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Copertina del libro La Grecia contemporanea 1974-2006 di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco e Ninni Radicini edito da Polistampa di Firenze La Grecia contemporanea (1974-2006)
di Rudy Caparrini, Vincenzo Greco, Ninni Radicini
prefazione di Antonio Ferrari, giornalista, corrispondente da Atene per il Corriere della Sera
ed. Polistampa, 2007

Presentazione | Articoli di Ninni Radicini

| [] | Agrigento Capitale italiana della cultura 2025 | [] |

Fermoimmagine dal film Nosferatu con i personaggi di Hutter e del Conte Orlok poco dopo l'arrivo del primo nel Castello in Transilvania
Nosferatu: dal cinema al fumetto
 
Locandina della mostra Icone Tradizione-Contemporaneità - Le Icone post-bizantine della Sicilia nord-occidentale e la loro interpretazione contemporanea
Le Icone tra Sicilia e Grecia
 
Particolare dalla copertina del romanzo I Vicerè, scritto da Federico De Roberto e pubblicato nel 1894
Recensione "I Vicerè" | Review "The Viceroys"
 
Composizione geometrica ideata da Ninni Radicini
Locandine mostre e convegni
 
Fermoimmagine dal film tedesco Metropolis
Il cinema nella Repubblica di Weimar

La fotografa Vivian Maier
Vivian Maier
Mostre in Italia
Luigi Pirandello
«Pirandello»
Poesia di Nidia Robba
Fermo-immagine dal film Il Pianeta delle Scimmie, 1968
1968-2018
Il Pianeta delle Scimmie

Planet of the Apes - Review
Aroldo Tieri in una rappresentazione televisiva del testo teatrale Il caso Pinedus scritto da Paolo Levi
Aroldo Tieri
Un attore d'altri tempi

An Actor from another Era
Gilles Villeneuve con la Ferrari numero 12 nel Gran Premio di F1 in Austria del 1978
13 agosto 1978
Primo podio di Gilles Villeneuve

First podium for G. Villeneuve
Il pilota automobilistico Tazio Nuvolari
Mostre su Tazio Nuvolari
Maria Callas nel film Medea
Maria Callas
Articolo


Mostre e iniziative a cura di Marianna Accerboni: 2024-2022 | 2020-21 | 2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010 | 2009 | 2007-08

Grecia Moderna e Mondo Ellenico (Iniziative culturali): 2024-2019 | 2018 | 2017 | 2016 | 2015 | 2014 | 2013 | 2012 | 2011 | 2010-2009 | 2008 | 2007



Fotografia di Carmelo Bongiorno che ritrae lo Stretto di Messina Fotografia di Carmelo Bongiorno su uno scorcio urbano di Erice in Sicilia provincia di Trapani Carmelo Bongiorno
"L'Isola intima, radiografie dell'anima"


17 marzo (inaugurazione) - 25 aprile
Palazzo Marliani Cicogna - Busto Arsizio (Varese)

Fotografare è un atto d'amore. Si fotografa sempre un luogo, qualcuno o qualcosa a cui si è legati, che ci è caro, che ci rimanda indietro nel tempo o ci restituisce delle emozioni. A diciott'anni per me la scoperta della fotografia fu una vera folgorazione: la macchina fotografica divenne un meraviglioso strumento d'introspezione, i miei negativi radiografie dell'anima. Cercavo, scattavo, sviluppavo e stampavo: riempii la mia vita di fotografie, non potevo fare altro. Mentre correvo in moto, correvo con la mente e con la vita, la fotografia era un luogo dove fermarsi e perdersi, meraviglioso spazio dove ignote presenze abitavano la scena come pensieri più intimi, frasi indefinite, ansie, memorie. Un viaggio quotidiano aperto allo stupore, alla ricerca di una profondità, un'immersione fisica e mentale: la luce va oltre la superficie delle cose, rivela essa stessa nuovi percorsi.

La selezione di opere qui presentate tratte da "L'Isola Intima" (1988/1997) è un po' la summa di questo vissuto e di queste riflessioni, un lungo viaggio fisico e mentale attraverso i luoghi e le emozioni della Sicilia, 35 fotografie vintage stampate in camera oscura dall'autore, copie uniche, frammenti di vita vissuta in controluce. Viaggio condiviso, tra gli altri, dal grande Giovanni Chiaramonte che nel suo testo scrive:"La sorprendente unicità della visione di Carmelo Bongiorno scaturisce dal rapporto intimo con la sua terra. Egli riflette il proprio itinerario dentro la camera oscura della rimembranza, e sfuma ogni nitida concretezza delle forme e delle figure per mettere a fuoco l'esperienza interiore delle proprie passioni e dei propri sentimenti".

E, ancor prima, dall'amico e compagno di percorso Franco Battiato che scrive: "Attraverso la fotografia Carmelo Bongiorno continua la sua ricerca esistenziale, coglie l'essenza misteriosa delle cose: ambienti e persone appaiono in stato onirico, dentro un naturalismo metafisico, come traslitterazione di sogni in luoghi, come combinazioni arcane. La fotografia si trasforma in pensiero". E il viaggio continua. Mostra nell'ambito del XII Festival Fotografico Europeo 2024 a cura di Claudio Argentiero. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Carmelo Bongiorno, Stretto di Messina
2. Carmelo Bongiorno, Erice, scorcio urbano

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Franco Battiato Franco Battiato
Dalla Sicilia all'Iperspazio


Pagina dedicata







Scultura di Valdi Spagnulo Valdi Spagnulo
"Tropici della scultura"


22 marzo (inaugurazione ore 18.30) - 22 aprile 2024
Studio 28nero - Firenze
www.valdispagnulo.it | Locandina della mostra

Prima mostra monografica dedicata a Valdi Spagnulo in Firenze, accompagnata da un catalogo con testo di Giacomo Biagi. Gli assemblaggi, i grandi telai distorti e le composizioni di linea in ferro e acciaio inox, di un artista dal consolidato background e che ha operato con costanza nel segno di un ripensamento pratico di cosa si possa intendere per scultura e al contempo per immagine. Per una prima volta in una sede fiorentina, la mostra proporrà un confronto tra opere distintive dei primi anni 2000 e del decennio successivo, con la produzione recente, per di cogliere i caratteri di continuità e discontinuità di una produzione, proposta qui entro una lettura ulteriore di quel modo, peculiare di Spagnulo, di applicarsi alla pratica scultorea.

Esemplari come Sfiorar la luna, 2005, o realizzazioni come La domus di Zeus, 2015 perimetrano con le loro strutture a terra o a parete una poetica la quale si qualifica per una distintiva compenetrazione tra la bidimensionalità del disegno e del piano pittorico, con la tridimensionalità e il volume dei codici viceversa tipici di scultura e architettura. Opere recenti come Domus in aqua, 2023, testimoniano della continuità della produzione dell'artista in linea alle precedenti stagioni, ma nella reinvenzione dei disegni d'insieme, dei meccanismi plastici e delle linee forza che scandiscono l'immagine.

La mostra sarà occasione per cogliere anche il passaggio di Spagnulo alla sperimentazione di nuovi materiali e ulteriori formati: la stagione dei plexiglass, colorati e trattati, delle prove dei primi 2000 sarà confrontata a opere in cui sui telai distorti e le strutture metalliche, Spagnulo inserisce adesso frammenti di pasta vitrea e vetro soffiato, la cui natura materica carica di nuova sensibilità ciascuna realizzazione. Suggestioni alle volte paesaggistiche alle volte zoomorfe, si combinano con una sintassi di contrasti materici cadenzata da retaggi volta volta rinegoziati: costruttivisti, surreali o dal primitivismo archetipo, e nondimeno inscrivibili entro i codici qui derogabili della scultura analitica, ma arricchiti di una lavorazione e di una sensibilità ereditata dalla stagione dell'informe.

Esordiente pittore negli anni Ottanta, intercettato e valorizzato da critici e storici dell'arte come Franco Solmi e Elena Pontiggia, Rossana Bossaglia e Luciano Caramel, è il il 2017 quando Matteo Galbiati e Kevin Mc Manus affermano come la scultura di Valdi si imponga quale "grafismo concreto nello spazio, dove segno, materia, architettura, pittura, scultura e disegno paiono fondersi nel gradiente primigenio che le accomuna", per Luca Pietro Nicoletti infine un dinamismo mistilineo, in cui all'assemblaggio si accompagna un'esigenza narrante restituita entro un "improvviso appunto visivo".

In questa occasione l'immagine-quadro pur sempre presente nell'opera di Spagnulo è presentata in tal senso come un "tropico", secondo una doppia accezione: da una parte quale tropico in grado di porre a critica e sintesi le consuete distinzioni mediali tra scultura, pittura e disegno; dall'altra come un segno "tropico" in cui all'insieme strutturale e portante, corrisponde pur sempre la possibilità di un'interpretazione non auto-referenziale, bensì immaginifica e intuitiva.

Valdi Spagnulo (Ceglie Messapica - Brindisi, 1961) nel 1973 con la famiglia si trasferisce a Milano, aprendosi all'ambito europeo con viaggi in Francia, Germania, Svizzera e iniziando studi artistici dapprima al Liceo Artistico di Brera, poi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove si laurea nel 1984. L'inizio degli anni Ottanta segna il suo esordio come pittore e l'avvio di una fitta attività espositiva: si segnalano le lunghe collaborazioni prima con la Galleria delle Ore di Giovanni Fumagalli, poi con Spaziotemporaneo di Patrizia Serra.

Nel 2001 riceve il primo Premio per la Pittura dell'Accademia di San Luca a Roma, mentre sempre agli anni 2000 risalgono numerose mostre personali e collettive. Al 2023 datano invece la partecipazione dell'artista al Premio d'arte città di Treviglio, a cura di Sara Fontana, e Valdi Spagnulo - Fermar l'aria, curata da Luca Pietro Nicoletti presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano Veneto. Attualmente docente di Pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze, vive e lavora principalmente a Milano. (Comunicato stampa)




Dadamaino. Dare tempo allo spazio
06 aprile (inaugurazione ore 17.30) - 09 giugno 2024
Villa Pisani Bonetti - Bagnolo di Lonigo (Vicenza)
www.villapisani.net

Mostra a cura di Bruno Corà, organizzata dall'Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art in collaborazione con A arte Invernizzi (Milano), in cui saranno presentate opere di Dadamaino degli anni Ottanta e Novanta scelte per dialogare con questo capolavoro giovanile dell'architettura di Andrea Palladio: un luogo straordinario che, nella relazione propositiva con la sua identità storica aperta al confronto con la creatività contemporanea, apre al visitatore inedite coordinate di esperienza.

Dadamaino (Milano 1930 - 2004), protagonista dell'arte italiana e internazionale a partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, ha rivolto la sua attenzione agli accadimenti della vita in un'incessante e sempre rinnovata riflessione sull'esistenza in continua trasformazione, nell'impossibilità di comprenderne fino in fondo il vero senso e significato. Dai primi "Volumi", dove lo spazio, inteso come campo attivo, viene esplorato nella sua concretezza attraverso larghe aperture sulla tela, passando per i "Volumi a moduli sfasati", con una moltiplicazione e progressione delle aperture, l'artista ha gradualmente spostato la sua attenzione al segno con le opere dei cicli dell'"Inconscio razionale", "L'Alfabeto della mente", le "Costellazioni" fino alle ultime serie "Passo dopo passo", "Il movimento delle cose" e "Sein und Zeit".

Le tracce e i segni frammentari e discontinui, che caratterizzano la sua ricerca artistica fin dalla metà degli anni Settanta, creano percorsi infiniti che si manifestano nel momento dell'esperienza visiva e invitano a riflettere sul loro possibile sviluppo, sinonimo di un continuo indecifrabile avvenire della realtà. La mostra è un'occasione per vivere da vicino ed approfondire le dinamiche interne al lavoro di Dadamaino, caratterizzato da continuità ed unitarietà, dal rapporto tra il gesto e il tempo nel suo scorrere senza fine.

Nel grande salone centrale del piano nobile di Villa Pisani Bonetti verranno esposte tre opere della serie "Sein und Zeit" (1989) in cui le superfici, libere dal supporto del telaio, sono attraversate da una moltitudine di segni disposti secondo concentrazioni e diradazioni che richiamano gli accadimenti della vita, in dialogo con tre lavori appartenenti al ciclo de "I fatti della vita" (1980) dove la superficie è frammentata da sequenze di tracce che si fanno pura energia dell'esistenza. I continui movimenti e mutamenti di direzione che caratterizzano questi lavori si ritrovano anche in altre opere dei cicli "Sein und Zeit" (1998) e "Il movimento delle cose" (1994), esposte nelle cantine assieme a due lavori della serie "Passo dopo passo" (1989) nelle quali si percepiscono sulla superficie in poliestere delle zone più intense, dove i segni confluiscono e si infittiscono fino a formare un unico agglomerato che genera percorsi, curve e spirali.

La monografia ripercorre l'iter creativo di Dadamaino dalla fine degli anni Cinquanta al 2000, con la riproduzione delle opere in mostra, un saggio introduttivo di Bruno Corà e un aggiornato apparato bio-bibliografico. In occasione di questa mostra verrà anche pubblicato il volumetto in esoeditoria di Bruno Corà dal titolo "La caduta" che narra un episodio biografico dell'autore avvenuto nei luoghi in cui sorge Villa Pisani Bonetti. (Estratto da comunicato stampa)

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Dadamaino
Gli anni '80 e '90, l'infinito silenzio del segno
...tra questa immensità s'annega il pensier mio... (da «L'infinito» di Giacomo Leopardi)


Catalogo a cura di Stefano Cortina con Susanne Capolongo, testo critico di Elena Pontiggia, ed. Cortina Arte Edizioni, pag. 247
Presentazione




Opera in vetrofusione e ossido di cm 34x55 realizzata da Rosanna La Spesa Opera con formatura a lastra semire bianco pigmento azzurro di cm.345x 55 denominata E conchis Omnia realizzata da Rosanna La Spesa Rosanna La Spesa
"Onde dello stesso mare"


16 marzo (inaugurazione) - 04 aprile 2024
Galleria "Arianna Sartori" - Mantova
Locandina della mostra | info@ariannasartori.eu

Rosanna La Spesa nasce nel 1958. Poliedrica e versatile scultrice di Albisola Superiore (Savona), origini venete e siciliane, inizia il suo impegno in campo artistico nel 1974 e prosegue con esperienze nel campo della ceramica e della vetrofusione. In permanenza sue opere: al Museo del Vetro Villa Rosa, Altare (SV), Residenza protetta M. Bagnasco di Savona, Ospedale Reg.le sede Civica di Lugano, Museo Diocesano di Faenza. Dal 2019 fa parte dell'Associazione Ceramisti Albisola, nel 2021 tiene gli incontri sulla Storia della ceramica nel 2º Corso Regionale di formazione, presso la Scuola Com.le di Ceramica ad Albisola Superiore.

In qualità di componente del Team Eventi dell'Associazione Ceramisti ha curato la pubblicazione "Preciso in Testa Tributo ad Arturo Martini", una collettiva il cui percorso espositivo dallo spazio mostre della biblioteca Pietro Costa di Celle Ligure al Museo Manlio Trucco di Albisola Superiore. Nella personale "Onde dello stesso mare", curata da Arianna Sartori, presenta una selezioni di opere realizzate con le tecniche della vetrofusione e in terracotta.

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Il 1974 segna l'avvio dell'esperienza artistica di Rosanna La Spesa, ancora studente al Liceo Artistico Arturo Martini di Savona, nel 1977 ha inizio il suo percorso espositivo. L'artista, respira sin da bambina il clima artistico Albisolese, coltiva con costanza due passioni: lo sport e l'attività artistica che spesso intreccia nelle sue esperienze di vita in particolare quando diventerà responsabile nel 2004 del Team Italia per il Forum Int.le della Gioventù Pierre de Coubertin dove arte e sport si fondono in un'esperienza unica di creatività.

La Spesa porta avanti il suo impegno artistico con costanza e coerenza a partire dalla pittura ad olio per proseguire con la ceramica e la vetrofusione. I temi che sviluppa attraverso l'uso di vari materiali partono dal mare, dalle memorie fossili della terra, dagli eventi dell'umano essere. Enrico Bonino poeta e scrittore all'esordio espositivo di Rosanna La Spesa di fronte alle opere ad olio esposte nella storica Galleria Testa di Albissola Marina le dona una poesia giovanile del tutto obliata: Profumo di Diatomee, "È il profumo del nulla assoluto / è il profumo che piace al mio cuore / è il profumo dell'infinito". (Estratto del 1977)

Luciano Caprile: "Rosanna La Spesa… conosce i ritmi della carezza e del graffio, del sorriso e del morso. Sono in fondo i ritmi della nostra esistenza caratterizzata sempre più dal dubbio, dalla diffidenza e dalla precarietà… Se la frammentazione, la preziosità, la trasparenza, il desiderio di fuga nel sogno e nel silenzio erano un patrimonio acquisito nei precedenti lavori di Rosanna, adesso tutto ciò lievita e si complica, si accentua e si contraddice, allorché si misura con una storia che ci tocca da vicino poiché assomiglia troppo allo specchio del mondo reale. Uno specchio che per la nostra autrice non riflette il nostro animo ma lo attraversa come un cristallo, evidenziando luci e spine". (Estratto da catalogo Souvenir, 2003)

Maria T. Castellana scrive di Rosanna La Spesa tenuta a battesimo nella sua prima personale del 1977 e seguita nello sviluppo della sua poetica artistica: "Rosanna La Spesa che da pianticella acerba, sembrava destinata a frugali presenze nel mondo dell'arte, crescendo e lavorando si è irrobustita, non accontentandosi mai di facili raccolti. Ha imparato ad usare i suoi strumenti - le vetro sculture - per articolare percorsi artistici in grado di porre l'accento di volta in volta su un tema scottante della contemporaneità.

Ne aveva già dato prova con la mostra Souvenir di guerra, dove campeggiava la sagoma sinistra dell'obice stesso. Con i semi di vetro tanto eleganti quanto inquietanti, affronta un altro approccio non solo con l'estetica, ma con l'etica, assai più scomoda, di un nuovo Eden plasmato dalla tecnologia… prepariamoci dunque ad afferrare il suggerimento dei suoi interrogativi, al volo, come sono sospesi i suoi vetri. Casomai i semi trovassero - nelle nostre menti - le ali". (Estratto da SE-Menti, 2005)

Scrive Riccardo Zelatore: "…l'uso di materiali primari e il loro accostamento, a volte provocatoriamente dissonante, determinano trame inedite, che inibiscono una lettura in termini di passiva normalità …La Spesa ha sviluppato un lavoro che nasce dal bisogno di trascendere la soglia di pura presentazione dei materiali… il suo atto creativo è messo in atto per provocare, stimolare la sensibilità personale, divenire veicolo per altre cose, per essere liberi come l'artista si sente e vuole essere". (Estratto da AequoReaVitrea, 2006)

Alida Gianti su Rosanna La Spesa: "Poliedrica e versatile artista di Albisola Superiore, è molto conosciuta per la sua intensa dedizione a un materiale che nel Savonese ha una storia non certo di secondaria importanza: il vetro. ….era forse scritto che, prima o poi, si lasciasse affascinare anche dall'argilla, tanto più vivendo in un'area geografica ad essa tradizionalmente votata. La Spesa non si professa peraltro ceramista, ma di certo non si improvvisa: è entrata in punta di piedi in questa specialità …per dar seguito concreto alle proprie idee, riuscendo persino a conferirle, in virtù di certe sue modalità progettuali e di foggiatura, una leggerezza che può richiamare, talvolta, quella del vetro.

Ha così realizzato interessanti lavori, sui quali anche in passato chi scrive si è ritrovata a riflettere, confermandosi nella convinzione che si può definire "artistico" ciò che, al di là di una possibile ma non scontata empatia verso quanto si osserva, impone, per così dire, una seria riflessione di approfondimento. È importante ricordare, a tal proposito, che nel 2011 La Spesa meritò, con l'opera "Compleanno olimpico", il primo premio al concorso indetto ad Albisola Superiore - nell'ambito della VI edizione del Festival Int.le della Maiolica - per ricordare i 150 anni dell'Unità d'Italia. Si tratta, di un lavoro contaminato da materiali diversi in coerenza con ricorrenti corde creative dell'autrice), realizzato in terracotta vetrinata, con sabbiatura e specchio". (Estratto da catalogo Preciso in testa, omaggio ad A. Martini, 2022)

Ci si addentra in un percorso all'insegna dell'antagonismo tra spirito e scienza, guerra e comunione, religione e libertà. L'ogiva nucleare guardata dall'interno è burka e confessionale. Tra gli angeli la salvezza e le tenebre. Le provette con il DNA a filo spinato, i ventri fecondi e il feto, esprimono una sequenza di razionalità e mistero. Nel viaggio interiore delle credenze la metafora della farfalla e la sua metamorfosi, l'evoluzione e il cambiamento. Di terracotta è il mondo. (Ingrid Rampini curatrice - MORA/Alexandre Mora Sverzut artista) (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Rosanna La Spesa, Falaise, vetrofusione e ossido cm 34x55
2. Rosanna La Spesa, E conchis Omnia, formatura a lastra semire bianco pigmento azzurro cm.345x55

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Roberto Rebecchi (1911-1997) | Sculture, dipinti, incisioni
09 marzo (inaugurazione) - 21 marzo 2024
Galleria "Arianna Sartori" - Mantova
Presentazione

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Presentazione




Locandina della mostra di Joel-Peter Witkin e Roger Ballen a Castel Ivano in Trentino Joel-Peter Witkin e Roger Ballen
"The Uncanny Lens / La Lente Inquietante"


16 marzo - 13 aprile 2024
Castel Ivano - Trentino

Una mostra volta a presentare le opere fotografiche di due rinomate figure artistiche, Joel-Peter Witkin e Roger Ballen. Entrambi gli artisti sono noti per il loro approccio distintivo e non convenzionale alla fotografia in bianco e nero, alla condizione umana, alla psiche umana e al grottesco. La mostra proposta cerca di incoraggiare l'esplorazione della mente inconscia attraverso la fotografia. Inoltre, in questa selezione di opere la mostra cerca di offrire una visione più approfondita e che sottolinea il rapporto di questi artisti al Surrealismo e alla storia della fotografia.

Il riferimento al "perturbante" in questa mostra è duplice: si riferisce alla qualità intrinseca alle opere stesse, nonché alle strane e straordinarie relazioni visive che il confronto innesca. Questa mostra di fotografie in bianco e nero ripercorrono decenni di carriera dei due artisti. Si dice che le immagini di Joel-Peter Witkin e Roger Ballen coinvolgano gli aspetti "più oscuri" della condizione umana, della psiche umana e del grottesco. Le opere sono state descritte come "provocatorie" e "inquietanti". Ma è nella giustapposizione delle loro fotografie che otteniamo una comprensione più chiara dello stile unico di ogni artista e un apprezzamento più approfondito della fotografia surrealista.

La mostra è organizzata dall'associazione culturale Chirone con la direzione artistica di Fulvio de Pellegrin e Paolo Dolzan, che hanno affidato la curatela della mostra a Fortunato d'Amico. Il catalogo della mostra, contenente 30 immagini in bianco e nero ciascuna di Roger Ballen e Joel-Peter Witkin, che abbracciano decenni della loro carriera, è pubblicato da Fallone Editore. Il catalogo è integrato dai contributi critici di vari autori, tra cui i filosofi Sergio Fabio Berardini e Alessio Caliandro, il poeta Michelangelo Zizzi, e i critici Fiorenzo Degasperi e Mauro Zanchi.

Roger Ballen (Stati Uniti), residente a Johannesburg in Sud Africa, da oltre quattro decenni, è uno dei fotografi più importanti della sua generazione. Ha pubblicato oltre 25 libri e recentemente Thames and Hudson ha pubblicato il suo libro Ballenesque, Roger Ballen - A Retrospective, un libro importante della sua raccolta di opere. Le sue fotografie sono raccolte da alcuni dei musei più importanti del mondo. La sua opera, che abbraccia cinquant'anni, è iniziata nel campo della fotografia documentaria ma si è evoluta nella creazione di regni romanzati distintivi che integrano anche i mezzi del film, dell'installazione, del teatro, della scultura, della pittura e del disegno. Ballen descrive le sue opere come "psicodrammi esistenziali" che toccano il subconscio e riflettono sulla condizione umana. E' stato anche il creatore di numerosi cortometraggi che si integrano con le sue serie fotografiche.

Joel-Peter Witkin (Brooklyn, New York, 1939) all'inizio della sua vita l'artista fu testimone di un raccapricciante incidente stradale. Questo evento traumatico lasciò un segno indelebile nella psiche dell'artista e permeerà tutti gli aspetti della sua visione e sensibilità creativa per tutta la sua vita. Witkin ha realizzato la sua prima fotografia quando aveva undici anni. Edward Steichen selezionò una delle fotografie di Witkin per la collezione permanente del Museum of Modern Art quando Joel aveva sedici anni. Ha conseguito una laurea presso la Cooper Union, in Scultura. Witkin crea tableaux elaborati che presentano nani, ermafroditi, persone con capacità fisiche o deformità insolite, cadaveri mutilati e parti del corpo amputate di morti, ottenuti da scuole di medicina, manicomi e obitori. Le fotografie risultanti sono allo stesso tempo inquietantemente belle e grottesche, e sfidano le nozioni consolidate di bellezza e normalità. (Estratto da comunicato stampa)




Dipinto in acrilico e carta a collage su tela di cm 120x85 denominato Sole Rosso realizzato da Riccardo Marchetti nel 2000 Opera di Paolo Camiz denominata Maschera realizzata nel 2021 Dipinto a tecnica mista su tela di cm 90x104 denominato Rosso interno, omaggio a Giordano Bruno, realizzato da Roberta Pugno nel 2024 "Immagini per pensare"
Opere di Paolo Camiz, Alessandra Diodati, Riccardo Marchetti, Stefania Panelli, Roberta Pugno


15 marzo (inaugurazione) - 19 aprile 2024
Università e-Campus - Roma
www.ipaziaimmaginepensiero.org | Locandina della mostra

Esposizione collettiva a cura di Cinzia Folcarelli con la collaborazione dell'Associazione IPAZIA Immaginepensiero Odv. Raccontare con le immagini il pensiero irrazionale e il mondo inconscio attraverso forme, linee, colori: la ricerca degli artisti dell'Associazione IPAZIA vuole rendere materia le immagini e i pensieri della realtà profonda, dando loro bellezza concreta. Paolo Camiz, scultore, musicista e scienziato, assembla materiali di recupero, soprattutto ferro e legno, trasformandoli in personaggi spesso ironici e in racconti mitologici. Alessandra Diodati, nelle sue composizioni "musicali", vuole rappresentare la leggerezza e la "fragilità", col suo stendere e sovrapporre colori e trasparenze.

Riccardo Marchetti è autore storico di opere piene di energia, ritmiche e poetiche, in cui la componente astratto-informale è protagonista. Per Stefania Panelli l'arte è un potente mezzo di espressione individuale e comunicativo, che attualmente rivolge al mondo delle geometrie primitive. Roberta Pugno, pittrice-filosofa, è da sempre alla ricerca dell'origine del pensiero che nasce dalla materia e che, vestendosi di colore, sa creare forme nuove del "sentire". Durante l'inaugurazione gli artisti saranno intervistati dalla Responsabile della sede romana dell'Università e-Campus, dottoressa Rita Neri. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Riccardo Marchetti, Sole rosso, 2000, acrilico e carta a collage su tela cm 120x85
2. Paolo Camiz, Maschera, 2021
3. Roberta Pugno, Rosso interno, omaggio a Giordano Bruno, 2024, tecnica mista su tela cm 90x104




Dalla Sicilia all'Arabia: capolavori UNESCO dell'arte
Conferenze di Sherif El Sebaie alla scoperta del sito di Alula e della Cappella Palatina di Palermo


19 marzo e 17 aprile 2024, ore 18
MAO Museo d'Arte Orientale - Torino
www.maotorino.it

Due conferenze di Sherif El Sebaie, consulente scientifico in fase di allestimento museale della galleria dei Paesi Islamici del MAO, che porterà il pubblico alla scoperta di due siti inseriti dall'Unesco nella lista del Patrimonio mondiale dell'Umanità: la Cappella Palatina di Palermo e Alula, in Arabia Saudita. Gli incontri, organizzati a margine della mostra Tradu/izioni d'Eurasia sono l'occasione per interrogarsi su fenomeni quali la circolazione delle idee, delle lingue, degli stili e delle tecniche artistiche e artigianali avvenute fra paesi, popoli ed epoche diversi e di come, al variare del contesto, i significati si trasformino e si adattino.

La Cappella Palatina di Palermo e il polo archeologico di Alula, esempi concreti di questa circolazione, di questi continui scambi fra Mediterraneo e Asia occidentale, centrale e orientale, testimoniano della fragilità del concetto di altro da sé ed evidenziano legami dove si ipotizzava ci fossero confini, in un gioco di prossimità e fascinazione reciproca.

- 19 marzo 2024
Il Cielo in un soffitto: meraviglie e segreti della Cappella Palatina a Palermo


La Cappella Palatina di Palermo, che Guy de Maupassant descriveva come "la più bella che esiste al mondo, il più stupendo gioiello religioso vagheggiato dal pensiero umano ed eseguito da mani d'artista", e Oscar Wilde come "la meraviglia delle meraviglie", è la massima testimonianza della convivenza tra le culture di Oriente e Occidente sotto il regno di Ruggero II d'Altavilla. Non a caso, è stata inserita dall'Unesco nella lista del Patrimonio mondiale dell'Umanità come "esempio di convivenza e interazione tra diverse componenti culturali di provenienza storica e geografica eterogenea". Uno di questi imprescindibili componenti è il soffitto, realizzato con molte probabilità da artisti provenienti dall'Egitto Fatimide. Sherif El Sebaie accompagnerà il pubblico alla scoperta dei misteri di un soffitto di cui tutti i segreti non sono ancora stati rivelati.

- 17 aprile 2024
Petra d'Arabia: incanto e misteri di Alula e dell'Arabia Saudita


Di ritorno da un lungo periodo di permanenza in Arabia Saudita, in qualità di Project Manager della prima missione di formazione per giovani restauratori sauditi guidata dal Centro di Conservazione e Restauro della Venaria Reale, Sherif El Sebaie svelerà i segreti di Alula, crocevia geografico e culturale, luogo di incontro e di scambi lungo le antiche rotte commerciali dell'incenso e del pellegrinaggio islamico. Capitale degli antichi regni di Dadan e Liyhan, poi ultimo avamposto del Regno dei Nabatei prima della conquista romana, Alula è un museo a cielo aperto che culmina a Hegra, primo sito in Arabia Saudita dichiarato Patrimonio mondiale dell'Umanità dall'Unesco, dove monumentali tombe ben conservate, scavate negli affioramenti di arenaria, testimoniano il prestigio e i legami internazionali dei suoi antichi abitanti. (Estratto da comunicato ufficio stampa Chiara Vittone Fondazione Torino Musei | MAO Museo d'Arte Orientale)

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Trad u/i zioni d'Eurasia. Frontiere liquide e mondi in connessione | Duemila anni di cultura visiva e materiale tra Mediterraneo e Asia Orientale
05 ottobre 2023 - 01 settembre 2024
Museo d'Arte Orientale - Torino
Presentazione




Opera artistica di William Congdon denominata Colosseum 2 realizzata nel 1951 William Congdon
"Essere-Uomo"


07 marzo (inaugurazione) - 23 aprile 2024
Capitolium Art Gallery - Roma
www.capitoliumart.it

Dopo cinquant'anni torna a Roma una mostra dedicata a William Grosvenor Congdon (Providence, Rhode Island, 1912 - 1998), artista spesso e con molte ragioni assimilato al gruppo degli espressionisti astratti americani, ma in realtà protagonista di una vicenda artistica ed esistenziale del tutto solitaria e che rappresenta un clamoroso caso unico nella storia dell'arte del dopoguerra.

