che - da Giorgio Amendola a Vittorio Foa, da Leone Ginzburg a Piero Gobetti - lo presero quale riferimento in momenti decisivi della loro esistenza. Una particolare attenzione è dedicata alla battaglia di Croce contro il razzismo: era nota la sua contrarietà alla persecuzione degli ebrei, ma ora emergono la continuità e la profondità del suo impegno, che non trova pari in nessun altro intellettuale italiano. (Comunicato stampa Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini)
Le parole risuonavano con incoraggiante semplicità
di Roberto Vidali, postfazione: Gabriele Perretta, pagg 206, Juliet Editrice, settembre 2024, extra issue Juliet n 219 / ottobre, pubblicazione con apparati iconografici, progetto grafico di Piero Scheriani
www.juliet-artmagazine.com
Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della scrittura proteiforme che l'autore ha iniziato a praticare fin dal 1975, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità e all'esondazione immaginifica. Questo fascicolo si basa su collage di testi pubblicati nell'arco di tempo che va dal 1985 al 2023, tutti rielaborati e rivisitati, in modo da poter dare una veste organica e una cornice di riferimento ad argomenti e spunti che altrimenti sarebbero stati visti come dei frammenti privi di alcun fondamento di attualità. L'aspetto più curioso di questa pubblicazione è che raccoglie un insieme di cento testi dedicati ad altrettanti artisti e che all'epoca sono stati (in parte) pubblicati con i più diversi pseudonimi.
A ben vedere il risultato non è per nulla filologico, dal momento che asseconda quella modalità di approccio che vede la forza della parola in gara con la potenzialità espressiva di qualsiasi immagine e la sua perenne possibilità di essere rielaborata. La stessa scelta di ricomporre i singoli testi senza la separazione in capoversi e privandoli delle originarie note a piè di pagina rende la scrittura compressa e soffocata. Questa scelta non è stata dettata da un vuoto manierismo, quanto dalla semplice volontà di rappresentare la concatenazione delle frasi come una valanga irrefrenabile.
L'insieme di questa narrazione trae origine, in massima parte, da una selezione di articoli stampati, a partire dal 1985, sulle pagine della rivista "Juliet". Altri scritti, inseriti in questa silloge, sono stati divulgati sul sito juliet-artmagazine.com. Solo uno di questi è stato recuperato da un catalogo, un altro è stato pubblicato sul sito olimpiainscena.it e l'ultimo della sequenza, peraltro, è inedito. Infine, per continuare questo gioco di ombre, in questo cumulo di parole addensate ne sono state inserite alcune che non furono camuffate da uno pseudonimo, giusto per aprirsi all'idea che, forse, finanche la firma di Roberto Vidali, messa ad architrave di tutto questo progetto la si possa far apparire come un puro gioco della fantasia. A ben vedere la questione trova una porta aperta. Il resto, quello che rimane in disparte, è il silenzio.
Roberto Vidali (Capodistria, 1953), sotto il segno del Sagittario; dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.
Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).
A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012, "Tutto intorno a noi" del 2021 e "Tre bacche di rovo", datato 2022. Nel 2024 ha dedicato la cura di un catalogo al lavoro di Aldo Damioli. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato di presentazione)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Copertina dell'extra issue firmato da Roberto Vidali, progetto grafico di Piero Scheriani, Juliet Editrice, ott 2024
2. Lubiana, Cukrarna, maggio 2023, Roberto Vidali in una foto di Elisabetta Bacci
___ Altre pubblicazioni Juliet editrice presentate nella newsletter Kritik
Aldo Damioli | "Venezia New York"
testo di Roberto Vidali, gennaio 2024 Presentazione
Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun Presentazione
Poligoni platonici
di Carlo Fontana, gennaio 2023 Presentazione
"Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, dicembre 2022 Presentazione
"Trieste è un'isola"
Francesco De Filippo, ed. Castelvecchi, €17.50
Il libro è stato presentato il 13 giugno 2024
Ufficio di collegamento della Regione FVG - Bruxelles
Trieste, una città lacerata dai conflitti e dalle travagliate vicende del confine orientale nel Novecento, secondo il giornalista e scrittore Francesco De Filippo, è un'isola della mente, ovviamente non della geografia: un posto unico, che si riconosce in codici specifici, a partire dal dialetto, linguaggio usato universalmente da ogni strato sociale, e tradizioni che assumono quasi il ruolo di rituali civili, che servono per comunicare un'identità fortissima, uno scudo che si è formato dopo un lungo periodo segnato da un senso di continua minaccia di invasione.
Quest'isola inoltre "galleggia" sul non detto ma non rimosso, su vicende del passato che rimangono rilevanti ma non emergono quasi mai nel discorso pubblico. Sono alcune delle riflessioni che sono emerse nel corso della presentazione del volume all'Ufficio di collegamento della Regione Friuli Venezia Giulia a Bruxelles, in cui l'autore ha dialogato con Marianna Accerboni, curatrice della mostra "L'arte triestina al femminile nel '900", visitabile all'Istituto italiano di Cultura di Bruxelles e nell'ambito della quale si è svolta la presentazione della spy story di De Filippo.
Insomma, per tutte queste caratteristiche, una città, o meglio, un'isola da scoprire, svelare lentamente con l'oculatezza dedicata a un oggetto antico e prezioso. Un'isola bifronte: da un lato isceralmente attaccata al passato, dall'altro proiettata nel futuro con una imprenditoria illuminata e un numero altissimo di enti di ricerca scientifica, all'avanguardia.
"Ho scelto lo stile poliziesco perché mi ha permesso di accompagnare il lettore nella scoperta non solo della trama del libro ma anche della città stessa", ha specificato De Filippo. Trama che porta il lettore tra Trieste, Napoli - la città d'origine dello scrittore e del suo personaggio principale, Vincenzo Tagliente, di cui si leggono "le prime e involontarie indagini" - e gli Stati Uniti d'America. Ma tutto parte dal campo profughi di Padriciano, a pochi chilometri dal centro del capoluogo giuliano, dove migliaia di esuli istriano-dalmati sono transitati. Il libro racconta come la catena di violenze e ingiustizie operate dai regimi totalitari si sono ripercosse sulla gente comune.
Ma lo fa "mescolando al dramma il sorriso come nella migliore tradizione partenopea", come ha sottilmente ricordato Accerboni che, introducendo l'autore, ha sottolineato l'intreccio del pathos del racconto poliziesco alla tragicità di eventi storici epocali come l'esodo di 350.000 istriani e le foibe - che segnarono la città nel difficile periodo del dopoguerra. Più altri "momenti di divertissement d'ispirazione quasi teatrale com'è nella cultura partenopea, cui l'autore appartiene". All'incontro erano presenti intellettuali e artisti italiani, belgi e francesi e anche Enrico Tibuzzi, responsabile della sede del Belgio dell'Agenzia Ansa, e Italo Rubino, vicepresidente del Circolo di Bruxelles dell'Associazione Giuliani nel Mondo.
Francesco de Filippo (Napoli, 1960), è stato inviato all'estero per Il Sole 24 Ore ed è responsabile dell'Agenzia Ansa per il Friuli Venezia. È autore di oltre venti libri, tra romanzi, saggi e varia, diversi dei quali tradotti in Francia, Germania e Repubblica Ceca. Il romanzo d'esordio, Una storia anche d'amore (Rizzoli, 2001), ha vinto il premio Cypraea, è entrato in cinquina per il Premio Berto ed è stato finalista al Premio Arezzo. Il successivo, L'affondatore di gommoni (Mondadori, 2004), è stato pubblicato nella Repubblica Ceca e in Francia, dove è stato selezionato per il Supercampiello Europa e per il prestigioso premio Polar. Nel 2001 ha vinto il Premio Paris Noir con il romanzo L'Offense (Métailié). Numerosi suoi racconti sonostati pubblicati su quotidiani e periodici (la Repubblica, Carta, Il manifesto) e compaiono in varie antologie. Fra le sue ultime opere Filosofia per i prossimi umani (con Maria Frega - Giunti, 2020), e per Castelvecchi La nuova via della seta (2019), No vax: il grande sogno negato (2022) e i romanzi Le visioni di Johanna (2019), Prima sterminammo gli uccelli... (2020).
Il progetto espositivo è promosso e sostenuto da Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Associazione Foemina APS di Trieste e realizzato in coproduzione con Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, con il patrocinio del Comune di Trieste, media partner Il Piccolo, quotidiano di Trieste, e con l'organizzazione di Associazione Giuliani nel Mondo e Circolo AGM di Bruxelles, Ente Friuli nel Mondo e Fogolâr Furlan di Bruxelles e il contributo di Fondazione CRTrieste, Ciaccio Arte - Big Broker Insurance Group (Milano), Francesco Katalan casa di spedizioni S.r.l. (Muggia, Trieste), Azienda Agricola Zidarich (Trieste), Rotary Club Trieste Alto Adriatico, Biesse Forniture elettriche Studio Luce, Videoest Trieste, Grafica Goriziana. (Ufficio stampa per l'Italia Studio Pierrepi - Alessandra Canella)
Valeria D'Obici
Dizionario di un'attrice "sui generis"
di Francesco Foschini con Stefano Careddu, Falsopiano 2023
Il volume è stato presentato il 9 maggio 2024 a Nonostante Marras (Milano)
www.antoniomarras.com
A presentare il libro dialogano con Francesco Foschini, autore del volume, Rocco Moccagatta, docente IULM e critico, e la protagonista Valeria D'Obici.
Scheda libro: "Se quel giorno del 1966 fossi andata all'appuntamento con Lucio Battisti, che voleva formare un gruppo musicale tutto al femminile, alle ore 17.30 all'ex Trianon di Milano, forse avrei fatto la cantante e non l'attrice... ma questo non lo saprò mai, perché gli diedi buca". "A un certo punto della mia vita ho deciso di diventare attrice, non che prima di quel momento non ci avessi mai pensato: da bambina mi piaceva prendere parte alle recite scolastiche, poi scrivevo e interpretavo delle scenette umoristiche, inventavo spettacolini con le mie compagne di classe... Ma la cosa fondamentale era poter esprimere le emozioni che avevo dentro. Quindi, se avessi suonato bene uno strumento musicale, tipo il pianoforte, non so se avrei fatto l'attrice, perché mi sarei sfogata suonando".
Con una prefazione di Rocco Moccagatta. Francesco Foschini è critico cinematografico e programmatore. Ha preso parte a progetti redazionali promossi da Milano Film Network e da La Biennale di Venezia. Collabora, e ha collaborato, con "Alias/il manifesto", "duels.it", "Film Tv", "Taxidrivers", "Sentieri selvaggi", Festival MIX Milano. Stefano Careddu è videomaker, montatore e organizzatore di eventi. Collabora con alcune riviste online di informazione cinematografica e, dal 2017, dirige l'Alessandria Film Festival e altre rassegne cinematografiche nel Monferrato. (Comunicato stampa ufficio stampa Maria Bonmassar)
Aldo Damioli
"Venezia New York"
testo di Roberto Vidali, progetto grafico di Piero Scheriani, Juliet Editrice, gen 2024, 72 pp, 150 x 210 mm
www.juliet-artmagazine.com
Juliet Editrice ha concluso la realizzazione di una pubblicazione dedicata al lavoro di Aldo Damioli, l'autore conosciuto a livello internazionale per il ciclo pittorico "Venezia New York" e che a Trieste, ancora più di vent'anni fa, era stato proposto dallo Studio Arte 3, in primo luogo da Mariagrazia Avidano Bonzano e in seguito dal figlio Paolo Bonzano. Il testo che accompagna la pubblicazione è firmato da Roberto Vidali, direttore editoriale della rivista Juliet. Il progetto grafico è di Piero Scheriani.
Il testo di Roberto Vidali, intitolato "Paesaggi elettivi", è incentrato sul ruolo che questo autore ha avuto nella pittura del nuovo millennio e sui rapporti che il suo processo ha con la storia dell'arte. In particolare il testo si sofferma sulle possibili (e insolite) connessioni con la pittura di Botticelli, Canaletto e Guardi. Un lavoro di meticolosa esecuzione, giocato sul dettaglio e sulla forma, sulla prospettiva e sul capriccio, da intendersi come spunti capaci di fornire il pretesto all'invenzione e all'evasione. Il ciò vale a dire che queste opere non parlano di puro realismo, ma di fantasia, di invenzione, di pretesti per dimostrare come la pittura possa essere falsificazione, narrazione fantasiosa, montaggio di parti incongrue e che per essere moderna deve essere anche concettuale.
E la pittura di Damioli è concettuale proprio perché nel titolo evoca (o indica) qualcosa che non c'è o che non viene rappresentato: per esempio nelle sue tele la città di Venezia (pur indicata nel titolo) è solo evocata per confronto con la città di New York o con altra città (sia questa Parigi o Pechino) giusto per dare l'impressione che se di tanto si può parlare, tutto non può (o non deve) essere mostrato. Questa poetica pittorica va contro la durezza ideologica e materica propugnata da Joseph Beuys o in avversione a quei postulati delle neoavanguardie che hanno condotto alla disseminazione del linguaggio oltre che alla sottrazione della centralità dell'esperienza estetica. E questo perché se Damioli, riguardo alla sua pittura cerca un confronto o deve pensare a un autore dei nostri giorni non pensa a Cattelan, ma a Sean Landers, non pensa a Damien Hirst, ma a John Currin.
Damioli, che ha esordito ancora negli anni Novanta con la Galleria di Guido Carbone a Torino, ha poi intessuto per anni rapporti di collaborazione con la mitica Galleria del Milione di Milano e con Santo Ficara di Firenze, il tutto giocando di sponda e in rapporto di collaborazione con critici come Edoardo Di Mauro, Elena Pontiggia e Luca Beatrice. Ricordiamo, infine, che il lavoro di Aldo Damioli, incentrato sul ciclo "Venezia New York", fu presentato anche in una mostra che si tenne nel foyer del Teatro Verdi di Trieste, ancora nel 2012. (Comunicato di presentazione)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Aldo Damioli, Venezia New York, 2022, acrilico su tela cm. 80x100
2. Copertina della pubblicazione dedicata al lavoro di Aldo Damioli, Juliet Editrice, gen 2024
3. Aldo Damioli, Venezia New York, 2022, acrilico su tela cm. 60x60
Cannoli Siciliani
Mare, amore e altre cose buone
di Roberta Corradin, Giunti editore, p. 320, euro 18,00
Il libro è stato presentato il 10 novembre 2023 presso Lo Spazio Pistoia - Libreria Bacaro
Mare, sole, amore: la Sicilia d'estate ha molte promesse, ma non per Arianna, che lavora senza sosta alla redazione di due libri in due lingue diverse. Si consola con le tante delizie che l'isola offre anche agli stacanovisti come lei: granite, gelati, cannoli e menu di pesce. Nel frattempo, seduta a cena col laptop aperto, guarda distrattamente Nisso, diminutivo di Dionisso, chef belloccio e un po' arrogante che le ricorda un giovane Antonio Banderas e manda avanti due ristoranti. Lui ha vissuto sempre in Sicilia, lei è cittadina del mondo. Lui ha poco più di trent'anni, lei poco più di cinquanta. Nessuno dei due ha tempo e voglia di innamorarsi. Ognuno dei due ha un sogno. Diverso. Ma non così tanto.
Il destino se ne frega della iniziale riluttanza dei due e tesse trame al posto loro, finendo per intrecciarli stretti in una storia che, anno dopo anno, li porta a confrontarsi e a costruire insieme case, menu, ristoranti, progetti reali e immaginari. Respireranno modi di pensare, stili di vita, cibi e spezie prima sconosciuti. E realizzeranno tante cose buone, da mangiare e non solo, per chi siede ai tavoli del loro ristorante sulla piazzetta di una borgata di mare e per tutta la comunità locale, a partire dalle molte donne a cui Arianna mostrerà che nella vita si può sempre scegliere, e cambiare vita è sempre un'opzione valida. Sullo sfondo, la bellezza mozzafiato della Sicilia barocca, il mare splendente e le colline degli Iblei. Una storia d'amore scritta con uno stile ironico e sagace e con un finale a sorpresa che vi farà ridere, pensare, piangere e sognare. E chissà, anche cambiare.
Classe 1964, Roberta Corradin ha scritto Ho fatto un pan pepato... Ricette di cucina emotiva (Zelig 1995), Un attimo, sono nuda (Piemme 1999), Le cuoche che volevo diventare (Einaudi 2008), La repubblica del maiale (Chiarelettere 2013), Piovono mandorle (Piemme 2019). Traduce dal francese e dall'inglese le fortunate serie di Katherine Pancol e Richard Osman. Ha avuto il privilegio di vivere in luoghi affascinanti, tra cui Parigi, New York, Cambridge, la Sicilia sudorientale, dove ambienta i suoi libri. Su Instagram @rocorradin per conoscere i suoi nuovi progetti in Sicilia e per visitare e soggiornare con lei nelle location del libro. (Comunicato stampa)
Gaetano Rapisardi. Architetto 1893-1988
a cura di Clementina Barucci e Marco Falsetti, Campisano Editore, Roma 2022
* Il libro è stato presentato il 16 ottobre 2023 all'Accademia Nazionale di San Luca - Roma
www.accademiasanluca.it
Il volume si propone di far luce sull'opera del progettista siciliano ricostruendone un profilo quanto più possibile esaustivo, al fine di colmare una pagina rimasta troppo a lungo incompleta. Noto soprattutto per gli edifici della Sapienza - le Facoltà di Lettere e di Giurisprudenza - e per il grande complesso della piazza e della basilica del Don Bosco al Tuscolano degli anni Cinquanta, Gaetano Rapisardi è ricordato nella storiografia perlopiù come fidato collaboratore di Marcello Piacentini.
Tale inquadramento, a nostro avviso riduttivo, dimentica (e talvolta omette) la complessità dell'opera rapisardiana nonché l'interessante sfida tipologica che ha visto l'architetto confrontarsi con una eccezionale varietà di temi, specialmente nel periodo del dopoguerra quando Rapisardi, insieme al fratello Ernesto (spesso coautore delle opere), interrompe la collaborazione con il Maestro (mantenendo comunque rapporti molto cordiali). Si è cercato di restituire, attraverso questo studio, tutto il complesso del suo lavoro, che annovera oltre 150 opere conosciute ad oggi, alcune delle quali solo mediante riferimenti contenuti in carteggi o documenti d'archivio.
I progetti e le realizzazioni di Rapisardi interessano un arco temporale molto ampio, che va dall'inizio degli anni Venti fino ai primi anni Settanta, e che copre dunque oltre un cinquantennio di attività professionale. A fronte di una instancabile opera di disegno, di progettazione e di cantiere non si registra, sfortunatamente, un'altrettanta intensa produzione teorica (se si eccettua qualche relazione di progetto) alla qual cosa si deve l'equivoca interpretazione della sua opera.
Rapisardi fu infatti, per quanto ci è dato di sapere dalle rare testimonianze dirette raccolte, dedito soprattutto all'attività progettuale e di disegno, assorbito al punto dal non trovare il tempo di sistematizzare questa sua opera all'interno di un corpus teorico, il che non implica naturalmente che tali realizzazioni mancassero di "spessore critico", come è stato talvolta ingiustamente sotteso. Il volume è pubblicato con il supporto del Dipartimento di Storia disegno e restauro dell'architettura dell'Università di Roma "Sapienza". (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)
L'autobiografia della nazione
di Piero Gobetti, a cura di Cesare Panizza, Aras Edizioni 2023
Il libro è stato presentato il 29 maggio 2023 alla Biblioteca della Fondazione Spadolini Nuova Antologia a Firenze
Introduce e presiede Cosimo Ceccuti; intervengono, con il curatore, Marino Biondi e Paolo Bagnoli www.fondazionerossisalvemini.eu
Fra i più risoluti oppositori di Mussolini, Gobetti compendiò la sua lettura del fascismo nella famosa formula dell'"autobiografia della nazione". Nei suoi scritti, sullo sfondo di una riflessione storica e politica che sottolineava l'arretratezza culturale del paese e l'inadeguatezza delle sue classi dirigenti, il successo del fascismo era letto a riprova dell'immaturità politica degli italiani. Si trattava di una tendenza alla "servitù volontaria" sedimentatasi nelle fibre della nazione in assenza di quei processi di modernizzazione della società e della politica avviatisi in Occidente con la riforma protestante e la nascita del capitalismo. Paradossalmente, però, proprio per il suo carattere di "rivelazione", la lotta contro il fascismo poteva offrire l'occasione per una rigenerazione della nazione. La dittatura aperta che rappresentava l'aspirazione di Mussolini e del fascismo avrebbe infatti permesso la selezione di nuove élites politiche destinate a rigenerare il costume politico degli italiani in senso liberale e democratico. (Comunicato di presentazione Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini)
Decio Gioseffi
Storia dell'arte in Europa
* Libro presentato il 13 febbraio 2023 presso il Palazzo della Regione Friuli Venezia Giulia (Trieste) www.triestecontemporanea.it
A distanza di trent'anni dalla sua stesura viene pubblicata una inedita Storia dell'arte in Europa raccontata da Decio Gioseffi con sensibilità non usuale al tempo in cui fu scritta. Prima presentazione dell'importante opera del grande storico dell'arte triestino, ora proposta nella collana «I libri di XY», diretta da Roberto de Rubertis, da Il Poligrafo di Padova e dall'Università di Trento ed edita con la partecipazione di Società di Minerva e Trieste Contemporanea: relatore sarà Valerio Terraroli, professore di Storia della critica d'arte all'Università di Verona, introdotto da Nicoletta Zanni, già professore di Storia della critica d'arte all'Università di Trieste e curatrice, assieme a Giuliana Carbi Jesurun, della edizione.
Fra i progetti di celebrazione del centenario della nascita di Decio Gioseffi (1919-2007), i promotori hanno ritenuto di estremo interesse lavorare su questo inedito e dare così alle stampe uno degli ultimi scritti dello studioso triestino che fu tra le personalità più rappresentative della cultura storico-artistica italiana della seconda metà del Novecento.
Il libro raccoglie esempi illustri della storia dell'arte europea attraverso i secoli - dalle grotte di Altamira al Rinascimento maturo (ed era prevista anche una continuazione fino alla seconda metà del ventesimo secolo) - e si occupa dell'intera filiera dell'arte occidentale, a partire dal rapporto con l'eredità dell'Antico e gli scambi con l'arte del Vicino Oriente, arrivando alle eccellenze che hanno generato e contraddistinto il Rinascimento italiano ed europeo. A corredo, sono state scelte alcune immagini tra quelle più emblematiche nelle sue lezioni universitarie introduttive e di metodo storico-artistico.
La modernità dell'applicazione alla narrazione storica dei fatti dell'arte da parte di Decio Gioseffi di un metodo operatorio proveniente dal mondo scientifico, discusso anche nel suo lungo sodalizio con Carlo Ludovico Ragghianti, ancor oggi affascina infatti in questo libro e si nutre della vasta conoscenza non solo specialistica dell'autore. Sicché i passaggi dedicati a collocare la produzione artistica nella società e nella storia sono cruciali e questa Storia dell'arte in Europa si dispiega in un ampio tessuto connettivo fatto di bellissime pagine che parlano anche di moda, letteratura, ingegneria e tecnologia, strategia militare, storia delle lingue.
Decio Gioseffi (Trieste 1919-2007), accademico dei Lincei, già membro e poi presidente (dal 1980 al 1989) del Comitato di Settore per i Beni Artistici e Storici presso il Ministero dei Beni Culturali (ex Consiglio Superiore di Belle Arti), dopo la laurea a Padova in Archeologia e storia dell'arte antica, dal 1943 all'Università di Trieste è stato prima assistente di Luigi Coletti e poi di Roberto Salvini, docente ed infine direttore dal 1964 al 1993 dell'Istituto di Storia dell'arte medioevale e moderna. Perspectiva artificialis: per la storia della prospettiva. Spigolature e appunti (Premio Olivetti 1957) inizia i suoi studi pionieristici sulla prospettiva e sulla rappresentazione dello spazio nell'arte, proseguiti nel 1960 con La cupola vaticana: un'ipotesi michelangiolesca (Premio IN/ARCH 1962) e con la monografia Giotto architetto (1963).
La presentazione triestina avviene con il patrocinio di ICOMOS Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti-Comitato Nazionale Italiano e con la collaborazione dell'associazione L'Officina e dell'Associazione Amici Dei Musei Marcello Mascherini ODV. Il volume è pubblicato, con il supporto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sotto gli auspici di Ministero della Cultura - Segretariato regionale per il Friuli Venezia Giulia; Università degli Studi di Trieste; Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Vicenza; Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca; SISCA Società italiana di storia della critica d'arte, Roma; Archivio degli Scrittori e della Cultura Regionale, Università di Trieste. (Comunicato stampa Trieste Contemporanea)
Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun, ed. Juliet editrice
Il libro è stato presentato il 28 gennaio 2023 allo Studio Tommaseo di Trieste
www.triestecontemporanea.it
Trieste Contemporanea presenta la seconda pubblicazione della collana libraryline dedicata a Miela Reina (Trieste 1935 -Udine 1972). Il libro pubblica per la prima volta una selezione delle lettere che Miela Reina scrisse alla madre Aurelia Cesari Reina, in fittissima sequenza, negli anni di formazione all'Accademia di Venezia, quindi, dall'autunno del 1955 all'autunno del 1959, data della laurea.
L'interessantissimo epistolario vede la luce, grazie alla trascrizione e all'ordinamento dei manoscritti conservati nell'archivio privato delle famiglie Budini Reina. Sono carte molto speciali poiché contengono molti disegni e bozzetti che si è deciso di riprodurre nel testo delle lettere, aggiungendo una parte di immagini e fotografie provenienti dall'archivio familiare e di riferimenti (grazie alle immagini gentilmente concesse dall'Archivio fotografico ERPAC - Servizio catalogazione, promozione, valorizzazione e sviluppo del territorio, dalla Fondazione CRTrieste e dall'Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'arte moderna di Trieste) ai dipinti citati nel testo, dei quali nel racconto epistolare alla mamma si seguono giorno per giorno le fasi di realizzazione.
Il libro è occasione per conoscere una inedita Miela Reina, giovanissima, versatile e gioiosa nell'apprendere a tutto campo, non solo la pittura al corso di Bruno Saetti (lo spaccato della vita degli studenti fuori sede del tempo è vivacissimo), ma anche dalle molte letture e frequentazioni della vita culturale veneziana (dal cinema al teatro ai concerti) e dai viaggi (in Francia a conoscere Chagall e in Spagna per lavorare alla tesi di laurea sulla pittura castigliana). Questa studentessa diventerà da lì a poco una dei più originali e attenti artisti italiani in dialogo avvincente e autorevole con le tendenze internazionali dell'arte degli anni Sessanta e Settanta - e proprio leggendo queste lettere e le modalità della sua partenza verso l'arte dei grandi c'è ancora il rimpianto che la sua breve vita non le abbia permesso di donarci più a lungo la sua immaginifica creatività: poiché fu "autrice di una vivacissima stupefatta visione del mondo, di una attonita e apocalittica kermesse non eroica" come ebbe a scrivere l'amico e grande estimatore Gillo Dorfles.