Il progetto espositivo curato dalla direzione artistica di Capitolium Art Gallery in collaborazione con The William G. Congdon Foundation si sviluppa attorno a otto opere di grandi dimensioni prodotte nel triennio 1949-1951, gli anni in cui - grazie al sostegno di Peggy Guggenheim e di Betty Parsons, la gallerista dei maestri dell'action painting - il mercato americano premia la pittura di Congdon con quotazioni che, nel 1951, sono più alte di quelle di Pollock e di molti altri protagonisti della nuova avanguardia trattati dalla Betty Parsons Gallery. Catalogo in galleria con testi critici di Daniele Astrologo Abadal.

Gli storici lavori in mostra, per lo più provenienti dalla collezione della Congdon Foundation e da un'importante collezione privata, compongono un allucinato Grand Tour attraverso l'Italia dell'immediato dopoguerra, un paese punteggiato dalle rovine di una civiltà millenaria e dalle macerie di un conflitto da poco concluso, portando il visitatore da Roma a Venezia, passando per la selvaggia natura d'Abruzzo, l'Umbria e la Toscana. I soggetti scelti da Congdon sono quelli canonici della pittura del Grand Tour: il Pantheon, il Colosseo, la chiesa della Trinità dei Monti a Roma, la basilica di San Francesco ad Assisi, la Piazza dei Miracoli a Pisa e il Caffè Florian a Venezia, ma il linguaggio espressivo è quello avanguardistico della scuola di New York.

Con il fare tipico dell'Action Painting, Congdon reinventa la pittura di veduta della tradizione europea. L'abbondante uso di pigmenti conferisce ai suoi lavori una matericità così pesante da richiedere l'uso di supporti rigidi come il compensato e la masonite, "eredi prosaici" - scrive Daniele Astrologo Abadal nel saggio critico in catalogo - "della tavola lignea italiana del Quattrocento", superfici robuste capaci di resistere alla fisicità dell'assalto di un pittore che non lavora col pennello ma con la spatola e il punteruolo. (...)

Unico tra gli artisti americani di punta della sua generazione ad aver vissuto sul campo l'esperienza della guerra, Congdon finirà per legare il suo destino all'Italia, il paese in cui vivrà le esperienze più intense della vita, non ultima quella della conversione al cattolicesimo, la clamorosa scelta fatta nel 1959 e che porterà al crollo della sua fortunata carriera americana.

Ma sarà proprio la profonda spiritualità di cui le vibranti vedute celebrate da Peggy Guggenheim sono espressione a condurlo verso un inesorabile cambio di passo anche sul fronte della produzione artistica. Dopo la conversione, chiuso l'intenso capitolo del vedutismo rivisitato in chiave avanguardistica, Congdon si dedicherà con coerenza all'arte sacra, una scelta rigettata in pieno non solo dal mercato americano ma anche da quello europeo.

Del tutto indifferente ai verdetti del mercato, Congdon proseguirà la sua ricerca artistica in stretta correlazione con un percorso spirituale (...). Alla fine degli anni Settanta, dopo un ventennio trascorso facendo base ad Assisi, si stabilisce a Gudo Gambaredo, in una casa-studio annessa a un monastero benedettino. "Nella tristezza informe della Lombardia" nascono opere del tutto nuove, una produzione oggi studiata con grande interesse dalla critica d'arte italiana ed europea impegnata nell'approfondimento dell'originale contributo offerto da Willian Congdon allo sviluppo dell'arte del'900.

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- Stati Uniti 1912-1941. L'infanzia e la prima giovinezza

"La mia prima coscienza nell'infanzia era quella di sentirmi intimamente solo, anche se circondato da numerosa famiglia e domestiche. Solitudine per rigetto affettivo da parte del padre. Avevo paura. (…) Era [la] situazione di un rapporto frustrato, abortito, che svegliava in me il dono creativo". La "numerosa famiglia" spesso ricordata da William Congdon nei suoi scritti è espressione della migliore società wasp del New England. I genitori Gilbert Maurice e Caroline Grosvenor appartengono a due illustri dinastie di industriali, attive rispettivamente nel campo dell'acciaio e del cotone. La madre, a cui è legatissimo, gli trasmette la passione per la cultura umanistica e i grandi viaggi oltreoceano.

Questa atmosfera privilegiata e protetta è però turbata dal difficile rapporto con un padre rigido e distante che incarna perfettamente la disciplina etico-economica del puritanesimo protestante. Seguendo le orme del fratello, Congdon si iscrive a Yale, dove frequenta corsi di letteratura inglese e spagnola, coltivando un crescente interesse per il teatro, la poesia, la musica operistica e sinfonica. Come ogni giovane della buona società americana alterna lo studio e lo sport alla vita mondana, con frequenti puntate a New York e periodici viaggi in Europa, soprattutto a Bayreuth per seguire i festival wagneriani.

- El Alamain, l'Italia e Bergen Belsen 1942-1947. Gli anni della guerra

È con la partecipazione alla guerra che la scelta per la pittura diviene vocazione. "Fu soltanto durante l'ultima guerra (…) che nel bisogno dei sofferenti (…)  per la prima volta, già trentenne, trovai me stesso negli altri, divenni conscio della mia origine d'amore negli altri, e sperimentai una libertà fino allora sconosciuta e la gioia della realtà". Nel 1942 si arruola nell'American Field Service, un servizio volontario di sanità organizzato per portare soccorso tanto alle truppe quanto alle popolazioni civili colpite dalla guerra.

Addestrato come autista di ambulanze, partecipa alla battaglia di El Alamein; successivamente viene assegnato alle truppe di invasione in Italia e a maggio del 1945 entra nel campo di concentramento di Bergen Belsen, appena liberato: davanti ai suoi occhi, l'agghiacciante spettacolo di 65 mila uomini ridotti allo stato di larve. Da quella dolorosa esperienza nascono disegni di membra, volti e occhi sgranati di moribondi e la consapevolezza che la pittura, intesa come donazione di sé, sarà la sua vocazione per la vita.

Congdon è uno dei pochi artisti americani della sua generazione - se non l'unico - ad aver vissuto in prima persona la tragedia che, dall'Europa, si sarebbe propagata oltreoceano, fino a contaminare le tele dei colleghi Pollock e Rothko. L'incontro dell'artista con l'Italia è destinato a durare nel tempo. Nel duplice volto che il Paese gli offre, quello della sofferenza e della pietà, ma anche della seduzione e della bellezza, trova le condizioni ideali per far fiorire il proprio talento creativo.

- Tra New York e Napoli 1947-1949

"La potenza dell'ombelico della mia famiglia, della mia educazione, era così forte e non avevo la forza da solo di staccarmi. Avevo soltanto l'esperienza della guerra dietro a me che urgeva a manifestarsi e poi però qualcosa doveva darmi la forza (…) non potevo stare coi ricchi e dovevo stare coi morti, perché io ero morto. (…) Con un ferreo scarabocchio d'inchiostro su carta bagnata volevo cancellare l'eleganza vittoriana della mia origine. [Il mio] cuore, rinnovato dal terrore e dalle sofferenze di una guerra, "pianse" le facciate sanguinanti dei tuguri di New York: i miei primi quadri ad olio nacquero dallo sgocciolare, o dripping, dei colori, liquidi come il sangue delle mie proprie viscere".

Finita la guerra, Congdon torna in patria, scegliendo di trasferirsi a New York. In un continuo andirivieni tra America ed Europa, tra New York e Napoli, vedono la luce le opere più potenti e più riuscite di questi anni, prime espressioni di un personalissimo linguaggio pittorico.  La New York che ama e in cui vive per qualche mese è quella della Bowery, un quartiere povero e malfamato in cui, come a Napoli, si lotta per sopravvivere. Dopo il trasferimento a Park Avenue, in un prestigioso appartamento al trentesimo piano, il suo sguardo sulla città si allarga.

Dalle facciate degli edifici cadenti della Bowery, si passa a visioni complessive di una metropoli sovrastata da una macchia nera in progressiva dilatazione. Nel 1949, l'incontro con Peggy Guggenheim e Betty Parsons, gallerista dei principali artisti della "Action Painting", determina l'inizio di una stagione di successo sul mercato USA. Congdon parla il linguaggio dei suoi compagni di squadra Pollock, Rothko, Motherwell, Barnett Newman, ma, pur mantenendo un'impronta pienamente americana, sente già dal 1950 il bisogno di procedere da solo, mettendo a punto un personalissimo linguaggio figurativo.

_ In esilio in Italia

- Venezia. Primi anni '50

"William Congdon è l'unico pittore, dopo Turner, che ha capito Venezia, il suo mistero, la sua poesia, la sua passione. Il suo modo di esprimersi è moderno, la sua comprensione vecchia quanto la città stessa". Peggy Guggenheim All'inizio degli anni '50, Napoli e New York scompaiono dagli orizzonti geografici ed emotivi di Congdon ed emerge Venezia, che lo seduce con la sua bellezza di acqua e luce. Peggy Guggenheim dichiara il lavoro di Congdon all'altezza dei grandi del passato e la fama dell'artista si consolida, consentendogli di accedere ai santuari della cultura americana. Il legame con Venezia è tuttavia inversamente proporzionale a quello con la patria: negli anni Cinquanta i soggiorni negli Usa diventano sempre più brevi e quasi unicamente legati all'attività professionale. Congdon continua, tuttavia, a sentirsi artista americano in esilio culturale e il suo primo destinatario resta il pubblico statunitense.

- Assisi 1951 -1959. Verso la conversione

Il viaggio e la fuga da sé non cessano di alimentare la sua ricerca. Nel 1951 scopre Assisi, dove incontra don Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate Christiana, associazione missionaria attorno a cui gravitano molti artisti di varia provenienza. Congdon comincia a valutare la possibilità di una conversione al cattolicesimo. Il 15 agosto del 1959, dopo una lunga stagione di viaggi intorno al mondo, riceve il battesimo nella basilica di San Francesco e si trasferisce ad Assisi.

- 1960-67. L'incontro con Don Giussani. L'arte sacra

Ad Assisi incontra Paolo Mangini, membro della Pro Civitate, la cui amicizia lo sosterrà per tutti gli anni a venire. Tramite Mangini, Congdon conosce don Luigi Giussani, fondatore del Movimento di Comunione e Liberazione. I due si legano in modo definitivo al movimento di Don Giussani.  Tra il 1960 e il 1965, Congdon dipinge quasi esclusivamente soggetti religiosi, avvia in particole una ricerca sulla rappresentazione del Crocifisso. Una scelta rigettata sia dal mercato americano che dal mercato europeo. Nel 1967 l'ultima personale alla Betty Parsons è accolta con freddezza e delusione.

- Gli anni '70

Grazie all'eredità ricevuta in seguito alla morte della madre, che lo libera dalla preoccupazione di commercializzare le sue opere, Congdon diventa artisticamente un eremita. In questa condizione di isolamento, sorprendentemente, l'artista rifiorisce: gli anni '70 sono un periodo di grande creatività segnato dal ritorno a temi e dinamiche della pittura passata. I viaggi, in particolare a partire dalla metà degli anni Settanta, tornano a essere uno stimolo fondamentale.

- Gudo Gambaredo 1979-1998

"Nel '79 sono stato condotto in un luogo senza volto, senza memoria: la Bassa Milanese. Esattamente come quando cominciai a dipingere a New York dopo la guerra, nel '48, senza memoria, senza tradizione, nuda e povera".  Alla fine degli anni Settanta, ancora grazie all'amico Paolo Mangini, chiusa la casa di Assisi, Congdon trova una nuova sistemazione nella Bassa milanese, in una casa-studio annessa a un monastero benedettino, conosciuto come Cascinazza. Congdon sprofonda in una terra che è "una spugna sozza e bagnata". Il ventennio di eremitaggio nel luogo "senza memoria e senza tradizione" trascorre tra fasi di intensa ricerca e sofferta sterilità creativa. All'inizio degli anni '80, dalla terra nebbiosa di Lombardia nasce una intensa stagione di opere con caratteristiche del tutto inedite per la sua pittura. La critica italiana ed europea torna a guardare il suo lavoro con interesse. Muore il 15 aprile 1998, nel giorno del suo ottantaseiesimo compleanno. (Ufficio stampa Scarlett Matassi)

Immagine:
William Congdon, Colosseum 2, 1951




Opera dal ciclo Light Square sovrapposta a graffito realizzata da Elisabetta Bacci a Gorizia nel 2024 Opera dal ciclo Siam sovrapposta a graffito realizzata da Elisabetta Bacci a Monfalcone nel 2024 Elisabetta Bacci
"Painting and lettering: a dialogue"


14 marzo (inaugurazione) - 22 maggio 2024
Galleria f 2,8 - Zagorje (Slovenia)
Locandina della mostra

Una mostra, curata da Vukašin Šobot, che mette a confronto dialogico, in una sequenza di quindici fotografie e in un video loop di venti immagini, i quadri dei cicli "Piers", "Tebah", "Light Square" e "Siam" sovrapposti a graffiti e lettering individuati sui muri delle città di Genova, Trieste, Murska Sobota, Monfalcone, Gorizia. L'intento di fondo è quello di realizzare un gioco di relazioni e intrecci tra cultura "alta" e cultura "bassa", tra una creatività rarefatta e realizzata nell'asetticità di un atelier e una primigenia che sgorga dal quartiere e dalla strada.

Le opere fotografiche sono caratterizzate da una cromia molto forte e accesa, le tele sono tutte di formato quadrato e basate sulla cifra del numero tre: tre sono le campiture che dividono lo spazio e tre sono i colori dominanti. Inoltre, questo insieme di campiture tende a una geometria essenziale e proiettiva. Proprio da questo contrasto tra la grande espressività sociale dei graffiti (realizzati con le bombolette spray) e la pacatezza di queste geometrie (le cui stesure sono dipinte ad acrilico) nasce il dialogo e la sovrapposizione dei segni linguistici. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Elisabetta Bacci, opera dal ciclo "Light Square" sovrapposta a graffito, Stella Matutina, Gorizia, 2024
2. Elisabetta Bacci, opera dal ciclo "Siam" sovrapposta a graffito, C.I.S.I., Monfalcone, 2024




Fotografia che ritrae Calogero Condello Calogero Condello
"Pensiero tridimensionale. Classicità e futuro"


09 marzo (inaugurazione ore 18) - 05 maggio 2024
Sala Leonor Fini del Magazzino 26 del Porto Vecchio di Trieste

In mostra - presentata da Marianna Accerboni - una fascinosa sequenza di installazioni tridimensionali realizzate dall'artista friulano negli ultimi anni. La capacità speculativa propria della cultura mediterranea - scrive Marianna Accerboni - si specchia nell'opera di Calogero Condello, che sa compendiare nei propri lavori euritmia, misura e passione, racchiusi e sospesi in un'arte d'ispirazione concettuale, in cui ricorrono i canoni della bellezza classica e neoclassica accanto ad altre scelte estetiche di qualità, espresse sul filo della contemporaneità sia sotto il profilo formale che per quanto riguarda il loro significato.

Presentazione mostra




Il canto di Venere e le inquietudini di Giove
L'emancipazione musicale delle donne raccontata dai francobolli


07 marzo (inaugurazione) - 08 aprile 2024
Sala del Consiglio del Palazzo delle Poste di Trieste

Mostra organizzata da Emanuela De Domenico, nuova responsabile del Museo postale e telegrafico della Mitteleuropa, in collaborazione con il CUG-Comitato Unico di Garanzia del Conservatorio di musica "Giuseppe Tartini" di Trieste. L'evento è il primo di quattro percorsi tematici dedicati alla creatività femminile, pianificati dal Museo triestino di Poste Italiane per la stagione 2024.

Nel primo intervento tecnico della mattinata, presentato da Martina Aimo (musicista diplomata al Conservatorio Tartini in Canto jazz e in Didattica della Musica), è stato analizzato "il rapporto tra donne e creatività" in modo interdisciplinare, servendosi delle riflessioni di Simone de Beauvoir e di Virginia Woolf e facendo riferimento alla "stanza tutta per sé" quale spazio fisico ma anche simbolico della creatività, luogo in cui matura il coraggio per vincere i condizionamenti che storicamente hanno posto le donne in una situazione di subalternità. Tutti valori che - secondo la relatrice - possono essere trasmessi alle nuove generazioni attraverso strumenti didattici e pedagogici. La musicista, infine, ha ricordato i riferimenti "creativi" del proprio percorso artistico, legati ai miti delle vocalist Jazz e delle grandi interpreti della musica italiana.

Nel secondo intervento tematico, Irene Russo (pianista e docente al Conservatorio Tartini) è entrata nel merito della musicalità femminile rievocando, al pianoforte, le storie di due grandi pianiste molto diverse tra loro. La prima è l'enfant prodige Clara Wieck Schumann, costretta a sacrificare le proprie ambizioni compositive per assecondare le esigenze professionali del marito Robert. Mentre la seconda è Hazel Scott, poliedrica artista afroamericana capace di spaziare dal classico al jazz, che seppe difendere i diritti delle donne e degli artisti di colore, pagando, per questo suo coraggio, un prezzo molto alto in termini umani e professionali.

A conclusione della presentazione, il quartetto di saxofonisti del Conservatorio Tartini (appartenenti alla classe del professor Massimiliano Donninelli) ha dedicato un omaggio musicale a tutte le donne presenti nel salone del palazzo delle Poste per celebrare la Giornata internazionale della donna. È seguita la visita guidata della mostra, che, attraverso 46 pannelli, riuniti in 4 sezioni (Classica, Jazz, Canzone d'autore, Icone Pop), racconta, anche grazie alle riproduzioni grafiche dei francobolli, le biografie e le opere di alcune tra le più rappresentative musiciste dal Medioevo ai giorni nostri.

Nel mondo della musica classica numerose artiste hanno subordinato le proprie aspirazioni alle regole della cultura patriarcale del tempo salvaguardando così gli equilibri familiari ed evitando eventuali competizioni con mariti e fratelli illustri. Oltre al già citato caso dei coniugi Schumann, la mostra ricorda gli esempi di Nannerl Mozart, Fanny Mendelssohn, Anna Magdalena Bach e Alma Mahler.

Le cose non vanno meglio nel ritmo sincopato del Jazz. Un mondo, questo, in cui nonostante emergano le doti canore di grandi vocalist quali Billie Holiday ed Ella Fitzgerald, si perdono le tracce di bravissime pianiste-compositrici-arrangiatrici, capaci di arricchire le più importanti produzioni musicali del loro tempo, vivendo, in molti casi, anche la doppia discriminazione: essere donne ed essere donne di colore. Tra i vari esempi, è emblematico il caso di Lil Hardin, ricordata più per essere stata la moglie di Louis Armstrong che per il grande talento compositivo e lo spirito imprenditoriale di cui era in possesso.

Analizzando poi il mondo della canzone d'autore, vediamo esplodere negli anni '60 e '70 le band e gli artisti che hanno fatto la storia della musica popolare fino agli anni '80 e '90. Anche in questo caso, la partita doppia del talento premia soprattutto le numerose presenze maschili. Dal canto loro, le donne hanno saputo replicare con contributi di grande qualità: da Joan Baez a Joni Mitchell, da Kate Bush ad Annie Lennox, fino alla nostra Gianna Nannini. È l'inizio della svolta che ci porterà poi nel mondo delle Icone Pop come Madonna, Lady Gaga, Taylor Swif: capaci di coniugare le attitudini musicali con le strategie mediatiche, le leggi del marketing e la capacità di creare modelli da emulare. Anche in questo caso, scopriamo che la creatività femminile, a fronte di una minore presenza, ha dimostrato di essere più efficiente nel raggiungere i risultati economici.

La mostra prova anche a fornire alcuni spunti di riflessione rispetto ai meccanismi che oggi regolano o limitano l'accesso delle donne alle professioni musicali. E se i simboli hanno ancora un valore, è giusto ricordare che, negli ultimi anni, sono sensibilmente aumentate le direttrici d'orchestra di musica classica e le virtuose di chitarra elettrica sui palcoscenici rock. Tutti segnali trasversali che si spera possano essere di buon auspicio per le nuove generazioni di musiciste. (Estratto da comunicato stampa)




Fotogrammi da provino a contatto per il film Il buono, il brutto, il cattivo provenienti dal Fondo Angelo Novi Cineteca di Bologna Fotografia di Sofia Loren realizzata da Elio Luxardo da Fondazione 3m Locandina della serie di conferenze Una Rete in Viaggio, Storie, idee, progetti, Fotografia e altri linguaggi Una Rete in Viaggio. Storie, idee, progetti
Fotografia e altri linguaggi


III edizione, 2024, 18 marzo - 07 maggio 2024
www.retefotografia.it



- 18 marzo 2024, ore 18, Fotografia e Cinema, Cineteca di Bologna | Cinema Lumière
- 23 aprile 2024, ore 17.30, Fotografia e Architettura, Museo delle Storie di Bergamo
- 07 maggio 2024, ore 18, Fotografia e Musica, Gallerie d'Italia - Torino

Programma di appuntamenti che vede i Soci di Rete Fotografia in dialogo tra loro e con altre istituzioni alla scoperta di connessioni inedite e nuovi punti d'incontro, ritorna e propone tre incontri di approfondimento sul rapporto tra Fotografia e altri linguaggi. Si potrà partecipare agli appuntamenti in presenza e in streaming. Il tema di quest'anno affronterà il rapporto tra la fotografia con altre importanti discipline, a partire dal cinema con il quale ha condiviso spesso contenuti e insoliti punti vista, per proseguire con l'architettura, dalle testimonianze alla progettazione e costruzione dell'immagine, e infine con la musica in un tentativo quasi eretico di andare al di là del soggetto rappresentato.

L'iniziativa che ha visto la sua prima apprezzata edizione in streaming nel 2021 (i video sono ancora visibili online sul canale Youtube di Rete Fotografia) e la seconda aggiornata nel 2023 dedicata alle trasformazioni del paesaggio, intende creare nuove occasioni itineranti di valorizzazione della cultura fotografica e di condivisione e apertura a un pubblico divenuto negli anni sempre più ampio e partecipe alle iniziative proposte da Rete Fotografia, grazie alla sua manifestazione nazionale "Archivi Aperti".

Rete Fotografia, impegnata fin dalla sua fondazione nel 2011 nella promozione e valorizzazione della cultura fotografia a un pubblico non solo specialistico, offre anche quest'anno una inedita proposta di confronto e approfondimento condiviso. Dopo "Una Rete in Viaggio" seguirà, infatti, dal 11 al 20 ottobre 2024 la X edizione di "Archivi Aperti". Di seguito il calendario dei tre appuntamenti, che saranno trasmessi anche in streaming sul canale Youtube e sulla pagina Facebook di Rete Fotografia.

Rete Fotografia è nata nel 2011 a Milano su iniziativa di un gruppo di enti e istituzioni, attivi nel settore della fotografia, con la finalità di creare un sistema aperto di collegamenti e relazioni tra realtà pubbliche e private, di promuovere e valorizzare la fotografia attraverso una cultura critica sempre più ampia, aggiornata e qualificata. Costituitasi come associazione non profit nel 2016, organizza incontri, convegni, seminari, visite guidate riservate ai soci al fine di offrire strumenti di conoscenza e aggiornamento a specialisti. Nello stesso tempo diffonde, in modo gratuito, la cultura fotografica a un territorio e a un pubblico sempre più vasto, non solo di addetti ai lavori, e attraverso due manifestazioni: "Una Rete in Viaggio" e "Archivi Aperti". (Comunicato ufficio stampa Alessandra Pozzi)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Il buono, il brutto, il cattivo, Provino a contatto, Fondo Angelo Novi, Cineteca di Bologna
2. Sofia Loren di Elio Luxardo-Fondazione 3m
3. Locandina della serie di conferenze "Una Rete in Viaggio. Storie, idee, progetti. Fotografia e altri linguaggi"

___ Presentazione di mostre di fotografia nella newsletter Kritik

Backstage | Mimmo Cattarinich e la magia del fotografo di scena
09 febbraio - 16 giugno 2024
Museo Villa Bassi Rathgeb - Abano Terme (Padova)
Presentazione

Uliano Lucas | Altre voci, altri luoghi | Fotografare per comprendere il mondo intorno a noi
03 febbraio (inaugurazione) - 05 maggio 2024
CARMI museo Carrara e Michelangelo - Carrara
Presentazione

Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l'amore, la guerra
14 febbraio - 02 giugno 2024
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino
Presentazione

I vincitori della 14. edizione di URBAN Photo Awards 2023
Presentazione

Francesca Galliani - Empty New York
Barbara Frigerio Contemporary Art
Presentazione




Dipinto a olio denominato Il Po verso sera realizzato da Roberto Rebecchi nel 1969 Opera in bronzo denominata Giorno di festa e gioia pieno realizzata da Roberto Rebecchi nel 1935 Acquaforte denominata Sermide, Ponte vecchio in chiatte sul Po realizzata da Roberto Rebecchi nel 1976 Dipinto a olio denominato Il professore realizzato da Roberto Rebecchi nel 1935 Roberto Rebecchi (1911-1997)
Sculture, dipinti, incisioni


09 marzo (inaugurazione) - 21 marzo 2024
Galleria "Arianna Sartori" - Mantova
info@ariannasartori.eu

Alla Galleria Arianna Sartori viene ricordato l'Artista Roberto Rebecchi con una ricca esposizione antologica che indaga e si sofferma sui vari ambiti della sua arte: la scultura, la pittura e l'incisione. Retrospettiva organizzata dalla famiglia e curata da Arianna Sartori. "Figure, paesaggi, nature morte. Il loro interesse è evidente: sono opere che sfuggono alla tentazione dell'enfasi novecentista, che cercano di cogliere la verità delle cose con elementare semplicità, con sobria enunciazione. Il loro carattere è quello di un'intima e sommessa qualità poetica, che rifiuta ogni forma di eloquenza cromatica, ogni pittoricismo". (Mario De Micheli)

Roberto Rebecchi (San Felice sul Panaro - Modena, 1911) nel 1913 con la sua famiglia si trasferisce a Sermide (Mantova) sul Po. L'artista compie i propri studi coi migliori maestri all'Accademia di BBAA di Venezia, pur essendo iscritto al corso di scultura (forma di espressione artistica che gli era più congeniale) segue il corso di pittura di Virgilio Guidi. Quando questi nel '35 si sposta a Bologna, Rebecchi ed altri lo seguono per stima ed amicizia. Ha così la grande opportunità di incontrare Giorgio Morandi che, con maestria, guiderà le sue esperienze incisorie. Nel 1932 inizia la sua attività artistica partecipando a molte esposizioni sindacali interprovinciali e nazionali.

In questi anni Rebecchi modella molto; si sposta per sete di novità a Milano dove incontra e viene apprezzato da Arturo Martini. Conosce gli esponenti di "Corrente" e Treccani pubblica delle sue acqueforti sulla loro rivista. Diplomatosi in scultura e incisione, torna a Venezia (che lo aveva "rapito" anche emotivamente) per iscriversi alla Facoltà di Architettura. Gli studi deve interromperli a causa della guerra. Durante il periodo bellico moltissime sue opere saranno distrutte; altre rimangono: sculture­ritratto modellate durante il servizio militare; taccuini e taccuini di disegni da cui trarrà in seguito delle incisioni. Nel giugno-settembre 1942 partecipa alla XXIII Esposizione Internazionale d'Arte - Biennale di Venezia. Nel 1945, al ritorno dalla guerra, alla liberazione di Firenze, presenta 12 bronzi all'Accademia di BBAA di Firenze.

Nel 1948 tiene una personale di scultura all'Opera Bevilacqua la Masa di Venezia. Sono gli anni '50 e l'insegnamento prima e la direzione dell'Istituto Statale d'Arte di Castelmassa (RO) poi, lo portano ad una sedentarietà che lo isolerà molto. Persona dal carattere schivo e generoso, è portato a mettere tutto se stesso in ogni cosa che compie e questo è il tempo dei "viaggi del burocrate", come diceva con ironia. Nel suo lavoro artistico concepisce una serie di bassorilievi modellati nella creta che rappresentano esclusivamente paesaggi del Po.

Nel 1961 è alla Quadriennale di Roma. Negli anni '80 riespone alla Fondazione Corrente a Milano. Torna a fare diverse personali esponendo incisioni che stampa lui stesso con torchio a stella. Negli anni '90 espone al Castello Estense della Mesola e partecipa alla Biennale del Bronzetto di Padova. Sue opere si trovano in chiese, collezioni pubbliche e private, ecc. a Venezia: Basilica di S. Marco, Chiesa della Pietà, Galleria Seminario Patriarcale, Convento Clausura Suore bianche del Lido; a Como: Salesianum; a Sermide: Villa Magnaguti; ecc.

Numerosi giornali e riviste letterarie e d'arte hanno pubblicato disegni, incisioni, fotografie di suoi lavori: L'Arena, Vita Veronese (Verona); L'Avvenire d'Italia (Bologna); La Voce di Mantova, Gazzetta di Mantova; Archivio (Mantova); II Gazzettino, Corriere Veneto, Gente Veneta, Il Giornale delle Venezie; Il Diario (Venezia); Corrente (Milano); Termini (Fiume); Azione Fucina; Coscienza; La Scuola e l'Uomo; II Notiziario d'Arte (Roma); Humanitas (Brescia); Arte Triveneta (Padova). (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Roberto Rebecchi, Il Po verso sera, 1969, olio
2. Roberto Rebecchi, Giorno di festa e gioia pieno, 1935, bronzo
3. Roberto Rebecchi, Sermide, Ponte vecchio in chiatte sul Po, 1976, acquaforte
4. Roberto Rebecchi, Il professore, 1935, olio

Archivio
Mensile di Arte - Cultura - Antiquario - Collezionismo - Informazione | Anno XXXVI
Presentazione




Locandina della mostra Costruzione dell'Universo Costruzione dell'Universo
Artists' Magazines and Publications after Marcel Duchamp


02 marzo - 05 maggio 2024
CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea - Foligno
www.ciacfoligno.it

La mostra affronta un importante ed inedito settore della produzione artistica internazionale: il giornale ed il magazine come medium d'artista. Si tratta di stampati molto rari, a-periodici e straordinari, pubblicazioni cartacee "sensibili" in cui l'artista disegna, progetta la copertina, la pagina interna, la sequenza di immagini interna o ne concepisce la forma totale, come opera unica seppur ripetibile. La pubblicazione a volte diventa un contenitore aperto e collettivo capace di alternare più artisti nello stesso impaginato o in numeri diversi. Il titolo della mostra Costruzione dell'Universo rimarca il ruolo importante e sorgivo della stagione delle avanguardie artistiche di inizio secolo (citando il Manifesto "Ricostruzione futurista dell'Universo").

Negli anni '50 (inizio periodo di ricerca di questa mostra) questa attitudine utopica rimane viva e l'artista, liberandosi dal peso esistenziale dei conflitti mondiali, immagina una società "nuova" in costruzione, senza relitti e detriti, fatta di architetture viaggianti e spazi liberati, nuovi linguaggi, con un anelito per il vuoto, uno slancio verso la luce e il cosmo. Questo gesto esemplare e rivoluzionario ha bisogno di una letteratura istantanea, di una presa "reale" artistica che si esprime in pubblicazioni speciali e alternative al "quotidiano".

I risultati di questa tensione artistica producono pagine notturne, flash e bagliori di luce, composizioni enigmatiche o stralunanti, costellazioni poetiche in pagina e, quando subentra la dimensione del colore, impaginati psichedelici e di nuove gamme cromatiche; questi mezzi stampa propongono contenuti sperimentali e radicali, di un nuovo "surrealismo, moltiplicatore delle realtà infrasottili". Il percorso parte infatti dalle riviste "fuori data" View e Transition con due bellissimi progetti di copertina dell'artista-editor Marcel Duchamp, a testimoniare questa transizione e trasmissione tra movimenti e generazioni, per poi dipanarsi su una lunga traiettoria di 70 anni (1950-2020) con oltre 200 riviste d'artista. (Estratto da comunicato ufficio stampa Sara Stangoni Comunicazione)




Opere di Giulia Bonora e Debora Fella Giulia Bonora | Debora Fella
"Assonanze"


09 marzo (inaugurazione) - 20 aprile 2024
Ghiggini 1822 - Varese
www.ghiggini.it

La mostra vuole essere un percorso in cui la materia di Giulia Bonora si riflette nella pittura di Debora Fella e viceversa, alla ricerca delle similitudini tra immagine pittorica e struttura ceramica. L'obiettivo è di far emergere la sintonia visiva e ideale che intercorre tra queste due fini ricerche espressive, creando una relazione equilibrata tra le opere esposte.