Gentilissima Signora Aurelia vuole contribuire a far meglio conoscere una delle figure artistiche più alte della nostra regione e a renderle omaggio. Alla presentazione di sabato, che verrà proposta anche in streaming, in dialogo con le curatrici saranno Paola Bonifacio, storica dell'arte autrice di Miela Reina, la prima monografia sull'artista edita da Mazzotta nel 1999, e (in videoconferenza) Marina Beer, scrittrice e saggista che hanno contribuito all'interpretazione della creatività e degli affetti di Miela Reina a Venezia con due testi pubblicati nel libro in forma di postfazione.
Gentilissima Signora Aurelia è il secondo volume di libraryline, una nuova collana editoriale della Biblioteca di Trieste Contemporanea che raccoglie testi inediti e prime traduzioni di artisti o di autori che hanno contribuito all'arte visiva contemporanea europea o alla sua comprensione. Con la collana, coordinata dalla direttrice della Biblioteca di Trieste Contemporanea Elettra Maria Spolverini (che introdurrà l'incontro di presentazione) e firmata dalla grafica triestina Giulia Lantier, si concretizza una idea di divulgazione della storia dell'arte contemporanea molto cara al comitato triestino, e anche si intercetta e continua un'altra delle missioni prioritarie di Trieste Contemporanea, prevalentemente conosciuta per lo sguardo che da più di un quarto di secolo rivolge alla produzione di arte visiva contemporanea dei paesi dell'Europa dell'Est.
Un mandato, per così dire di reciprocità rispetto all'importazione della conoscenza della cultura artistica ad Est di Trieste: offrire l'opportunità di approfondire all'esterno le espressioni internazionali della produzione di pensiero e di cultura del nostro territorio. Tra le attività svolte in questo segmento merita ricordare le pubblicazioni su e di Sergio Miniussi, la monografia di Marco Pozzetto sugli architetti Berlam, i film documentari su Leo Castelli e su Leonor Fini e si può già anticipare l'ultima iniziativa che verrà resa pubblica in febbraio: la partecipazione alla pubblicazione dell'inedita e importantissima Storia dell'arte in Europa del grande storico dell'arte triestino Decio Gioseffi. (Comunicato stampa)
Poligoni platonici
di Carlo Fontana, Juliet Editrice, gennaio 2023, testo critico di Gabriele Perretta, progetto grafico di Piero Scheriani, pagg 40 + cover con alette
www.juliet-artmagazine.com
* Presentazione e diffusione in anteprima in occasione della 46° edizione di Arte Fiera, a Bologna, nello stand Juliet, nelle giornate del 2, 3, 4, 5 febbraio 2023.
Poligoni platonici è la quinta pubblicazione che Juliet Editrice dedica al lavoro di Carlo Fontana, con immagini commentate e testo critico di Gabriele Perretta. Carlo Fontana (Napoli, 1951), vive a Casier (Treviso). Si è diplomato all'Accademia di BB.AA. di Napoli, nel corso di pittura con il maestro Domenico Spinosa. Dopo aver esordito con happening dalla fissità teatralizzata e con attività estetica nel territorio, in concomitanza alle teorie formulate negli anni Settanta da Enrico Crispolti, nel decennio successivo inizia un percorso pittorico che vede il colore e la ricerca della luce al centro della sua opera. Sue opere sono presenti, a Trieste, presso la sede della Soprintendenza, nel palazzo storico dell'ITIS e al Museo Diocesano (ex Seminario), a Bologna presso la Collezione Zavettini e nel circuito nazionale sloveno presso la Galerija Murska Sobota.
Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano: Francesca Agostinelli, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Enrico Crispolti, Edoardo Di Mauro, Pasquale Fameli, Robert Inhof, Emilia Marasco, Gabriele Perretta, Alice Rubbini, Maria Luisa Trevisan, Roberto Vidali.
La prima testimonianza, prodotta da Juliet Editrice, ancora nel lontano 1999, fu un libro d'artista di formato quadrato, con copertina rossa e con testo introduttivo firmato da Roberto Vidali. Lì si parlava della natura figurativa dell'opera di Carlo Fontana, dell'uso quasi matissiano del colore, della scomposizione dell'immagine che era in debito con la poetica cubista della prima ora, ma ci soffermava anche a dare una giustificazione storica di un lavoro che di primo acchito poteva sembrare povero d'intenti e di idee, mentre dietro c'era tutto un percorso storico, una linea continua che procedeva dalle prime esperienze operate nel sociale e sul territorio, assieme al gruppo degli Ambulanti, nel corso degli anni Settanta.
In questo caso, invece, il catalogo, a parte un excursus storico di immagini (tutte spiegate ed analizzate con testi lapidari) propone solo un insieme di opere che dobbiamo prosaicamente definire astratto-geometriche e che fanno parte della più recente produzione dell'autore. Gabriele Perretta, nel ricostruire il percorso di questo autore, parte dalla prima performance/azione conosciuta di Carlo Fontana: siamo nel 1974, "Fate l'amore non la guerra", dove solo la sottrazione di una virgola distingue questo titolo dallo slogan in voga negli anni Settanta e che si rifaceva alle guerre di liberazione del Terzo Mondo in secundis e alla guerra del Vietnam in primis, una guerra rovinosa che si concluderà appena l'anno successivo.
L'aggancio, sottolineato da Perretta, va poi, al 1975, con le prime azioni sul territorio di Napoli, progettate assieme al gruppo degli Ambulanti, dove le tessere di mosaico che l'autore distribuiva alle persone che lo avvicinavano, sono già anticipazione di quelle macchie di colore che oggi ritroviamo nei suoi quadri. Ora che la figura che Carlo Fontana interpreta (nelle sfilate del Quartiere Bagnoli di Napoli o di Piazza San Marco a Venezia) fosse quella dell'acquaiolo (di napoletana memoria) o fosse quella afro-napulitana di un povero portatore d'acqua, quello che conta è che il colore era testimonianza già presente e fondante fin da quei lontani anni Settanta, quando nell'arte internazionale il dominio maggiore era quello del bianco e nero (si pensi alle foto di Gilbert & George, di Bernd & Hilla Becher, di Urs Lüthi, di Joseph Beuys e così via).
In questo modo Gabriele Perretta ci fa toccare con mano le ragioni storiche del lavoro di Carlo Fontana, mentre allo stesso tempo sottolinea come il nome di Enrico Crispolti, a cornice di quella situazione culturale (si pensi alla X Quadriennale del 1975, alla Biennale di Venezia del 1976, alla Biennale di Gubbio, nel 1979) non sia stato dei più appropriati perché in realtà non ha saputo valorizzare il lavoro dei singoli autori, preferendo fotografare un fenomeno dalla portata collettiva, spesso però confondendone il valore dei singoli apporti individuali. (Estratto da comunicato stampa)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro, ph courtesy Juliet
2. Carlo Fontana, Solidi a base rettangolare, 2020, olio su tela, cm 50x50, ph courtesy Juliet
"Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, Juliet Editrice, dicembre 2022, pagg 92, extra issue Juliet n 210 / dicembre, pubblicazione con apparati iconografici, copertina di Antonio Sofianopulo, progetto grafico di Piero Scheriani
Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della "proteo-scrittura" che l'autore pratica fin dal 1980, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità. Questo testo mette insieme più modalità: una presunta tipologia da manuale di storia dell'arte (scorrevole e con analisi precise e puntuali dei fatti) con istanze da mente critica che conduce a paragoni tra situazioni simili e ad affioramenti nella contemporaneità, dove si trovano idee personalissime e riscontri soggettivi.
Gli intrecci e i rimandi sono molteplici ed è sì questa una pratica diffusa all'interno della critica contemporanea, ma forse non praticata con una modalità così variegata, nel senso che il magma che affiora da questa narrazione indica dei pensieri ossessivi, sebbene non sempre gli esempi offerti o i punti di meditazione siano messi sulla carta per dare la certezza della risposta. Uno dei temi ricorrenti dell'intero sviluppo narrativo, è quello della "classicità" ovvero di una possibile istanza classica presente nel mondo contemporaneo, un mondo che è stato costruito sui palazzi abbattuti dalle avanguardie storiche e di cui noi viviamo l'eredità. E quali sono le radici di queste avanguardie? Quali le radici della poetica di Duchamp e del successivo lavoro concettuale di Kosuth?
Ecco, l'autore ci dà quattro nomi: Seurat, van Gogh, Gauguin, Cézanne. E approfondisce la loro importanza con la lettura di una singola opera. L'aspetto insolito di questo testo sono le note, una specie di racconto parallelo e di lunghezza pari a un quinto dei tredici capitoli in cui è suddiviso il libro. Le note non sono stilate in maniera accademica (con gli op.cit. e gli ibidem e il rinvio alle pagine specifiche), perché bisogna domandarsi: quanti sono quelli che nel leggere un saggio sentono veramente il bisogno di andare a cercare il confronto col testo a cui rinvia la nota? Meglio, allora, una nota che aiuta ad approfondire o rinvia a un ulteriore collegamento invece di trovarsi alla sterile informazione di un titolo, di una pagina, di un anno di pubblicazione. Perciò, molte sono le domande che vengono poste e poche sono le risposte che vengono date, proprio per lasciare la possibilità a ogni lettore di cercare di proseguire con i propri piedi un percorso di approfondimento.
Tutto ciò può essere utile, senza pretendere che il metodo sia democratico o partecipativo, perché ogni testo è, innanzitutto, una testimonianza del proprio pensiero, e questo testo firmato da Roberto Vidali non è da meno. Questa pubblicazione, con solo sette immagini che ne illustrano il percorso narrativo, dedica la copertina al lavoro di Antonio Sofianopulo, come modello ed esempio di una pittura che si fa punto interrogativo della contemporaneità. "Tre bacche di rovo" verrà diffuso e distribuito al BAF (Bergamo, 13, 14, 15 gennaio 2023) e ad Arte Fiera (Bologna, 3, 4, 5 febbraio 2023)
Roberto Vidali (Capodistria, 1953) dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.
Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).
A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato stampa)
Immagini (da sinistra a destra):
1. Antonio Sofianopulo, Guardando a Est e Ovest, 2002, olio su tela cm 40x60, Ph courtesy Victor Saavedra, Barcelona
2. Copertina di "Tre bacche di rovo"
3. Roberto Vidali, davanti a una tela di Živko Marušic, in una foto di Eugenio Vanfiori
Dopo Terra Matta
Incontro con Giovanni Rabito
Il romanzo della vita passata
di Vincenzo Rabito, testo rivisto e adattato da Giovanni Rabito, ed. Einaudi
Presentazione libro il 29 settembre 2022 alla Sala Giuseppe Di Martino a Catania
A cura dei Centri Culturali Gruppo Iarba, Fabbricateatro e Le stelle in tasca, si svolgerà un incontro con Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, autore di Terra Matta. Nell'occasione, sarà presentato Il romanzo della vita passata, secondo dattiloscritto autobiografico di Vincenzo Rabito, una nuova riscrittura della sua vita a tutt'oggi interamente inedita e successiva alla prima stesura pubblicata sempre da Einaudi nel 2007. Discuteranno, insieme al curatore di Il romanzo della vita passata, delle peculiarità che attribuiscono un'importanza particolare alla seconda stesura autobiografica, Nino Romeo, Daniele Scalia e Orazio Maria Valastro. Graziana Maniscalco leggerà una selezione di brani dell'opera.
Scrive Giovanni Rabito nella prefazione: «Come ben sanno i lettori di Terra matta, mio padre non è mai andato a scuola. Ha imparato a leggere e a scrivere da solo, come da solo ha imparato il mestiere di vivere e l'arte di lavorare duro per vivere meglio. Allo stesso modo, da solo, ha imparato a usare la macchina da scrivere, uno strumento tecnologicamente avanzato almeno per i suoi tempi, e infine a diventare scrittore: scrittore della sua vita, del suo paese natale, della sua gente e forse addirittura del suo secolo».
Vincenzo Rabito (Chiaramonte Gulfi, 1899-1981), «Ragazzo del '99», è stato bracciante da bambino, è partito diciottenne per il Piave, ha fatto la guerra d'Africa e la Seconda guerra mondiale. È stato minatore in Germania, poi è tornato in Sicilia, dove si è sposato e ha allevato tre figli. Il suo Terra Matta ha vinto il «Premio Pieve» nel 2000, ed è conservato presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.
Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, nasce nel 1949 a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, e risiede attualmente a Sydney in Australia. Nel 1967 inizia i suoi studi universitari di Giurisprudenza a Messina, trasferendosi in seguito a Bologna nel 1968. In quegli anni prende parte al movimento letterario italiano della Neoavanguardia, il Gruppo 63 costituitosi a Palermo nel 1963. Scrive poesie pubblicate in riviste letterarie come Tèchne, fondata nel 1969 da Eugenio Miccini come laboratorio dello sperimentalismo verbo-visivo legato all'esperienza del Gruppo 70, e Marcatré, rivista di arte contemporanea, letteratura, architettura e musica, fondata e diretta da Eugenio Battisti nel 1963. Condivide con il padre la passione per la scrittura. Grazie a Giovanni Rabito, il dattiloscritto del padre intitolato Fontanazza, la storia di vita di un uomo che ha attraversato il novecento italiano, è presentato nel 1999 all'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Fontanazza è stato premiato nel 2000, e pubblicato con il titolo Terra Matta nel 2007. (Comunicato stampa)
Uno Stato senza nazione
L'elaborazione del passato nella Germania comunista (1945-1953)
di Edoardo Lombardi, ed. Unicopli, 2022, p. 138, euro 18.00
Il libro è stato presentato il 29 settembre 2022 presso Lo Spazio (Pistoia)
www.lospaziopistoia.it
Lo Spazio Pistoia, in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Pistoia presenta il saggio. Ne discuterà con l'autore Stefano Bottoni (Università di Studi di Firenze). Provata dall'esperienza del secondo conflitto mondiale e con un passato difficile da elaborare, la Germania entrava nel 1945 in uno dei periodi più complessi della sua storia, divisa e occupata dalle potenze alleate vincitrici. In questo nuovo contesto, i comunisti tedesco-orientali riconobbero immediatamente nella storia uno strumento per legittimare il proprio ruolo di guida delle masse. Una consapevolezza che, con la nascita della Repubblica Democratica Tedesca nel 1949, portò la SED (ovvero il Partito socialista unificato di Germania, che per quarant'anni fu la compagine politica dominante nella Germania Est) a trasformare la storia in uno strumento istituzionale.
Essa divenne infatti la base fondante per legittimare l'esistenza del «primo Stato socialista sul suolo tedesco», riplasmando e in certi casi reinventando il passato. Erano i primi passi di uno Stato senza Nazione, il cui tentativo di appropriazione della storia andò realizzandosi in modo molto graduale e non senza difficoltà, come questo libro racconta, seguendone dettagliatamente gli sviluppi.
Edoardo Lombardi è dottore magistrale in Scienze storiche presso l'Università degli Studi di Firenze. Dal 2018 collabora con l'Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea di Pistoia (Isrpt), per il quale svolge attività di ricerca e di didattica sul territorio. Nel 2020 entra a far parte della redazione del periodico dell'istituto, «Farestoria. Società e storia pubblica». I suoi interessi di studio riguardano soprattutto la storia culturale della Germania e dell'Italia in Età contemporanea, con particolare attenzione alle politiche culturali della Repubblica democratica tedesca. (Comunicato stampa)
Matthias Schaller - Horst Bredekamp
Ad omnia: Sull'opera del veronauta Matthias Schaller
ed. Petrus Books, 862 fotografie, 156 pagine, hardcover, 32.5x21.5 cm, 2022, edizione tedesca-italiana (dal 3 maggio)
Anche se non appaiono quasi mai gli esseri umani sono onnipresenti nelle fotografie di Matthias Schaller (Dillingen an der Donau, 1965). Con grande precisione e sensibilità, l'artista ha creato in oltre vent'anni di attività, un universo fotografico senza precedenti: ritratti "ambientali", ensemble di oggetti e spazi che raccontano le persone. Che si tratti di studi d'artista, di interni domestici, di teatri, di tavolozze e strumenti o di abiti, le sue serie fotografiche trasmettono l'idea che i segni che lasciamo sulla realtà dicano tanto su una persona quanto la sua presenza fisica.
Accanto alle attuali mostre Porträt al Kunstpalast di Düsseldorf e Antonio Canova a cura di Xavier F. Salomon ai Musei Civici di Bassano del Grappa, Matthias Schaller ha presentato il libro edito da Petrus Books, casa editrice di Schaller, con un saggio di Horst Bredekamp (Kiel, 1947), Professore di Storia dell'arte alla Humboldt-Universität di Berlino. Un libro che attraverso 862 fotografie racconta gli ultimi vent'anni della sua attività di fotografo ed editore, e che idealmente si ricollega alla pubblicazione del 2015 (Steidl Publisher) con un testo/intervista di Germano Celant dal titolo Matthias Schaller, in cui venivano raccontati i suoi primi dieci anni di attività dal 2000 al 2010. Tra gli autori che hanno collaborato collaborato per le pubblicazioni di Matthias Schaller sono Julian Barnes (London), Andreas Beyer (Basel), Gottfried Boehm (Basel), Germano Celant (Milano), Mario Codognato (Venezia), Xavier F. Salomon (New York City), Thomas Weski (Berlin).
Matthias Schaller ha studiato antropologia visiva presso le Università di Hamburg, Göttingen e Siena. Si laurea con una tesi sul lavoro di Giorgio Sommer (Frankfurt, 1834 - 1914 Napoli), uno dei fotografi di maggior successo dell'Ottocento. Il lavoro di Schaller è stato esposto, tra gli altri, al Museo d'Arte Moderna di Rio de Janeiro, al Wallraf-Richartz Museum di Köln, al Museum Serralves di Porto e al SITE di Santa Fe. Nel 2022 oltre alle mostre inaugurate Porträt e Antonio Canova, sono di prossima apertura Das Meisterstück presso Le Gallerie d'Italia a Milano (30 giugno), Matthias Schaller alla Kunstverein Schwäbisch Hall (28 ottobre). (Comunicato stampa Lara Facco P&C)
Communism(s): A Cold War Album
di Arthur Grace, introduzione di Richard Hornik, 192 pagine, 121 immagini b&n, cartonato in tela, aprile 2022
www.damianieditore.com
Grazie ad un raro e prezioso visto da giornalista, il fotografo americano Arthur Grace ha potuto valicare ripetutamente la Cortina di Ferro durante gli anni '70 e '80 e documentare un mondo che a lungo è stato celato all'occidente. Communism(s): A Cold War Album è una raccolta di oltre 120 fotografie in bianco e nero realizzate da Grace in quel periodo e per la maggior parte fino ad oggi inedite. Questi scatti, realizzati in Unione Sovietica, Polonia, Romania, Jugoslavia e Repubblica Democratica Tedesca, restituiscono il costante e a tratti crudele rapporto tra la claustrofobica irregimentazione di stato e la (soffocata) voglia di contatti con il mondo esterno della popolazione.
Nelle fotografie di Grace emerge forte il contrasto tra la propaganda di regime fatta di simboli e architetture che rimandano ad un'idea di grandezza ed efficienza e le difficoltà della vita quotidiana fatta di lunghe file per l'approvvigionamento del cibo. Il libro è arricchito da un'introduzione scritta da Richard Hornik, ex capo dell'ufficio di Varsavia della rivista Time.
Arthur Grace ha realizzato servizi fotografici in tutto il mondo per i magazine Time e Newsweek. Suoi lavori sono apparsi anche in molte altre riviste, tra cui Life, The New York Times Magazine, Paris Match e Stern. Prima di Communism(s): A Cold War Album, Grace ha pubblicato altri cinque libri fotografici; ha esposto in numerosi musei e gallerie negli Stati Uniti e all'estero; sue opere fotografiche sono incluse nelle collezioni permanenti di importanti istituti tra cui il J. Paul Getty Museum, la National Portrait Gallery e lo Smithsonian. (Comunicato ufficio stampa Damiani Editore)
Guttuso e il realismo in Italia, 1944-1954
di Chiara Perin, Silvana Editoriale, Collana Studi della Bibliotheca Hertziana, 2020
Il libro è stato presentato il 13 aprile 2022 alla Accademia Nazionale di San Luca (Roma)
Alla caduta del fascismo anche gli artisti dovettero affrontare nuovi e dilemmi. Quale linguaggio per manifestare il proprio impegno civile? Come interpretare la lezione dei maestri italiani, di Picasso e delle avanguardie? Avventurarsi nel terreno dell'astrazione o ripiegare sulle forme rassicuranti del realismo? Il volume indaga questi e analoghi interrogativi alla luce delle esperienze figurative maturate in Italia tra 1944 e 1954.
L'ambiente romano trova particolare risalto: lì, infatti, si concentravano i dibattiti più vitali grazie alla presenza del capofila realista, Renato Guttuso. Limitando la ridondanza delle coeve pagine critiche a vantaggio dell'analisi di opere e contesto, acquistano evidenza gli aspetti meno noti del movimento: i modelli visivi, i generi ricorrenti, le controversie tra i tanti esponenti. In appendice, una fitta cronologia consente al lettore di seguire da vicino eventi e polemiche del decennio. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)
Eolie enoiche
Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra
ed. DeriveApprodi, 2022, p. 192, euro 16,00
Il libro è stato presentato il 26 febbraio 2022 alla libreria Lo Spazio (Pistoia)
Isole Eolie, un arcipelago da sogno. Nino Caravaglio, 57 anni, vignaiolo di Salina, sincero, appassionato, testardo, sensibile. Protagonista della viticultura eoliana, da oltre trent'anni lavora al recupero di vigne e vitigni, contribuendo a ridare forma a un paesaggio agricolo fatto di vecchie tecniche e nuove pratiche, relazioni umane solidali e sensibilità ambientale. Nino è un vignaiolo tout-court, di quelli che non si siedono mai e il loro vino deve sempre mirare all'eccellenza senza mai essere modaiolo perché rispecchia l'unicità di queste terre.
Dodici ettari di vigna divisi in quasi 40 appezzamenti: 40 campi da seguire, 40 potature, 40 vendemmie seguendo le stagioni (si parte in agosto dal mare e si sale poi sugli altipiani). Corinto nero e Malvasia i vitigni principali, da soli o mescolati con cataratto, nerello mescalese, calabrese, perricone. Alcuni dei nomi che Nino ha dato alle varie vinificazioni sono da soli poesia: Occhio di terra, Nero du munti, Infatata, Scampato, Inzemi, Abissale, Chiano cruci...
Le vigne di mare delle Eolie - quelle di Caravaglio e di altri coraggiosi precursori, le cui storie si intrecciano nel libro di Simonetta Lorigliola - hanno le radici nei crateri dei vulcani o negli appezzamenti a strapiombo sul mare, ma i loro occhi sono puntati sulla terra. Perché nelle storie di chi torna ad abitare con vitalità aree impervie dell'Italia e del pianeta stanno le premesse non solo di nuove agricolture, ma anche di nuove ecologie e forme di vita.
Libro presentato da Simonetta Lorigliola e Nino Caravaglio. Modera l'incontro Cesare Sartori. A seguire degustazione dei vini Infatata e Occhio di Terra (Malvasia), Nero du Munti (Corinto Nero).
Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di cultura materiale. È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l'Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista "EV Vini, cibi, intelligenze" e nel progetto di contadinità planetaria t/Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana.
Ha diretto "Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia". Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Caporedattrice e Responsabile delle Attività culturali. Con DeriveApprodi ha pubblicato "È un vino paesaggio.Teorie e pratiche di un vignaiolo planetario in Friuli" (2018) ed "Eolie enoiche. Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra" (2020). Scrive di vino come intercessore culturale di storie, utopie e progetti sensibili. (Estratto da comunicato stampa)
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The Rough Guide - Sicilia
Guida turistica di Robert Andrews, Jules Brown, Kate Hughes Recensione
1989 Muro di Berlino, Europa
www.iger.org
Quaderno della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, a cura di Roberto Ventresca e Teresa Malice, pubblicato per Luca Sossella Editore. Un racconto corale che raccoglie i contributi, gli spunti, le riflessioni delle voci di tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto internazionale Breaching the Walls. We do need education! Un progetto internazionale dedicato alla rielaborazione critica, attraverso un coinvolgimento plurale di istituzioni e cittadini, della storia e della memoria della caduta del Muro di Berlino e degli eventi da questa scatenati.
Risultato tra i progetti vincitori, nel programma Europa per i cittadini 2014-2020, del bando Memoria europea 2019, è stato promosso dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, in qualità di capofila, unitamente a 5 partner europei: l'Università di Bielefeld, l'Institute of Contemporary History di Praga, il Comune di Tirana, l'Associazione Past/Not Past di Parigi e l'History Meeting House di Varsavia. (Comunicato stampa)
Dario Argento
Due o tre cose che sappiamo di lui
a cura di Steve Della Casa, ed. Electa e Cinecittà, pagg. 160, cm 24x30, ita/ing, 80 illustrazioni a colori, 28 euro
In libreria dal 12 ottobre 2021
Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico capace di dedicarsi a generi come il giallo, il thriller e l'horror creando un proprio universo visivo ed espressivo, Dario Argento si configura tra i registi italiani più noti al mondo. Il volume monografico a lui dedicato è pubblicato da Electa e Cinecittà, in occasione della rassegna cinematografica organizzata da Cinecittà in collaborazione con il Lincoln Center che verrà inaugurata il prossimo anno a New York e durante la quale saranno proposti 17 film originali integralmente restaurati.
Curato da Steve Della Casa, noto critico cinematografico, il volume vuole rendere omaggio ai tratti distintivi del cinema di Dario Argento attraverso una raccolta di interventi di autori di rilievo internazionale -da Franco e Verdiano Bixio a John Carpenter, da Steve Della Casa a Jean-François Rauger, a George A. Romero e Banana Yoshimoto-. Il risultato è una polifonia di voci dal carattere eterogeneo, tra cui due interviste inedite e conversazioni con il regista, che offrono al lettore la possibilità di confrontarsi con le testimonianze di chi ha vissuto il "fenomeno Dario Argento" in prima persona e di coglierne gli elementi più originali che hanno rivoluzionato il panorama cinematografico mondiale.
Argento si colloca infatti fra le figure più interessanti del cinema contemporaneo, su scala internazionale. Ne sono testimonianza la capacità di sviluppare una sintesi personalissima dell'estetica e delle novità emergenti durante gli anni Sessanta, che vedono un progressivo ridursi della centralità del grande schermo a vantaggio di nuove soluzioni tecnologiche. Nelle sue pellicole emerge un uso sorprendente della cinepresa a mano mescolato con virtuosismi da cinema tradizionale, così come un'attenzione quasi maniacale per la colonna sonora, vera protagonista dei suoi film che spesso raggiunge livelli di notorietà altissimi.