"Di fronte a questa inafferrabilità Giulia Bonora e Debora Fella trovano un'originale sintonia d'intenti. Nella mostra le opere delle due artiste si prestano a un dialogo reciproco regalandoci l'epifania dello scoprire ciò che va oltre ogni presunzione o sicurezza. Una scultrice e una pittrice che stanno l'una all'altra come una tridimensione introspettiva a una bidimensione organica". Tratto dal testo di Anna De Pietri. Testo in catalogo a cura di Anna De Pietri, giornalista e scrittrice. (Comunicato di presentazione)




Dipinto in acrilico su tela di cm 20x20 denominatao Pixel realizzato da Giovanna Fra nel 2023 Giovanna Fra
"Antipodi"


02 marzo (inaugurazione ore 18) - 31 marzo 2024
Chiesa di Santa Maria Gualtieri - Pavia

Trenta opere dalle cromie cangianti, caratterizzate dalla contaminazione di tecniche e da una fervida sperimentazione. Il titolo Antipodi, scelto dall'artista, fa proprio riferimento alla tecnica delle sue creazioni esposte in mostra, realizzate prevalentemente tra il 2023 e il 2024, che fondono pittura e arte digitale, due linguaggi apparentemente molto lontani fra loro. Icone, sezioni di dipinti, frammenti di immagini vengono manipolati, ingranditi, sezionati, rielaborati e gli viene data una nuova vita. Accanto al passato e alla memoria si manifesta un presente intenso e pittorico che esprime un carico di emozioni completamente nuove e di forte impatto. La pittura informale, ricca di segni, di gesti veloci e istintivi, di elementi astratti si unisce alle trame del supporto digitale creando un perfetto connubio dettato dalla contaminazione di tecniche.

Commenta la curatrice Susanna Zatti: "La pittrice non decide a tavolino, davanti al cavalletto o allo schermo del PC, dove e come si svilupperà il suo racconto, dove andrà a parare la sua immaginazione: conosce perfettamente gli strumenti del suo lavoro, quelli tradizionali e quelli che la tecnologia le ha messo di recente a disposizione, sa utilizzare il lessico, la grammatica e la sintassi per controllare e insieme rendere più esplicito il suo linguaggio, per non farlo confondere e inquinare, ma lascia che l'emozione irrompa e le guidi la mano, si distenda sul supporto senza tracimare, restando anche lei in attesa trepida del compiersi della composizione".

Le serie in mostra Pixel (2023/2024), Dream (2024), Texture (2023/2024) e Hashtag (2020/2023) rivelano la profonda armonia tra pittura e fotografia, tra mondo reale e virtuale, tra dimensioni che stanno agli antipodi, ma cui Giovanna Fra offre la possibilità di viaggiare insieme. Luca Beatrice nel suo testo critico parla proprio di questa relazione e afferma: "Il suo lavoro è la dimostrazione di quanto la pittura abbia tratto beneficio dalla tecnologia, la prova che questi universi non sono affatto in contrasto e hanno deciso di parlarsi per indagare realtà parallele e misteriose".

Un dialogo su più livelli che si lega anche alla sede espositiva, un luogo dall'aspetto semplice ed essenziale in cui le opere di Giovanna Fra si inseriscono perfettamente e un ambiente adatto ad accogliere le sonorità, così come le opere dell'artista da sempre connesse alla musica e in particolare a quella di Satie, Cage e Bowie. Accanto alle opere un video proiettato in loop dal titolo "Timelapse" presenta, attraverso una serie di immagini che scorrono velocemente, l'evoluzione del lavoro dell'artista degli ultimi anni. Accompagna la mostra una pubblicazione d'arte in cui sono presenti i testi di della curatrice Susanna Zatti e del critico d'arte Luca Beatrice, accanto ad una ricca selezione di immagini.

Giovanna Fra (Pavia) si diploma in pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera con una tesi su Jhon Cage e sul rapporto tra arte e musica nel '900, nel contempo studia restauro conservativo tra Milano e Venezia. Espone per la prima volta nel 1991 presso lo storico Bar Jamaica di Brera a Milano. La sua visione creativa ha privilegiato la fisicità dinamica del colore in relazione alle diverse consistenze della materia, fissando nell'immediatezza del gesto attimi di sospensione e rarefazione. Con Ipergrafie (2014) e successivamente Texture (2016) ha origine una nuova sperimentazione tecnica. Fotografia digitale e pittura si evolvono in un nuovo percorso. Espone in numerose sedi pubbliche e private con mostre personali e collettive. (Estratto da comunicato ufficio stampa IBC Irma Bianchi Communication)

Immagine:
Giovanna Fra, Pixel, 2023, acrilico su tela cm. 20x20




Opera a tecnica mista su tavola di cm 100x80 denominato Realm of Unreal realizzato da Tommaso Buldini nel 2024 Opera in acrilico su tela di cm 100x120 denominata Kantaryocán Tommaso Buldini + Margherita Paoletti
"I Santi dell'anno 2064"


21 marzo (inaugurazione ore 18.00) - 30 giugno 2024
Cellar Contemporary - Trento
www.cellarcontemporary.com

Prosegue il ciclo di "mostre a due" che caratterizza la programmazione annuale di Cellar Contemporary. L'idea di invitare due artisti apparentemente molto diversi per stili e linguaggi espressivi nasce dalla volontà di creare dialoghi nuovi che portino ricchezza al lavoro di entrambi. "Se per Buldini il ciclo di lavori in mostra richiama una sorta di Eden (…), Paoletti rivela in questa occasione il suo lato più dark" scrive Camilla Nacci, curatrice della mostra, per raccontare l'approccio degli artisti a questo inedito accostamento.

La tematica scelta è il terreno comune su cui Paoletti e Buldini si confrontano, evocando uno scenario "futuro ma non troppo" in cui modelli ispirazionali e iconografie del passato si mischiano a stimoli visivi tratti dai bombardamenti mediatici del presente e dall'immaginario fantascientifico proveniente dalla subcultura popoplare. Con 'I santi dell'anno 2064', attraverso una trentina di opere tra tele, tavole e carte, gli artisti tracciano le linee di una possibile religione contemporanea, dove gli atti devozionali tradizionali vengono stravolti e rivolti a un nuovo Olimpo. Accompagna l'esposizione un catalogo con testo di Camilla Nacci.

Tommaso Buldini (Bologna, 1979) è attivo come animatore video e graphic designer dal 2005, lavorando per svariate aziende come Philips, Dolce Gabbana o Coop. Nel 2017 inizia un intenso percorso pittorico che lo porterà ad esporre da Parigi (Arts Factory, Drawing Now), a Miami (Art Miami), passando per New York, Basilea, Milano, Bruxelles e Rotterdam. Abbandonata la professione di designer, nell'arco di sette anni riesce a costruire importanti rapporti e progetti che vanno oltre la tela, applicando il suo stile a diverse discipline tra cui l'animazione pittorica. Realizza scenografie animate per la compagnia teatrale di Silvia Malagugini, già collaboratice di Dario Fò, nel 2020 vince il premio come realizzatore del miglior videoclip italiano con "Luna Araba", realizzato per il duo Colapesce Di Martino, con cui continua a collaborare.

Margherita Paoletti (Fabriano, 1990), trentina di adozione, è un'artista e illustratrice. Negli anni della formazione si trasferisce a Roma per studiare Illustrazione e Animazione presso l'Istituto Europeo di Design. In seguito segue corsi di arte e design presso la Central Saint Martins di Londra e il Btk di Berlino. Dopo gli anni di studio, Margherita intraprende il percorso delle residenze d'artista in Estonia e in Giappone. Nel 2017 ha lavorato a Londra come designer e illustratrice. Nel 2018 Margherita torna in Italia, dove si concentra sulla sua produzione artistica che la porta a collaborare con gallerie d'arte, enti, riviste e aziende, partecipando a mostre collettive e personali in Italia e all'estero.

Il lavoro di Margherita è stato selezionato in diversi concorsi di illustrazione internazionali come il 3x3 magazine, il World Illustration Award e The Society of Illustrators. L'immaginario di Margherita si concentra sulla tematica del corpo inteso come contenitore organico di vita, sogni, desideri, esperienza e memorie. Cercando di tradurre in termini figurativi una nuova mappatura del corpo, attraverso una fisionomia fatta di narrazione, metafore visive e natura. (Comunicato stampa)




Opera a matita, matita marrone, matita blu, inchiostro blu e collage su carta di centimetri 45x62 denominata Dall'Italia realizzata da Giulio Paolini nel 2024 in una foto di Luca Vianello Giulio Paolini
"Dall'Italia"


02 marzo (inaugurazione) - 20 aprile 2024
Galleria Alfonso Artiaco - Napoli
www.alfonsoartiaco.com

Per la sua sesta personale da Alfonso Artiaco (le precedenti risalgono agli anni 2005, 2009, 2014, 2018 e 2021), Giulio Paolini propone otto lavori, di cui sei realizzati per l'occasione, unitamente a diversi collage. Dichiara Paolini a proposito dell'esposizione: "Da qualche tempo ho preferenza per temi e occasioni espositive in Italia. La progressiva dilatazione delle frontiere culturali, certamente utile alla conoscenza reciproca delle diverse esperienze è però un limite all'autentica corrispondenza di un'opera con la propria storia. Qui allora echi e memorie di autori, lontani parenti di questa mia nuova (o antica) stagione. Un petit-tour in sei stanze: un mondo meno vasto ma più prezioso".

Nella prima sala l'opera Detto (non) fatto, 2010 presenta quindici teche ordinate in tre file che contengono ciascuna un frammento dello scritto dell'artista Detto (non) fatto. Ciascuna teca contiene inoltre uno o più frammenti lacerati di riproduzioni fotografiche di mari o cieli, disposti a evocare un panorama marino, con la linea d'orizzonte in corrispondenza dell'altezza dello sguardo: nella metà inferiore della teca i particolari sono desunti da immagini pittoriche di mari (anche il Golfo di Napoli), mentre in quella superiore di cieli (tersi in alto, più annuvolati in prossimità della linea d'orizzonte).

Nella seconda sala, l'opera su base Prova d'autore, 2021 presenta il calco in gesso di una mano che regge un cartiglio, posato su due libri con pagine bianche. Sulla doppia pagina del libro aperto la mano trattiene un'immagine a soggetto cosmico e il particolare di una riproduzione fotografica dominata da una mescolanza di colori. Il calco, che rinvia alla mano dell'autore, evoca un'opera in fieri, analogamente ai colori in libertà, ancora indistinti, e al titolo dell'opera che rimanda alla fase immediatamente precedente la definizione dell'immagine.

Nella terza sala si trova l'opera Firmamento, 2024, cuore fisico e simbolico del percorso espositivo. Nelle parole dell'artista: "La scultura in gesso di una figura maschile rappresenta l'autore nell'atto di apporre la 'sua' firma (sostituendo al proprio nome quelli di tutti i 'suoi' autori) sulla moltitudine di fogli trasparenti collocati su alcuni leggii in equilibrio precario. La macchia di inchiostro, grumo di scrittura, accanto alla mano del disegnatore si addensa sul foglio e corrisponde alla somma dei nomi degli artisti evocati e frequentati dall'autore nel corso della sua lunga attività".

La quarta sala è dedicata a una serie di collage dal titolo Stanza delle apparizioni, datati 2018 e 2024, accomunati da profili di cornici dorate, intese come lo spazio potenziale per eccellenza da cui scaturisce l'immagine: ognuno dei quattro collage presenta fantasie combinatorie, variazioni sul tema che mettono in scena la definizione di un'immagine.

La quinta sala ospita l'opera Teogonia, 1982-2024, composta da un portadisegni che accoglie una tela rovesciata, con alcuni frammenti cartacei a soggetto cosmico trattenuti nel telaio, illuminata da un riflettore posto a breve distanza. Con il termine "teogonia", che rimanda alla narrazione della nascita degli dei, Paolini intende evocare il mistero dell'origine del Tutto.

Nella sesta ed ultima sala l'opera Fuori scena, 2024 è costituita da un collage a parete che riprende un particolare della sala stessa, in modo da raddoppiare la profondità dell'ambiente in una sorta di prospettiva duplicata. Davanti alla parete, una base sorregge un antico mappamondo, che genera una contrapposizione tra la ripetizione fotografica dello spazio limitato dell'ambiente e la vastità senza confini rappresentata dal globo terrestre. (Estratto da comunicato di presentazione)

Immagine:
Giulio Paolini, Dall'Italia, 2024, matita, matita marrone, matita blu, inchiostro blu e collage su carta, cm 45x62, foto Luca Vianello




Opera a inchiostro e tea su carta di cm 77,5x111,7 denominata Tragedia e Trionfo realizzata da Umar Rashid nel 2019 Dipinto realizzato da Umar Rashid che ritrae Lady Carmen Stokely appena arrivata dal Perù per stipulare un trattato con Karlheinz Umar Rashid
"La Leggenda di Dolomiti"


21 marzo (inaugurazione ore 18.30) - 03 giugno 2024
Studio d'Arte Raffaelli (Palazzo Wolkenstein) - Trento
www.studioraffaelli.com

Umar Rashid, già in arte Frohawk Two Feathers, torna allo Studio d'Arte Raffaelli dopo aver partecipato nel 2019 alla collettiva "The Fate of Empires" con la nuova mostra personale. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, "Dolomiti" non è solo un luogo, ma anche il soprannome del personaggio principale della leggenda evocata dal titolo della mostra, una vera e propria saga immaginata dall'artista in omaggio al territorio che lo ospita. Il processo creativo di Umar Rashid si articola infatti intorno al concetto di narrativa site specific, attraverso una reimmaginazione della storia legata di volta in volta alla storia coloniale (reale o presunta) dei paesi in cui espone. La vera rivoluzione nel suo lavoro, oltre alla piacevole estetica formale della sua pittura, consiste nel portare l'attenzione sulla popolazione nera, restituendo dignità e importanza ai suoi personaggi, altrimenti dimenticati.

La mostra - accompagnata da un catalogo con testi di Grégory Pierrot e di Camilla Nacci - raccoglie diversi episodi dell'epopea di "Dolomiti", eroe nero delle Alpi in lotta contro l'imperialismo inglese e francese, in una vicenda immaginaria ambientata alla fine del Settecento. Attraverso più cicli di opere su carta e su tela, realizzati a partire dal 2019 fino alle opere inedite del 2024, si intrecciano storie d'amore, intrighi di corte, battaglie, vittorie e sconfitte che accostano sempre all'opera d'arte anche il racconto legato ai protagonisti rappresentati. Il valore del lavoro di Umar Rashid è stato ampiamente riconosciuto in Italia e all'estero, attraverso l'esposizione in importanti gallerie private e in istituzioni pubbliche come il MoMA PS1 di New York, che gli ha dedicato una ricca mostra personale, o lo Zeitz MOCAA di Cape Town in Sudafrica, che annovera alcune sue opere in collezione permanente.

Umar Rashid (Chicago - Illinois, 1976) si laurea in cinema e fotografia alla Southern Illinois University, Carbondale (IL) nel 2000. Nel 2003 si trasferisce a Los Angeles (CA), dove tuttora vive e lavora. Viene considerato un artista di fama internazionale, grazie alle numerose mostre tenutesi in tutto il mondo: dal MoMA di New York al Zeitz Museum of Contemporary Art Africa di Città del Capo, da Parigi allo Studio d'Arte Raffaelli a Trento. Espone in celebri gallerie sia pubbliche che private di tutto il mondo.

Figlio di un drammaturgo e cresciuto nel mondo del teatro, sviluppa una passione verso la scrittura che lo condurrà a stendere e rappresentare la storia dell'Impero Franco-inglese tra il 1658 e il 1880, incuriosito dalla blanda alleanza stretta dalle due nazioni, inizialmente antagoniste, che le aveva portate a diventare un gargantuesco impero coloniale. Umar Rashid, nel sviluppare la sua opera, usa un parallelismo costante tra la storia dell'impero e la vita della sua gente. Rievocando aspetti taciuti delle testimonianze colonialiste e tradizionaliste, dalla quotidianità delle persone di colore, ai fenomeni di emarginazione alla mescolanza di razza, genere e classe.

Sviluppando punti di vista alternativi in questa rappresentazione, l'artista fa riferimento alla grande narrativa e alla cosmologia degli imperi, con un focus sulla religione e sulla spiritualità, ricollegandosi dal pop e hip hop della sua giovinezza, alla cultura delle gang e dei prigionieri, e ai movimenti rivoluzionari nella storia. Questo fil rouge viene messo in evidenza grazie ad un "Sistema Imperiale di tatuaggi", che l'artista usa per classificare, definire e differenziare i personaggi nelle varie storie. Ogni esposizione e, di conseguenza, ogni storia costruita dall'artista è legata al luogo dove la mostra viene ospitata. Infatti, la realizzazione viene preceduta da uno studio approfondito della storia coloniale locale. Questo permette a Umar Rashid di sviluppare storie alternative intrise di significato e messaggi legati al luogo ospitante, che vengono resi più espliciti grazie ai numerosi dettagli, che a volte, possono dare una connotazione umoristica o ironica all'opera. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Umar Rashid, Tragedia e Trionfo, 2019, inchiostro e tea su carta cm. 77.5x111.7
2. Umar Rashid, Lady Carmen Stokely




Locandina della mostra Migrazioni Culturali di Sam Havadtoy Sam Havadtoy
HOMAGE. Cultural Migrations / Migrazioni Culturali


07 marzo (inaugurazione) - 09 aprile 2024
Fondazione Mudima - Milano
www.mudima.net

Nel mondo delle arti le migrazioni culturali sono un argomento ricorrente, e al tempo stesso sempre contemporaneo, che ha che fare con la complessità e la nascita di contaminazioni profonde e grandi cambiamenti. La Fondazione Mudima apre una riflessione su questo tema ospitando la terza mostra personale dell'artista di origine ungherese Sam Havadtoy allestita nello spazio milanese. L'esposizione, a cura di Gino Di Maggio, presenta 27 opere recenti di uno degli artisti più interessanti e originali della scena internazionale. Solo nello scorso anno gli hanno dedicato importanti rassegne ben sei musei, tra i quali il Museo nazionale ungherese.

Sam Havadtoy (Londra, 1952), di famiglia ungherese, rientrò in Ungheria nel 1956 e non gli fu più concesso di ritornare in Inghilterra. Nel 1971 emigrò illegalmente in Inghilterra attraverso la Jugoslavia e un anno dopo si stabilì negli Stati Uniti. dove nel 1978 fondò la Sam Havadtoy Gallery and Interior Design Studio e divenne amico intimo di Yoko Ono, John Lennon, David Bowie, Andy Warhol, Keith Haring, George Condo, Donald Baechler e numerosi altri artisti.

Winged Altarpiece, la più monumentale scultura in bronzo di Keith Haring, fu realizzata in edizione limitata con l'aiuto di Havadtoy, che qualche anno dopo ne fece dono al Ludwig Museum di Budapest. Nel 1992 Havadtoy aprì la Galéria 56 a Budapest, dove espose lavori di artisti quali Keith Haring, Andy Warhol, Agnes Martin, Cindy Sherman, Kiki Smith, Robert Mapplethorpe, Ross Bleckner, Donald Sultan, Donald Baechler, oltre che del grande artista ungherese László Moholy-Nagy (www.galeria56.hu). Dal 2000 è tornato a vivere in Europa: a Budapest e Szentendre, in Ungheria, e a Milano.

Una biografia frastagliata, dunque, contribuisce allo sguardo che Havadtoy dedica al tema delle migrazioni e che questa sua mostra personale approfondisce attraverso la selezione di un gruppo di undici artisti del secolo scorso, tutti migranti, tutti diventati assai famosi: Mark Rothko, Andy Warhol, Alexej von Jawlensky, Max Ernst, Victor Vasarely, Piet Mondrian, Marc Chagall, László Moholy-Nagy, Max Beckmann, Pablo Picasso, Tamara de Lempicka.

Per ciascuno di questi artisti Havadtoy sceglie un loro quadro e ne ricrea due copie fedeli, ma alla propria maniera, con il suo stile inconfondibile: infiniti punti che non permettono di pensare a un punto finale. Delle due opere realizzate una si può vedere interamente, mentre davanti alla seconda Havadtoy colloca una quinta scorrevole, che i visitatori possono spostare, decidere di aprire o no, vedere o non vedere. "La cosa interessante - sottolinea l'artista - è che, se tu chiudi, pensi che il problema non ci sia più, che scompaia, quindi siamo noi a voler guardare in faccia la realtà, oppure far finta che non esista o, peggio, decidiamo di ignorarla".

Le opere di Havadtoy presentano un'altra cifra espressiva molto particolare che risiede nell'utilizzo, abbastanza insolito nell'arte contemporanea, del pizzo con cui alcuni popoli dell'Est coprono le salme prima di chiudere la bara, un modo gentile per affrontare un momento difficile in modo che, anche qui, si possa vedere o non vedere, intravedere. Nella sua pratica artistica Havadtoy incolla frammenti di pizzo sulle sue tele; quindi, strato dopo strato li ricopre di colore, in modo che il gioco di vuoto e pieno che si crea, diventi l'elemento strut- turale dell'immagine che ne risulta. Svelare e nascondere al contempo, Havadtoy è maestro indiscusso di simmetrie narrative come il parallelismo, il capovolgimento, l'equivoco.

I suoi lavori si manifestano quindi come un processo di occultamento - che ricorda la formula di Paul Klee di "rendere visibile l'invisibile" e quello che ne consegue è una composizione stratificata, delimitata che ricorda i palinsesti, ovvero quei manoscritti di papiro o pergamena, di epoca antica o medievale, dove il testo originario veniva lavato per fare spazio a un altro scritto.

Nella mostra Migrazioni culturali ad essere limitato è lo spazio della visione reso tale dall'utilizzo di cortine che innescano un'operazione concettuale che apparentemente evidenzia, ma in effetti cancella, perché esclude dallo sguardo l'insieme del dipinto. Le cortine-sipario infatti lasciano l'opera non solo senza un centro e senza unicità dello sguardo, ma paradossalmente ne mostrano la mancanza attraverso una poetica del frammento che non chiede nemmeno una ricomposizione. Sono quinte che mascherano e velano, e così le immagini si tagliano, si frammentano, si mischiano, insomma sono mobili e migranti, non hanno più un valore assoluto, ma relativo.

Dell'artista prescelto rimangono il ricordo depositato nella memoria dell'autore e il titolo dell'opera originaria, che è anche il titolo del lavoro realizzato da Havadtoy. Quest'ultimo, in un libro che accompagna la mostra, si fa anche voce narrante, raccontando gli undici lavori di partenza, il loro nomadismo fisico e culturale, e accennando alla biografia degli undici prescelti, ai quali affida anche un ruolo in una straordinaria - e immaginaria - squadra di calcio dell'arte del XX secolo: Chagall portiere, Rothko ala sinistra, Ernst mezzala destra… Le opere di Sam Havadtoy non contengono solo un omaggio personale agli artisti scelti, e sicuramente da lui molto amati, ma anche una riflessione più articolata sul linguaggio pittorico, sul suo nomadismo e sulle conseguenze di una contaminazione, oggi universale, che chiama in causa tutto il nostro comune sentire sull'arte.

Afferma a tale proposito Gino Di Maggio, fondatore e presidente della Fondazione Mudima: "Molti degli artisti scelti Havadtoy (tutti in realtà, tranne Warhol) fanno parte dell'epoca delle grandi narrazioni. Sono artisti delle avanguardie storiche, oppure, come Mark Rothko, facevano parte della grande epopea spiritualista, idealista, soggettivista dell'espressionismo astratto. Le cortine-sipario di Sam Havadtoy mascherano e velano questa epopea epica in cui si credeva che l'arte potesse cambiare il mondo, avesse cioè un fine utilitaristico e utopistico. Oggi che tutto questo è in grande misura tramontato, all'arte spetta forse il compito di dare senso al mondo, che è - almeno così a me appare - quello che sembra avvenire con le opere proposte dal nostro autore".

Alla squadra eccezionale che Havadtoy ha immaginato si riferisce Gulyás Gábor, critico d'arte e già direttore del Ferenczy Museum Center: "Sam Havadtoy ha scelto undici artisti e ha reso loro omaggio creando una nuova opera d'arte che si riferisce essenzialmente alle loro performance. La formazione è composta da undici membri, e questo mi ha fatto pensare a qualcosa che forse non è venuta in mente all'artista, ma sono sicuro che condividerete con me che è come una squadra di calcio. Per me, una squadra mondiale di artisti". (Comunicato stampa)




Opere di Nuria Maria in mostra Nuria Maria
"Tule tänne (Come here)"


27 febbraio (inaugurazione) - 30 marzo 2024
Cadogan Gallery - Milano
www.cadogangallery.com

Sole basso, luce d'inverno, sere d'estate, erba alta sulle colline, foglie sugli alberi, mattine di sole, brividi d'inverno, grandi piogge, temporali estivi. In esposizione un corpus di oltre 20 opere realizzate nell'ultimo anno, dipinti dal sapore impressionista che evocano emozioni, atmosfere, musiche e paesaggi interiori. L'artista, che inizialmente produceva dipinti figurativi, nel tempo si è spostata a una figurazione sempre più astratta nel costante tentativo di catturare un momento specifico, un giorno, un ricordo, un certo tipo di luce.

Il titolo della mostra, Tule tänne, significa vieni qui in finlandese e fa riferimento al ricordo e all'impressione dei paesaggi in cui l'artista ha vissuto, tra l'Olanda e le colline del Galles dove ha trascorso l'ultima parte del 2023, ma anche di paesaggi misteriosi che lei stessa deve ancora scoprire. Considerata una sorta di moderna impressionista, Nuria Maria non dipinge en plein air, ma lavora alla ricostruzione di una specifica sensazione: Posso lavorare con i colori come punto di partenza, o con un certo ritmo di forme - spiega l'artista - ma e` la sensazione che provo per quel momento e quel sentimento che voglio riflettere che e` sempre più importante rispetto allo stato puramente visibile del dipinto.

Nata in una famiglia di artisti di cui lei rappresenta la quinta generazione, Nuria Maria ha sempre vissuto immersa nell'arte. Inizia un percorso accademico nei Paesi Bassi, studiando dapprima Cultural Studies all'Università di Amsterdam e poi psicologia a Tilburg, ma, dopo una serie di viaggi in Italia, capisce la sua vocazione per l'arte, e si iscrive e si diploma, nel 2014, all'accademia di Maastricht. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Dipinto a olio su tela di cm 180x150x35 denominato Atlantide 0 realizzato da Debora Romei nel 2023 in una foto di Carlo Vannini Dipinto in acrilico e olio su lino di cm 65x65x35 denominato Atlantide 7 realizzato da Debora Romei nel 2022 in una foto di Carlo Vannini Debora Romei
"Atlantide"


16 marzo (inaugurazione) - 24 aprile 2024
Officina Leo van Moric - Parma
www.leovanmoric.com | www.deboraromei.com

La mostra curata da Leonardo Regano segna il ritorno sulla scena dell'artista emiliana, dopo un periodo di intensa ricerca. Un percorso pittorico rinnovato che, guardando all'astrattismo americano e distanziandosi dal figurativismo dominante nella pittura italiana contemporanea, intende studiare i legami profondi su cui si basano le relazioni umane. Il titolo della mostra - Atlantide - rende omaggio al mondo scomparso, alla continua ricerca di un luogo immaginario e mitico, punto di arrivo (o di partenza) per un viaggio alla scoperta del senso ultimo delle cose che ci circondano.

Il percorso espositivo comprende una ventina di opere inedite, tutte realizzate dal 2020 al 2024, che tracciano un'ampia e significativa visione della recente ricerca dell'artista e, in particolare, dell'ultimo anno di lavoro. Accanto ai dipinti di grandi dimensioni ad olio o acrilico su tela, sono presentati alcuni lavori più piccoli su lino e cotone. L'esposizione, accompagnata da un catalogo edito da Grafiche STEP, è visitabile gratuitamente su appuntamento. Nel corso della mostra saranno organizzati alcuni eventi collaterali.

«La ricerca di Debora Romei - spiega Leonardo Regano - è legata al medium pittorico, che l'artista studia e analizza nelle sue espressività e potenzialità formali. La mostra presso l'Officina Leo van Moric si pone come un nuovo inizio per Romei, che qui presenta un percorso pittorico rinnovato e aggiornato verso una sensibilità riformata per la materia e una pratica originale. L'incipit di questo percorso di innovazione è dato dal grande trittico AFÌEMI, che troviamo al centro dell'ex officina, un'opera di estremo impatto visivo ed emotivo, in cui l'artista convoglia la propria biografia ed emotività in una pittura materica, caratterizzata dal contrasto tra il bianco e il nero e articolata in segni dalle sembianze biomorfiche».

Debora Romei (Castelnovo ne' Monti, 1970) a Bologna si diploma in Decorazione presso l'Accademia di Belle Arti. Nella sua opera presenta uno stile di pittura originale che lega la sua biografia alla ricerca sul segno, con chiare ascendenze astrattiste e biomorfiche. Nel 2004 collabora con Sol Lewitt per la realizzazione di Whirls and Twirls 1, progetto a cura di Claudio Parmiggiani per la Sala di Lettura della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Nello stesso anno, tiene la sua prima personale presso la galleria The Flat - Massimo Carasi di Milano, cui seguono Sognai la mia genesi, a cura di Marinella Paderni (Officina delle Arti, Reggio Emilia, 2005, mostra promossa dai Musei Civici di Reggio Emilia), Il terzo occhio, a cura di Pasquale Carpio (Galleria Studio 34, Salerno, 2007) e Camera doppia, a cura di Virginia Glorioso (Galleria XXS, Palermo, 2017).

Officina Leo van Moric, fondata nel 2020 a Parma da Virginio Mori, è un laboratorio creativo focalizzato sull'arte contemporanea, che si propone di sviluppare l'idea di un'arte che torni ad essere di tutti, attraverso la promozione di artisti emergenti e sperimentali e la valorizzazione di diverse forme espressive, con iniziative rivolte ad un ampio ventaglio di cittadini. (Comunicato ufficio stampa CSArt - Comunicazione per l'Arte)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Debora Romei, Atlantide 0, 2023, olio su tela cm 180x150x35, Ph. Carlo Vannini
2. Debora Romei, Atlantide 7, 2022, acrilico e olio su lino cm 65x65x35, Ph.Carlo Vannini




Giacomo Matteotti Giacomo Matteotti (1885-1924)
Storia di un uomo libero


05 aprile - 07 luglio 2024
Palazzo Roncale - Rovigo

Dell'uomo politico polesano la mostra rievocherà l'attività di pubblico amministratore in diverse realtà del territorio rodigino, l'impegno nell'attività sindacale nelle leghe e cooperative e quello parlamentare, irriducibile oppositore del fascismo e infine segretario del Partito Socialista Unitario. Così come sarà ricordato, anche con la emersione di documenti, mai prima esposti, patrimonio dell'Archivio d Stato di Rovigo, il suo assassinio e infine il suo funerale. Ma, in parallelo, ad essere approfondito in mostra sarà anche il Matteotti privato, le sue letture, la passione personale e familiare per la musica, il fondamentale rapporto con la moglie Velia e la famiglia.

"Pochi uomini politici hanno saputo ispirare - sottolinea il curatore della mostra, professor Caretti - intere generazioni e suscitare echi così profondi e duraturi, anche all'estero, come Matteotti, ma pochi sono stati al tempo stesso glorificati e meno conosciuti. (...)". La mostra vuole sottrarre la figura di Giacomo Matteotti a una astratta rappresentazione del martire e restituire la corposità della sua presenza reale nei luoghi, nelle umane relazioni, nelle scelte ideali e culturali, che lo videro operare dalla sua appartata periferia polesana per giungere alle esperienze ai vertici della politica nazionale.

La mostra si sviluppa come una sorta di racconto per immagini e documenti, sovente di rara reperibilità, che riescono, con la loro pregnante immediatezza visiva, a ricostruire il senso complessivo di una vita non racchiudibile nella pur nobile fissità del martirologio, ma che anzi in tal modo spiega quel percorso di rigoroso impegno civile e di dovere etico capace di giungere al sacrificio estremo. La sua rappresentazione di organizzatore di leghe e cooperative, amministratore locale, deputato in Parlamento nella irriducibile opposizione al fascismo, e infine segretario del Partito socialista unitario, restituisce una nuova e concreta immagine di Giacomo Matteotti.

Mostra promossa dal Comitato Provinciale per le Celebrazioni del Centenario della morte di Giacomo Matteotti e dalla Regione del Veneto, con il sostegno della Fondazione Cariparo, e la collaborazione dell'Archivio di Stato di Rovigo, della Direzione Musei regionali Veneto del Ministero della Cultura e il patrocinio del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della morte di Giacomo Matteotti, della Fondazione di studi storici "Filippo Turati" di Firenze e della Fondazione Giacomo Matteotti di Roma. Alla mostra rodigina ha assicurato la sua collaborazione anche il Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso (Ministero della Cultura), che metterà a disposizione un corpus di manifesti che documentano quanto la vicenda Matteotti abbia influito nell'Italia del tempo. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)




Opera in puntasecca su vetro sintetico di mm 300x420 denominata Cancelleria Daniela Savini nel 2023 Daniela Savini
"L'Archivio Inciso"


15 marzo (inaugurazione) - 30 giugno 2024
Sala della Biblioteca dell'Archivio di Stato di Modena
www.savinidaniela.it

Esposizione di incisioni dell'artista Daniela Savini dedicata al patrimonio archivistico presente nei depositi, curata da Gilberto Zacchè. La mostra - con il patrocinio dell'ALI (Associazione Liberi Incisori) e il contributo dell'ANAI Sezione Emilia-Romagna - è stata voluta dalla direttrice Lorenza Iannacci per richiamare e dare nuova luce al patrimonio documentario che ospita nei depositi. Un viaggio attraverso le incisioni che conduce l'osservatore a conoscere i depositi ottocenteschi di un Archivio, quello di Modena, tra i più grandi e prestigiosi d'Italia.

L'esposizione comprende incisioni realizzate in passato per l'Archivio di Stato di Mantova e inediti, di recente realizzazione, sui depositi modenesi. Sarà disponibile un catalogo a tiratura limitata di 500 copie, realizzato a cura dell'ALI Associazione Liberi Incisori, che riporta l'intero progetto L'archivio Inciso, sia testi che incisioni. Catalogo edito dalla Tipografia Irnerio di Bologna, tiratura di 500 copie su carta patinata 150 gr., con testi del Direttore dell'Archivio di Stato di Modena Lorenza Iannacci, Gilberto Zacchè, Marzio Dall'Acqua, Renata Casarin, Luisa Onesta Tamassia, Direttore dell'Archivio di Stato di Mantova e Guido Signorini.

Renata Casarin scrive: "Ogni artista lavora sull'immensa memoria della storia dell'arte, non c'è opera che non scaturisca dal deposito infinito dei segni tracciati, colorati, incisi dai nostri antenati che hanno sentito milioni e milioni di anni fa il bisogno di lasciare traccia del loro passaggio, del loro esserci, del loro modo di abitare la terra. Il lavoro sottile, delicato e forte insieme che Daniela Savini ci consegna mediante le sue tavole su carta Fabriano e sono frutto di un laborioso processo di distillazione di immagini fotografiche scattate in un sito che è stato ed è luogo di studio, di formazione, di creazione artistica.

L'Archivio di Stato di Mantova prima e ora l'Archivio di Stato di Modena sono i terreni privilegiati per dar forma di foglio in foglio alla reificazione dell'Archivio non solo come ufficio amministrativo statale quanto come edificio che esibisce, con la sua articolata membrana di scale, di accessi, di scaffali, di meandri la struttura portante dei fondi con le migliaia di carte sparse, di faldoni, di atti che svelano a chi sa leggerli i documenti della storia di una città, di un contado, di una provincia, di una famiglia. Assistiamo a un duplice movimento allorché le carte, con i loro recto e verso, vergate in calligrafie antiche e più recenti, quasi per omologia traspongono il loro dicibile sul piano del foglio inchiostrato e prima ancora sulla lastra di plexiglas solcata dalla punta d'acciaio con cui Daniela Savini scrive e riscrive l'alfabeto della redazione per immagine dell'Archivio."

Immagine:
Daniela Savini, Cancelleria, 2023, puntasecca su vetro sintetico mm 300x420

Locandina della mostra




Ebrei nel Novecento italiano
29 marzo - 06 ottobre 2024
Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah - Ferrara
www.meis.museum

Un nuovo capitolo a un programma espositivo pluriennale, che ricostruisce la bimillenaria storia dell'ebraismo in Italia. L'esposizione, a cura dello storico Mario Toscano e dell'editore e divulgatore scientifico Vittorio Bo, con l'allestimento a cura dell'architetto Antonio Ravalli, offre un racconto dettagliato del XX secolo attraverso la storia, l'arte e la vita quotidiana degli ebrei italiani. Il progetto illustra il complesso percorso prima di acquisizione della cittadinanza, poi di perdita e infine di riacquisizione dei diritti, da parte di una minoranza che si è riconosciuta e integrata nella vita italiana, mantenendo salda la propria identità culturale e religiosa e offrendo un contributo di rilievo alla costruzione dello Stato e allo sviluppo della società nazionale.

«Affrontare la complessa storia dell'ebraismo italiano nel XX secolo attraverso una mostra ha richiesto un tentativo di sintesi non indifferente e allo stesso tempo una accurata attenzione alla ricchezza e alla drammaticità di molti momenti cruciali per la storia d'Italia». - Raccontano i curatori dell'esposizione Vittorio Bo e Mario Toscano - «La funzionalità dei mezzi utilizzati (fotografie, opere d'arte, filmati, oggetti e altro) è stata di aiuto per rendere percorribile l'esposizione a più livelli, attraverso forme di linguaggio destinate ad ogni tipologia di pubblico». (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Opera in tecnica mista su tela denominata Arrivi e partenze di cm100x94 realizzata da Giovanni Cerri nel 2023 Opera in tecnica mista su tela denominata di cm 150x250 denominata Il viaggio realizzata da Giovanni Cerri nel 2023 Giovanni Cerri
"L'Italia che partiva. Via mare verso l'America"


14 marzo - 14 aprile 2024
Galata Museo del Mare - Genova
www.galatamuseodelmare.it

Un'esperienza espositiva che promette di toccare le corde dell'anima e della memoria collettiva, un commovente omaggio in bianco e nero a tutti gli italiani che tra la fine dell'Ottocento e le prime decadi del Novecento emigrarono verso il continente americano. Curata dalla storica dell'arte Barbara Vincenzi, sostenuta dal Museo Italo Americano of San Francisco, l'esposizione traccia le storie di uomini e donne di qualsiasi età che, spinti dalla speranza di una vita migliore, tra la fine del XIX° e l'inizio del XX° secolo intrapresero viaggi transoceanici estenuanti verso l'America, partendo dai quattro porti d'imbarco autorizzati di Genova, Napoli, Palermo e Messina.

Gente povera, umile, come braccianti, operai, badanti, facchini, lustrascarpe, venditori ambulanti, che si imbarcarono ben consapevoli che molti di loro non sarebbero mai più tornati in patria. Viaggi per mare su navi a vela o piroscafi che duravano dalle tre alle cinque settimane, resi ancora più faticosi dal sovraffollamento e dalle condizioni igienico-sanitarie dei locali dove gli emigranti trascorrevano l'intera traversata; luoghi che favorivano la rapida diffusione di malattie, dove respirare era quasi impossibile con l'aria piena del fumo e dei vapori delle macchine, e i letti erano formati da sacchi di paglia increspati e maleodoranti sistemati in anguste cuccette di legno, mettendo a dura prova le condizioni fisiche di passeggeri che, in molti casi, erano scarse già prima della partenza.

Scrive Matteo Collura nel suo testo in catalogo: "così come quando lessi Sull'oceano di Edmondo De Amicis, nella mia immaginazione prese forma la crudele epopea dell'emigrazione, nell'osservare in anteprima queste opere, ecco le immagini coincidere con l'idea visiva che, suggestionato da quella lettura, avevo messo a punto a proposito dell'esodo in mare dei nostri emigranti. Questo perché - e dico una cosa ovvia per chi ha pratica di letteratura - la pagina scritta è quella che più si avvicina all'arte pittorica."

Attraverso una selezione di venti opere evocative, tutte datate 2023, realizzate in tecnica mista su tela o tavola e delle quali due rappresentative delle città di Genova (il porto) e San Francisco (il Golden Gate), Giovanni Cerri esplora la memoria collettiva di un'epoca caratterizzata da profonde trasformazioni sociali e culturali. L'intera narrazione visiva volutamente in bianco e nero, come se fosse essa stessa documento storico, è un invito a riflettere sul passato migratorio italiano e nasce da un attento lavoro sulla memoria e sul ricordo di quello che sono stati i nostri antenati che, a cavallo tra i due secoli, affrontarono il mare per cercare fortuna in un altro continente, con tradizioni, abitudini e leggi differenti.

Una mostra la cui genesi è iniziata dal recupero "in rete" di immagini, documenti, fotografie e cartoline capaci di condensare il senso di storie tanto intense quanto drammatiche: la ressa sui moli, le visite mediche prima dell'imbarco, la salita sulle navi con valigie enormi e pesanti caricate a fatica sulle spalle, i saluti struggenti, gli addii, i volti di bambini e adulti, il gesto del primo avvistamento del suolo americano, il grido "L'America!" e il saluto alla Statua della Libertà, il mettersi in fila per le ispezioni, l'attesa dello sbarco verso un mondo sconosciuto.

Immagini capaci di restituire una prospettiva intima sui sacrifici e le speranze dei nostri antenati, che svolgeranno un ruolo chiave negli Stati Uniti nella costruzione di infrastrutture come grattacieli, ponti e ferrovie, così come nel settore agricolo. Uomini e donne che contribuirono a plasmare il mondo che conosciamo e in cui oggi viviamo. Dei dipinti presenti al Galata Museo del Mare uno solo, intitolato "Il viaggio", è a colori. Un quadro di grandi dimensioni (150x250) "quasi astratto e privo di narrazione diventa una sorta di porta virtuale e l'inizio di un viaggio interiore, lo stesso percorso che ha affrontato l'artista intraprendendo questa avventura, lo stesso, in un arco temporale differente, che intraprenderanno i visitatori", come sottolinea la curatrice Barbara Vincenzi nel suo testo in catalogo.

Esposto senza telaio come fosse una vela di una nave, attraverso macchie di colore, colature e linee casuali, simboleggia l'incertezza e il non definito di determinate avventure della vita, lasciando al visitatore la più completa libertà di riflessione sul significato del viaggio e dell'importanza di tutte quelle storie individuali e collettive che allora contribuirono a comporre il tessuto della nostra identità nazionale.

La mostra rende infine omaggio anche a tre figure emblematiche legate all'emigrazione italiana: Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (Nick and Bart), i due attivisti e anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti (il primo operaio in una fabbrica di scarpe, il secondo venditore ambulante di pesce) che nel 1927 furono condannati alla sedia elettrica per l'omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio "Slater and Morrill" di South Braintree nello Stato del Massachusetts, per poi cinquant'anni dopo venire assolti dal Governatore Michael Dukakis; George Moscone, il sindaco di San Francisco di origini liguri progressista e difensore dei diritti civili ucciso nel 1978 insieme all'attivista Harvey Milk, da un ex consigliere comunale.

La mostra è stata resa possibile grazie alla collaborazione con il Museo Italo Americano of San Francisco e al sostegno di Valla Morrison & Schachne Inc. PC, Mediafilm, Officine Mara, ARAG e Axa e Gec &co intermediazioni assicurative. Durante la mostra verrà mostrato il video che il regista Mauro Conciatori ha girato nello studio di Giovanni Cerri sul progetto della mostra al Galata Museo del Mare.

Giovanni Cerri (Milano, 1969) ha iniziato a esporre nel 1987 e da allora ha tenuto mostre in Italia e all'estero, esponendo in importanti città come Berlino, Francoforte sul Meno, Colonia, Stoccarda, Copenaghen, Parigi, Rabat, San Francisco, Varsavia, Toronto. Nel 2011, invitato dal curatore Vittorio Sgarbi, espone al Padiglione Italia Regione Lombardia alla 54° Edizione della Biennale di Venezia. Nel 2015 la mostra "Milano ieri e oggi" viene esposta all'Unione del Commercio a Palazzo Bovara a Milano, alla Cortina Arte a Milano, alla Galleria Palmieri di Busto Arsizio e all'Istituto Italiano di Cultura di Varsavia. Nel 2019, nell'ambito del quinto centenario leonardesco, espone alla Frankfurter Westend Galerie di Francoforte sul Meno la mostra "Memoria e Futuro / Erinnerung und Zukunft. A Milano nell'anno di Leonardo" a cura di Andrea B. Del Guercio.

Nel 2021 espone con una personale al Museo Italo Americano di San Francisco la mostra "2020: Milan in the hour of the wolf" pensata e realizzata durante la pandemia. Nel 2023, con l'artista Luo Qi, espone al Ningbo Art Museum in Cina. Sue opere figurano in collezioni pubbliche e private italiane ed estere, tra cui citiamo: Museo della Permanente (Milano), Galleria d'Arte Sacra dei Contemporanei, Museo di Villa Clerici (Milano), Museo Civico "Floriano Bodini", Gemonio (VA), Museo Italo-Americano di San Francisco (U.S.A.), Ningbo Art Museum (Cina). Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro "Ultima frontiera" per la Casa Editrice Le Lettere (Firenze), collana Atelier curata da Stefano Crespi. (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press, Milano)

Immagini:
1. Giovanni Cerri, Arrivi e partenze, 2023, tecnica mista su tela cm. 100x94
2. Giovanni Cerri, Il viaggio, 2023, tecnica mista su tela cm. 150x250

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Ultima frontiera
Diario, incontri, testimonianze

di Giovanni Cerri, Casa editrice Le Lettere, Collana "Atelier" a cura di Stefano Crespi, Firenze 2020
Presentazione

Atlante americano
di Giuseppe Antonio Borgese, ed. Vallecchi
Recensione




Incisioni di Ermes Bajoni e Roberta Zamboni, opere pubblicate nella locandina della mostra Ermes Bajoni e Roberta Zamboni
"Insieme"


24 febbraio (inaugurazione) - 11 aprile 2024
Museo degli Artisti Polesani - Lendinara (Rovigo)
Locandina della mostra

___ Nota critica di Guido Signorini - curatore della mostra

Roberta ed Ermes insieme. Nel ricordo, ma soprattutto nel cammino che i due artisti hanno percorso in un tempo che per loro non è mai stato avaro, ma ricco di scoperte e di interessi reciproci. Allieva e maestro sono due figure simboliche nel mondo dell'arte, un mondo che potremmo paragonare ad un paradiso offuscato dalle ombre dell'inferno o pregno di un dialogo infinito e irresolubile, o altro ancora che il nostro limite ci porta ad ignorare. Ventidue incisioni più una che ci permettono di cancellare ogni retorica, di abbandonare ogni tristezza per immergersi nelle immagini graffianti di questi due protagonisti dell'incisione contemporanea.

Lasciamole parlare queste opere, lasciamo che vengano a noi, sfiorandole appena come fossero fragili pagine di pergamena, visioni che si aggrappano alla nostra percezione. Ogni singola opera è viatico di una appartenenza che non può sfuggire alla nostra riconoscibilità, perché la riconoscibilità nei due artisti è stata linfa per la loro poetica, grido per chi volesse ascoltarlo. Mi piacerebbe farvi entrare in questa mostra per contrasti, opera su opera che afferri l'ossimoro di significati appena accennati, abbraccio limpido, culla di un verismo rivisitato che si offre ai nostri sguardi attenti. Ci proverò, ed ognuno di voi può fare lo stesso, in un percorso che stimola l'attenzione e stupisce ogni volta in maniera diversa.

Ermes Bajoni, nel corso della sua lunga attività, ha espresso le caratteristiche della sua forza grafica (estendendole contemporaneamente alla pittura) svolgendo tematiche quali la natura e l'ambiente mai fini a se stesse, ma catapultandole in un contesto dove l'uomo, fautore spesso delle ferite, ne esce sconfitto. Ecco allora che la rappresentazione da scenica diventa cosmica. La simbologia del totem, in alcuni meraviglioso fogli, diventa veicolo poetico. Beatrice è colta di lato rispetto a un cespuglio di piante e di fiori, ma nello stesso tempo è schiacciata dalla massa rottamata di un mucchio di automobili. E' una citazione dantesca del Purgatorio eseguita nel duemilatredici, che anticipa quella dell'anno successivo, dove la femminilità scompare lasciando posto a carcasse d'automobili, travaso stilistico dal Purgatorio all'Inferno.

Dopo dieci anni, nei quali Ermes ci ha proposto la vita nascosta della natura attraverso una simbologia esistenziale e il desiderio di una speranza mai intrisa di false retoriche, lo troviamo esprimersi in una nuova dimensione attraverso una serie di incisioni denominate "World" mondo, tutto ciò che esiste, tutto ciò che è, tutto quello che vorremmo ci fosse. E lo fa scorticando il segno, abbellendolo in una grazia che rasenta l'astrazione. E' un segno di silenzio, di aria, di spazio, di suono. E' un segno che delinea immagini drammatiche proiettate su arbusti, vigneti sofferenti, montagne che si sgretolano, orme assassine, non di animali ma di uomini che calpestano un suolo martoriato dall'incuria. Ermes ci proietta in un paesaggio che si riflette sulle nostre coscienze, consapevoli o meno del contributo negativo che il nostro tempo ha forgiato.

Roberta Zamboni. Le sue cattedrali avvolte nel silenzio, i riflessi d'acqua, il sogno, il paesaggio. Elementi che si concatenano in una danza di acqueforti e puntesecche che sembrano voler seguire un percorso obbligato, non labirintico ma che del labirinto ne assume il pathos. Cattedrali dalle quali appare la memoria di un santo o la surrealità di un'immagine piovuta apparentemente per caso nella composizione. L'architettura diventa gigante buono che accoglie l'uomo o meglio la donna, nella sua femminilità, nel suo lavoro, panni stesi tra porticati e campielli, cattedrali all'aperto che rispecchiano la maestosità delle composizioni. E ancora riflessi che traspaiono dall'acqua che rimanda architetture violentate, sformate dal movimento della laguna, affascinanti nel suo inimitabile apparire.

E poi il sogno attraverso figure che demoliscono le loro storie per offrirne altre, nuove, contemporanee, forse ammonitrici o semplicemente giocose, e il paesaggio, ripreso con una parvenza di non finito, avvolto in quel fascino misterioso che solo l'arte giapponese sa proiettare. E qui viene spontaneo chiedersi se Roberta, nel cimentarsi nuovamente nel paesaggio abbia pensato a Bajoni, offrendogli il suo lavoro così diverso ma intimamente uguale. Quando programmai questa esposizione, qualche tempo fa, colsi la forte volontà, da parte di Ermes, di voler fare qualcosa di particolare che rappresentasse un lavoro a due anche se fatto separatamente.

Roberta ha espresso il desiderio che questa mostra fosse titolata "Insieme". Nella grammatica italiana è un avverbio che significa unione, condivisione, armonia. Sono aspetti che si manifestano concretamente nelle opere di Roberta e Ermes, aspetti che questi due artisti hanno voluto condividere con noi attraverso le loro opere e la loro presenza, sì, la loro presenza, perché oggi anche Ermes è con noi, e l'abbraccio simbolico che mi sento il dovere di fare contiene tutto il calore del vostro affetto.




Futurismo di carta
"Immaginare l'universo con l'arte della pubblicità"


01 marzo - 30 giugno 2024
Museo nazionale Collezione Salce (Complesso di San Gaetano) - Treviso

"Futurismo di carta", parte seconda. La mostra, curata da Elisabetta Pasqualin con la collaborazione di Sabina Collodel, è dedicata agli anni che precedono il secondo conflitto mondiale, quando, tra il 1930 e il 1940, il futurismo raggiunge l'apice del suo sviluppo, con l'aeropittura che, trasposta in grafica, esalta il volo e le imprese aviatorie, la vista dall'alto per riplasmarsi nell'avvicinamento al surrealismo. I manifesti, e altrettanto la pittura, riflettono il clima del momento. In un'Italia che sta trasformandosi da paese agricolo a industriale, con l'industria aereonautica e quella automobilista al centro della scena.

Le cronache enfatizzano le imprese solitarie di aviatori italiani, i nuovi eroi popolari. Le ali italiane battono ogni record di velocità, distanza, altezza e diventano la testimonianza evidente di uno stato nuovo, potente, protagonista della scena mondiale. Cresce l'orgoglio nazionale, attentamente catalizzato dalla propaganda del regime fascista. Restavano ancora nella memoria collettiva l'impresa dannunziana del volo su Vienna del 1918 non meno dei mitici duelli di Francesco Baracca sui cieli del Montello.

Colpisce l'impresa di Francesco De Pinedo che plana il suo idrovolante Savoia Marchetti sul Tevere, accolto da Mussolini e da una gran folla, dopo aver raggiunto l'Australia: 55 mila chilometri sul mare o sui grandi fiumi, in 80 tappe. Lo stesso De Pinedo, pochi mesi dopo, vola dall'Italia alle due Americhe, per poi fare ritorno in Italia. E con De Pinedo, il vicentino Arturo Ferrarin, protagonista del raid Roma-Tokyo e del primato del volo: 58 ore in circuito chiuso. Italo Balbo nel 1931 compie il "volo di massa" verso il Brasile; nel '33 sarà la volta della Crociera aerea del Decennale, la trasvolata Roma-New York per festeggiare il decennale del regime.

Lo "spirulare" su città e campagne affascina e coinvolge artisti che, come Depero - che a Rovereto era cresciuto accanto al pioniere dell'aviazione Gianni Caproni - vogliono provare l'esperienza del volo. Ricavandone visioni nuove, allontanandosi dalle cose terrene, a rinnovare la visione del mondo. "Uno slancio, un salto di livello e valori che si evidenzia in pittura quanto nella grafica pubblicitaria", anticipa la curatrice Elisabetta Pasqualin. "Permangono i colori accesi e contrastanti che già erano in uso nella prima fase della grafica futurista, ma il lettering diventa meno predominante, partecipa ancora al movimento e alle linee presenti nel manifesto, ma torna anche ad essere corredo esplicativo delle immagini.

Aumenta, naturalmente, il numero di manifesti incentrati sul tema del volo e delle manifestazioni aereonautiche. La mostra, accanto a creazioni di Di Lazzari, Martinati, Garretto, propone il "Manifesto per l'esposizione aeronautica italiana", opera del 1934 dell'unica artista donna presente in mostra, Carla Albini. Si riconferma il binomio automobile-areo espressione di dinamismo e velocità. Nelle macchine, scie di colore, circuiti automobilistici, linee a zig zag e a spirale. Il cielo, la terra ma anche l'acqua: motoscafi che sfrecciano lasciando profonde scie e lanciano alti spruzzi, eliche in primo piano (Codognato, Riccobaldi Del Bava) Complice la spinta alle attività sportive, protagonista di molti manifesti di questo momento è il corpo in movimento, quale strumento dinamico: nuoto, tennis, rugby (Mancioli. Boccasile).

La figura umana viene ancora interpretata in chiave di modernità per impersonare le continue novità dell'industria: l'uomo Fiat di Nizzoli o il meccanismo antropomorfo dello Sniafiocco di Araca (Enzo Forlivesi), per esempio. Anche il volto umano diventa spesso soggetto di affiche, scomposto in chiave quasi cubista, geometrizzato o reso quasi un sogno, come nel manifesto per Illy Caffè di Xanti). A proporre una visione onirica e irrazionale, libera da suggestioni logiche. E la grafica si dimostra già pronta a voltare pagina". (Comunicato ufficio stampa Studio ESSECI)




Opera di François Morellet in mostra alla Galleria Invernizzi di Milano François Morellet

- 07 marzo (inaugurazione) - 04 maggio 2024
Galleria Annely Juda Fine Art - Londra

- 12 marzo (inaugurazione) - 08 maggio 2024
Galleria A arte Invernizzi - Milano

In occasione dei trent'anni di attività della galleria A arte Invernizzi inaugura con la galleria Annely Juda Fine Art di Londra, una importante mostra antologica di François Morellet (1926-2016), uno dei più significativi artisti internazionali del XX secolo, realizzata in collaborazione con Estate Morellet. Attivo dai primi anni Cinquanta nell'ambito dell'astrazione geometrica, Morellet ne ha rivoluzionato e costantemente reinventato le coordinate teoriche e linguistiche, con la realizzazione, in oltre sei decenni di attività, di opere pittoriche, oggettuali, cinetiche e installative costantemente tese alla eliminazione della soggettività individuale dell'artista, così come delle nozioni convenzionali di composizione, superficie, struttura, spazio, esperienza.

La sua arte si è da sempre fondata sull'intreccio di un estremo rigore sistematico con una inesauribile e demistificante libertà ed ironia. Dalle prime opere caratterizzate dall'attivazione ottica e cinetica di superfici e spazi, a quelle successive connotate dalle interferenze plastiche e installative di acciaio, neon, ferro, nastro adesivo, rete metallica, legno, Morellet ha da sempre inteso decostruire e ricreare il linguaggio astratto in una immagine aperta, dinamica, pulsante, nella quale il dialogo tra sistematicità e casualità rigenera continuamente l'operazione artistica come spazio di relazione con uno spettatore attivo e partecipe.

Anticipatore, pioniere e protagonista delle ricerche programmate e minimali degli anni Cinquanta e Sessanta, Morellet è oggi unanimemente e internazionalmente riconosciuto anche come antesignano di una visione generativa ed immersiva dell'immagine, che nelle più recenti generazioni artistiche costituisce una delle più innovative declinazioni della creatività astratta e digitale.

L'esposizione antologica, costituita da più di quaranta opere, è articolata in un duplice percorso parallelo che si snoda attraverso le due gallerie: spazi espositivi nei quali l'artista ha realizzato numerose mostre personali e interventi, in lunghi e fecondi decenni di collaborazione; in sei occasioni da Annely Juda Fine Art di Londra, dove l'artista ha esposto dal 1977, e in otto circostanze da A arte Invernizzi di Milano, la prima delle quali nel 1994 proprio in occasione della mostra inaugurale della galleria (Dadamaino Morellet Uecker), di cui ricorre quest'anno il trentennale.

A arte Invernizzi presenta la grande installazione al neon Weeping neonly bleu n°1 (2001), già presentata ad Art Basel Unlimited nel 2017: costituisce il fulcro dello spazio inferiore, dove dialoga con opere su tela e neon dalle forme geometriche inclinate, dischiuse ed espanse (2012-15) e con un'opera in alluminio (2004). Uno spazio viene dedicato alla significativa opera cinetica del 1965 Néon 0°-90° avec 4 rythmes interférents caratterizzata dai ritmi intermittenti e alternati delle pulsazioni luminose del neon su fondo nero.

Al piano superiore sono esposti lavori al neon su tela nera tra cui La fuite nocturne n° 10 del 2016 in dialogo con opere al neon su tela bianca come Farandole blanche del 2009. Le sale successive presentano una selezione di opere storiche su tela e su tavola (1969-76) nelle quali la proliferazione iterativa e dinamica delle superfici in griglie e trame ottiche si trova in relazione con alcuni lavori del ciclo Reinforced concrete (2006).

Annely Juda Fine Art espone al terzo piano della galleria il grande trittico Sous-Prématisme n° 1, n° 2, n° 3 (2010), oltre ad altre tre opere al neon realizzate tra il 2009 e il 2011 che espandono gli archetipi geometrici del quadrato e del rettangolo. Nella sala seguente sono presenti opere del 2015, tra cui 3D concertant n°14: 77°-90°-81°, nelle quali si riconosce il suo caratteristico destabilizzare il rigore geometrico dell'immagine in sfasamenti, inversioni, iterazioni, amplificazioni. Il percorso culmina al piano superiore con significative opere storiche degli anni Sessanta e Settanta in cui l'artista declina la sua ricerca sulle dimensioni percettive di colori e trame (1961-74) e con opere di grande dimensione realizzate tra il 2012 e il 2015, tra cui Rococoncret n° 6 (2012).

L'antologica costituisce un'occasione inedita e significativa per riconoscere e riaffermare la centralità dell'opera di Morellet nel contesto internazionale, sia nel suo significato storico sia nella sua feconda attualità ispiratrice. In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue con saggi di Francesca Pola e Jonathan Watkins che, oltre a documentare accuratamente le mostre di Milano e Londra, sarà corredato da materiale iconografico e documentario, volto a ripercorrere le mostre realizzate da Morellet nel corso dei duraturi e intensi decenni di collaborazione con A arte Invernizzi e Annely Juda Fine Art, sia presso le due gallerie che in spazi pubblici. (Comunicato stampa)




Fotografia con carta cotone certificata in formati di cm 50x70 e 60x90 denominata Sicilia - Scala dei Turchi realizzata da Claudio Argentiero realizzata nel 2017 Claudio Argentiero
"Paesaggi"


Barbara Frigerio Gallery - Milano
www.barbarafrigeriogallery.com/artisti/claudio-argentiero

Alcune fotografie di Claudio Argentiero, personalità attiva da più di trent'anni nel mondo della fotografia, tra progetti personali e curatela di mostre. Da sempre interessato alla documentazione del territorio e ai mutamenti avvenuti nel tempo, legati al decadimento dell'industria manifatturiera e alla trasformazione del paesaggio. Nelle sue corde l'interesse per il territorio che non fa clamore, ambito da indagare e rivelare attraverso sguardi personali che riportano il quotidiano alla poetica delle piccole cose. (Estratto da comunicato di presentazione)

Immagine:
Claudio Argentiero, Sicilia - Scala dei Turchi, 2017, carta cotone certificata, formati cm 50x70 e 60x90




Bruno Munari. Tutto
16 marzo - 30 giugno 2024
Fondazione Magnani-Rocca - Mamiano di Traversetolo (Parma)
www.magnanirocca.it

Mostra su una delle più iconiche figure del design e della comunicazione visiva del XX secolo realizzata dopo le memorabili esposizioni della Rotonda della Besana (2007) a Milano, e dell'Ara Pacis (2008) a Roma. Viene così celebrato uno dei più grandi geni creativi del Novecento, l''inventore' Bruno Munari (Milano 1907-1998), definito da Pierre Restany il Leonardo e il Peter Pan del design italiano.

Nella mostra sono concentrati settant'anni di idee e di lavori - Munari aveva iniziato la propria attività durante il cosiddetto Secondo Futurismo, attorno al 1927 - in tutti campi della creatività, dall'arte al design, dalla grafica alla pedagogia: proprio per la difficoltà di dirimere chiaramente i territori linguistici da lui affrontati nel corso del tempo, la rassegna non sarà suddivisa per tipologie o per cronologia, ma per attitudini e concetti, in modo da poter mostrare i collegamenti e le relazioni progettuali tra oggetti anche apparentemente molto diversi l'uno dall'altro.