Rintracciamo nel suo modo di girare un linguaggio che si evolve in continuazione, fino a contaminarsi esplicitamente con quello delle clip musicali e scelte di produzione di avanguardia, come lavorare sempre con un casting di artisti internazionali, peculiarità che ricorre raramente nel panorama del cinema italiano. Tema centrale è poi il trionfo della visionarietà a scapito della sceneggiatura, tratto che contraddistingue la libertà creativa del cinema di Dario Argento, capace di generare nel pubblico un'attenzione quasi ipnotica ed un forte impatto visivo. Il volume si conclude con una filmografia completa e l'elenco delle sceneggiature scritte per altri film, insieme ad un ricco apparato fotografico del dietro le quinte delle produzioni più memorabili, tra cui Suspiria (1977), Il gatto a nove code (1971), Profondo rosso (1975), Phenomena (1985). (Comunicato ufficio stampa Electa)
Un calcio alla guerra, Milan-Juve del '44 e altre storie
di Davide Grassi e Mauro Raimondi
Il libro è stato presentato il 9 ottobre 2021 presso l'Associazione Culturale Renzo Cortina a Milano
A settantasei anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Davide Grassi e Mauro Raimondi, da sempre interessati agli intrecci tra storia e sport, hanno unito le loro passioni per creare un libro di impegno civile. "Un calcio alla guerra" narra di storie individuali e collettive che esaltano il coraggio e l'abnegazione dei molti sportivi coinvolti nell'assurdità della guerra. Vicende di persone che sono passate dal campo di calcio alla lotta per la Liberazione, in qualche caso pagando con la vita.
Storie vissute in bilico tra pallone e Resistenza al nazifascismo come quelle di Bruno Neri, Giacomo Losi, Raf Vallone, Carlo Castellani, Michele Moretti, Antonio Bacchetti, Dino Ballacci, Cestmir Vycpalek, "Cartavelina" Sindelar, Erno Erbstein, Arpad Weisz, Géza Kertész, Gino Callegari, Vittorio Staccione, Edoardo Mandich, Guido Tieghi, e Alceo Lipizer, solo per citare i più celebri. Le incredibili partite giocate tra partigiani e nazisti, come quella che si disputò a Sarnano nel maceratese nel 1944, o quelle fra reclusi nei lager e i loro aguzzini, vere e proprie partite della morte, a cui si ispirò il film di John Houston, "Fuga per la vittoria", passando per un episodio che pochi conoscono: il rastrellamento avvenuto dopo la partita fra Milan e Juventus del 2 luglio 1944, correlata da una accurata ricerca d'archivio.
Senza trascurare i protagonisti di altri sport. Tra i tanti Alfredo Martini, partigiano che diventò commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, il pallanuotista e rugbista, Ivo Bitetti, fra coloro che catturarono Benito Mussolini in fuga, il ciclista tedesco Albert Richter, che aiutò gli ebrei a scappare e venne impiccato, i tanti pugili costretti a combattere per la vita sul ring di Auschwitz per il divertimento dei loro kapò o che si ribellarono lottando alla guerra nazifascista, come Leone Jacovacci, Lazzaro Anticoli, Pacifico di Consiglio e Settimio Terracina.
Interverranno gli autori e Marco Steiner, figlio di Mino Steiner, il nipote di Giacomo Matteotti protagonista di uno dei racconti del libro, che per la sua attività nella Resistenza venne deportato e assassinato in campo di concentramento. Questo libro è dedicato a tutte le persone che hanno sognato un pallone, dei guantoni, una sciabola, un paio di sci, un'auto da corsa, una piscina o una pista d'atletica insieme alla libertà. Con l'obiettivo di ricordare, per dare un calcio alla guerra.
Davide Grassi, giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani nazionali, tra cui il Corriere della Sera, e con magazine di calcio e radio. Ha scritto e curato diversi libri soprattutto di letteratura sportiva, ma anche di storia della Seconda guerra mondiale e musica. Con il suo primo libro nel 2002 ha vinto il premio "Giornalista pubblicista dell'anno" e nel 2003 è stato premiato come "L'addetto stampa dell'anno". Il suo sito è www.davideg.it
Mauro Raimondi, per molti anni insegnante di Storia di Milano, sulla sua città ha pubblicato Il cinema racconta Milano (Edizioni Unicopli, 2018), Milano Films (Frilli, 2009), Dal tetto del Duomo (Touring Club, 2007), CentoMilano (Frilli, 2006). Nel 2010 ha inoltre curato la biografia del poeta Franco Loi in Da bambino il cielo (Garzanti). Nella letteratura sportiva ha esordito nel 2003 con Invasione di campo. Una vita in rossonero (Limina).
Davide Grassi e Mauro Raimondi insieme hanno pubblicato Milano è rossonera. Passeggiata tra i luoghi che hanno fatto la storia del Milan (Bradipolibri, 2012) e Milan 1899. Una storia da ricordare (El nost Milan, 2017). Insieme ad Alberto Figliolia, hanno pubblicato Centonovantesimi. Le 100 partite indimenticabili del calcio italiano (Sep, 2005), Eravamo in centomila (Frilli, 2008), Portieri d'Italia (A.car Edizioni, 2013, con 13 tavole di Giovanni Cerri) e Il derby della Madonnina (Book Time, 2014). Nel 2019 hanno partecipato alla raccolta di racconti Milanesi per sempre (Edizioni della Sera). (Comunicato stampa)
Sparta e Atene. Autoritarismo e Democrazia
di Eva Cantarella
Un bel libro, di facile lettura e di carattere divulgativo, destinato non sono a specialisti e addetti i lavori, bensì a tutti coloro che siano anche dei semplici appassionati della grande Storia della Grecia Classica. Pur se dedicato a un argomento ampiamente trattato da autorevoli studiosi, il testo offre l'occasione di approfondire tematiche non troppo note inerenti Sparta e Atene, le due città simbolo di uno dei periodi storici che più accendono la fantasia di una moltitudine di lettori. (Estratto da recensione di Rudy Caparrini)
"Un regalo dal XX Secolo"
Piccole raccolte di cultura - Binomio di musica e poesia - Dal Futurismo al Decadentismo di Gabriele D'Annunzio www.allegraravizza.com
La Galleria Allegra Ravizza propone una selezione di Edizioni Sincrone nell'ampio progetto Archivi Telematici del XX Secolo. Con i loro preziosi contenuti, ogni Edizione tratta e approfondisce un preciso argomento del secolo scorso. Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizioso scopo di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva.
Le Edizioni Sincrone qui presentate, si incentrano su due temi principali: la Musica Futurista e i capolavori letterari del poeta Gabriele D'Annunzio. Dalla raccolta dannunziana "Canto Novo" alla tragedia teatrale "Sogno di un tramonto d'autunno", dal Manifesto futurista di Francesco Balilla Pratella a "L'Arte dei Rumori" di Luigi Russolo, ogni Edizione contiene una vera e propria collezione di musiche, accompagnate da un libro prezioso, una raccolta di poesie o una fotografia: un Racconto dell'Arte per la comprensione dell'argomento.
Canto Novo
di Gabriele D'Annunzio
A diciannove anni, nel 1882, Gabriele D'Annunzio pubblica la raccolta di poesie "Canto Novo", dedicata all'amante Elda Zucconi. I sentimenti, la passione, l'abbattimento e il sensualismo che trapelano dalle parole del poeta divengono note e melodie grazie al talento musicale di grandi compositori del Novecento tra cui Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti e Ottorino Respighi. L'Edizione Sincrona contiene il volume "Canto Novo" insieme alle musiche dei grandi compositori che a questo si ispirarono. (Euro 150,00 + Iva)
Poema Paradisiaco
di Gabriele D'Annunzio
"La sera", tratta da "Poema Paradisiaco" (1893) di Gabriele D'Annunzio, fu sicuramente una delle poesie maggiormente musicate dai compositori del Novecento. Nella Edizione Sincrona sono contenute le liriche di compositori come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ottorino Respighi e Pier Adolfo Tirindelli, che si ispirarono ai versi del Vate creando varie interpretazioni melodiche e attuando diverse scelte musicali, insieme al volume "Poema Paradisiaco" di D'Annunzio. (Euro 150,00 + Iva)
Sogno di un tramonto d'autunno
di Gabriele D'Annunzio
Concepito nel 1897, "Sogno di un Tramonto d'Autunno" è composto dal Vate per il suo grande amore: Eleonora Duse, che interpretò infatti il ruolo della protagonista durante la prima rappresentazione del 1899. All'interno dell'Edizione Sincrona è presente il volume "Sogno di un tramonto d'autunno" del 1899 accompagnato dalla musica del noto compositore Gian Francesco Malipiero composta nel 1913, le cui note sono racchiuse in un audio oggi quasi introvabile. Oltre a questo prezioso materiale, l'Edizione racchiude ad una fotografia della bellissima Eleonora Duse e due versioni del film omonimo "Sogno di un Tramonto d'Autunno" diretto da Luigi Maggi nel 1911. (Euro 200,00 + Iva)
Raccolta di 100 liriche su testi
di Gabriele D'Annunzio
La sensibilità, lo spirito e la forte emotività presente nei versi di Gabriele D'Annunzio non poterono che richiamare l'attenzione di grandi artisti e compositori del Novecento come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ildebrando Pizzetti e Domenico Alaleona che, affascinati dalle parole del Vate, tradussero in musica le sue poesie. L'Edizione Sincrona contiene 100 liriche musicate dai grandi compositori insieme ai rispettivi testi e volumi di Gabriele D'Annunzio da cui sono tratte: "Canto Novo", "Poema Paradisiaco", "Elettra" e "Alcione" (rispettivamente Libro II e III delle "Laudi"), "La Chimera e l'Isotteo" e infine la copia anastatica di "In memoriam". (Euro 500,00 + Iva)
La Musica Futurista
La Musica futurista, grazie a compositori come Francesco Balilla Pratella, Luigi Russolo, Franco Casavola e Silvio Mix, stravolse completamente il concetto di rumore e suono, rinnegando con forza la tradizione musicale Ottocentesca. Le musiche futuriste presenti all'interno di questa Edizione Sincrona svelano nuove note, nuovi timbri, nuovi rumori mai sentiti prima, dimostrando come le ricerche e le invenzioni futuriste riuscirono a cambiare per sempre il futuro della musica. Insieme a questa corposa raccolta musicale, l'Edizione contiene un video introduttivo e due testi fondamentali per poter contestualizzare e comprendere appieno il panorama storico in cui la Musica Futurista sorse: "La musica futurista" di Stefano Bianchi e gli esilaranti racconti di Francesco Cangiullo contenuti in "Le serate Futuriste". (Euro 200,00 + Iva)
Il Manifesto di Francesco Balilla Pratella | Musica Futurista
Fondato nel 1909, il Futurismo si manifestò in ogni campo artistico. Nel 1910, su richiesta di Filippo Tommaso Marinetti, il giovane compositore Francesco Balilla Pratella scrisse il "Manifesto dei Musicisti Futuristi", un'energica ribellione alla cultura borghese dell'Ottocento in nome del coraggio, dell'audacia e della rivolta. L'Edizione Sincrona presenta, insieme al manifesto originale del 1910, la musica futurista di uno dei maggiori compositori del Primo Futurismo: Francesco Balilla Pratella. Ad accompagnare il prezioso manifesto e le musiche, sono presenti inoltre due manuali fondamentali per la comprensione del lavoro e della figura di Francesco Balilla Pratella dal titolo "Testamento" e "Caro Pratella". (Euro 500,00 + Iva)
Il Manifesto di Luigi Russolo | Musica Futurista
"La vita antica fu tutta silenzio. Nel XIX secolo, con l'invenzione delle macchine, nacque il Rumore": con questa dichiarazione esposta nel manifesto "L'Arte dei Rumori" del 1913 il futurista Luigi Russolo rinnova e amplifica il concetto di suono/rumore stravolgendo per sempre la storia della musica. In questa Edizione Sincrona sono contenuti le musiche e i suoni degli Intonarumori di Russolo, insieme al manifesto del 1913 "L'Arte dei Rumori" che teorizzò questa strabiliante invenzione! Per poter comprendere e approfondire la figura del grande inventore futurista, l'Edizione contiene anche un libro "Luigi Russolo. La musica, la pittura, il pensiero". (Euro 500,00 + Iva)
Video su Musica Futurista
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Ultima frontiera
Diario, incontri, testimonianze
di Giovanni Cerri, Casa editrice Le Lettere, Collana "Atelier" a cura di Stefano Crespi, Firenze 2020
www.lelettere.it
Nell'orizzonte contemporaneo appare significativa la testimonianza di questi scritti di Giovanni Cerri. In un connotato diaristico, divenuto sempre più raro, vive la "voce" dei ricordi, dei volti, dei momenti esistenziali, delle figure dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, conoscenze di personaggi testimoniali, incontri con artisti. In una scrittura aperta, esplorativa, emergono due tematiche in una singolare originalità: la periferia come corrispettivo della solitudine dell'anima; lo sguardo senza tempo nell'inconscio, in ciò che abbiamo amato, in ciò che non è accaduto.
Giovanni Cerri (Milano, 1969), figlio del pittore Giancarlo Cerri, ha iniziato la sua attività nel 1987 e da allora ha esposto in Italia e all'estero in importanti città come Berlino, Francoforte, Colonia, Copenaghen, Parigi, Varsavia, Toronto, Shanghai. Nel continuo richiamo al territorio urbano di periferia, la sua ricerca si è sviluppata nell'indagine tematica dell'archeologia industriale con il ciclo dedicato alle Città fantasma. Nel 2011, invitato dal curatore Vittorio Sgarbi, espone al Padiglione Italia Regione Lombardia della Biennale di Venezia. Nel 2014 presenta la mostra Milano ieri e oggi nelle prestigiose sale dell'Unione del Commercio a Palazzo Bovara a Milano. Nel 2019 alla Frankfurter Westend Galerie di Francoforte è ospitata la mostra Memoria e Futuro. A Milano, nell'anno di Leonardo, in occasione del quinto centenario leonardesco.