Grafica, oggetti, opere d'arte, "Tutto" risponde a un metodo progettuale che si va precisando con gli anni, con i grandi corsi nelle università americane e con il progetto più ambizioso, che è quello dei laboratori per stimolare la creatività infantile, che dal 1977 sono tuttora all'avanguardia nella didattica dell'età prescolare e della prima età scolare. Il lavoro di Munari negli ultimi anni è stato oggetto di una rinnovata attenzione, finalmente anche in campo internazionale, dopo i riconoscimenti ottenuti in vita, soprattutto in Paesi quali il Giappone, gli Stati Uniti, la Francia, la Svizzera e la Germania, oltre naturalmente all'Italia.

"Munari - spiega Marco Meneguzzo insigne studioso munariano e curatore della mostra - è una figura molto attuale nella società liquida odierna, nella quale non ci sono limiti fra territori espressivi. È un esempio di flessibilità, di capacità di adattamento dell'uomo all'ambiente. Il suo metodo consiste nello scoprire il limite delle cose che ci circondano e di volerlo ogni volta superare".

Un ricco catalogo con un saggio del curatore Meneguzzo (insieme a Stefano Roffi, direttore scientifico della Fondazione Magnani-Rocca), con inediti contributi critici centrati su singoli "casi-studio" dei più importanti studiosi di Munari, oltre alla pubblicazione di tutte le circa 250 opere esposte, verrà edito da Dario Cimorelli Editore. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI di Sergio Campagnolo)




Locandina della mostra Backstage con in esposizione fotografie di Mimmo Cattarinich, Pier Paolo Pasolini e Maria Callas durante le riprese del film Medea Backstage
Mimmo Cattarinich e la magia del fotografo di scena


09 febbraio - 16 giugno 2024
Museo Villa Bassi Rathgeb - Abano Terme (Padova)

I volti di grandi attori e registi della storia del cinema internazionale come Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, Anthony Quinn, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Capucine, Catherine Deneuve, Roberto Benigni, Claudia Cardinale, Maria Callas ma anche protagonisti contemporanei come Giuseppe Tornatore, Pedro Almodovar, Antonio Banderas, Javier Bardem, Isabelle Huppert, Rupert Everett, Rutger Hauer, Carlo Verdone, Monica Bellucci, Natalie Portman e Penelope Cruz sono soltanto alcuni dei protagonisti delle fotografie di Mimmo Cattarinich, al quale il Museo dedica la mostra a cura di Dominique Lora.

Cento fotografie provenienti dall'immenso archivio dell'Associazione culturale Mimmo Cattarinich di Roma, per raccontare la storia del cinema italiano e internazionale dagli anni Sessanta ai giorni nostri. Cinema e fotografia, linguaggi visivi nati quasi simultaneamente, da sempre condividono e scambiano tecniche narrative e ispirazioni estetiche, generando quella complessa rete di rapporti che stimola sperimentazione e creatività, una dicotomia narrativa nata da un dialogo naturale. La fotografia documenta il cinema e ne rivela il gesto celato, l'emozione rubata, ritraendo in immagini istanti di vita dietro le quinte: è un linguaggio complementare capace di mettere a nudo i soggetti, svelandone i misteri e raccontandone la vulnerabilità.

Guardare il cinema attraverso l'obiettivo del fotografo di scena è un'esperienza complessa, interdisciplinare e organizzata attorno a tre grandi soggetti che, smascherando la finzione cinematografica, rivelano tutta l'essenza umanistica di questa ricerca: la rappresentazione del reale dietro le quinte, il ritratto dell'attore all'interno e oltre la scena e il rapporto tra cinema e arte. Ad accomunare i soggetti ritratti da Mimmo Cattarinich è la tensione alla diversità: alterazioni corporee, atteggiamenti di sfida o di esibizione, caratteristiche che contribuiscono a renderli veri, trasparenti e vulnerabili. Il fotografo traspone su pellicola sogni ed emozioni dei singoli individui, rivelandone la realtà presente e le aspirazioni. (Estratto da comunicato stampa Lara Facco P&C)




Locandina della mostra Altre voci, altri luoghi del fotografo Uliano Lucas Uliano Lucas
Altre voci, altri luoghi
Fotografare per comprendere il mondo intorno a noi


03 febbraio (inaugurazione) - 05 maggio 2024
CARMI museo Carrara e Michelangelo - Carrara
carmi.museocarraraemichelangelo.it

Uliano Lucas (Milano, 1942) è uno dei più importanti autori della fotografia sociale italiana che da oltre sessant'anni documenta i mutamenti sociali, politici e culturali in tutto il mondo. Ha realizzato reportage con indagini sociali e antropologiche sulle città, sugli hinterland e sull'umanità varia che li abita, sulla contestazione studentesca e operaia; sull'Africa con la decolonizzazione e le guerre di liberazione; sulle istituzioni totali, sulla vita degli emigranti in Europa, sulla guerra in Occidente, sul mondo del lavoro, sui cambiamenti nel costume e nel tessuto territoriale e sociale.

Lucas ha sempre affiancato all'attività di fotoreporter un'intensa attività di studio e di ricerca sulla fotografia e sul sistema della comunicazione; nel 2015 ha scritto, con Tatiana Agliani - curatrice del suo archivio, che ha collaborato anche alla presente mostra - una storia del fotogiornalismo italiano. Lucas ritiene che il compito del fotografo non sia soltanto quello di fotografare ma che abbia il dovere di impossessarsi di tutti gli strumenti a sua disposizione per immergersi nel mondo e sforzarsi di capirlo.

La sua fotografia è sorretta anche da una dimensione narrativa ovvero da quel potentissimo mezzo di conoscenza che è il racconto per immagini, il quale, attraverso un'ampia varietà di interessi, gli permette di svolgere la sua riflessione nei più disparati ambiti: viaggio, emigrazione, lavoro, battaglie civili, paesaggio, rivolte, conflitti, nuovi cittadini, guerra e ricerca della pace. Tanti temi che possono ricondursi tutti ad un unico filo rosso, quello della ricerca di una dignità umana, presente non solo nei momenti eroici ma pur sempre latente anche nei contesti più degradati, nella più conclamata delle ingiustizie, negli scenari più apocalittici; la poetica fotografica di Lucas è quella che mette sempre al centro la ricerca di altre voci e altri luoghi, per consegnarci uno sguardo inedito e umanissimo che prende le distanze da quello raccontato dalle agenzie mainstream.

La mostra è un viaggio in bianco e nero con più di cinquanta scatti e un'installazione multimediale che raccontano l'attività del fotoreporter dagli anni Settanta fino ad oggi, ma costituisce anche un'interessante contaminazione di codici e linguaggi: non è così comune che un fotografo contemporaneo esponga le sue fotografie nelle sale di un museo dedicato alla scultura, al marmo di Carrara e a Michelangelo. Al centro della scena c'è uno straordinario viaggio che tocca svariati ambiti e temi della storia umana, a partire dai primi scatti nel 1960 fino ad arrivare agli ultimissimi del 2021, componendo una delle più importanti antologiche del fotografo mai realizzate.

La mostra ha un'articolazione in sette capitoli: Milano che cambia (1960-2018), in cui è messa al centro la città in cui è nato e cresciuto a partire dall'"iniziazione" culturale nel mitico Bar Giamaica, dalle case di ringhiera fino alle ultime immagini della metropoli, passando per gli snodi cruciali della storia della Repubblica; Sognatori e ribelli (1960-1976) in cui si raccontano gli anni della ribellione studentesca e operaia, il lungo Sessantotto; Lavoro e lavori (1971-2017), una indagine sui mestieri in varie epoche e latitudini; Istituzioni totali (1968-2018); Libertade. Guinea-Bissau (1969), Angola (1972), Portogallo (1972 e 1974) è un capitolo di straordinario interesse in cui Lucas racconta le lotte di liberazione, la decolonizzazione dell'Africa e la caduta dell'ultimo regime fascista in Europa, con la Rivoluzione dei Garofani del 25 aprile 1974, di cui quest'anno ricorre il cinquantesimo anniversario; in Guerra o pace (1970-2018) ci sono non solo le immagini delle guerre che Lucas ha raccontato attraverso le sue fotografie in modo del tutto originale ma anche la ricerca di una nuova umanità, di un desiderio di pace e della ricerca di un nuovo modo di vivere e convivere; La condizione umana (1968-2021) è un'indagine sulla bellezza delle vite vissute ai margini nel tentativo di ribadire la grandiosità di ogni esistenza se solo si riuscisse a leggere in controluce la realtà.

La mostra è promossa dal Comune di Carrara e curata dall'associazione Archivi della Resistenza - Circolo Edoardo Bassignani di Fosdinovo (MS), gestore del vicino Museo Audiovisivo della Resistenza, anch'esso partner del progetto. L'iniziativa è patrocinata inoltre dalla Regione Toscana, dall'Istituto Storico della Resistenza Apuana e dall'Accademia di Belle Arti di Carrara.

Per l'occasione verrà stampato un catalogo della mostra con più di 140 fotografie, nella serie Sguardi della collana Verba manent. Racconti di vita e storia orale Edizioni ETS di Pisa, a cura di Archivi della Resistenza in collaborazione con Tatiana Agliani, con l'introduzione istituzionale del Comune di Carrara, testi di Alessio Giananti, Andrea Castagna e Simona Mussini e un'intervista inedita a Uliano Lucas. Inoltre l'autore in primavera sarà protagonista di due mostre - una in Portogallo a Coimbra e una in Brasile a Brasilia - e di un libro a cura di Gianfranco Ferraro sulla Rivoluzione dei Garofani. (Estratto da comunicato stampa)




Opera di presentazione della mostra di Isabell Heimerdinger e Jonathan Monk Isabell Heimerdinger e Jonathan Monk
08 febbraio (inaugurazione) - 20 aprile 2024
Quartz Studio - Torino
www.quartzstudio.net

Un progetto speciale, concepito come un dialogo tra Isabell Heimerdinger (Stoccarda, Germania, 1963) e Jonathan Monk (Leicester, UK, 1969). Coppia anche nella vita, Heimerdinger e Monk riflettono sull'Italia, partendo dalla loro esperienza romana di alcuni anni fa, in una mostra in cui i ricordi si mescolano all'immaginario dei viaggiatori del grand tour. Suggestioni e tecniche diverse si affastellano nello spazio, dal neon Le silence al dittico di mosaici di Isabell Heimerdinger, dalla collezione di magneti al tavolo in legno a forma di stivale après Luciano Fabro di Jonathan Monk (a sua volta base per opere ceramiche della Heimerdinger). Sacralità e irriverenza, gioco e morte sono i temi scaturiti dal cortocircuito generato dall'incontro tra Heimerdinger e Monk, in occasione della bipersonale da Quartz a Torino.

Il tema centrale del lavoro di Isabell Heimerdinger (Stoccarda, Germania, 1963) è il cinema e le condizioni della sua produzione. Nelle opere fotografiche, scultoree e cinematografiche l'artista indaga le sottili differenze tra interpretazione e autenticità, tra ruolo e identità. Se le ambientazioni dei suoi film sono sempre reali, i diversi personaggi sanno nascondere bene i propri segreti. Nel 2020 Heimerdinger è stata premiata per il corto sperimentale Soon it will be dark al FIDMarseille, il Festival internazionale di cinema di Marsiglia.

Dal 2016 ha anche uno studio di ceramica in cui esplora il delicato confine tra ceramica funzionale e arte. Le sue opere sono state esposte in personali alla Berlinische Galerie di Berlino (2016), al MNK Museum fur Neue Kunst di Karlsruhe (2008), al centro Western Front di Vancouver (2007), allo Swiss Institute di New York (2003) e al FRAC Fonds régional d'art contemporain Pays de la Loire di Nantes (2000). I suoi film sono stati proiettati al Videoart at Midnight (un progetto di Olaf Stuber e Ivo Wessel) #59: Isabell Heimerdinger, Kino Babylon (2014), all'Art Film/Art Basel, Stadtkino Basel di Basilea (2012), all'Experimental Shorts, Short Experiments, Kino Arsenal di Berlino (2011), al Centre Pompidou di Parigi (2010), al Rencontres Internationales Paris/Berlin, Louvre Auditorium & Haus der Kulturen der Welt (2021) e Soon It Will Be Dark al Belvedere 21 di Vienna (2021).

L'artista ha inoltre partecipato a numerose mostre collettive esposte alla Daimler Collection di Berlino (2021), alla Kunsthalle Erfurt (2017), al Kunstmuseum St. Gallen (2013), al MNK Museum fur Neue Kunst di Francoforte (2012), alla Malmö Konsthall (2005) e al Bergen Kunsthall (2003). L'artista è rappresentata dalla galleria Mehdi Chouakri di Berlino.

Jonathan Monk (Leicester, UK, 1969) spesso si appropria di idee, opere e strategie di artisti concettuali e minimalisti degli anni Sessanta e Settanta. Con fotografie, sculture, video installazioni e performances le sue opere rielaborano e ricontestualizzano queste citazioni, spesso mescolando la storia personale di Monk e la cultura di una famiglia della working-class. Le reinterpretazioni da parte di Monk di opere di John Baldessari, Ed Ruscha e Sol LeWitt, tra gli altri, contestano il concetto di autenticità, paternità e valore nell'arte con umorismo ed arguzia.

Numerose le mostre personali di Jonathan Monk. Le mostre collettive sono altrettanto numerose e comprendono la Biennale di Taipei, la Biennale di Berlino, la Biennale di Venezia, la Whitney Biennal, la Biennale di Praga e la Biennale di Panama. Nel 2012 Monk è stato premiato con il Prix du Quartier des Bains a Ginevra. Le sue opere sono esposte in numerosi musei e collezioni internazionali tra cui: Los Angeles County Museum of Art, LACMA, Los Angeles, CA; Moderna Museet, Stockholm, Sweden; MMK Museum fur Moderne Kunst, Frankfurt am Main, Germany; Museum of Modern Art, New York, NY; Norton Collection, Santa Monica, CA; Solomon R. Guggenheim Museum, New York, NY; Statens Museum fur Kunst, Copenhagen, Denmark; Tate Modern, London, England. (Estratto da comunicato stampa)




Alberto Garutti
"Che Cosa Succede alle Stanze Quando Vanno via gli Uomini?"


14 febbraio - 30 marzo 2024
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano
www.glendacinquegrana.com

Un omaggio ad Alberto Garutti (1948-2023) una delle figure di riferimento più importanti per l'arte italiana ed internazionale, recentemente scomparso. Docente e ricercatore, ha indagato il rapporto committenza ed opera, fra arte pubblica, cittadino e istituzione. Ubicata nella sala principale della galleria, la project room presenta un nucleo significativo di opere in prestito da prestigiose collezioni private per fornire un omaggio all'artista assieme ad una prospettiva a volo d'uccello sull'ampiezza e la profondità della sua ricerca. Il titolo del progetto, tratto da una serie di lavori allude, in una prospettiva a posteriori, a quello che resta dell'opera di un artista nel tempo.

La galleria presenta alcuni Orizzonti, lavori esposti alla Biennale di Venezia del 1990, focalizzati sul filo sottile che lega artista e collezionista committente; tre opere dalla serie Che cosa succede alle stanze quando vanno via gli uomini? che, concepite originariamente per una mostra al PAC di Milano, sono state esposte all'Istituto di Cultura Italiana di Madrid; infine, Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno condotto qui ed ora, realizzata per l'aeroporto di Malpensa a Milano. Attraverso un nucleo di opere significative, la project room intende omaggiare l'artista e offrire spunti di riflessione sul percorso che Garutti ha costruito in un quarantennio di ricerca sul rapporto sempre mutevole e impegnativo che l'opera ingaggia con il pubblico. (Comunicato stampa)

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Smuovere l'angolo apocalittico verso la speranza
Stefano Cagol (IT), Mary Mattingly (US), PSJM (ES)


14 febbraio - 30 marzo 2024
Glenda Cinquegrana Art Consulting - Milano

Mostra collettiva curata da Stefano Cagol. Il titolo, preso da una conversazione tra Björk e il filosofo Timothy Morton, rimanda al ruolo dell'arte d'influenzare la società allontanandola dall'immobilità paralizzante. Un coerente senso d'impegno distingue, infatti, la pratica degli artisti esposti, Mary Mattingly (Rockville, 1978), il collettivo spagnolo PSJM (Cynthia Viera, Las Palmas, Gran Canaria, 1973, e Pablo San José, Mieres, 1969) e l'italiano Stefano Cagol (Trento, 1969).

Mattingly, la cui ricerca è stata definita dal New York Times "ottimista", con una sua opera ha spinto la città di New York a istituire il primo parco edibile di questa metropoli. Il lavoro dell'artista affronta le future crisi climatiche tentando di rendere l'ambiente urbano un posto migliore in cui vivere in questo momento, prosegue il New York Times. In mostra, viene esposta l'opera fotografica della serie House and Universe (2013), tra le sue più famose, pubblicata sulla copertina del libro Art in the Anthropocene. Encounters Among Aesthetics, Politics, Environments and Epistemologies.

Le altre opere fotografiche appartengono alla serie Ebb of a Spring Tide Salt Moons, realizzata consentendo alla componente salina dell'oceano di accumularsi su grandi dischi di acciaio, che sono stati immortalati mentre le formazioni saline cambiavano con le maree, mettendo in evidenza la forza della natura. Il collettivo PSJM basato alle Isole Canarie, incluso tra i cento artisti più rappresentativi dell'arte socially-engaged internazionale in Art & Agenda: Political Art and Activism (Gestalten, Berlino, 2011), nel 2018 a Las Palmas ha fondato la Sala de Arte Social e il progetto Biotopias di arte ed ecologia negli spazi pubblici.

A Milano presentano opere pittoriche su lino e tempere su carta della serie Clean Future. Sono composizioni minimaliste basate su dati statistici, definite geometrie sociali, opere di grande semplicità e immediatezza ma profonda densità di significato. Questa nuova serie, realizzata espressamente con vernici ecologiche prodotte localmente, assume un tono ottimista, descrivendo proiezioni future incoraggianti, come l'aumento dei veicoli sostenibili o il trattamento dei residui in Unione Europea dagli anni Settanta al 2050, simboleggiando così la speranza per un futuro pulito.

Di Cagol, che ha partecipato alla 59esima, 55esima, 54esima Biennale di Venezia, in mostra troviamo opere scultoree, video e fotografiche. Attraverso una ricerca fortemente basata sul processo e sulla capacità di uscire dagli spazi dell'arte, Cagol ha sviluppato un metodo multi-sito, multidisciplinare e generativo, che ha dato vita a We Are the Flood / Noi siamo il diluvio, una piattaforma nel MUSE Museo delle Scienze di Trento, "il progetto di un museo scientifico per affrontare la crisi ambientale attraverso l'arte contemporanea", in cui ha coinvolto in questi due anni oltre cinquanta tra artisti di diverse generazioni, filosofi, poeti, e ha dato vita alla Collezione Antropocene MUSE, prima del suo genere in Italia, insignita del PAC - Piano Arte Contemporanea 2023.

Ora, come vincitore per la seconda volta dell'Italian Council, ha evoluto questo stesso progetto in spedizioni nel deserto dell'Egitto, nella jungla tropicale della Malesia, nei ghiacci della Groenlandia e nelle steppe del Kirghizistan, tra solitudine sciamanica e interazione con lo specifico ambiente culturale. Stefano Cagol spesso si riferisce a Timothy Morton: le loro ricerche e teorie si avvicinano in modo sincronico dalla pubblicazione di Hyperobjects del 2013 allo spettacolare incontro al MUSE di Trento di ottobre 2023, incentrato sul prossimo libro Hell di Morton. L'apocalittico Cagol crede, fino in fondo, nell'artista con un ruolo sociale e spirituale. (Comunicato stampa)




Opera senza titolo a china, pigmenti naturali e innesto fotografico su carta realizzata da Giancarla Frare nel 2019 Giancarla Frare
"Abitare la distanza"


25 gennaio - 05 maggio 2024
Musei di Villa Torlonia - Roma
www.museivillatorlonia.it

La mostra antologica ripercorre, attraverso una selezione di 50 opere pittoriche su carta e due video, la quarantennale carriera di Giancarla Frare, pittrice, disegnatrice e grafica magistrale, fotografa, video maker e poetessa, figura tra le più significative della generazione di artisti attiva in Italia tra gli anni '70 del '900 e il primo ventennio del 2000. L'esposizione, curata da Antonella Renzitti, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Supporto organizzativo e servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

Qualificando Giancarla Frare come una delle più originali e significative artiste italiane viventi, non si intende collocare il suo nome nel circoscritto elenco delle maggiori artiste donne, ma si intende affermare che una delle più brillanti ricerche artistiche dell'arte contemporanea italiana porta la firma di un autore di genere femminile. Essenziale ma densa di contenuto, l'arte di Frare costituisce una ventata di unicità nel sempre più omologato panorama artistico contemporaneo, propenso però più di quanto non si creda a premiare il coraggio di una ricerca svolta all'insegna dell'anticonformismo. Prova ne sia la costante attenzione critica riservata ai suoi lavori, presenti in importanti collezioni pubbliche e private non solo italiane, giacché il suo nome ha acquistato negli anni una risonanza internazionale.

Le opere in esposizione rendono conto di come Frare nella sua ricerca artistica proceda per cicli pittorici, complessi progetti concepiti come filoni di quell'unica indagine in cui la sua carriera consiste: un lungo percorso di riflessione attorno al tema della memoria. Lo sviluppo della carriera dell'artista viene raccontato da Antonella Renzitti, curatrice della mostra, applicando un espediente narrativo che accompagna il visitatore dalla fine verso l'inizio, dai lavori più recenti (molti del tutto inediti) ai celebrati cicli giovanili, in un percorso cronologico a ritroso nel tempo che svela progressivamente il senso delle opere.

- "Il Castello di Apice. Mappa Labirinto"

Di fondamentale importanza per meglio mettere a fuoco la ricerca dell'artista appare il ciclo "Il Castello di Apice. Mappa Labirinto" (2015-2019). Di quell'articolato compendio che mette in campo due testi letterari, una piccola composizione musicale, cinquanta opere su carta e un video, in mostra si vedrà solo il video, un filmato girato in soggettiva dall'artista con il semplice ausilio di cellulare e IPad e poi ibridato in sede di montaggio con l'innesto di disegni e frammenti fotografici riconducibili a un favoloso ricordo infantile.

Il ricordo è quello dell'infanzia trascorsa nel Castello dell'Ettore ad Apice, in prossimità di Benevento, un antico labirinto di pietra in cui il padre di Giancarla, capo della guardia forestale, occupava con la sua famiglia un alloggio di servizio. Divenuta adulta, la bambina del castello ha continuato a celebrare la magia antica della pietra, ponendola al centro di una ricerca in cui, paradossalmente, quella sua materia d'elezione non viene mai fisicamente affrontata attraverso il linguaggio deputato della scultura ma costantemente evocata dal versatile incontro tra linguaggio pittorico, grafico, fotografico, videografico e letterario.

- L'interlinguismo di un'artista versatile

La capacità di esprimersi ai massimi livelli nei vari linguaggi dell'arte è, d'altronde, una delle più vistose peculiarità di Giancarla Frare, la cui versatilità ha saputo trarre il massimo profitto dall'insegnamento di maestri che hanno impresso tracce indelebili sul suo fare artistico. Allieva negli anni '70 dell'Accademia di Belle Arti di Napoli, Frare ha studiato pittura con Armando Di Stefano, scultura con Umberto Mastroianni e Augusto Perez, incisione con Bruno Starita, scenografia con Franco Mancini, fotografia con Mimmo Jodice, storia dell'arte con Nicola Spinosa e, persino, antropologia musicale con Roberto De Simone: i protagonisti della effervescente temperie culturale degli anni '70 al servizio della sua inesausta intelligenza creativa.

- La cultura come ispirazione

La carta è il supporto scelto da Giancarla Frare per imprimere una pittura velocissima che conduce lo spettatore attraverso desolati territori di pietra in cui non c'è spazio per il corpo dell'uomo, comparso nel suo lavoro solo in rare occasioni. Gli importanti cicli giovanili chiariscono però in modo incontrovertibile come l'assenza dell'uomo sia solo uno dei tanti depistaggi introdotti dall'artista all'interno di una ricerca che prende in realtà spunto dall'interesse per la cultura dell'uomo. Non casualmente il suo primo grande successo arriva, nella seconda metà degli anni '70, con Le Condizioni del volo", un ciclo di trentacinque grandi disegni a china - i tre presenti in mostra provengono dalle collezioni dell'Istituto Centrale per la Grafica che ha acquisito la serie quasi per intero - ispirati alla poesia di Georg Trakl, disperato cantore della dissoluzione della stagione della felix Austria.

- L'innesto fotografico

Negli anni '80, trasferitasi a Roma, lo spunto culturale che alimenta la sua ispirazione diventa quello del reperto archeologico. Le immagini di elementi scultorei catturate nel corso di lunghe battute fotografiche nel Nord Europa e in Italia vengono innestate all'interno di minimali composizioni pittoriche, in rapporto di tensione dialettica tra linguaggio della fotografia e segno pittorico.

- La divaricazione tra geologie dell'origine e archeologie post umane

In progresso di tempo, la sempre più marcata attenzione prestata ai reperti archeologici più aggrediti dal tempo, così consunti da aver perduto le loro connotazioni stilistiche di riconoscimento, condurrà, alla suggestiva divaricazione dei suoi paesaggi tra "geologie" e "archeologie". Una divaricazione ben evidenziata in mostra collocando i due tipi di composizioni in spazi diversi: da una parte le composizioni a cui l'innesto di fotografie di reperti monumentali chiaramente riconoscibili conferisce l'aspetto di paesaggi che portano le tracce di un antico passaggio dell'uomo e dall'altra quelle in cui la traccia culturale è oramai così labile da diventare invisibile, creando la sensazione di primordiali paesaggi delle origini.

- "Stati di permanenza, Gina"

Il senso della ricerca di Frare sulla memoria si esplicita anche in Stati di permanenza, Gina, bellissima opera videografica costruita eccezionalmente attorno a una presenza umana. Gina, la protagonista, è una centenaria che, pur avendo perso il ricordo della sua storia individuale, recita alla perfezione i versi della Divina Commedia imparati in gioventù, divenendo lei stessa traccia archeologica, simbolo vivente della potenza della memoria culturale. (Comunicato ufficio stampa Scarlett Matassi)

Immagine:
Giancarla Frare, (Senza titolo), 2019, china, pigmenti naturali e innesto fotografico su carta




Giuliano Dal Molin con una sua opera astratta geometrica sulla parete Giuliano Dal Molin
25 gennaio (inaugurazione) - 23 marzo 2024
Galleria Lia Rumma - Milano

Seconda mostra personale dell'artista Giuliano Dal Molin (la prima volta ha esposto nella galleria di Napoli nel 2016). Forma e colore sono il filo conduttore del lavoro di Giuliano Dal Molin (Schio, 1960) che si caratterizza dalla metà degli anni Ottanta per una continua ricerca di andare al di là della scultura e della pittura. "C'è il desiderio di rompere gli schemi, di uscire dal limite rappresentato dal quadro/finestra che racchiude il racconto per liberare la forma/colore nello spazio" racconta Dal Molin.

Per la personale presso la Galleria Lia Rumma, l'artista, come in un poetico viaggio ascensionale (dal basso verso l'alto), ha ridisegnato completamente i tre piani della galleria, combinando con estrema leggerezza forme e colori, secondo un tonalismo dello spirito che modifica la percezione visiva dello spazio architettonico, che così si apre a molteplici e caleidoscopici effetti ottici ed emotivi. "L'idea progettuale - spiega Dal Molin - ruota attorno ad alcuni concetti ricorrenti che hanno sempre caratterizzato la mia ricerca e il mio lavoro: forma, colore, luce, spazio, essenzialità e rigore. Le opere sono tutte ideate appositamente per gli ambienti della galleria e influenzate dalla luce che naturalmente entra negli spazi, le modifica nel corso della giornata e permette di svilupparne un racconto".

Partendo dal piano terra della galleria, s'incontrano una serie di forme modulari di grandi dimensioni, collocate a parete in un ordine sparso, che si muovono come a passo di danza lungo una linea ideale. La ritmicità è determinata sia dalla struttura che dall'accostamento cromatico. "La loro distribuzione nello spazio - racconta Dal Molin - prende come punto di riferimento la disposizione delle figure negli affreschi e nei dipinti medievali. In questo caso l'opera vuole esprimere l'essenza stessa della pittura".

Salendo al primo piano sono installati dodici elementi tridimensionali, dipinti con colori primari, secondari, mezzi toni e grigi, che riprendono il concetto di fregio di origine classica, ripensato in chiave contemporanea. "Se nei primi due piani vi è un viaggio visuale dai ritmi sostenuti e con una sollecitazione visiva molto elevata, all'ultimo piano sono necessari un tempo e un'attenzione diversi per percepire le minime variazioni di superfici" continua Dal Molin. Tanto che la sala al secondo piano è interamente dedicata al bianco e alla luce con una sequenza di piccoli lavori rettangolari bianchi di uguali dimensioni, interrotta da uno solo di colore grigio antracite.

La svolta nel lavoro artistico di Giuliano Dal Molin (Schio - Vicenza, 1960) avviene alla fine degli anni Ottanta, quando sceglie la via dell'astrattismo. Inizialmente, le opere manifestano un dialogo tra materiali come metalli, polveri e pigmenti. Rilievi e forme essenziali - concavi/convessi - tendono quasi ad azzerare il colore di cui rimangono solo delle velature, "tracce del gesto del dipingere". A partire dal 1997 compare con forza il colore, inizialmente con campiture monocrome e in un secondo momento con intensi contrasti e profonde dissonanze. In questi anni l'opera si espande nello spazio circostante, diventando spesso un polittico non più a parete ma poggiato a terra, forte di una relazione continua tra elementi.

Le forme verticali e orizzontali sono una ricerca di dialoghi tra piani, curve, luci, in un costante e stretto rapporto tra pittura e scultura. Gli anni Duemila portano all'evoluzione delle idee degli anni precedenti, con una ricerca sviluppata sulla tridimensionalità, che porta l'artista ad indagare sulle forme architettoniche. Le opere sono pensate in virtù di un saldo legame sia tra loro che con l'ambiente circostante, in un rinforzo reciproco e continuo. Accompagna questa fase un'accurata ricerca sul colore, che parte dalla storia della pittura per poi manifestarsi nelle opere tridimensionali, nei progetti e nei disegni, risultato di un processo di sintesi volto a togliere l'eccesso e il superfluo per dare voce al colore e alle forme. (Estratto da comunicato stampa)




Locandina Pop Beat 1960-1979 POP/BEAT - Italia 1960-1979
"Liberi di Sognare"


02 marzo - 30 giugno 2024
Basilica Palladiana - Vicenza

Per la prima volta vengono raccontate ed esposte insieme le generazioni Pop e Beat italiane, testimoni di un sentire comune di quegli anni, legato a una visione ottimistica del futuro e all'impegno movimentista del Sessantotto, rendendosi quindi originali e autonome dalle suggestioni Pop e Beat americane, per troppi anni indicate come determinanti. Sarà messa in evidenza l'unicità propositiva e la statura assoluta della Pop italiana in Europa, nonché le differenze sostanziali e l'autonomia dei suoi artisti rispetto a quelli americani.

In Italia si alimenterà infatti una frequentazione dal basso, sensibile alla tradizione artistica nazionale, al paesaggio, all'avanguardia futurista, che sarà protagonista dei mutamenti sociali, politici e culturali nelle piazze, nelle strade, nelle fabbriche, nelle università: istanze diventate oggetto di gran parte delle opere e dei documenti esposti. Distanti, quindi, da quelle degli artisti e letterati americani, presto vezzeggiati in ambito mercantile e universitario, spesso ricevuti come autentiche star e orientati all'evidenza dei prodotti di consumo della società di massa amplificati dalla pubblicità.