- Dalla postfazione di Stefano Crespi
«Nel percorso di questa collana «Atelier», sono usciti in una specularità scritti di artisti e scritti di letterati: gli scritti degli artisti nelle cadenze dell'orizzonte interiore (ricordiamo: Confessioni di Filippo de Pisis, Cieli immensi di Nicolas de Staël); gli scritti dei letterati nel tradurre, nel prolungare in nuova vita il fascino, l'enigma dei quadri (ricordiamo Giovanni Testori, Yves Bonnefoy). Nelle istanze oggi di comunicazione mediatica, di caduta dell'evento, il libro di Giovanni Cerri, Ultima frontiera, si apre a uno spazio senza fine di sensi, luce, eros, avventura dell'immagine, della parola. Accanto allo svolgimento della pittura, vivono, rivivono, nelle sue pagine, anche dagli angoli remoti della memoria, i tratti del vissuto, i momenti dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, figure di artisti, personaggi testimoniali, i luoghi, il luogo ultimativo della periferia, occasioni di accostamento a quadri del passato, museali. [...]
Soffermandoci ora in alcuni richiami, ritroviamo il senso di un percorso, i contenuti emozionali, quella condizione originaria che è l'identità della propria espressione. In una sorta di esordio, viene ricordato lo studio del padre, artista riconosciuto, Giancarlo Cerri. Uno studio in una soffitta di un antico edificio. Ma anche «luogo magico», dove si avvia la frase destinale, il viaggio di Giovanni Cerri che percepisce la differenza (o forse anche una imprevedibile relazione) tra figurazione come rappresentazione e astrazione come evocazione. David Maria Turoldo è stato una figura testimoniale in una tensione partecipe alle ragioni dell'esistere e al senso di una vita corale. Lo scritto di Giovanni Cerri ha la singolarità di un ricordo indelebile nella conoscenza, con la madre, all'abbazia di S. Egidio a Fontanella e poi nella frequentazione, dove Turoldo appare come presenza, come voce, come forza di umanità. Scrive Cerri: «un uomo fatto di pietra antica, come la sua chiesa».
Michail Gorbaciov, negli anni dopo la presidenza dell'Unione Sovietica, in un viaggio in Italia, con la moglie Raissa ha una sosta a Sesto San Giovanni, dove visita anche l'occasione di una mostra di tre giovani artisti. Giovanni Cerri, uno dei tre artisti, conserva quel momento imprevedibile di sorpresa con gli auguri di Gorbaciov. Un'emozione suscita la visita al cimitero Monumentale: una camminata, un viaggio inconfondibile nelle testimonianze che via via si succedono. In particolare, toccante la tomba di una figura femminile mancata a ventiquattro anni. Rivive, in Cerri, davanti alla scultura dedicata a questa figura femminile, una bellezza seducente, il mistero di un eros oltre il tempo. Nelle pagine di diario appaiono, come tratti improvvisi, occasioni, emozioni.
Così il ricordo di Floriano Bodini nella figura, nel personaggio, nelle parole, nel fascino delle sue sculture in una visita allo studio. Giovanni Cerri partecipa all'inaugurazione della mostra di Ennio Morlotti sul ciclo delle bagnanti. In quella sera dell'inaugurazione erano presenti Morlotti e Giovanni Testori sui quali scrive Cerri: «cercatori inesausti delle verità nascoste, tra le pieghe infinite dello scrivere e del dipingere». Un intenso richiamo alla scoperta della Bovisa: «un paesaggio spettrale» nella corrosione, nella vita segreta del tempo. Accanto al percorso diaristico, Giovanni Cerri riporta in una sezione alcuni testi di sue presentazioni in cataloghi o nello stimolo di un'esposizione. In un ordine cronologico della stesura dei testi figurano Alessandro Savelli, Giancarlo Cazzaniga, Franco Francese, Alberto Venditti, Marina Falco, Fabio Sironi.
Si tratta di artisti con una singolarità, un connotato originario. Si riconferma la scrittura di Cerri, fuori da aspetti categoriali, didascalici. Una scrittura esplorativa nelle intuizioni, nei riferimenti creativi, in un movimento dialettico: esistenza e natura, interno ed esterno, presenza e indicibile, immagini e simboli, «una luce interiore» e «l'ombra, il mistero, l'enigma della vita». In conclusione al libro si presentano due interviste con Giovanni Cerri curate da Luca Pietro Nicoletti nel 2008, da Francesca Bellola nel 2016. Appaiono, limpidamente motivati, momenti tematici, espressivi, con intensa suggestione di rimandi. Inevitabile, infine, una considerazione sul rapporto del pensiero, della scrittura con la pittura.
Più che a richiami in relazioni specifiche, dirette, il percorso di Cerri nella sua eventicità destinale può essere ricondotto a due tematiche: la visione interiore della periferia e lo sguardo senza tempo nel volto. Tematiche che hanno una connessione anche psicologica nell'alfabeto oscuro dell'esistenza, del silenzio. La periferia è l'addio ancestrale nelle sue voci disadorne, stridenti, perdute, nella solitudine in esilio dalle cifre celesti. Nell'intervista di Francesca Bellola c'è un'espressione emblematica di Giovanni Cerri sulla periferia: «non sono più solo le zone periferiche delle città industriali con le strade, i viali e le tangenziali ad essere desolate, ma è anche la nostra anima, il nostro terreno interiore, a evidenziare i segni di abbandono». Il titolo che segna in modo così sintomatico l'opera di Cerri è Lo sguardo senza tempo. In un'osservazione generale, il «vedere» è la scena dei linguaggi, lo sguardo è inconscio, memoria, ciò che abbiamo amato, ciò che non è accaduto [...]» (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press)
Il calzolaio dei sogni
di Salvatore Ferragamo, ed. Electa, pag. 240, oltre 60 illustrazioni in b/n, in edizione in italiano, inglese e francese, 24 euro, settembre 2020
Esce per Electa una nuova edizione, con una veste grafica ricercata, dell'autobiografia di Salvatore Ferragamo (1898-1960), pubblicata per la prima volta in inglese nel 1957 da George G. Harrap & Co., Londra. Salvatore Ferragamo si racconta in prima persona - la narrazione è quasi fiabesca - ripercorrendo l'avventura della sua vita, ricca di genio e di intuito: da apprendista ciabattino a Bonito, un vero "cul-de-sac" in provincia di Avellino, a calzolaio delle stelle di Hollywood (le sue calzature vestirono, tra le altre celebrità, Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Sofia Loren e Greta Garbo), dalla lavorazione artigianale fino all'inarrestabile ascesa imprenditoriale.
Il volume - corredato da un ricco apparato fotografico e disponibile anche in versione e-book e, a seguire, audiolibro - ha ispirato il film di Luca Guadagnino "Salvatore - Shoemaker of Dreams", Fuori Concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia: la narrazione autobiografica diventa un lungometraggio documentario che delinea non solo l'itinerario artistico di Ferragamo, ma anche il suo percorso umano, attraverso l'Italia e l'America, due mondi che s'intrecciano fortemente. (Comunicato stampa)
Il libro è stato presentato il 30 giugno 2020
www.mufoco.org
Il Museo del Cinema di Stromboli e il Museo di Fotografia Contemporanea presentano il libro in una diretta (canali YouTube e Facebook del Mufoco) che vedrà intervenire Alberto Bougleux, Giovanna Calvenzi, Emiliano Morreale, Aldo Patellani e Alberto Saibene. La pubblicazione è introdotta dalle parole della lettera con cui Ingrid Bergman si presenta a Roberto Rossellini: "Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo.
Se ha bisogno di un'attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo 'ti amo', sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei". Rossellini, dopo aver ricevuto questa lettera da Ingrid Bergman, allora una delle massime stelle hollywoodiane, la coinvolge nel progetto che diventerà il film Stromboli, terra di Dio (1950), ma ancor prima del film è la storia d'amore tra il regista romano e l'attrice svedese a riempire le cronache di giornali e rotocalchi.
Federico Patellani, uno dei migliori fotografi dell'epoca, si reca sull'isola eoliana: le sue fotografie fanno il giro del mondo, perché non documentano solo la realizzazione del film, ma anche le condizioni di vita degli abitanti e la forza degli elementi. Dall'archivio Patellani, presso il Museo di Fotografia Contemporanea, sono emerse le fotografie che aiutano a ricostruire nella sua integrità quella celebre storia. (Comunicato stampa)
La Dama col ventaglio
di Giovanna Pierini, Mondadori Electa, 2018
Il libro è stato presentato il 20 novembre 2019 a Roma al Palazzo Barberini
Il romanzo mette in scena Sofonisba Anguissola ultranovantenne a Palermo - è il 1625 - nel suo tentativo di riacciuffare i fili della memoria e ricordare l'origine di un dipinto. La pittrice in piedi davanti alla tela cerca di ricordare: aveva dipinto lei quel ritratto? È passato tanto tempo. Nonostante l'abbacinante luce di mezzogiorno la sua vista è annebbiata, gli occhi stanchi non riconoscono più i dettagli di quella Dama con il ventaglio raffigurata nel quadro. È questo il pretesto narrativo che introduce la vicenda biografica di una delle prime e più significative artiste italiane. Sofonisba si presenta al lettore come una donna forte, emancipata e non convenzionale, che ha vissuto tra
Cremona, Genova, Palermo e Madrid alla corte spagnola. Tra i molti personaggi realmente esistiti - Orazio Lomellini, il giovane marito; il pittore Van Dyck; Isabella di Valois, regina di Spagna - e altri di pura finzione, spicca il giovane valletto Diego, di cui Sofonisba protegge le scorribande e l'amore clandestino, ma che non potrà salvare. La ricostruzione minuziosa di un'Italia al centro delle corti d'Europa, tra palazzi nobiliari, botteghe artigiane e viaggi per mare, e di una città, Palermo, fa rivivere le
atmosfere di un'epoca in cui una pittrice donna non poteva accedere alla formazione accademica e doveva superare numerosi pregiudizi sociali. Tra le prime professioniste che seppero farsi largo nella ristretta società degli artisti ci fu proprio Sofonisba, e questo racconto, a cavallo tra realtà e finzione, ne delinea le ragioni: l'educazione lungimirante del padre, un grande talento e una forte personalità.
Giovanna Pierini, giornalista pubblicista, per anni ha scritto di marketing e management. Nel 2006 ha pubblicato Informazioni riservate con Alessandro Tosi. Da sempre è appassionata d'arte, grazie alla madre pittrice, Luciana Bora, di cui cura l'archivio dal 2008. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato stampa Maria Bonmassar)
Elogio della finta
di Olivier Guez, di Neri Pozza Editore, 2019
«Manoel Francisco dos Santos, detto Garrincha (lo scricciolo), era alto un metro e sessantanove, la stessa altezza di Messi. Grazie a lui il Brasile divenne campione del mondo nel 1958 e nel 1962, e il Botafogo, il suo club, regnò a lungo sul campionato carioca. Con la sua faccia da galeotto, le spalle da lottatore e le gambe sbilenche come due virgole storte, è passato alla storia come il dribblatore pazzo, il più geniale e il più improbabile che abbia calcato i campi di calcio. «Come un compositore toccato da una melodia piovuta dal cielo» (Paulo Mendes Campos), Garrincha elevò l'arte della finta a essenza stessa del gioco del calcio.
Il futebol divenne con lui un gioco ispirato e magico, fatto di astuzia e simulazione, un gioco di prestigio senza fatica e sofferenza, creato soltanto per l'Alegria do Povo, la gioia del popolo. Dio primitivo, divise la scena del grande Brasile con Pelé, il suo alter-ego, il re disciplinato, ascetico e professionale. Garrincha resta, tuttavia, il vero padre putativo dei grandi artisti del calcio brasiliano: Julinho, Botelho, Rivelino, Jairzinho, Zico, Ronaldo, Ronaldinho, Denílson, Robinho, Neymar, i portatori di un'estetica irripetibile: il dribbling carioca. Cultore da sempre del football brasiliano, Olivier Guez celebra in queste pagine i suoi interpreti, quegli «uomini elastici che vezzeggiano la palla come se danzassero con la donna più bella del mondo» e non rinunciano mai a un «calcio di poesia» (Pier Paolo Pasolini).
Olivier Guez (Strasburgo, 1974), collabora con i quotidiani Le Monde e New York Times e con il settimanale Le Point. Dopo gli studi all'Istituto di studi politici di Strasburgo, alla London School of Economics and Political Science e al Collegio d'Europa di Bruges, è stato corrispondente indipendente presso molti media internazionali. Autore di saggi storico-politici, ha esordito nella narrativa nel 2014. (Comunicato stampa Flash Art)
Nosferatu
di Paolo D'Onofrio, ed. Edizioni NPE, formato21x30cm, 80 pag., cartonato b/n con pagine color seppia, 2019
edizioninpe.it/product/nosferatu
Il primo adattamento a fumetti del film muto di Murnau del 1922 che ha fatto la storia del cinema horror. Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e proiettato per la prima volta il 5 marzo 1922, è considerato il capolavoro del regista tedesco e uno dei capisaldi del cinema horror ed espressionista. Ispirato liberamente al romanzo Dracula (1897) di Bram Stoker, Murnau ne modificò il titolo, i nomi dei personaggi (il Conte Dracula diventò il Conte Orlok, interpretato da Max Schreck) e i luoghi (da Londra a Wisborg) per problemi legati ai diritti legali dell'opera.