La sezione Pop, con quasi un centinaio di opere selezionate di trentacinque artisti, privilegerà i grandi formati che verranno spettacolarizzati da un'ampia sezione di sculture. Saranno presenti opere di Valerio Adami, Franco Angeli, Enrico Baj, Paolo Baratella, Roberto Barni, Gianni Bertini, Alik Cavaliere, Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Lucio Del Pezzo, Fernando De Filippi, Bruno Di Bello, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Pietro Gallina, Piero Gilardi, Sergio Lombardo, Roberto Malquori, Renato Mambor, Elio Marchegiani, Umberto Mariani, Gino Marotta, Titina Maselli, Fabio Mauri, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Concetto Pozzati, Mimmo Rotella, Sergio Sarri, Mario Schifano, Giangiacomo Spadari, Tino Stefanoni, Cesare Tacchi, Emilio Tadini.

La temperatura Beat in mostra sarà garantita dalla musica di quegli anni, diffusa in loop, e rappresentata dai rari documenti originali di Gianni Milano, mentore di un'intera generazione, Aldo Piromalli, Andrea D'Anna, Gianni De Martino, Pietro Tartamella, Eros Alesi, Vincenzo Parrella e molti altri, nonché dalla vicenda artistica militante dell'Antigruppo siciliano.

Alla generazione Beat, fino ad oggi conosciuta (poco) per i fermenti a Milano e Torino, verrà finalmente restituita un'identità nazionale, considerando la generosa e meno nota esperienza proprio dell'Antigruppo siciliano, guidato dalla figura carismatica di Nat Scammacca, di cui saranno esposte le pubblicazioni fondative, relative alla sua Estetica Filosofica Populista. Antigruppo in chiara polemica con la Beat salottiera ed egemonica del Gruppo '63, legato all'influenza dei grandi editori del nord e dei concorsi letterari, e molto meno attento alle pulsioni popolari. Antigruppo che merita quindi un'attenta rivalutazione per la sua attività artistica e sociale meritoria, spontanea, instancabile.

Il progetto di Floreani ricontestualizzerà la stessa natura della Pop e della Beat italiane, dando priorità a ciò che gli artisti stessi dichiaravano circa la loro ricerca, non sentendosi spesso affatto etichettabili come Pop, proprio per l'originalità del loro punto di vista rispetto agli americani, nonché percorrendo un tragitto che dalla Libertà di sognare approderà fatalmente alla Fine del sogno degli anni di piombo, della disillusione e della diffusione delle droghe pesanti, messe in scena in tutta la loro crudezza al Festival di Castelporziano nel 1979.

Eventi collaterali ad hoc saranno proposti in alcuni dei principali luoghi monumentali della città, in collaborazione con la Biblioteca civica Bertoliana, il festival New Conversations - Vicenza Jazz, il Cinema Odeon, il Festival di poesia contemporanea e musica Poetry Vicenza, il Centro di produzione teatrale La Piccionaia, l'Associazione culturale Theama Teatro e il Conservatorio di musica di Vicenza "Arrigo Pedrollo". Anche le scuole saranno coinvolte, a partire da una specifica sezione didattica allestita al piano terra della Basilica Palladiana, nel Salone degli Zavatteri. La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, a cura di Roberto Floreani, con testi di Roberto Floreani, Gaspare Luigi Marcone, Alessandro Manca. (Comunicato ufficio stampa Studio Esseci - Sergio Campagnolo)




Opera di 25x32cm stampata da Mourlot dalla CollezioneArtBookWeb denominata Lithographie III realizzata da Mirò nel 1972 Litografia di 48x33,5cm denominata Le lézard aux plumes d'or 3 realizzata da Mirò nel 1967, dalla Collezione Bertrand Champetier Mirò - La gioia del colore
20 gennaio - 07 luglio 2024
Palazzo della Cultura - Catania
www.navigaresrl.com/mostra/omaggio-a-miro

Dopo Trieste e Torino, Catania ospita il terzo capitolo di una serie di mostre dedicate al grande maestro catalano. A cura di Achille Bonito Oliva in collaborazione con MaïthéVallès- Bled e Vincenzo Sanfo. Il progetto espositivo è promosso da Navigare con il patrocinio della Regione Siciliana, dell'Assessorato dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana, del Comune di Catania - Direzione Cultura e dell'Ambasciata di Spagna, in coproduzione con Art Book Web e Diffusione Cultura. Radio KissKiss e Catania Today sono media partner e Sky Arte è media cover dell'evento.

"Miró - La gioia del colore" raccoglie circa un centinaio di opere che coprono un arco temporale di circa sessant'anni - dal 1924 al 1981 - dipinti, tempere, acquerelli, disegni, sculture e ceramiche, oltre ad una serie di opere grafiche, libri e documenti - provenienti da collezioni private italiane e gallerie francesi. Ad arricchire e ampliare il percorso espositivo dalla doppia lettura cronologica e tematica ci sarà anche unasezionefotografica e video che approfondirà alcuni aspetti della vita privata e pubblica dell'artista surrealista. Ulteriori sezioni di questa mostra antologica su Miró è quella focalizzata sui suoi lavori grafici realizzati quando collaborava con la famosa rivista Derriere le Miroir, edita dalla galleria Maeght e quella multimediale. Le aree tematiche: 1.Ceramiche, 2.Poesia, 3.Litografie, 4.Pittura, 5.Derrier le Miroir, 6.Manifesti, 7.Musica

Dopo aver studiato economia, a seguito di un importante problema di salute, Mirò (Barcellona, 1893) si trasferisce a Parigi dove incontra Picasso e frequenta il circolo Dada di Tristan Tzara dedicandosi alla pittura, alla scultura e alla ceramica. Dopo dodici anni, ritorna in Spagna da cui riparte di nuovo alla volta di Parigi a seguito del secondo conflitto mondiale. Quando però le truppe naziste assediarono la capitale francese, decise di andare a Palma di Maiorca, dove morì nel 1983 all'età di cento anni.

Maestro indiscusso del surrealismo, Miró ha sin da subito espresso il suo biasimo nei confronti della pittura convenzionale. Per lui il mondo reale, ciò che ci circonda è solo la realtà. La realtà per Miró è un punto di partenza, mai di arrivo. Le opere di Miró nascono dallo stretto legame tra le tinte forti del giallo giallo, nero, rosso o blu e il suo segno sintetico che insieme rileggono la realtà circostante sottraendole tutto ciò che non è essenziale. (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Mirò, Lithographie III, 1972, stampata da Mourlot 25x32cm, Collezione Art Book Web
2. Mirò, Le lézard aux plumes d'or 3, 1967, litografia 48x33,5cm, Collezione Bertrand Champetier
Locandina della mostra




Copertina del numero di giugno, luglio e agosto 2021 del mensile d'arte Archivio Archivio
Mensile di Arte - Cultura - Antiquario - Collezionismo - Informazione

ANNO XXXVI
N. 3 - Marzo 2024
N. 2 - Febbraio 2024
N. 1 - Gennaio 2024






Contemporary Monogatari: nuove narrazioni giapponesi
Riallestimento delle collezioni della galleria dedicata al Giappone in dialogo con l'opera di Kazuko Miyamoto


13 dicembre 2023 - 05 maggio 2024
MAO Museo d'Arte Orientale - Torino
www.maotorino.it

Un delicato kesa, il mantello rituale buddhista, accanto a un minimale kimono fatto di corda annodata; la struttura imponente delle armature dei samurai di fianco ai video delle performance Umbrella dance e In the garden; le stampe lignee ottocentesche in dialogo con le fotografie che raffigurano attori kabuki: nel nuovo riallestimento della galleria giapponese del MAO, che accosta opere delle collezioni permanenti e lavori dell'artista giapponese Kazuko Miyamoto (Tokyo, 1942), convivono epoche e linguaggi diversi, che offrono punti di vista distanti ma collaterali su tematiche e simboli ricorrenti e stratificati.

Il riallestimento a cura del direttore Davide Quadrio insieme allo staff del MAO e realizzato in stretto dialogo con la direttrice del Museo Madre di Napoli, Eva Fabbris, propone un'esplorazione della pratica artistica di Kazuko Miyamoto in dialogo con gli spazi e le opere esposte al secondo piano della galleria giapponese del MAO. In questo progetto espositivo il presente si infiltra in una costellazione composta di oggetti provenienti dal passato che, grazie alla contaminazione, trovano nuova vita e nuove possibilità di significato.

Si apre con l'opera di Miyamoto Kimono/corde (2003), una sagoma di kimono stilizzata realizzata in corda, materiale povero emblema dell'essenzialità del minimalismo, posta in contrasto con la matericità serica e raffinata dei kesa delle collezioni permanenti del museo, tre esemplari del XIX secolo decorati con elaborazioni astratte e geometriche di motivi ispirati al mondo naturale, quali fiori e nuvole. L'accostamento fa riferimento ai metodi di produzione artigianali dei due indumenti: analogamente ai mantelli rituali buddhisti infatti, anche i kimono sono tradizionalmente realizzati assemblando rettangoli di seta.

La loro forma non è destinata ad assecondare le curve del corpo, ma ad avvolgerle, nascondendole. Attraverso il processo creativo, Miyamoto scarnifica l'originale struttura del kimono, uno dei simboli più potenti e universali del Giappone, e, attraverso un estremo gesto di sottrazione, la trasforma in un soggetto anatomico, uno scheletro che, però, del soggetto originale conserva l'essenza profonda.

Il tema ricorrente del kimono, essenziale della pratica performativa di Miyamoto quanto quelli delle corde, degli ombrelli e della natura, torna anche nello sketchbook dell'artista, che riunisce fotografie e riproduzioni di 22 opere, e nei disegni qui organizzati in forma di quadreria: attraverso il disegno, linguaggio prediletto dall'artista per la sua immediatezza, prende vita un alfabeto simbolico con cui tratteggiare una narrazione che unisce in un intrico indissolubile cultura tradizionale giapponese, vita quotidiana, identità diasporica.

Nell'opera di Miyamoto il recupero della memoria e delle tradizioni nipponiche torna anche nei video In the garden (2014) e Umbrella Dance (2004), che rileggono alcuni degli elementi più caratteristici dell'iconografia tradizionale giapponese. Le due opere sono accostate alla presenza imponente delle armature dei samurai e alla delicatezza delle fotografie di fine '800 che raffigurano attori di teatro kabuki, beltà femminili (bijin) immerse in colorati giardini e fanciulle intente a comporre ikebana.

Accanto a queste ultime è collocata l'opera Ladder and Branches (2010), un'effimera struttura dalle forme organiche e archetipiche - un po' scala, un po' nido, chiaro riferimento alle shimenawa, le corde utilizzate nei rituali di purificazioni shintoisti - che sottolinea la costante attitudine dell'artista a connettere, collegare, sanare le fratture fra l'arte e la vita, fra tempi e spazi distanti con ironia e spontaneità. Proseguendo idealmente con la narrazione avviata nella sala principale, il corridoio dedicato agli ukiyo-e ospita un'ampia selezione di stampe appartenenti alle collezioni del museo e raffiguranti attori kabuki, in cui riecheggiano le tematiche e i gesti del teatro, della danza, della performance che emergono come risorgive sotterranee anche in numerose opere di Miyamoto.

Come in un ritorno all'origine, un percorso à rebours, nella sala da tè che chiude la sezione giapponese del MAO è collocata l'opera Kimono con corde e bastoni (2004): il dialogo fra pieno e vuoto che caratterizza la prima parte del progetto espositivo torna qui a manifestarsi con nuova forza, sottolineando anche il valore simbolico della circolarità legata al ki, il soffio vitale che permea spazio e corpo ed è al centro della ricerca espressiva di Kazuko Miyamoto.

La sintassi espositiva scelta per il progetto Contemporary Monogatari, fondata sul rapporto dialogico fra le opere delle collezioni e lo sguardo laterale di un'artista donna della diaspora giapponese del secondo dopoguerra, si inserisce all'interno di un rinnovamento radicale del MAO, che ambisce a creare una tensione dinamica fra passato e presente con l'obiettivo di generare narrazioni che non si ripiegano su sé stesse, ma che aprono possibili declinazioni del futuro e inedite occasioni di comprensione della storia e delle sue manifestazioni in ambito artistico e creativo. Con un approccio analogo verranno affrontati nei prossimi mesi anche i riallestimenti delle gallerie dell'Himalaya e della Cina, previste per i primi mesi del 2024. (Comunicato stampa)




Collage, inchiostro, lettere trasferibili e olio su carta di 32x23 cm denominato The End realizzato da Fabio Mauri nel 1959 Fabio Mauri
Esperimenti nella verifica del Male


16 dicembre 2023 - 24 marzo 2024
Castello di Rivoli (Torino)
www.castellodirivoli.org

Mostra in occasione della donazione al Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea della grande installazione I numeri malefici, 1978, realizzata da Fabio Mauri (Roma, 1926-2009) per la XXXVIII Biennale di Venezia. Artista e intellettuale, Fabio Mauri inizia a pubblicare i suoi primi disegni e articoli quando aveva solo sedici anni sulla rivista "Il Setaccio" che aveva fondato insieme a Pier Paolo Pasolini a Bologna nel 1942. Ben presto il secondo conflitto mondiale investe violentemente la vita di Mauri: un trauma che lo porta successivamente a creare forme d'arte che attraversano la performance, l'installazione, il disegno, la scrittura, il tutto riferendosi alla pittura come simbolo dell'arte in generale.

"Mauri fa dell'artista un intellettuale o dell'intellettuale un artista", afferma Carolyn Christov-Bakargiev, Direttore del Castello di Rivoli e curatore della mostra insieme a Sara Codutti e Marianna Vecellio. "Molti conoscono le famose performance di Mauri quali Ebrea (1971) o Che cosa è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca (1989) che ho voluto ripresentare a Documenta a Kassel nel 2012" prosegue Christov-Bakargiev "ma pochi avranno visto prima di questa mostra gli incredibili disegni religiosi realizzati nell'immediato dopoguerra a partire dal 1947. Questa mostra, principalmente di opere su carta, permette di approfondire le origini della sua opera che si manifesta come incredulità di fronte al perseverare del male nel mondo nonostante l'apparente progresso della modernità".

La pratica artistica è per Mauri fin dall'inizio un campo di sperimentazione entro cui verificare diversi pensieri e teorie: nei suoi collage a fumetti, negli schermi, nelle proiezioni e performance, usando grafite, pigmenti, carte, oggetti, pellicole, corpi e suoni, l'artista ha costantemente cercato di comprendere la natura cifrata del mondo restituendola in precipitati di senso in forma di opere d'arte. Attraverso oltre cento opere su carta e una collezione inedita di diari e libri provenienti dall'archivio dell'artista, questa mostra vuole mettere in luce alcuni tratti salienti del suo grande "Esperimento del mondo".

Cresciuto in un'Italia segnata dalla Seconda guerra mondiale, Mauri, che ha vissuto in ambienti intellettuali in dialogo con autori tra cui Umberto Eco, Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini, ha un'intuizione: lo schermo è diventato la principale "forma simbolica" del mondo, il segno della nuova civiltà mediatica. Nel 1957-58 con la serie degli Schermi inizia quindi ad analizzare il modo in cui cinema e televisione diventano parte della vita quotidiana, modificando l'esperienza della memoria l'idea di finzione.

Attraverso l'investigazione dello Schermo, Mauri esplora il tema del Male che sembra contraddire ogni logica di un cosmo ordinato dell'universo. Oltre a presentare alcune immagini storiche dell'artista tra le quali, la mostra si focalizza su un'ampia selezione di quaderni e opere su carta. La mostra, allestita al terzo piano del Museo, è dedicata ad Achille Mauri (Rimini, 1934 - Rosario, 2023) già Presidente dello Studio Fabio Mauri Associazione per l'Arte L'Esperimento del Mondo, che l'ha fortemente voluta. (Estratto da comunicato stampa)




Fotografia in bianco e nero scattata da Fred Stein che ritrae Robert Capa e Gerda Taro a Parigi nel 1936 Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l'amore, la guerra
14 febbraio - 02 giugno 2024
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia - Torino
www.camera.to

Un'altra grande mostra - dopo le personali dedicate a Dorothea Lange e André Kertész - che racconta con circa 120 fotografie uno dei momenti cruciali della storia della fotografia del XX secolo, il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro, tragicamente interrottosi con la morte della fotografa in Spagna nel 1937.

Fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall'Ungheria lui, Gerta Pohorylle e Endre - poi francesizzato André - Friedmann (questi i loro veri nomi) si incontrano a Parigi nel 1934, e l'anno successivo si innamorano, stringendo un sodalizio artistico e sentimentale che li porta a frequentare i cafè del Quartiere Latino ma anche ad impegnarsi nella fotografia e nella lotta politica. In una Parigi in grande fermento ma invasa da intellettuali e artisti da tutta Europa, trovare committenze è però sempre più difficile.

Per cercare di allettare gli editori, è Gerta a inventarsi il personaggio di Robert Capa, un ricco e famoso fotografo americano arrivato da poco nel continente, alter ego con il quale André si identificherà per il resto della sua vita. Anche lei cambia nome e assume quello di Gerda Taro. L'intensa stagione di fotografia, guerra e amore di questi due straordinari personaggi è narrata nella mostra di CAMERA - curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi - attraverso le fotografie di Gerda Taro e quelle di Robert Capa, nonché dalla riproduzione di alcuni provini della celebre "valigia messicana", contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due protagonisti della mostra e dal loro amico e sodale David Seymour, detto "Chim".

La valigia, di cui si sono perse le tracce nel 1939 - quando Capa l'ha affidata a un amico per evitare che i materiali venissero requisiti e distrutti dalle truppe tedesche - è stata ritrovata solamente nel 2007 a Mexico City, permettendo di attribuire correttamente una serie di immagini di cui fino ad allora non era chiaro l'autore o l'autrice. La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore con testi dei curatori. (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Una veduta di Trieste in una fotografia scattata da Giuseppe Wulz Giuseppe Wulz
Foto storiche di Trieste realizzate a fine 800


Barbara Frigerio Gallery - Milano
Rassegna di fotografie di Giuseppe Wulz

Giuseppe Wulz (Cave del Predil, 1843) si trasferisce a Trieste nel 1851. Nel 1866 inizia a lavorare come apprendista presso lo studio del fotografo Wilhelm Friedrich Engel, chiamato a Trieste dal Lloyd austriaco. Nel 1868 apre uno studio, insieme a un altro allievo di Engel, Luigi Boccalini, in piazza della Borsa 10, dal nome "Allievi di G. Engel G. Wulz e L. Boccalini". Nel gennaio 1875 inaugura lo Stabilimento fotografico G. Wulz - Allievo di G. Engel - Corso 9, dirimpetto all'Aquila Nera-Trieste, come è indicato sul retro di molte sue fotografie.

Qui resta fino al 1890, espone le fotografie in vetrina. Dal 1891 Giuseppe apre uno studio a Palazzo Hirschl in Corso Italia n. 19, nell'attuale Galleria Rossoni, dove proseguiranno l'attività, prima il figlio Carlo, e poi le nipoti Wanda e Marion. Lo studio è pubblicizzato nei giornali dell'epoca in questo modo: Io sottoscritto partecipo a questo rispettabile Pubblico d'aver aperto il mio Nuovo Stabilimento Fotografico situato nel ben noto Palazzo Hirschel in Corso Numero 19 piano secondo. I locali vastissimi si presentano comodi al Pubblico tanto per la posizione centrica che per la gran comodità della magnifica scala. Lusingandomi di venir onorato da numerosa clientela, mi segno devotissimo G. Wulz fotografo.

Sviluppa un'intensa attività, in particolare di ritrattista. È amico di vari personaggi della scena culturale triestina. Il suo atelier diviene un punto di incontro-cenacolo. La sua attività di fotografo è al servizio di un pubblico eterogeneo. Oltre al ritratto, Giuseppe Wulz documenta lo sviluppo della città, letta attraverso il porto, le rive, le vedute dal mare. Non mancano le panoramiche commerciali, come le immagini di Miramare, vendute anche in forma di stereoscopia. Solo il primogenito Carlo proseguirà l'attività paterna (il figlio Guglielmo lavora solo per un breve periodo presso lo studio). Giuseppe cede l'attività al figlio nel 1914 e muore il 15 marzo 1918. (Comunicato di presentazione)




Eterno femminino
Arte a Trieste tra fascino e discrezione 1900-1940


21 dicembre 2023 (inaugurazione) - 01 aprile 2024
Museo Sartorio - Trieste

Più che un melting pot Trieste è una costellazione, più che un crogiolo ove tutto si mescola e amalgama, è una partitura a più voci. «Gente con premesse diverse che deve tentare di conciliare gli inconciliabili, che naturalmente non ci riesce e saltan fuori tipi strani, avventurieri della cultura e della vita [...]» (Bobi Bazlen).

La mostra, a cura di Federica Luser, Michela Messina e Alessandra Tiddia, riunisce in quel luogo fascinoso e a suo modo intimo che è il Museo Sartorio, una trentina di ritratti di donne triestine dei primi decenni del '900. I dipinti provengono dalle collezioni del Museo Sartorio, dal Museo Revoltella, dalla Collezione d'Arte della Fondazione CRTrieste e da collezioni private, e vogliono offrire uno sguardo particolare su Trieste, attraverso alcune opere dei suoi migliori artisti del secolo.

Una galleria di ritratti femminili propone una Trieste osservata nelle sue pieghe più intime, nei volti e nei corpi di donne di quella borghesia cosmopolita e pluriconfessionale che ha contribuito alla crescita economica e culturale della città nel diciannovesimo secolo e nel primo '900. Il soggetto della mostra è il mondo femminile, l'eterno femminino. Il focus è su quelle donne triestine i cui sguardi, pose, movenze riflettono la caratteristica principale per cui sono conosciute: quel fascino discreto ma volitivo legato al loro essere indipendenti e sicure di sé. Una sorta di proiezione della coscienza segreta delle donne, ritratte nella loro diversità: muse, amiche, mogli, amanti, donne bellissime e sfrontate, provocanti e soddisfatte, timide e riservate, specchio della Trieste di allora. Un fascino discreto, enigmatico e ambiguo a volte, colto nella mondanità e nel segreto delle stanze.

Franco Asco, Antonio Camaur, Glauco Cambon, Bruno Croatto, Cesare Cuccoli, Oscar Hermann Lamb, Mario Lannes, Pietro Lucano, Giannino Marchig, Piero Marussig, Giovanni Mayer, Argio Orell, Gino Parin, Nino Poliaghi, Arturo Rietti, Ruggero Rovan, Edgardo Sambo, Carlo Sbisà, Cesare Sofianopulo, Vito Timmel, Carlo Wostry sono gli autori delle opere scelte per questa esposizione.

L'arco temporale in cui sono state realizzate le opere si concentra sui primi quattro decenni del XX secolo, anni particolari e di grandi cambiamenti, sospesi tra euforia e dramma a causa delle trasformazioni epocali di una città che, dopo la Prima Guerra Mondiale, vede il proprio mondo sgretolarsi e poi ricostruirsi in forme e modi diversi. Diverse ed eterogenee sono le sensibilità artistiche e i linguaggi espressivi che, pur strettamente determinati da un'esigenza di realtà - una costante dell'arte a Trieste per tutto il '900 - oscillano tra i riferimenti simbolisti e postimpressionisti e le atmosfere legate al mondo del Déco come a quelle del Realismo Magico.

Ma ciò che raccorda queste raffigurazioni del femminile, il comune denominatore delle opere selezionate, sta in quell'equazione sottile, talvolta celata, altre volte più manifesta fra queste figure e Trieste, quel fascino discreto e perturbante, quella "scontrosa grazia" che affiora nelle pose, nelle espressioni dei volti, ma anche in uno sguardo, nel rapporto fra l'effigiata e il contesto, spesso espresso da un dettaglio o raccontato nello spazio della tela e che riflette l'immagine di un'essenza sottile, quella di una città controversa: Trieste, appunto. Scultura e pittura si intrecciano nelle splendide sale del Museo Sartorio, luogo ideale per l'esposizione di questi capolavori della scuola triestina che negli interni di una dimora storica vengono idealmente restituiti all'atmosfera per i quali erano stati concepiti. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio ESSECI - Sergio Campagnolo)

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Mostre su Trieste

Nidia Robba
I libri pubblicati da Nidia Robba, scrittrice e poetessa triestina con origini a Pola in Istria, ambientati nella Mitteleuropa e in Italia tra Friuli Venezia Giulia, Germania e Austria con riferimenti alla Grecia.




Dipinto a olio su tela di cm 65x81 denominato La Falaise et la Porte d'Aval realizzato da Claude Monet nel 1885 Opere in viaggio
Un dipinto di Claude Monet alla Collezione Cerruti


25 novembre 2023 - 18 agosto 2024
Castello di Rivoli
www.castellodirivoli.org

Esposizione di La Falaise et la Porte d'Aval, di Claude Monet (Parigi, 1840 - Giverny, 1926), a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Fabio Cafagna. La prima collaborazione del programma Opere in viaggio coinvolge il Museum Barberini di Potsdam che, insieme alla Staatsgalerie Stuttgart, ha richiesto il prestito del dipinto di Amedeo Modigliani, Jeune femme à la robe jaune (Renée Modot), 1918, olio su tela, 92x60 cm, in occasione della mostra Modigliani: Modern Gazes, a cura di Ortrud Westheider e Christiane Lange con Nathalie Frensch, che si terrà dal 24 novembre 2023 al 17 marzo 2024 alla Staatsgalerie Stuttgart e dal 26 aprile al 18 agosto 2024 al Museum Barberini di Potsdam.

Il Museum Barberini, inaugurato nel 2017 nel centro storico di Potsdam per volontà dell'imprenditore, collezionista e mecenate Hasso Plattner, fondatore di una delle più grandi società di software, la tedesca SAP, ospita una collezione straordinaria, che comprende sculture antiche, dipinti barocchi e impressionisti, oltre a opere di Rembrandt van Rijn, Vincent van Gogh, Pablo Picasso e Gerhard Richter, mostrando, in linea con la Collezione Cerruti, un'idea di collezionismo che attraversa epoche e stili diversi.

Alla partenza dell'opera di Amedeo Modigliani corrisponde l'arrivo nelle sale di Villa Cerruti del dipinto di Claude Monet, La Falaise et la Porte d'Aval, 1885, olio su tela, 65 x 81 cm, del Museum Barberini. La presenza a Villa Cerruti di un'importante opera di Monet, artista mai acquistato da Cerruti, integra l'interesse dimostrato dal collezionista per il movimento impressionista, che negli anni si è manifestato con l'acquisizione di opere di Alfred Sisley, Pierre-Auguste Renoir, Paul Cézanne e dell'italiano Federico Zandomeneghi.

Claude Monet è annoverato tra i più grandi protagonisti della rivoluzione impressionista francese, di cui fu probabilmente lo spirito più risoluto, prolifico e coerente. Per tutta la vita rimase fedele agli innovativi principi del movimento, per esempio dipingendo sempre en plein air - all'aria aperta - e praticando una pittura di paesaggio fatta di piccoli tocchi di colore e di rapide pennellate che, evitando una rappresentazione dettagliata del reale, era in grado, invece, di cogliere a pieno i mobili riflessi della luce del sole sull'acqua e di trasformare la solidità di una scogliera in una massa fluida d'impressioni vibranti.

Infaticabile, Monet viaggiava armato di pennelli per catturare le variazioni atmosferiche, il mutare dei cieli e delle nuvole, lavorando sul motivo in serie divenute celebri, dalla cattedrale di Rouen ai covoni, ai pioppi, fino a questa scogliera. La casa di Giverny in Normandia, nella quale si trasferì nel 1883, si trasformò negli anni della vecchiaia in un paradiso privato, un esclusivo giardino d'acqua con ninfee e un ponte giapponese pensato per i suoi occhi stanchi, ormai minacciati dalla cecità.

Il dipinto La Falaise et la Porte d'Aval di Monet, scelto per la casa-museo di Rivoli, è stato realizzato alla metà degli anni ottanta dell'Ottocento, periodo in cui l'artista viaggiò intensamente visitando più volte le coste settentrionali della Francia e, in particolare, la località di Étretat, in Normandia, famosa per le sue spettacolari scogliere e il caratteristico arco in pietra naturale della Porte d'Aval. Di tutte le regioni visitate in quel periodo, la costa normanna, con le sue località balneari, fu senza dubbio quella che affascinò maggiormente l'artista.

Fu durante un'escursione a Étretat al principio del 1883 che, di fronte alle drammatiche formazioni rocciose della Porte d'Aval, Monet iniziò a interessarsi al motivo della falesia, traendo ispirazione, inoltre, dal precedente di Gustave Courbet (Ornans, 1819 - La Tour-de-Peilz, 1877) La Falaise d'Étretat après l'orage, 1870, opera ben accolta dalla critica al Salon di Parigi del 1870 e oggi conservata al Musée d'Orsay di Parigi. Monet scriveva, infatti, alla futura moglie Alice Hoschedé: «Voglio dipingere un grande quadro delle scogliere di Étretat, anche se è piuttosto audace da parte mia farlo dopo Courbet, che lo ha fatto in modo così mirabile; ma cercherò di farlo in modo diverso».

Monet dedicò alla falesia di Étretat svariati dipinti, tutti realizzati tra il 1883 e il 1885, nei quali scelse di variare metodicamente non solo l'ora del giorno e le condizioni meteorologiche della ripresa, ma anche il punto di osservazione. Étretat fu anche il luogo in cui Monet conobbe lo scrittore Guy de Maupassant (Tourville-sur-Arques, 1850 - Parigi, 1893), che in seguito tracciò un folgorante ritratto dell'artista:

«Ho seguito spesso Monet alla ricerca di "impressioni", ma in verità, egli non era ormai più un pittore, ma un cacciatore. Camminava, seguito da alcuni bambini che portavano le sue tele [...]. Le prendeva o le lasciava, seguendo ogni mutamento del cielo e aspettava, spiava il sole e le ombre, catturava con qualche colpo di pennello il raggio a perpendicolo o la nube vagante e, eliminato ogni indugio, li trasferiva rapidamente sulla tela. L'ho visto cogliere così una cascata scintillante di luce sulla scogliera bianca e fissarla con un profluvio di toni gialli che rendevano in modo strano l'effetto sorprendente e fugace di quel riverbero inafferrabile e accecante. Un'altra volta prese a piene mani un temporale abbattutosi sul mare e lo gettò sulla tela. Ed era davvero la pioggia che aveva dipinto, nient'altro che la pioggia che penetrava le onde, le rocce e il cielo appena individuabili sotto quel diluvio».

In La Falaise et la Porte d'Aval del Museum Barberini, lo sguardo dell'osservatore si muove, lungo una traiettoria a forma di arco, dalle scogliere illuminate dal sole in primo piano a sinistra verso il centro della composizione. Una materica pennellata di rosa intenso segna la breccia nella scogliera e crea un suggestivo accento cromatico, sottilmente echeggiato dai riflessi che si propagano sulla superficie dell'acqua. Come nella maggior parte delle tele dedicate alla costa atlantica, anche in questo caso il pittore ha scelto una scena deserta, priva di esseri umani, in modo da evocare un sentimento assoluto di contemplativa osservazione della natura.

Se nel dipinto di Courbet gli elementi erano chiaramente tracciati e resi figurativamente nel dettaglio, la tela di Monet si caratterizza per la pennellata sciolta e la resa degli effetti luminosi cangianti tipiche della sua produzione impressionista degli anni ottanta del XIX secolo. Questo movimento verso una sempre maggiore libertà espressiva, accompagnato da un progressivo distacco dal figurativo, si compirà in pieno nelle ultime tele del pittore, quelle che ormai anziano, nei primi decenni del Novecento, dedicherà alle ninfee del giardino di Giverny.