Il regista perse la causa per violazione del diritto d'autore, avviata dagli eredi di Stoker, e venne condannato a distruggere tutte le copie della pellicola. Una copia fu però salvata dallo stesso Murnau, e il film è potuto sopravvivere ed arrivare ai giorni nostri. L'uso delle ombre in questo film classico ha avuto una eco infinita nel cinema successivo, di genere e non. Edizioni NPE presenta il primo adattamento a fumetti di questa pellicola: un albo estremamente particolare, che riprende il film fotogramma per fotogramma, imprimendolo in color seppia su una carta ingiallita ed invecchiata, utilizzando per il lettering lo stesso stile delle pellicole mute e pubblicato in un grande cartonato da collezione. (Comunicato stampa)
Errantia
Poesia in forma di ritratto
di Gonzalo Alvarez Garcia
Il libro è stato presentato il 7 agosto 2018 alla Galleria d'arte Studio 71, a Palermo
www.studio71.it
Scrive l'autore in una sua nota nel libro "... Se avessi potuto comprendere il segreto del geranio nel giardino di casa o della libellula rossa che saltellava nell'aria sopra i papiri in riva al fiume Ciane, a Siracusa, avrei capito anche me steso. Ma non capivo. Ad ogni filo d'erba che solleticava la mia pelle entravo nella delizia delle germinazioni infinite e sprofondavo nel mistero. Sentivo confusamente di appartenere all'Universo, come il canto del grillo. Ma tutto il mio sapere si fermava li. Ascoltavo le parole, studiavo i gesti delle persone intorno a me come il cacciatore segue le tracce della preda, convinto che le parole e i gesti degli uomini sono una sorta di etimologia.
Un giorno o l'altro, mi avrebbero portato a catturare la verità.... Mi rivolsi agli Dei e gli Dei rimasero muti. Mi rivolsi ai saggi e i saggi aggiunsero alle mie altre domande ancora più ardue. Seguitai a camminare. Incontrai la donna, che non pose domande. Mi accolse con la sua grazia ospitale. Da Lei ho imparato ad amare l'aurora e il tramonto...". Un libro che ripercorre a tappe e per versi, la sua esistenza di ragazzo e di uomo, di studioso e di poeta, di marito e padre. Errantia, Poesia in forma di ritratto, con una premessa di Aldo Gerbino è edito da Plumelia edizioni. (Comunicato stampa)
L'ultima diva dice addio
di Vito di Battista, ed. SEM Società Editrice Milanese, pp. 224, cartonato con sovracoperta, cm.14x21,5 €15,00 www.otago.it
E' la notte di capodanno del 1977 quando Molly Buck, stella del cinema di origine americana, muore in una clinica privata alle porte di Firenze. Davanti al cancello d'ingresso è seduto un giovane che l'attrice ha scelto come suo biografo ufficiale. E' lui ad avere il compito di rendere immortale la storia che gli è stata data in dono. E forse molto di più. Inizia così il racconto degli eventi che hanno portato Molly Buck prima al successo e poi al ritiro dalle scene, lontana da tutto e da tutti nella casa al terzo piano di una palazzina liberty d'Oltrarno, dove lei e il giovane hanno condiviso le loro notti insonni.
Attraverso la maestosa biografia di un'attrice decaduta per sua stessa volontà, L'ultima diva dice addio mette in scena una riflessione sulla memoria e sulla menzogna, sul potere della parola e sulla riduzione ai minimi termini a cui ogni esistenza è sottoposta quando deve essere rievocata. Un romanzo dove i capitoli ricominciano ciclicamente con le stesse parole e canzoni dell'epoca scandiscono lo scorrere del tempo, mentre la biografia di chi ricorda si infiltra sempre più nella biografia di chi viene ricordato. Vito di Battista (San Vito Chietino, 1986) ha vissuto e studiato a Firenze e Bologna. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato Otago Literary Agency)
Zenobia l'ultima regina d'Oriente
L'assedio di Palmira e lo scontro con Roma
di Lorenzo Braccesi, Salerno editrice, 2017, p.200, euro 13,00
Il sogno dell'ultima regina d'Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, piú esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l'impero di Roma prossimo alla disgregazione. L'ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l'esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l'imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira - oggi oggetto di disumana offesa - ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista.
Lorenzo Braccesi ha insegnato nelle università di Torino, Venezia e Padova. Si è interessato a tre aspetti della ricerca storica: colonizzazione greca, società augustea, eredità della cultura classica nelle letterature moderne. I suoi saggi piú recenti sono dedicati a storie di donne: Giulia, la figlia di Augusto (Roma-Bari 2014), Agrippina, la sposa di un mito (Roma-Bari 2015), Livia (Roma 2016). (Comunicato stampa)
Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica
Lotte politiche e amministrative in provincia di Caltanissetta (1901-1921)
di Marco Sagrestani, Polistampa, 2017, collana Quaderni della Nuova Antologia, pag. 408
www.leonardolibri.com
Napoleone Colajanni (1847-1921) fu una figura di rilievo nel panorama politico italiano del secondo Ottocento. Docente e saggista, personalità di notevole levatura intellettuale, si rese protagonista di importanti battaglie politiche, dall'inchiesta parlamentare sulla campagna in Eritrea alla denuncia dello scandalo della Banca Romana. Il saggio ricostruisce il ruolo da lui svolto nella provincia di Caltanissetta, in particolare nella sua città natale Castrogiovanni e nell'omonimo collegio elettorale. In un'area dove la lotta politica era caratterizzata da una pluralità di soggetti collettivi - democratici, repubblicani, costituzionali, socialisti e cattolici - si pose come centro naturale di aggregazione delle sparse forze democratiche, con un progetto di larghe convergenze finalizzato alla rinascita politica, economica e morale della sua terra. (Comunicato stampa)
La pubblicazione realizzata con le opere di 68 artisti provenienti dalle diverse parti d'Italia è costituita da immagini di istallazioni e/o dipinti realizzati servendosi dei tappi dell'azienda. All'artista, infatti, è stata data ampia libertà di esecuzione e, ove lo avesse ritenuto utile, ha utilizzato, assieme ai tappi, altro materiale quale legno, vetro, stoffe o pietre ma anche materiali di riciclo. Nel sito di Al-Cantara, si può sfogliare il catalogo con i diversi autori e le relative opere. Nel corso della giornata sarà possibile visitare i vigneti, la cantina dell'azienda Al-Cantàra ed il " piccolo museo" che accoglie le opere realizzate.
Scrive nel suo testo in catalogo Vinny Scorsone: "...L'approccio è stato ora gioioso ora riflessivo e malinconico; sensuale o enigmatico; elaborato o semplice. Su esso gli artisti hanno riversato sensazioni e pensieri. A volte esso è rimasto tale anche nel suo ruolo mentre altre la crisalide è divenuta farfalla varcando la soglia della meraviglia. Non c'è un filo comune che leghi i lavori, se non il fatto che contengano dei tappi ed è proprio questa eterogeneità a rendere le opere realizzate interessanti. Da mano a semplice cornice, da corona a bottiglia, da schiuma a poemetto esso è stato la fonte, molto spesso, di intuizioni artistiche singolari ed intriganti. Il rosso del vino è stato sostituito col colore dell'acrilico, dell'olio. Il tappo inerte, destinato a perdersi, in questo modo, è stato elevato ad oggetto perenne, soggetto d'arte in grado di valicare i confini della sua natura deperibile...". (Comunicato stampa)
Stelle in silenzio
di Annapaola Prestia, Europa Edizioni, 2016, euro 15,90
Millecinquecento chilometri da percorrere in automobile in tre giorni, dove ritornano alcuni luoghi cari all'autrice, già presenti in altri suoi lavori. La Sicilia e l'Istria fanno così da sfondo ad alcune tematiche forti che il romanzo solleva. Quante è importante l'influenza di familiari che non si hanno mai visto? Che valore può avere un amore di breve durata, se è capace di cambiare un destino? Che peso hanno gli affetti che nel quotidiano diventano tenui, o magari odiosi? In generale l'amore è ciò che lega i personaggi anche quando sembra non esserci, in un percorso che è una ricerca di verità tenute a lungo nascoste.
Prestia torna quindi alla narrativa dopo il suo Caro agli dei" (edito da "Il Filo", giugno 2008), che ha meritato il terzo premio al "Concorso nazionale di narrativa e poesia F. Bargagna" e una medaglia al premio letterario nazionale "L'iride" di Cava de'Tirreni, sempre nel 2009. Il romanzo è stato presentato dal giornalista Nino Casamento a Catania, dallo scrittore Paolo Maurensig a Udine, dallo psicologo Marco Rossi di Loveline a Milano. Anche il suo Ewas romanzo edito in ebook dalla casa editrice Abel Books nel febbraio 2016, è arrivato semifinalista al concorso nazionale premio Rai eri "La Giara" edizione 2016 (finalista per la regione Friuli Venezia Giulia) mentre Stelle in silenzio, come inedito, è arrivato semifinalista all'edizione del 2015 del medesimo concorso.
Annapaola Prestia (Gorizia, 1979), Siculo-Istriana di origine e Monfalconese di adozione, lavora dividendosi tra la sede della cooperativa per cui collabora a Pordenone e Trieste, città in cui gestisce il proprio studio psicologico. Ama scrivere. Dal primo racconto ai romanzi a puntate e alle novelle pubblicati su riviste a tiratura nazionale, passando per oltre venti pubblicazioni in lingua inglese su altrettante riviste scientifiche specializzate in neurologia e psicologia fino al suo primo romanzo edito Caro agli dei... la strada è ancora tutta in salita ma piena di promesse.
Oltre a diverse fan-fiction pubblicate su vari siti internet, ha partecipato alla prima edizione del premio letterario "Star Trek" organizzato dallo STIC - Star Trek Italian Club, ottenendo il massimo riconoscimento. Con suo fratello Andrea ha fondato la U.S.S. Julia, un fan club dedicato a Star Trek e alla fantascienza. Con suo marito Michele e il suo migliore amico Stefano, ha aperto una gelateria a Gradisca d'Isonzo, interamente dedicata alla fantascienza e al fantasy, nella quale tenere vive le tradizioni gastronomiche della Sicilia sposandole amabilmente con quelle del Nord Est d'Italia. (Comunicato Ufficio stampa Emanuela Masseria)
I quaranta giorni del Mussa Dagh
di Franz Werfel, ed. Corbaccio, pagg.918, €22,00
www.corbaccio.it
«Quest'opera fu abbozzata nel marzo dell'anno 1929 durante un soggiorno a Damasco, in Siria. La visione pietosa di fanciulli profughi, mutilati e affamati, che lavoravano in una fabbrica di tappeti, diede la spinta decisiva a strappare dalla tomba del passato l'inconcepibile destino del popolo armeno.» Grande e travolgente romanzo, narra epicamente il tragico destino del popolo armeno, minoranza etnica odiata e perseguitata per la sua antichissima civiltà cristiana, in eterno contrasto con i turchi, con il grande Impero ottomano detentore del potere. Verso la fine del luglio 1915 circa cinquemila armeni perseguitati dai turchi si rifugiarono sul massiccio del Mussa Dagh, a Nord della baia di Antiochia.
Fino ai primi di settembre riuscirono a tenere testa agli aggressori ma poi, cominciando a scarseggiare gli approvvigionamenti e le munizioni, sarebbero sicuramente stati sconfitti se non fossero riusciti a segnalare le loro terribili condizioni a un incrociatore francese. Su quel massiccio dove per quaranta giorni vive la popolazione di sette villaggi, in un'improvvisata comunità, si ripete in miniatura la storia dell'umanità, con i suoi eroismi e le sue miserie, con le sue vittorie e le sue sconfitte, ma soprattutto con quell'affiato religioso che permea la vita dell'universo e dà a ogni fenomeno terreno un significato divino che giustifica il male con una lungimirante, suprema ragione di bene.
Dentro il poema corale si ritrovano tutti i drammi individuali: ogni personaggio ha la sua storia, ogni racconto genera un racconto. Fra scene di deportazioni, battaglie, incendi e morti, ora di una grandiosità impressionante, ora di una tragica sobrietà scultorea, ma sempre di straordinaria potenza rappresentativa, si compone quest'opera fondamentale dell'epica moderna. Pubblicata nel 1933 I quaranta giorni del Mussa Dagh è stata giustamente considerata la più matura creazione di Werfel nel campo della narrativa. Franz Werfel (Praga, 1890 - Los Angeles, 1945) dopo la Prima guerra mondiale si stabilì a Vienna, dove si impose come uno dei protagonisti della vita letteraria mitteleuropea. All'avvento del nazismo emigrò in Francia e poi negli Stati Uniti. Oltre a I quaranta giorni del Mussa Dagh, Verdi. Il romanzo dell'opera, che rievoca in modo appassionato e realistico la vita del grande musicista italiano. (Comunicato Ufficio Stampa Corbaccio)
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- 56esima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia
Padiglione nazionale della Repubblica di Armenia Presentazione rassegna
Cuori nel pozzo
Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone.
di Roberta Sorgato
www.danteisola.org
Il libro rievoca le condizioni di vita precedenti alla grande trasformazione degli anni Sessanta del Novecento, e la durissima realtà vissuta dagli emigrati italiani nelle miniere di carbone del Belgio, è un omaggio rivolto ai tanti che consumarono le loro vite fino al sacrificio estremo, per amore di quanti erano rimasti a casa, ad aspettarli. Pagine spesso commosse, dedicate a chi lasciò il paese cercando la propria strada per le vie del mondo. L'Italia li ha tenuti a lungo in conto di figliastri, dimenticandoli. La difficoltà di comunicare, le enormi lontananze, hanno talvolta smorzato gli affetti, spento la memoria dei volti e delle voci. Mentre in giro per l'Europa e oltre gli oceani questi coraggiosi costruivano la loro nuova vita. Ciascuno con la nostalgia, dove si cela anche un po' di rancore verso la patria che li ha costretti a partire.