Il dipinto è appartenuto al cantante lirico parigino Jean-Baptiste Faure (Moulins, 1830 - Parigi, 1914), tra i più importanti e primi sostenitori degli impressionisti, che lo acquistò nel 1886 direttamente dall'artista, per poi passare, agli inizi del nuovo secolo, alla galleria Durand-Ruel di Parigi. Dopo essere transitato in alcune collezioni parigine, negli anni settanta del Novecento fu acquisito da una raccolta privata statunitense. L'ingresso nella collezione di Hasso Plattner avvenne nel 2010. (Comunicato ufficio Stampa Castello di Rivoli)

Immagine:
Claude Monet, La Falaise et la Porte d'Aval, 1885, olio su tela cm 65x81




Premiazione URBAN Photo Awards 2023 I vincitori della 14. edizione di URBAN Photo Awards 2023
www.urbanphotoawards.com

La fotografa russa Natalya Saprunova con lo scatto Going to save themselves from the abnormal heat è la Vincitrice Assoluta di URBAN Photo Awards 2023, scelta dal presidente della giuria Alec Soth tra i primi classificati delle quattro categorie Streets, People, Spaces and Creative della sezione Foto Singole. La Vincitrice è stato annunciata e premiato dal vivo durante la cerimonia degli URBAN Photo Awards, sabato 28 ottobre presso l'Auditorium del Museo Revoltella di Trieste, nell'ambito della decima edizione del Festival Internazionale di Fotografia Urbana Trieste Photo Days 2023. Secondo Alec Soth, "lo scatto di Natalya è l'esempio perfetto di come la ricerca della perfezione tecnica diventi un ostacolo quando si tratta di giudicare l'arte".

Il vincitore della sezione Projects & Portfolios è The Post-industrial Rust Belt, del fotografo americano Andrew Borowiec. Il progetto di Andrew racconta il degrado e la desolazione della ruggine post-industriale in America, il territorio che fu il cuore industriale americano e che si estende dallo stato di New York alle sponde del lago Michigan, a ovest e negli Appalachi a sud del fiume Ohio, in costante declino dagli anni '80. The Post-industrial Rust Belt è stato scelto da Jérôme Sessini, che ha dichiarato: "Ho scelto il lavoro di Andrew perché mi sembra il lavoro più riuscito, tecnicamente e giornalisticamente. Vedo l'impegno del fotografo, la sua giusta distanza e il suo rifiuto dei soliti espedienti per cercare di sedurre il pubblico".

Kadir van Lohuizen, giurato designato della sezione URBAN Book Award, ha premiato CAFUNÉ del fotografo spagnolo Rafael Fabrés. Il nuovo premio URBAN Press Award è stato vinto dall'autore polacco Krzysztof Bednarski con il suo progetto Parisian Night Stories. Il vincitore del premio URBAN Press Award sarà selezionato e pubblicato dalla migliore stampa specializzata nel campo della fotografia. Il vincitore riceverà un premio internazionale e importanti opportunità di branding e promozione. Il fotografo tedesco Martin Wacker è il vincitore del Premio Speciale Icons of Architecture offerto da Matrix4Design, con la foto Bierpinsel. Premiati anche gli autori selezionati per le mostre-premio al Civico Museo Sartorio (Alain Schroeder, Andrea Bettancini, Giovanni Sacco e Martina D'Agresta) e al Museo di Parenzo in Croazia (Francesco Aglieri Rinella).

Il 2023 è stato anche anno di novità e ampliamento per URBAN Photo Awards che vede la nascita di URBAN Photo Arena, la nuova sezione dedicata ai giovani talenti della fotografia under 35. URBAN Photo Arena è l'evoluzione di Trieste Photo Young e ha come obiettivo scoprire, supportare e premiare i giovani fotografi, offrendo loro un prestigioso spazio espositivo durante il festival internazionale Trieste Photo Days. Il vincitore di questa prima edizione di URBAN Photo Arena è il fotografo francese Romain Miot con la sua foto Becoming an Adult. (Comunicato stampa)




Hayez. L'officina del pittore romantico
17 ottobre 2023 - 01 aprile 2024
GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea - Torino
www.gamtorino.it

Arte, storia e politica si intrecciano nella grande mostra dedicata al genio romantico di Francesco Hayez (Venezia 1791 - Milano 1882), accompagnando il pubblico alla scoperta del mondo dell'artista, nell'officina del pittore, per svelarne tecniche e segreti. Un percorso originale che pone a confronto dipinti e disegni, con oltre 100 opere provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private cui si aggiungono alcuni importanti dipinti dell'artista custoditi alla GAM, come il Ritratto di Carolina Zucchi a letto (L'ammalata) e l'Angelo annunziatore.

L'esposizione, a cura di Fernando Mazzocca ed Elena Lissoni, è organizzata in collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Brera, da cui proviene un importante nucleo di circa cinquanta disegni e alcuni tra i più importanti dipinti, molti dei quali si trovavano nello studio del pittore, per quarant'anni professore di pittura all'Accademia. Oltre alle opere inedite o poco viste, si potranno ammirare in mostra alcuni dei capolavori più popolari, come La Meditazione dei Musei Civici di Verona - Galleria d'Arte Moderna Achille Forti e l'Accusa segreta dei Musei Civici del Castello Visconteo di Pavia, cui è accostato Il Consiglio alla Vendetta, prestigioso prestito proveniente da Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz-Vienna.

Attraverso dieci sezioni in successione cronologica, il percorso espositivo inizia dagli anni della formazione tra Venezia e Roma, dove Hayez ha goduto della protezione e dell'amicizia di Canova, fino alla prima affermazione a Milano e alle ultime prove della maturità. Una speciale sezione focus è dedicata ai disegni per la Sete dei Crociati, la sua opera più ambiziosa e impegnativa, che il pittore aveva programmato come il suo capolavoro, eseguita tra il 1833 e il 1850 e destinata al Palazzo Reale di Torino, dove si può ancora ammirare. La mostra rievoca l'intensa vicenda biografica e il percorso creativo dell'artista, indiscusso protagonista del Romanticismo.

"Pittore civile", interprete dei destini della nazione italiana, capace di estendere il respiro della sua pittura dalla storia all'attualità politica, è stato anche tra i più grandi ritrattisti di tutti i tempi, che ha saputo interpretare con la sua produzione lo spirito della propria epoca. Cantore della bellezza, dell'amore e dei valori risorgimentali, nella sua lunga vita è stato protagonista di cambiamenti epocali, testimoniando il passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo. Celebrato da Giuseppe Mazzini come vate della nazione, ha condiviso con Manzoni e Verdi gli stessi ideali stringendo con loro un rapporto unico, di amicizia e di intesa culturale. L'Italia risorgimentale si è riconosciuta nel suo linguaggio, che ancora oggi riesce a comunicare sentimenti e valori universali, anche attraverso una dimensione civile che attualizza la storia.

La novità di questa mostra sta nel mettere in rapporto per la prima volta i dipinti e i disegni, che ci consentono di ricostruire e di comprendere il suo procedimento creativo, introducendoci nel suo atelier. Nell'opera di Hayez, che si considerava l'ultimo rappresentante della grande tradizione della pittura veneta e che si era formato sullo studio di Tiziano e dei pittori veneziani del Quattro e del Cinquecento, il disegno può sembrare a una prima analisi secondario rispetto al colore. I suoi contemporanei rimanevano colpiti dal suo particolare modo di procedere basato sull'estro del momento, con continui ripensamenti, anche e soprattutto in corso d'opera, che in molti casi sono riconoscibili persino ad occhio nudo. L'eccellenza e la singolarità di questa tecnica costituiscono il fascino e la forza di una pittura ammirata sia dal pubblico che dalla critica.

Ma di Hayez si conoscono anche centinaia di disegni - la maggior parte dei quali conservati all'Accademia di Belle Arti di Brera - il più delle volte tracciati con un gesto rapido e immediato, quasi fossero appunti visivi da impiegare poi nella creazione delle composizioni, e solo in rarissime occasioni riportati dettagliatamente nelle grandi dimensioni per la successiva traduzione su tela. Oltre agli "schizzi, pensieri fermati rapidamente, studi" sopra citati, che costituiscono un'eccezionale testimonianza del metodo di lavoro del pittore, l'artista ha lasciato una raffinatissima produzione di d'après: disegni e acquerelli che riproducono fedelmente alcune delle sue opere più celebri - verosimilmente destinati in dono ai collezionisti più affezionati - e che hanno costituito un formidabile strumento di diffusione delle sue invenzioni.

"Francesco Hayez, testimone da bambino della caduta dell'antica Repubblica, ha trascorso quasi tutta la vita e ha raggiunto il suo successo a Milano, dove è scomparso nel 1882, carico di anni e di gloria come un novello Tiziano, il pittore cui amava paragonarsi. Nella sua lunghissima vita, quasi un secolo, è stato dunque protagonista di cambiamenti epocali, testimoniando il passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo, di cui è stato uno dei creatori, alle nuove istanze realistiche affermatesi dopo l'Unità d'Italia.

Non solo per la sua arte, ma anche per le idee politiche è da considerarsi, insieme a Manzoni e Verdi, tra i Padri della Patria. Fondamentale è stata la sua formazione a Roma con Canova, che lo ha sostenuto con la convinzione che diventasse l'artista capace di riportare la pittura italiana alla sua grandezza perduta, così come lui aveva fatto in scultura. Questo merito gli è stato riconosciuto dai suoi maggiori sostenitori, come Stendhal che lo considerò 'il maggiore pittore vivente' e Mazzini che lo consacrò come l'interprete delle aspirazioni nazionali.

La sua è stata una vita eccezionale sia dal punto di vista personale, essendosi riscattato dalle umilissime origini e dall'abbandono da parte della sua famiglia, sia sul versante di una strepitosa carriera che lo ha visto dialogare con i grandi artisti del suo tempo, cultori, letterati e musicisti. I suoi moltissimi amori e un grande slancio vitale sono documentati dalla sua pittura che ha espresso una serie di valori universali, celebrando la bellezza femminile e la forza dell'amore, come nella serie dedicata a Giulietta e Romeo" - commenta il curatore Fernando Mazzocca. La mostra è accompagnata dal catalogo "Hayez. L'officina del pittore romantico" edito da 24 Ore Cultura, disponibile presso il bookshop della mostra, nelle librerie e online. (Comunicato stampa)




Locandina della rassegna fotografica URBAN Photo Awards Martin Wacker vince il premio speciale "Icons of Architecture"
www.urbanphotoawards.com

Il fotografo tedesco Martin Wacker, con il suo scatto Bierpinsel, è il vincitore del premio speciale "Icons of Architecture" 2023, promosso per il quarto anno di fila da URBAN Photo Awards in partnership con il magazine digitale di architettura e design Matrix4Design. Il premio è un'evoluzione del precedente "New Buildings", ed è dedicato agli iconici edifici capolavori d'architettura che hanno cambiato il volto delle grandi città.

Ecco le parole del fondatore di Matrix4Design Andrea Boni, nel motivare la scelta per la foto vincitrice: "Abbiamo scelto di premiare lo scatto che più degli altri ci ha disorientato, mettendo alla prova la nostra capacità di individuare e capire prospettive, orientamenti e angoli di luce. L'autore ha radicalmente reinterpretato il punto di vista sull'edificio, "spegnendo" i colori che oggi lo identificano e riportandolo alle sue originarie tonalità di chiaro e scuro."

Martin Wacker verrà premiato insieme agli altri vincitori degli URBAN Photo Awards sabato 28 ottobre 2023 durante la Cerimonia di Pemiazione del Trieste Photo Days festitval. Nel frattempo, la mostra collettiva dei 10 finalisti sarà visitabile fino al 24 ottobre 2023 presso lo Showroom CRISTINA Brera a Milano. In mostra le foto di: Claudia Alberti, David Boam, Dorota Yamadag, Ingrid Gielen, Maria Cristina Pasotti, Maria Grazia Castiglione, Martin Wacker, Simone Cioci, Vincent Belin, Wael ElHammamy. Linaugurazione può essere rivisto sul canale youtube di Matrix4Design. (Comunicato stampa)




Locandina della mostra sulla Eurasia Trad u/i zioni d'Eurasia
Frontiere liquide e mondi in connessione
Duemila anni di cultura visiva e materiale tra Mediterraneo e Asia Orientale


05 ottobre 2023 - 01 settembre 2024
Museo d'Arte Orientale - Torino

Terzo esito del ciclo espositivo Frontiere liquide e mondi in connessione, la mostra mette in luce il ruolo cruciale dell'Asia e del Mediterraneo quale fulcro di traduzione culturale e luogo di connessione, negoziazione e costante riproposizione. La mostra, a cura di Nicoletta Fazio, Veronica Prestini, Elisabetta Raffo e Laura Vigo, esplora i concetti di traduzione, trasposizione e interpretazione culturale snodandosi attraverso una selezione di oggetti provenienti dall'Asia occidentale, centrale e orientale che permettono di interrogarsi su fenomeni quali la circolazione materiale e immateriale, le modalità di trasformazione del significato e la fruizione avvenute tra Asia ed Europa nel corso di duemila anni di storia.

Indagando la migrazione di idee, forme, tecniche e simboli, in un dialogo aperto e inclusivo la mostra mira a evidenziare la reciprocità osmotica tra continenti e mari, per creare nuove narrazioni della cultura visiva e materiale che siano puntuali e relative piuttosto che universalizzanti e generiche. L'approccio scientifico riflette anche la percezione sensoriale della materialità: sul modo in cui questi oggetti sono stati visti, percepiti e desiderati per la loro allure visiva e peculiarità cromatica - a partire dall'oro e dal blu - o per il fascino delle loro superficie, dato dalle qualità riflettenti, splendenti o trasparenti.

Lungi dal voler raggiungere l'esaustività, la mostra presenta una selezione di manufatti che offrono alternative al paradigma eurocentrico dell'eccellenza artistica, riaffermando il ruolo cruciale svolto dall'Asia centrale nella creazione e nella trasmissione di idee su scala globale. Vitale per questo fenomeno di contaminazione reciproca è il mar Mediterraneo, inteso come spazio intermedio, creatore di confini ma anche fenomenale catalizzatore di esplorazioni e contatti: una frontiera liquida dove i continenti convergono, le espressioni artistiche e i fenomeni culturali sono costantemente reinventati.

La mostra sarà suddivisa in aree tematiche con una particolare attenzione al colore - blu, rosso e oro - e alla materia - ceramica, tessuti, metalli, carta e pigmenti coloranti. Lungo il percorso espositivo, i visitatori potranno ammirare tra l'altro splendide sete provenienti dall'antica regione della Sogdiana, in Asia Centrale, snodo di numerose vie carovaniere, ceramiche bianche e blu prodotte tra il Golfo Persico e la Cina, una raffinata selezione di "panni tartarici", preziose stoffe d'oro e di seta del XIII secolo prodotte tra Iran e Cina durante la dominazione mongola, ammirate dall'aristocrazia medievale e dall'alto clero d'Europa, rari esemplari di tiraz (Egitto, X secolo), tessuti con iscrizioni ricamate che evidenziano l'importanza della calligrafia in ambito islamico, e una serie di bruciaprofumi zoomorfi in metallo (Iran, IX-XIII secolo), a ribadire la centralità delle essenze nelle società islamiche medievali.

Il progetto si avvale di numerosi prestiti provenienti da importanti collezioni e istituzioni italiane, che sottolineano e valorizzano la presenza sul territorio nazionale di una storia multiculturale condivisa: accanto a oggetti dell'Asia Centrale della collezione del MAO troveranno spazio tessuti, ceramiche e miniature raramente esposti della Fondazione Bruschettini per l'Arte Islamica e Asiatica, metallistica khorasanica della Aron Collection e importanti prestiti dal Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, dalla Chiesa di San Domenico di Perugia, dal Museo delle Civiltà di Roma, dalla Galleria Sabauda - Musei Reali e da Palazzo Madama di Torino.

Intesa come piattaforma organica di studio e ricerca, la mostra si trasformerà gradualmente nel corso dell'anno attraverso la rotazione di diverse opere e l'introduzione di nuove tematiche e stimoli percettivi, con nuove commissioni e installazioni di artisti contemporanei; sarà inoltre arricchita da una serie di conferenze e da un public program musicale e performativo. In aggiunta, indispensabile per la comprensione delle diverse sezioni della mostra, sarà pubblicato un booklet di approfondimento distribuito gratuitamente, secondo la formula ormai consolidata del MAO e fortemente apprezzata dal pubblico, con testi a cura del team curatoriale e contributi esterni di Yuka Kadoi, Maria Ludovica Rosati e Mohammad Salemy.

Come già accaduto per i precedenti progetti espositivi del MAO, anche la mostra Trad u/i zioni d'Eurasia propone un dialogo tra opere antiche e contemporanee. L'artista internazionale Yto Barrada (franco-marocchina, nata nel 1971 a Parigi) collega la sua pratica all'attività museologica. La sua installazione site-specific si svilupperà gradualmente nel corso di un anno di esposizione, offrendo nuove potenziali riflessioni sul colore e sulla materialità delle opere esposte a partire dal libro di Emily Noyes Vanderpoel (1842-1939) Color Problems: A Practical Manual for the Lay Student of Color, pubblicato all'inizio del XX secolo, che analizza la proporzione di colore derivata da oggetti come piastrelle assire, tappeti persiani, la cassa di una mummia egizia e persino una tazza da tè e un piattino.

Il progetto di Yto Barrada è realizzato in collaborazione con la Fondazione Merz, dove l'artista realizzerà una mostra personale nell'autunno 2024. Yto Barrada è la vincitrice della quarta edizione del Mario Merz Prize, premio biennale istituito nel 2013 con l'intenzione di individuare e sostenere personalità nel campo dell'arte e della musica contemporanea in ambito internazionale. Nella mostra troveranno spazio anche le opere Mosadegh (2023) dell'artista iraniana Shadi Harouni, che utilizza la parola scritta per connettere la storia del suo Paese con l'esperienza universale legata alla perdita, alla repressione, alla guarigione e all'audacia, e l'installazione immersiva Shimmering Mirage (Black), 2018 di Anila Quayyum Agha.

Chiude il percorso una sezione editoriale a cura di Reading Room, spazio milanese dedicato alla diffusione e comprensione delle riviste contemporanee, con una selezione di pubblicazioni, zines e libri d'artista che propongono un approfondimento su alcune delle tematiche affrontate in mostra quali la trasparenza, il colore, l'artigianalità. Grazie alla convenzione con L'Istituto dei Sordi di Torino, i contenuti della mostra saranno disponibili in LIS Lingua dei Segni italiana e in versione audio. (Estratto da comunicato stampa)

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Ori dei Cavalieri delle Steppe
Sciti | Cimmeri | Sarmati | Unni | Avari | Goti
Mostra di oggetti dei popoli tra Danubio e Asia dal 1000 a.C al XIII d.C.


01 giugno - 04 novembre 2007
Castello del Buonconsiglio - Trento
Presentazione




Il restauro di 342 lettere autografe di Michelangelo Buonarroti
www.casabuonarroti.it

Nessuno tra gli artisti del Rinascimento ci è tanto noto e familiare come Michelangelo. Sappiamo cosa mangiava, come si curava, quanto spendeva per gli abiti. ma possiamo anche seguirlo nei suoi momenti di meditazione, nei suoi slanci di generosità, nei suoi accessi d'ira, nelle sue paure. Tutto questo è stato possibile grazie alla spiccata attitudine di Michelangelo alla conservazione, quasi maniacale, di ogni documento che riguardasse la sua quotidianità: contratti, lettere ricevute, minute delle lettere inviate, bozze di poesie, conti della spesa.

L'enorme mole di carte da lui raccolte nel corso della lunga vita fu devotamente custodita dai suoi discendenti, andando a costituire il nucleo fondamentale dell'archivio familiare, che lungo i secoli si accrebbe con documenti di altri membri, fino ad arrivare alla notevole consistenza di 169 volumi e oltre 25.000 carte. Una delle sezioni più preziose dell'archivio è indubbiamente costituita dalle lettere di sua mano, sia minute di lettere inviate ai personaggi più vari del suo tempo (da papa Clemente VII alla regina di Francia Caterina de' Medici, dalla poetessa Vittoria Colonna allo storico Benedetto Varchi, dal pittore Sebastiano del Piombo a Giorgio Vasari).

Considerando l'importanza e la fragilità di queste carte, l'Associazione degli Amici della Casa Buonarroti - nelle persone di Elisabetta Archi e Antonio Paolucci - hanno pensato di sottoporre un progetto di restauro all'Ente Cambiano scpa, che con grande slancio l'ha accolta e sostenuta con generosa e lungimirante sensibilità. Nell'occasione si potranno vedere le carte restaurate che poi verranno riposizionate e custodite nell'Archivio di Casa Buonarroti. L'Archivio Buonarroti consta di 169 volumi tutti manoscritti, attraverso i quali è possibile ricostruire la storia dei Buonarroti dagli antenati di Michelangelo fino all'ultimo discendente diretto della famiglia che nel 1859 decise di lasciare la Casa e il patrimonio raccolto al suo interno alla città di Firenze. (Estratto da comunicato ufficio stampa Fondazione Casa Buonarroti - CSC Sigma)




Fotografia che ritrae la scultrice Regina Cassolo Bracchi Nasce l'Archivio Regina
www.archivioregina.it

Dopo la prima grande retrospettiva museale italiana presentata alla GAMeC di Bergamo nel 2021, in seguito alla parallela acquisizione da parte del Centre Pompidou di Parigi di un significativo nucleo di opere dell'artista e dopo essere tornata protagonista nel 2022 in occasione della 59. Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, l'eredità intellettuale di Regina Cassolo Bracchi (Mede 1894 - Milano 1974) trova rappresentanza nell'associazione a lei intitolata, denominata "Archivio Regina Cassolo Bracchi", a Milano.

Fondato per iniziativa di Gaetano e Zoe Fermani, con il supporto scientifico di Paolo Campiglio, Chiara Gatti e Lorenzo Giusti, l'Archivio Regina è un'associazione culturale nata per studiare, catalogare e promuovere l'arte di Regina Cassolo Bracchi a livello italiano ed estero, curando la tutela del suo nome, della sua produzione artistica e della documentazione a essa riferita, tramite la certificazione e l'archiviazione della sua opera generale, oltre alla realizzazione di un catalogo ragionato.

Regina Cassolo Bracchi è stata la prima scultrice dell'avanguardia storica italiana. Fu futurista negli anni della formazione e astrattista radicale nella piena maturità. È stata la prima donna del Novecento italiano a utilizzare materiali sperimentali, come latta, alluminio, filo di ferro, stagno, carta vetrata. E anche la prima artista in Italia ad appendere nell'aria geometrie fluttuanti fatte di frammenti plastici, Plexiglass, perspex o rhodoid. Innovativa nei modi e nelle intuizioni, sosteneva che il progetto e l'idea fossero superiori, nella loro originalità larvale, all'opera finita. «Scelgo temi di tale semplicità, costruzioni talmente elementari che potrebbero essere riprodotte da chiunque in base ad una mia esatta descrizione».

Eppure la storia l'aveva dimenticata. Come molte donne dell'arte di inizio secolo, Regina era rimasta ai margini dei manuali. Un caso femminile all'ombra dei maestri, seppure il suo nome comparisse in calce ai manifesti del Futurismo (firmò nel 1934 il Manifesto tecnico dell'aeroplastica futurista) e sebbene sia stata notata da André Breton e da Léonce Rosenberg che, dopo un incontro parigino nel 1937, le propose un contratto con la sua galleria, cui lei rinunciò per tornare in Italia. La critica ha spesso distrattamente omesso la sua presenza dalle cronache, nonostante Regina avesse avuto un ruolo di punta quale unica donna del MAC italiano, il Movimento Arte Concreta (fondato nel 1948), sempre attiva nei contatti con la direzione del gruppo francese "Espace" (nato nel 1951). La sua mente teorica animò, infatti, la vivacità culturale del secondo dopoguerra, coinvolta nel dibattito artistico dall'amico Bruno Munari che la conobbe al tempo dell'avventura futurista e la volle poi al suo fianco nel mondo dell'arte concreta.

Impegnato nel regesto del corpus completo delle opere di Regina Cassolo Bracchi, fra sculture, disegni, maquette, taccuini, l'Archivio Regina lancia un appello per censire esemplari a oggi non conosciuti o non catalogati, al fine di costituire un database offerto in consultazione a studiosi e studenti, in vista di una sempre maggiore e approfondita conoscenza e divulgazione della ricerca dell'artista. L'Archivio Regina è costituito dal lascito dell'artista a Gaetano e Zoe Fermani, membri del comitato scientifico accanto a Paolo Campiglio, docente di Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università degli Studi di Pavia, Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC di Bergamo, e Chiara Gatti, direttrice del MAN di Nuoro.

Fra i prossimi appuntamenti internazionali che vedranno la presenza di Regina, si segnalano sin da ora: il nuovo allestimento del Centre Pompidou di Parigi che riserverà una sala del percorso alla vicenda del gruppo MAC e del suo gemellaggio con il gruppo francese "Espace", partendo proprio dalle opere di Regina giunte recentemente in collezione e la pubblicazione, a cura di Alessandro Giammei e Ara Merjian, del volume monografico dedicato alla scultura moderna in Italia, Fragments of Totality, edito da Yale University Press. (Comunicato stampa)




Locandina per la presentazione dello archivio Ray Johnson Nasce in Italia l'archivio online dell'artista pre-pop americano Ray Johnson

Aperto permanentemente alla consultazione dal 13 gennaio 2023
Sandro Bongiani Arte Contemporanea - Salerno
www.sandrobongianivrspace.it

Dopo l'Archivio "Ray Johnson Estate" di New York, nasce in Italia "Ray Johnson Archivio Coco Gordon", archivio online del grande artista pre-pop Ray Johnson, uno dei più influenti artisti americani contemporanei accessibile ora nella startup Sandro Bongiani Arte Contemporanea con una raccolta ragionata di materiali inediti per tutti gli studiosi e per chi intende conoscerlo meglio. In questa piattaforma web é possibile consultare una parte considerevole di opere, foto dell'artista, performances, e testi scritti di Ray Johnson degli anni 1970-1995, che grazie alla collaborazione di Coco Gordon in oltre 25 anni di assidua frequentazione ha raccolto e conservato, ora finalmente pubblicati online.

Oggi, nell'era del Web e del sapere stratificato, la raccolta dell'archivio digitale Ray Johnson di Coco Gordon conserva e diffonde il sapere rispondendo a esigenze specifiche di consultazione dei materiali visivi archiviati assolvendo alla fondamentale funzione di conservazione, selezione e accessibilità dei dati che diventano l'oggetto primario di attenzione e consultazione da parte dello studioso d'arte. Uno strumento necessario e utile che svolge la doppia funzione di rendere accessibile il patrimonio e conservarlo correttamente senza esporlo a imprevedibili rischi. L'Archivio Ray Johnson comprende un ampia raccolta di materiali tra cui, ma non solo, corrispondenza, mail art, collage, fotografie documentarie, oggetti e cimeli. Un ringraziamento speciale va all'artista Coco Gordon e ai diversi collaboratori che hanno contribuito a realizzare la sezione del sito web dedicato a Ray Johnson. (Sandro Bongiani)

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea nata come spazio culturale no-profit, vuole mettere in discussione il proprio ruolo di spazio culturale indipendente sostenendo nuovi modi di interagire con il pubblico e attivando nuove forme di partecipazione e di coinvolgimento con presenze e progetti interattivi che possano essere condivisi in tempo reale con il maggior numero di utenti in qualsiasi parte del mondo. A distanza di 60 anni dalla nascita della Mail Art (1962) e a 50 anni esatti (1972) dalla prima e unica mostra in Italia di Ray Johnson presso la Galleria Schwarz a Milano con una presentazione di Henry Martin, noi della Sandro Bongiani Arte Contemporanea di Salerno abbiamo dedicato quasi un intero anno di lavoro a Ray Johnson con cinque mostre interattive e un progetto internazionale svolte da aprile fino a novembre 2022, in contemporanea con la 59 Biennale Internazionale di Venezia 2022.

Inoltre, a 27 anni esatti dalla scomparsa di Ray Johnson (13 gennaio 1995), è stata realizzata catalogazione e la digitalizzazione online di tutte le opere di Ray presenti nell'Archivio Coco Gordon di Colorado USA, con oltre 780 documenti tra opere e foto inedite dell'artista americano, testi, inviti, lettere, opere e riflessioni con i relativi commenti di Coco Gordon, memorial e collaborazioni, cronologia degli eventi e testi critici di Sandro Bongiani, archiviati, ognuna per codice numerico per essere più facilmente consultata, in una utile e significativa presentazione interattiva destinata ad essere conosciuta e valorizzata da parte degli studiosi per opportuni studi e approfondimenti sul lavoro innovativo svolto da questo importante artista pre-pop americano.

L'Archivio Ray Johnson, a completamento dell'attività in corso, viene presentato ufficialmente e reso visibile permanentemente il 13 gennaio 2023, (giorno e mese della sua scomparsa), nella startup web sandrobongianivrspace.it, che si affianca con orgoglio e per importanza all'Archivio americano "Ray Johnson Estate" di New York. Tutto ciò ci sembra un chiaro esempio di come si può relazionare con l'arte contemporanea in modo creativo e produrre nuova cultura. (Sandro Bongiani)

Ray Johnson (1927-1995) è stato un personaggio chiave nel movimento della Pop Art. Primariamente un collagista, è stato anche un precoce performer e un artista concettuale. Definito nei primi tempi "Il più famoso artista sconosciuto di New York", è considerato uno dei padri fondatori e un pioniere dell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. In scena negli anni ' 60, il suo lavoro e il modo in cui che ha deciso di distribuirlo ha influenzato il futuro dell'arte contemporanea. Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, Johnson ha frequentato il Black Mountain College sperimentale con Robert Rauschenberg e Cy Twombly. Ray Johnson era un artista americano noto per la sua pratica innovativa di Correspondence Art. 

Una pratica basata su collage, il suo lavoro combina fotografia, disegno, performance e testo su distanze geografiche, attraverso la spedizione della posta. I progetti di Johnson includevano prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini psichici. "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente", ha detto l'artista. I suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina.

Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. nel 1948, trascorse un po' di tempo creando arte astratta e poi approdando al Dada con suoi collage che incorporano frammenti di fumetti, pubblicità e figure di celebrità. Johnson spesso rifiutava di partecipare a mostre in galleria e ha preferito creare  una rete di corrispondenti di mailing e un nuovo modo di fare arte. Questo metodo di diffusione dell'arte divenne noto come la corrispondenza School di New York e ampliato per includere eventi improvvisati e cene. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art.

Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo insieme  la pratica artistica con la vita. Nel 1995 Ray Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Le circostanze in cui è morto sono ancora poco chiare. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny,  ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art.  In questi ultimi anni tutto il suo lavoro sperimentale è stato rivalutato dalla critica come anticipatore della Pop Art e persino dell'arte comportamentale americana.

- Presentazione di 781 documenti in 11 sezioni e 34 box
Dynamic vision of the interactive itinerary Slide Show, durata 54 minutes
www.sandrobongianivrspace.it/ray-johnson-coco-gordon




Bandiera della Grecia Particolare della Statua della Dea Atena Bandiera della Sicilia Potrà restare per sempre ad Atene il Fregio del Partenone proveniente dalla Sicilia

Il governo della Regione Siciliana, con delibera di Giunta, ha dato il proprio consenso alla cosiddetta "sdemanializzazione" del bene, cioè l'atto tecnico che si rendeva necessario per la restituzione definitiva del frammento. Dallo scorso 10 gennaio, il frammento si trova già al Museo dell'Acropoli di Atene, dove nel corso di una cerimonia, a cui ha preso parte il Premier greco Kyriakos Mitsotakis, è stato ricongiunto al fregio originale.