Qualcuno fa i soldi, si afferma, diventa una personalità. Questi ce l'hanno fatta, tanti altri consumano dignitosamente la loro vita nell'anonimato. Altri ancora muoiono in fondo a un pozzo, cadendo da un'impalcatura, vittime dei mille mestieri pesanti e pericolosi che solo gli emigranti accettano di fare. Ora che cinquant'anni ci separano dalla nostra esperienza migratoria, vissuta dai predecessori per un buon secolo, la memorialistica si fa più abbondante. Esce dalla pudica oralità dei protagonisti, e grazie ai successori, più istruiti ed emancipati si offre alla storia comune attraverso le testimonianze raccolte in famiglia. Con la semplicità e l'emozione che rendono più immediata e commossa la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa di Ulderico Bernardi)
La poetessa veneta Roberta Sorgato, insegnante, nata a Boussu, in Belgio, da genitori italiani, come autrice ha esordito nel 2002 con il romanzo per ragazzi "Una storia tutta... Pepe" seguito nel 2004 da "All'ombra del castello", entrambi editi da Tredieci (Oderzo - TV). Il suo ultimo lavoro, "La casa del padre" inizialmente pubblicato da Canova (Treviso) ed ora riproposto nella nuova edizione della ca-sa editrice Tracce (Pescara).
«L'Italia non brilla per memoria. Tante pagine amare della nostra storia sono cancellate o tenute nell'oblio. Roberta Sorgato ha avuto il merito di pescare, dal pozzo dei ricordi "dimenticati", le vicende dei nostri minatori in Belgio e di scrivere "Cuori nel pozzo" edizioni Marsilio, sottotitolo: "Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone". Leggendo questo romanzo - verità, scritto in maniera incisiva e con grande e tragico realismo, si ha l'impressione di essere calati dentro i pozzi minerari, tanto da poter avere una vi-sione intima e "rovesciata" del titolo ("Pozzi nel cuore" potrebbe essere il titolo "ad honorem" per un lettore ideale, così tanto sensibile a questi temi).
Un lettore che ha quest'ardire intimista di seguire la scrittrice dentro queste storie commoventi, intense, drammatiche - e che non tengono conto dell'intrattenimento letterario come lo intendiamo comunemente - è un lettore che attinge dal proprio cuore ed è sospinto a rivelarsi più umano e vulnerabile di quanto avesse mai osato pensare. In questo libro vige lo spettacolo eterno dei sentimenti umani; e vige in rela-zione alla storia dell'epoca, integrandosi con essa e dandoci un ritratto di grande effetto. Qui troviamo l'Italia degli anni cinquanta che esce dalla guerra, semplice e disperata, umile e afflitta dai ricordi bellici. Troviamo storie di toccanti povertà; così, insieme a quell'altruismo che è proprio dell'indigenza, e al cameratismo che si fa forte e si forgia percorrendo le vie drammatiche della guerra, si giunge ai percorsi umani che strappavano tanti italiani in cerca di fortuna alle loro famiglie.
L'emigrazione verso i pozzi minerari belgi rappresentava quella speranza di "uscire dalla miseria". Pochi ce l'hanno fatta, molti hanno pagato con una morte atroce. Tutti hanno subito privazioni e vessazioni, oggi inimmaginabili. Leggere di Tano, Nannj, Caio, Tonio, Angelina e tanti altri, vuol dire anche erigere nella nostra memoria un piccolo trono per ciascuno di loro, formando una cornice regale per rivisitare quegli anni che, nella loro drammaticità, ci consentono di riflettere sull'"eroismo" di quelle vite tormentate, umili e dignitose.» (Estratto da articolo di Danilo Stefani, 4 gennaio 2011)
«"Uomini in cambio di carbone" deriva dal trattato economico italo-belga del giugno 1946: l'accordo prevedeva che per l'acquisto di carbone a un prezzo di favore l'Italia avrebbe mandato 50 mila uomini per il lavoro in miniera. Furono 140 mila gli italiani che arrivarono in Belgio tra il 1946 e il 1957. Fatti i conti, ogni uomo valeva 2-3 quintali di carbone al mese.» (In fondo al pozzo - di Danilo Stefani)
La passione secondo Eva
di Abel Posse, ed. Vallecchi - collana Romanzo, pagg.316, 18,00 euro
www.vallecchi.it
Eva Duarte Perón (1919-1952), paladina dei diritti civili ed emblema della Sinistra peronista argentina, fu la moglie del presidente Juan Domingo Perón negli anni di maggior fermento politico della storia argentina; ottenne, dopo una lunga battaglia politica, il suffragio universale ed è considerata la fondatrice dell'Argentina moderna. Questo romanzo, costruito con abilità da Abel Posse attraverso testimonianze autentiche di ammiratori e detrattori di Evita, lascia il segno per la sua capacità di riportare a una dimensione reale il mito di colei che è non soltanto il simbolo dell'Argentina, ma uno dei personaggi più noti e amati della storia mondiale.
Abel Posse (Córdoba - Argentina, 1934), diplomatico di carriera, giornalista e scrittore di fama internazionale. Studioso di politica e storia fra i più rappresentativi del suo paese. Fra i suoi romanzi più famosi ricordiamo Los perros del paraíso (1983), che ha ottenuto il Premio Ròmulo Gallegos maggior riconoscimento letterario per l'America Latina. La traduttrice Ilaria Magnani è ricercatrice di Letteratura ispano-americana presso l'Università degli Studi di Cassino. Si occupa di letteratura argentina contemporanea, emigrazione e apporto della presenza italiana. Ha tradotto testi di narrativa e di saggistica dallo spagnolo, dal francese e dal catalano.
Odissea Viola. Aspettando Ulisse lo Scudetto
di Rudy Caparrini, ed. NTE, collana "Violacea", 2010
www.rudycaparrini.it
Dopo Azzurri... no grazie!, Rudy Caparrini ci regala un nuovo libro dedicato alla Fiorentina. Come spiega l'autore, l'idea è nata leggendo il capitolo INTERpretazioni del Manuale del Perfetto Interista di Beppe Severgnini, nel quale il grande scrittore e giornalista abbina certe opere letterarie ad alcune squadre di Serie A. Accorgendosi che manca il riferimento alla Fiorentina, il tifoso e scrittore Caparrini colma la lacuna identificando ne L'Odissea l'opera idonea per descrivere la storia recente dei viola.
Perché Odissea significa agonia, sofferenza, desiderio di tornare a casa, ma anche voglia di complicarsi la vita sempre e comunque. Ampliando il ragionamento, Caparrini sostiene che nell'Odissea la squadra viola può essere tre diversi personaggi: Penelope che aspetta il ritorno di Ulisse lo scudetto; Ulisse, sempre pronto a compiere un "folle volo" e a complicarsi la vita; infine riferendosi ai tifosi nati dopo il 1969, la Fiorentina può essere Telemaco, figlio del padre Ulisse (ancora nei panni dello scudetto) di cui ha solo sentito raccontare le gesta ma che mai ha conosciuto.
Caparrini sceglie una serie di episodi "omerici", associabili alla storia recente dei viola, da cui scaturiscono similitudini affascinanti: i Della Valle sono i Feaci (il popolo del Re Alcinoo e della figlia Nausicaa), poiché soccorrono la Fiorentina vittima di un naufragio; il fallimento di Cecchi Gori è il classico esempio di chi si fa attrarre dal Canto delle Sirene; Edmundo che fugge per andare al Carnevale di Rio è Paride, che per soddisfare il suo piacere mette in difficoltà l'intera squadra; Tendi che segna il gol alla Juve nel 1980 è un "Nessuno" che sconfigge Polifemo; Di Livio che resta coi viola in C2 è il fedele Eumeo, colui che nell'Odissea per primo riconosce Ulisse tornato ad Itaca e lo aiuta a riconquistare la reggia.
Un'Odissea al momento incompiuta, poiché la Fiorentina ancora non ha vinto (ufficialmente) il terzo scudetto, che corrisponde all'atto di Ulisse di riprendersi la sovranità della sua reggia a Itaca. Ma anche in caso di arrivasse lo scudetto, conclude Caparrini, la Fiorentina riuscirebbe a complicarsi la vita anche quando tutto potrebbe andare bene. Come Ulisse sarebbe pronta sempre a "riprendere il mare" in cerca di nuove avventure. Il libro è stato presentato il 22 dicembre 2010 a Firenze, nella Sala Incontri di Palazzo Vecchio.
Leni Riefenstahl. Un mito del XX secolo
di Michele Sakkara, ed. Edizioni Solfanelli, pagg.112, €8,00
www.edizionisolfanelli.it
«Il Cinema mondiale in occasione della scomparsa di Leni Riefenstahl, si inchina riverente davanti alla Salma di colei che deve doverosamente essere ricordata per i suoi geniali film, divenuti fondamentali nella storia del cinema.» Questo l'epitaffio per colei che con immagini di soggiogante bellezza ha raggiunto magistralmente effetti spettacolari. Per esempio in: Der Sieg des Glaubens (Vittoria della fede, 1933), e nei famosissimi e insuperati Fest der Völker (Olympia, 1938) e Fest der Schönheit (Apoteosi di Olympia, 1938).
Michele Sakkara, nato a Ferrara da padre russo e madre veneziana, ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio, alla ricerca, alla regia, alla stesura e alla realizzazione di soggetti, sceneggiature, libri (e perfino un'enciclopedia), ed è stato anche attore. Assistente e aiuto regista di Blasetti, Germi, De Sica, Franciolini; sceneggiatore e produttore (Spagna, Ecumenismo, La storia del fumetto, Martin Lutero), autore di una quarantina di documentari per la Rai.
Fra le sue opere letterarie spicca l'Enciclopedia storica del cinema italiano. 1930-1945 (3 voll., Giardini, Pisa 1984), un'opera che ha richiesto anni di ricerche storiche; straordinari consensi ebbe in Germania per Die Grosse Zeit Des Deutschen Films 1933-1945 (Druffel Verlag, Leoni am Starnberg See 1980, 5 edizioni); mentre la sua ultima opera Il cinema al servizio della politica, della propaganda e della guerra (F.lli Spada, Ciampino 2005) ha avuto una versione in tedesco, Das Kino in den Dienst der Politik, Propaganda und Krieg (DSZ-Verlag, München 2008) ed è stato ora tradotta in inglese.
L'Immacolata nei rapporti tra l'Italia e la Spagna
a cura di Alessandra Anselmi
Il volume ripercorre la storia dell'iconografia immacolistica a partire dalla seconda metà del Quattrocento quando, a seguito dell'impulso impresso al culto della Vergine con il pontificato di Sisto IV (1471-1484), i sovrani spagnoli si impegnano in un'intensa campagna volta alla promulgazione del dogma. Di grande rilevanza le ripercussioni nelle arti visive: soprattutto in Spagna, ma anche nei territori italiani più sensibili, per vari motivi, all'influenza politica, culturale e devozionale spagnola. Il percorso iconografico è lungo e complesso, con notevoli varianti sia stilistiche che di significato teologico: il punto d'arrivo è esemplato sulla Donna dell'Apocalisse, i cui caratteri essenziali sono tratti da un versetto del testo giovanneo.
Il libro esplora ambiti culturali e geografici finora ignorati o comunque non sistemati: la Calabria, Napoli, Roma, la Repubblica di Genova, lo Stato di Milano e il Principato Vescovile di Trento in un arco cronologico compreso tra la seconda metà del Quattrocento e il Settecento e, limitatamente a Roma e alla Calabria, sino all'Ottocento, recuperando all'attenzione degli studi una produzione artistica di grande pregio, una sorta di 'quadreria "ariana" ricca di capolavori già noti, ma incrementata dall'acquisizione di testimonianze figurative in massima parte ancora inedite.
Accanto allo studio più prettamente iconografico - che si pregia di interessanti novità, quali l'analisi della Vergine di Guadalupe, in veste di Immacolata India - il volume è sul tema dell'Immacolata secondo un'ottica che può definirsi plurale affrontando i molteplici contesti - devozionali, cultuali, antropologici, politici, economici, sociali - che interagiscono in un affascinante gioco di intrecci. (Estratto da comunicato stampa Ufficio stampa Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria)
Mario Del Monaco: Dietro le quinte - Le luci e le ombre di Otello
(Behind the scenes - Othello in and out of the spotlight)
di Paola Caterina Del Monaco, prefazione di Enrico Stinchelli, Aerial Editrice, 2007 Presentazione
Le stelle danzanti. Il romanzo dell'impresa fiumana
di Gabriele Marconi, ed. Vallecchi, pagg.324, Euro 15,00
www.vallecchi.it
L'Impresa fiumana fu un sogno condiviso e realizzato. Uno slancio d'amore che non ha eguali nella storia. D'Annunzio, fu l'interprete ispiratore di quello slancio, il Comandante, il Vate che guidò quella straordinaria avventura, ma protagonisti assoluti furono i tantissimi giovani che si riversarono nella città irredenta e là rimasero per oltre un anno. L'età media dei soldati che, da soli o a battaglioni interi, parteciparono all'impresa era di ventitré anni. Il simbolo di quell'esperienza straordinaria furono le stelle dell'Orsa Maggiore, che nel nostro cielo indicano la Stella Polare. Il romanzo narra le vicende di Giulio Jentile e Marco Paganoni, due giovani arditi che hanno stretto una salda amicizia al fronte. Dopo la vittoria, nel novembre del 1918 si recano a Trieste per far visita a Daria, crocerossina ferita in battaglia di cui sono ambedue innamorati.
Dopo alcuni giorni i due amici faranno ritorno alle rispettive famiglie ma l'inquietudine dei reduci impedisce un ritorno alla normalità. Nel febbraio del 1920 li ritroviamo a Fiume, ricongiungersi con Daria, uniti da un unico desiderio. Fiume è un calderone in ebollizione: patrioti, artisti, rivoluzionari e avventurieri di ogni parte d'Europa affollano la città in un clima rivoluzionario-libertino. Marco è tra coloro che sono a stretto contatto con il Comandante mentre Giulio preferisce allontanarsi dalla città e si unisce agli uscocchi, i legionari che avevano il compito di approvvigionare con i beni di prima necessità anche con azioni di pirateria. (...) Gabriele Marconi (1961) è direttore responsabile del mensile "Area", è tra i fondatori della Società Tolkieniana Italiana e il suo esordio narrativo è con un racconto del 1988 finalista al Premio Tolkien.
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