In base all'accordo, a febbraio da Atene è arrivata a Palermo un'importante statua acefala della dea Atena, databile alla fine del V secolo a.C., che ha già riscosso notevole successo di visitatori e che resterà esposta al Museo Salinas per quattro anni; al termine di questo periodo, giungerà un'anfora geometrica della prima metà dell'VIII secolo a.C. che potrà essere ammirata per altri quattro anni nelle sale espositive del museo archeologico regionale. (Estratto da comunicato ufficio stampa Studio Esseci)

Presentazione




Locandina tedesca del film Metropolis Archivi tematici del XX secolo
Galleria Allegra Ravizza - Lugano
www.allegraravizza.com

Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizione di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva. La cultura è come il rumore, per citare John Cage (Los Angeles, 1912- New York, 1992): "Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina" (J. Cage, "Silenzio", 1960). Il rumore della cultura è imprescindibile e continuo in ogni aspetto della nostra vita. (...) Ma quando lo ascoltiamo, l'eco del rumore della Cultura, sentiamo che rimbalza su ogni parete intorno a noi e si trasforma per essere Conoscenza e Consapevolezza. (...) Chi ama la musica tecno, metallica e disco non può ignorare Luigi Russolo (Portogruaro, 1885 - Laveno-Mombello, 1947), probabilmente, lo dovrebbe venerare, in quanto la sua intuizione ha trasformato per sempre il Rumore. (...)

In questa epoca dove, per naturali dinamiche evolutive del pensiero, la ragione del figlio prevale su quella dei padri, come nel Futurismo o nel '68, il desiderio di annullamento è comprensibile e necessario ma la conoscenza storica di quello che si vuole rinnovare ne è il fondamento. Per questo motivo proponiamo dodici archivi tematici con oggetto di ricerca proprio la comprensione. La troviamo adatta a questo periodo storico che ci racchiude nelle nostre stanze e ci sta cambiando profondamente. La speranza è che ci sarà un nuovo contemporaneo, forse più calmo ma più attento, una nascente maturità verso un nuovo Sincrono. Cassaforti come scatole del Sin-Crono (sincrono dal greco sýnkhronos "contemporaneo", composta di sýn "con, insieme" e khrónos "tempo") per la comprensione dell'arte dei Rumori e del teatro Futurista, della Poesia e della musica che ci hanno traghettato lungo il secolo scorso. (Estratto da comunicato stampa)

[1] J. Cage, "Silence", 1960
[2] J. Cage, "Silence", 1960
[3] For a greater understanding, see L. Russolo, Futurist manifesto "L'Arte dei Rumori", 1913
[4] Synchrony, sinkrono/ adj. [from the Greek sýnkhronos "contemporary", composed of sýn "with, together" and khrónos "time"]. - 1. [that happens in the same moment: oscillation, noun].




Locandina di presentazione del catalogo interattivo della mostra Materie Prime Artisti italiani contemporanei tra terra e luce Materie Prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce
Catalogo interattivo e multimediale


www.ferrarinarte.it/antologie/senigallia/materie_prime.html

Dopo il successo nel 2019 alla Rocca Roveresca di Senigallia (Ancona) con l'esposizione "Materie prime. Artisti italiani contemporanei tra terra e luce", a cura di Giorgio Bonomi, Francesco Tedeschi e Matteo Galbiati, e la presentazione del catalogo Silvana Editoriale al Museo del Novecento di Milano, nell'ambito di un incontro moderato da Gianluigi Colin, la Galleria FerrarinArte di Legnago (Verona) rilascia una nuova edizione del volume, completamente interattiva e multimediale, per rivivere la straordinaria esperienza della mostra attraverso le parole degli artisti e dei curatori.

Il libro, sfogliabile liberamente e gratuitamente online, si arricchisce con contenuti inediti, videointerviste e approfondimenti dedicati alla poetica dei quindici artisti coinvolti - Carlo Bernardini, Renata Boero, Giovanni Campus, Riccardo De Marchi, Emanuela Fiorelli, Franco Mazzucchelli, Nunzio, Paola Pezzi, Pino Pinelli, Paolo Radi, Arcangelo Sassolino, Paolo Scirpa, Giuseppe Spagnulo, Giuseppe Uncini e Grazia Varisco - appartenenti a diverse generazioni, ma accomunati da curricula di altissimo livello e dal lavoro condotto con e sulla materia. (Estratto da comunicato stampa CSArt Comunicazione per l'Arte)




Opera di Umberto Boccioni denominata Forme uniche della continuità nello spazio Forme uniche della continuità nello spazio
Nella Galleria nazionale di Cosenza la versione "gemella" dell'opera bronzea di Umberto Boccioni


La notizia che nei giorni scorsi, presso la casa d'aste Christie's di New York, è stato venduta l'opera bronzea di Umberto Boccioni (1882-1916) Forme uniche della continuità nello spazio per oltre 16 milioni di dollari (diritti compresi), pari a oltre 14 milioni di euro, dà, di riflesso, enorme lustro alla Galleria nazionale di Cosenza. Nelle sale espositive di Palazzo Arnone, infatti, i visitatori possono ammirare gratuitamente una versione "gemella" della preziosa opera del grande scultore reggino donata alla Galleria nazionale di Cosenza dal mecenate Roberto Bilotti. L'opera è uno dei bronzi numerati, realizzati tra il 1971 e 1972 su commissione del direttore della galleria d'arte "La Medusa" di Roma, Claudio Bruni Sakraischik.

Forme uniche della continuità nello spazio è stata modellata su un calco del 1951 di proprietà del conte Paolo Marinotti, il quale, nel frattempo, aveva ottenuto l'originale dalla vedova di Filippo Tommaso Marinetti, ritenuto il fondatore del movimento futurista. La celebre scultura è stata concepita da Boccioni nel 1913 ed è oggi raffigurata anche sul retro dei venti centesimi di euro, proprio quale icona del Futurismo che più di tutte ha influenzato l'arte e la cultura del XX secolo. Il manufatto originale è in gesso e non è stato mai riprodotto nella versione in bronzo nel corso della vita dell'autore. Quella presente nella Galleria nazionale di Cosenza, dunque, rappresenta un'autentica rarità, insieme ai tanti altri tesori artistici e storici esposti negli spazi di Palazzo Arnone. (Comunicato stampa)




La GAM Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo di Palermo insieme a Google Arts & Culture porta online la sua collezione pittorica

Disponibili su artsandculture.google.com oltre 190 opere e 4 percorsi di mostra: "La nascita della Galleria d'Arte Moderna", "La Sicilia e il paesaggio mediterraneo", "Opere dalle Biennali di Venezia" e "Il Novecento italiano". La GAM - Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo - di Palermo entra a far parte di Google Arts & Culture, la piattaforma tecnologica sviluppata da Google per promuovere online e preservare la cultura, con una Collezione digitale di 192 opere.

Google Arts & Culture permette agli utenti di esplorare le opere d'arte, i manufatti e molto altro tra oltre 2000 musei, archivi e organizzazioni da 80 paesi che hanno lavorato con il Google Cultural Institute per condividere online le loro collezioni e le loro storie. Disponibile sul Web da laptop e dispositivi mobili, o tramite l'app per iOS e Android, la piattaforma è pensata come un luogo in cui esplorare e assaporare l'arte e la cultura online. Google Arts & Culture è una creazione del Google Cultural Institute.

- La Collezione digitale

Grazie al lavoro di selezione curato dalla Direzione del Museo in collaborazione con lo staff di Civita Sicilia, ad oggi è stato possibile digitalizzare 192 opere, a cui si aggiungeranno, nel corso dei prossimi mesi, le restanti opere della Collezione. Tra le più significative già online: Francesco Lojacono, Veduta di Palermo (1875), Antonino Leto, La raccolta delle olive (1874), Ettore De Maria Bergler, Taormina (1907), Michele Catti, Porta Nuova (1908), Giovanni Boldini, Femme aux gants (1901), Franz Von Stuck, Il peccato (1909), Mario Sironi, Il tram (1920), Felice Casorati, Gli scolari (1928), Renato Guttuso, Autoritratto (1936).

- La Mostra digitale "La nascita della Galleria d'Arte Moderna"

La sezione ripercorre, dal punto di vista storico, sociale e artistico, i momenti fondamentali che portarono all'inaugurazione, nel 1910, della Galleria d'Arte Moderna "Empedocle Restivo". Un'affascinante ricostruzione di quel momento magico, a cavallo tra i due secoli, ricco di entusiasmi e di fermenti culturali che ebbe il suo ammirato punto di arrivo nell'Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92, evento chiave per la fondazione della Galleria e per le sue prime acquisizioni, le cui tematiche costituiscono la storia di un'epoca.

- La Mostra digitale "La Sicilia e il paesaggio Mediterraneo"

Un viaggio straordinario nel secolo della natura, come l'Ottocento è stato definito, attraverso le opere dei suoi più grandi interpreti siciliani che hanno costruito il nostro immaginario collettivo: dal "ladro del sole" Francesco Lojacono ad Antonino Leto, grande amico dei Florio in uno storico sodalizio artistico, per giungere al "pittore gentiluomo" Ettore De Maria Bergler, artista eclettico e protagonista dei più importanti episodi decorativi della Palermo Liberty, e infine Michele Catti, nelle cui tele il paesaggio si fa stato d'animo e una Palermo autunnale fa eco a Parigi.

- La Mostra digitale "Opere dalle Biennali di Venezia"

In anni di fervida attività espositiva, la Biennale di Venezia si contraddistinse subito come eccezionale occasione di confronto internazionale e banco di prova delle recenti tendenze dell'arte europea. Dall'edizione del 1907 presente all'evento con la sua delegazione, la Galleria d'Arte Moderna seppe riportare a Palermo opere che ci restituiscono oggi la complessa temperie della cultura artistica del primo Novecento, dalle atmosfere simboliste del Peccato di Von Stuck, protagonista della Secessione di Monaco, alla raffinata eleganza della Femme aux gants di Boldini.

- La Mostra digitale "Il Novecento italiano"

Un percorso che si snoda lungo il secolo breve e ne analizza le ripercussioni sui movimenti artistici coevi, spesso scissi tra opposte visioni e ricchi di diverse sfumature e declinazioni. Tra il Divisionismo di inizio secolo, figlio delle sperimentazioni Ottocentesche, e l'Astrattismo degli anni Sessanta, si consumano in Italia i conflitti mondiali, il Ventennio fascista, i momenti del dopoguerra. La lettura delle opere d'arte può allora funzionare come veicolo attraverso il quale comprendere le complesse evoluzioni e gli eventi cardine che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento italiano. (Comunicato stampa)




Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia Fonte Aretusa, copyright Vittoria Gallo Foto della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo Fotografia della Fonte Aretusa a Siracusa, copyright Vittoria Gallo ||| Sicilia ||| Apre al pubblico la Fonte Aretusa a Siracusa
www.fontearetusasiracusa.it

Concluso l'intervento di adeguamento strutturale e funzionale del sito, la Fonte Aretusa   ha aperto al pubblico il 6 agosto con un percorso di visita che consente di ammirarne dall'interno la bellezza, accompagnati dalle voci italiane di Isabella Ragonese, Sergio Grasso e Stefano Starna. Il percorso di visita restituisce l'emozione di un "viaggio" accanto allo specchio di acqua dolce popolato dai papiri nilotici e da animali acquatici, donati dai siracusani come devozione a una mitologia lontana dalle moderne religioni, superando le difficoltà di accedervi e permettendo di compiere una specie di percorso devozionale in piena sicurezza. L'audioguida è disponibile anche in lingua inglese, francese, spagnola e cinese.

È il primo risultato del progetto di valorizzazione elaborato da Civita Sicilia come concessionario del Comune di Siracusa con la collaborazione della Fondazione per l'Arte e la Cultura Lauro Chiazzese. Il progetto, elaborato e diretto per la parte architettonica da Francesco Santalucia, Viviana Russello e Domenico Forcellini, ha visto la collaborazione della Struttura Didattica Speciale di Architettura di Siracusa e si è avvalso della consulenza scientifica di Corrado Basile, Presidente dell'Istituto Internazionale del papiro - Museo del Papiro.

Da oltre duemila anni, la Fonte Aretusa è uno dei simboli della città di Siracusa. Le acque che scorrono nel sottosuolo di Ortigia, ragione prima della sua fondazione, ritornano in superficie al suo interno, dove il mito vuole che si uniscano a quelle del fiume Alfeo in un abbraccio senza tempo. È un mito straordinario, cantato nei secoli da poeti, musicisti e drammaturghi. La storia di Aretusa e Alfeo è una storia d'amore, inizialmente non corrisposto, tra una ninfa e un fiume che inizia in Grecia e trova qui il suo epilogo, simbolo del legame che esiste tra Siracusa e la madrepatria dei suoi fondatori. Ma la Fonte Aretusa è anche il luogo nelle cui acque, nel corso dei secoli, filosofi, re, condottieri e imperatori si sono specchiati e genti venute da lontano, molto diverse tra loro, sono rimaste affascinate, anche attraverso le numerose trasformazioni del suo aspetto esteriore.

La Fonte ospita da millenni branchi di pesci un tempo sacri alla dea Artemide e, da tempi più recenti, una fiorente colonia di piante di papiro e alcune simpatiche anatre che le valgono il nomignolo affettuoso con cui i Siracusani di oggi talvolta la chiamano, funtàna de' pàpere. Dalla Fonte si gode un tramonto che Cicerone descrisse "tra i più belli al mondo" e la vista del Porto Grande dove duemila anni fa si svolsero epiche battaglie navali che videro protagonista la flotta siracusana e dove le acque di Alfeo e Aretusa si disperdono nel mare in un abbraccio eterno. (Comunicato Ufficio stampa Civita)

Prima del nuovo numero di Kritik... / Iniziative culturali


Marisa Mell nel film Casanova 70, attrice in una scena con abito rosso e capello nero Fiore di fuoco - Le due vite di Marisa Mell (Feuerblume - Die zwei Leben der Marisa Mell)
Regia e Sceneggiatura di Markus Mörth, documentario, Austria 2023, 64 min (versione originale con sottotitoli in italiano)

25 marzo 2024, ore 20.00 (ingresso gratuito su prenotazione fino a esaurimento posti)
Forum Austriaco di Cultura - Roma
www.austriacult.roma.it

L'attrice Marisa Mell (Graz) è la femme fatale per eccellenza. Studia presso il Max-Reinhardt-Seminar e come attrice diventa famosa con film come "Casanova '70" e "Diabolik". Nella sua carriera ha recitato al fianco di alcune delle più grandi star maschili del cinema degli anni '60 e '70 come Marcello Mastroianni, Giuliano Gemma, Michel Piccoli, Tony Curtis e Helmut Berger. Ma chi era veramente Marisa Mell? Il documentario esplora queste due vite contrapponendo le due personalità: la famosa attrice Marisa Mell e la persona privata Marlis Moitzi, questo il suo vero nome.

Il film vede la partecipazione delle compagne di viaggio Christine Kaufmann ed Erika Pluhar e di sua amica Petra Regensburger, che dopo il film interverrà insieme al regista Markus Mörth e il moderatore Stefano Finesi. Il film si interroga anche sul ruolo delle donne nel mondo del cinema dagli anni '60 agli anni '80. Considerata "classica bellezza cinematografica", in carriera vive anni di fama internazionale. Lavora con registi del calibro di Mario Monicelli e Mario Bava, ma il suo talento recitativo emerge raramente nei ruoli ricoperti. Coni il tempo diminuiscono gli ingaggi e Marisa Mell si reinventa. Da Roma, dove ha vissuto per decenni, torna a Vienna e negli ultimi anni recita a teatro. Nel 1990 pubblica la propria autobiografia "Coverlove". (Estratto da comunicato di presentazione)

Immagine:
Marisa Mell nel film Casanova 70




A Matera il primo incontro operativo del progetto Smarterra - Building Tomorrow's Mediterranean AgriFood Ecosystems

Matera, 22 febbraio 2024
www.ctematera.it

La Cte Matera ospita i partner europei provenienti da Germania, Svezia e Danimarca. Dedicato alle imprese dell'agroalimentare del Mezzogiorno d'Italia, SMARTERRA ha l'obiettivo di testare soluzioni che supportino la creazione di un forte ecosistema dell'innovazione e a una maggiore capacità delle startup dell'agroalimentare delle regioni del Sud Italia a entrare in relazione con investitori e innovatori europei.

Hanno scelto la Città dei Sassi, i sei partner europei, per la riunione di avvio del progetto Smarterra - Building Tomorrow's Mediterranean AgriFood Ecosystems. La prima riunione operativa, il piano di progetto è stato completato ed approvato, per avviare la fase di realizzazione alla Cte Matera (22-23 febbraio), la Casa delle Tecnologie Emergenti che ha sede all'hub San Rocco a Matera.

Il progetto è realizzato da un consorzio di sei partner europei (SMAFINE): due italiani, due tedeschi, uno svedese e uno danese. Per l'Italia: il Comune di Matera, attraverso la Cte Matera, e EY; per la Germania: RootCamp (Polo di innovazione per startup di tecnologia agroalimentare e bioeconomia) e DEEP Ecosystems (organizzazione che costruisce e potenzia ecosistemi di startup); per la Svezia: Sweden FoodTech (organizzazione leader nell'ecosistema nordico della tecnologia alimentare, attuata attraverso programmi di innovazione e opportunità di sviluppo aziendale) e per la Danimarca: Tech BBQ (comunità che promuove la crescita di startup e di scaleup, le start up che hanno superato la fase iniziale di avvio).

Finanziato con un milione di euro nell'ambito di Horizon European Innovation Ecosystems (EIE), il Programma di finanziamento dell'UE per migliorare l'ecosistema complessivo per l'innovazione in Europa, SMARTERRA è dedicato alle imprese dell'agroalimentare del Sud Italia ed ha come obiettivo di testare soluzioni che supportino la creazione di un forte ecosistema dell'innovazione nelle regioni del Mezzogiorno, a partire dalla Cte Matera fino agli attori internazionali dell'ecosistema dell'innovazione.

I sei partner concorreranno al progetto ciascuno per le competenze maturate: EY e DEEP Ecosystems come intermediari per l'innovazione; Tech BBQ partner per eventi ed ecosistemi; RootCamp e Sweden FoodTech in qualità di Stakeholder dell'innovazione e la Cte Matera quale attore sul territorio a supporto del trasferimento tecnologico da startup e università a Corporate e cittadini. Prima Casa delle tecnologie emergenti, nata nel 2019, la Cte Matera fa parte della rete delle Cte, fra cui quelle di Torino, Bari, Roma, Prato e L'Aquila, creata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT).

Il progetto europeo, SMARTERRA, si propone di supportare le imprese agroalimentari del Sud Italia, un'area che conta 344.000 aziende agricole e 34.000 nel settore agroalimentare, rappresentando circa il 18,5% del tessuto imprenditoriale meridionale. Questo settore è cruciale, rappresentando il 25% del PIL italiano, con un valore di 538 miliardi di euro, e l'Italia vanta il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e indicazione geografica nell'UE, di cui il 35% nel Sud Italia.

Tuttavia, la mancanza di finanziamenti è un ostacolo significativo alla crescita delle imprese in queste aree meno connesse. Le startup locali e le scale-up regionali, soprattutto quelle guidate da donne, risentono di questa disparità tra le necessità delle aziende e i finanziamenti disponibili. Mentre alcuni poli europei attraggono notevoli investimenti, altri ecosistemi di innovazione lottano con risorse limitate, portando molte startup a chiudere o trasferirsi altrove. Attraverso SMARTERRA, si mira a risolvere questo problema, attraendo investitori esteri e sensibilizzando i fornitori di capitali europei sulle opportunità nel Mezzogiorno. Questo richiederà lo sviluppo di un solido ecosistema con la partecipazione di attori nazionali e internazionali come incubatori, acceleratori, e altri, al fine di facilitare la connessione tra le startup del settore agroalimentare del Sud Italia e gli investitori e innovatori europei. (Comunicato stampa Sissi Ruggi - Pubbliche relazioni Cte Matera - Casa delle tecnologie emergenti di Matera)




Locandina per il Premio Corviale Premio Nazionale di Fotografia "I love Corviale e il suo territorio" - I edizione
Termine di partecipazione: entro e non oltre le ore 23:59 del 31 agosto 2024
www.mitreoiside.com

Premio a votazione social e giuria di esperti, finalizzato alla promozione e valorizzazione del territorio di Corviale di Roma, attraverso le immagini fotografiche. Il concorso prevede tre tipologie di riconoscimento messi a disposizione dal Mitreo Arte Contemporanea di Corviale - Roma: 1. Premio Nazionale di Fotografia "I love Corviale e il suo territorio": Mostra/personale con opere dei primi 3 classificati; 2. Mostra collettiva con opere dei classificati dal 4° al 20° posto; 3. Attestato di partecipazione per tutti. (Estratto da comunicato stampa)




Attori e cantanti dello spettacolo Nella magia delle fiabe al Teatro Bellini di Catania Una attrice dello spettacolo Nella magia delle fiabe in una scena Gli Amici della Musica per il Rifugio del Cane abbandonato della Favorita
18 febbraio 2024, ore 18.00
Teatro Politeama - Palermo
www.amicidellamusicapalermo.it

L'Associazione Siciliana Amici della Musica è sempre più attiva sul territorio cittadino a sostegno della realtà che si occupano di offrire servizi e assistenza: per la prima volta è stata attivata la collaborazione con la Lega del cane di Palermo, ente che gestisce la struttura del Rifugio del Cane della Favorita che si prede cura di oltre centocinquanta cani. Al Politeama sarà possibile partecipare allo spettacolo di beneficenza realizzato con la Savatteri Produzioni che porterà sul palcoscenico il musical Nella magia delle fiabe.

Da decenni il Rifugio del cane abbandonato della Favorita si prende cura dei cani randagi e abbandonati di Palermo e provincia, lavorando ogni giorno per contrastare il fenomeno del randagismo e dell'abbandono degli animali e ogni giorno deve far fronte a ingenti spese per il cibo, i farmaci, le cure primarie. Con questa iniziativa, l'Associazione Siciliana Amici della Musica vuole dare il proprio contributo a sostegno di una realtà sempre più punto di riferimento per tutta la città.

Nella magia delle fiabe è uno spettacolo originale, destinato ad un pubblico sia di adulti che di bambini e ragazzi, che mette a confronto i classici dei cartoni animati con la realtà contemporanea, caratterizzata sempre di più dal mondo digitale. Gli attori e i cantanti di Savatteri Produzioni diventano i personaggi delle fiabe che cercano di stare al passo coi tempi, con un musical divertente tra coreografie e canzoni tanto amate, dialoghi comici e colpi di scena. Fra i brani eseguiti ci saranno "Il mondo è mio" e "Un amico come me" da Aladdin, "Stia con noi" da La bella e la bestia, "Il cerchio della vita" da Il re leone e poi ancora "Non si nomina Bruno" da Encanto. La drammaturgia e la regia sono ideate da Marco Savatteri, la direzione corale è di Giulia Marciante, le coreografie di Giovanni Geraci mentre le luci sono a cura di Christian Vassallo. (Comunicato stampa)




Pop Corn Festival del Corto
7a edizione, 26, 27 e 28 luglio 2024
Porto Santo Stefano (Grosseto)
www.popcornfestivaldelcorto.it

Concorso cinematografico di cortometraggi aperto a tutti i video-makers nazionali e internazionali. Il tema scelto per quest'anno è: “Unicità, la bellezza dell'imperfetto”. Il festival, presentato dall'attore Andrea Dianetti, si avvale della direzione artistica di Francesca Castriconi ed è organizzato dall'Associazione Argentario Art Day APS.

L'iscrizione al festival dovrà avvenire entro e non oltre il 2 giugno 2024 e i cortometraggi selezionati dovranno pervenire entro il 15 giugno. Il Pop Corn Festival prevede tre categorie di cortometraggi: italiani, internazionali e d'animazione. Ogni lavoro non dovrà essere superiore ai 20 minuti di durata compresi titoli di testa e coda. Si accettano anche lavori in lingua straniera, purché muniti di sottotitoli in italiano o in inglese. Sono ammessi tutti i tipi di formato: estensione MOV, AVI, MP4, BLU-RAY, compresi i corti realizzati con cellulari, smartphone, go-pro ecc.. e sono ammessi anche cortometraggi già vincitori o partecipanti ad altri festival. (Estratto da comunicato Reggi&Spizzichino Communication)




Ad Atene gli autori europei a confronto sui temi della Déclaration des Cinéastes

Si è tenuto ad Atene nei giorni scorsi il quarto incontro Déclaration des cinéastes. Organizzato dagli autori greci e ciprioti con l'obiettivo di diffondere il manifesto a tutela dei diritti morali ed economici dei registi, degli sceneggiatori e degli autori delle musiche per i film, già presentato ai Festival di Cannes, Venezia e San Sebastian. La gremita sala del Serafio che ha visto la partecipazione attenta di centinaia di cretivi greci dell'audiovisivo ha accolto calorosamente l'intervento in video conferenza da Parigi di Costa Gavras che ha ribadito con forza la necessità di salvaguardare i diritti morali dell'opera e la giusta remunerazione.

Sono seguiti gli interventi in presenza di Radu Mihaileanu (ARP), Marine Francen (SRF), Francesco Ranieri Martinotti (ANAC), Athena Xenidou (DGCY) e Gavriil Tzafkas (Autors Guild Danimarca). Tra i temi trattati centrale è stata la recente approvazione a Bruxelles dell' AI Act ritenuto un buon punto di partenza per la regolamentazione dell'intelligenza artificiale nel settore audiovisivo. A margine dell'iniziativa si è svolto anche un incontro con il Ministro greco della Cultura Christos Dimas, che ha condiviso i principi contenuti nella Déclaration des Cinéastes e ha dichiarato che sulle questioni dell' AI il governo greco s'impegnerà a Bruxelles a difendere i diritti degli autori e la loro creatività.

Per l'Italia hanno aderito all'incontro di Atene: ANAC, 100 AUTORI e WGI.

Per la Grecia e Cipro: AFO (Athens Film Office), National Centre of Audiovisual Media and Communication, GFC (Greek Film Centre), Directors Guild of Cyprus, WIFT GR (Women in Film & Television Greece), CIPA (Film in Cyprus). Per la Francia: SRF (The Society of Film Directors) ARP (Civil Society of Authors, Directors and Producers, France). Per la Spagna: ACCION (Film Directors Association), oltre a FERA (Federation of European Screen Directors). (Comunicato reggi&spizzichino)

- Déclaration des cinéastes
www.la-srf.fr/article/lire-et-signer-la-d%C3%A9claration-des-cin%C3%A9astes




FEDIC
72 anni di cinema in 70 film di registi


www.youtube.com/watch?v=rcUaIdZelGE&list=PLtVRElSqB9q4Pwu_-LZKjttvjb3-9_PUI

Sul canale Mi Ricordo - L'Archivio di tutti, la playlist FEDIC-72 anni di cinema, composta da 70 cortometraggi di autori FEDIC (Federazione Italiana dei Cineclub), tra cui ricordiamo Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli e Bruno Bozzetto, conservati e digitalizzati dal CSC-Archivio Nazionale Cinema Impresa. La rassegna online è composta da opere che fanno parte della storia della FEDIC, un'Associazione Culturale nata nel 1949 a Montecatini Terme, e realizzate da registi il cui contributo rilevante è servito a promuovere il superamento dell'etichetta di cinema amatoriale, per arrivare ad affermare quella di Cinema Indipendente.

La playlist propone titoli di fiction e documentari di impegno civile, di critica sociale, di osservazione della realtà, come quelle di Giampaolo Bernagozzi, Nino Giansiracusa, Renato Dall'Ara, Adriano Asti, Luigi Mochi, Francesco Tarabella e del duo Gabriele Candiolo - Alfredo Moreschi; non mancano opere narrative, spesso poetiche, come quelle di Paolo Capoferri, Piero Livi, Mino Crocè e Nino Rizzotti, ma anche di Massimo Sani, Giuseppe Ferrara e Franco Piavoli, che si sono poi affermati come autori cinematografici e televisivi.

Un impegno che si riscontra anche nella sperimentazione di nuove forme espressive, si pensi a Tito Spini e, per quanto riguarda il cinema d'animazione, a Bruno Bozzetto e Nedo Zanotti. Non mancano opere recenti capaci di offrire uno sguardo acuto sul nuovo millennio, tra queste ricordiamo i film di Enrico Mengotti, Turi Occhipinti - Gaetano Scollo, Rocco Olivieri - Vincenzo Cirillo, e Franco Bigini, Giorgio Ricci, Giorgio Sabbatini e Beppe Rizzo che rende omaggio a Totò. Sono testimonianze, tracce interessanti, da leggere nel loro insieme, per aggiungere un punto di vista nuovo sul Paese. Uno sguardo che completa quello offerto dal cinema d'impresa, di famiglia e religioso conservato, digitalizzato e reso disponibile dall'Archivio Nazionale Cinema Impresa sui propri canali: Youtube CinemaimpresaTv, Documentalia e Mi ricordo-l'archivio di tutti. Il fondo FEDIC, composto da 5442 audiovisivi, è stato depositato nell'Archivio di Ivrea nel 2017. (Estratto da comunicato stampa)




Fermoimmagine dal film La scuola allievi Fiat Tutti in classe!
www.youtube.com/playlist?list=PL15B-32H5GlJRTfrCCc-ZlSRBJ0DRvP1K

Rassegna online di materiali d'archivio organizzata dall'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa di Ivrea che è parte della Cineteca Nazionale. La playlist Tutti in classe, disponibile sul canale Youtube CinemaimpresaTV, racconta la scuola grazie ai tanti punti di vista offerti dai film conservati a Ivrea: dalle rigide scuole per allievi Fiat degli anni Sessanta, ai comunicati pubblicitari che invitano a l'acquisto di prodotti scolastici a prezzi popolari o di raffinate macchine da scrivere Olivetti.

"Tutti in classe" termina con La scoperta della logica, diretto da Franco Taviani per Olivetti, il film descrive un esperimento didattico volto a insegnare agli alunni delle classi elementari la matematica con il sussidio del gioco e dell'osservazione del mondo reale, per arrivare a comprendere quali sono le tappe che portano i bambini alla scoperta della logica. Insomma, uno sguardo sulla scuola dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta per ricordare il periodo della vita di ognuno in cui l'ansia per un compito in classe era il problema più grande che potevi avere. (Estratto da comunicato ufficio stampa Centro Sperimentale di Cinematografia)

___ Programma

- Seconda D (Basilio Franchina, 1951, 12')
- Giorno di scuola (Giorgio Ferroni, 1954, 10')
- La scuola allievi Fiat Giovanni Agnelli (Stefano Canzio, 1962, 14')
- Olivetti, Lettera 32 (Aristide Bosio, 1965, 1')
- Mi ricordo... I primi giorni di scuola (ca. 1965/1972, 1')
- Vieni alla Standa e guarda il prezzo (ca. 1970-1979, 1')
- La scuola comincia alla Standa (1977, 2')
- La scoperta della logica (Franco Taviani, 1970, 13')




Locandina di presentazione di Il diario di Angela - Noi due cineasti Il diario di Angela. Noi due cineasti

Ogni giorno, da sempre, Angela tiene un diario, scritto e disegnato: fatti pubblici, privati, incontri, letture, tutto vi viene registrato. Anche il rapporto di due viaggi in Russia, 1989-1990. Cadeva l'URSS. Diario su librini cinesi, sin da prima di Dal Polo all'Equatore (1986), del nostro ininterrotto lavoro sulla violenza del 900. Dai nostri tour negli Stati Uniti con i "Film Profumati" di fine anni '70, all'Anthology Film Archive di New York, al Berkeley Pacific Film Archive... Rileggo ora questi diari e rivedo il film-diario di tutti questi anni, sono rimasto da solo, dopo molti anni di vita e di lavoro d'arte insieme. L'ho portata sulle Alpi Orientali che amava e dove insieme camminavamo.

Angela rivive per me nelle sue parole scritte a mano, con calligrafia leggera, che accompagnano i suoi disegni, gli acquarelli, i rotoli lunghi decine di metri. Guardo i nostri film privati, dimenticati. Registrazioni che stanno dietro al nostro lavoro di rilettura e risignificazione dell'archivio cinematografico documentario. La vita di ogni giorno, fatta di cose semplici, le persone vicine che ci accompagnano, la ricerca nel mondo dei materiali d'archivio, un viaggio in Armenia sovietica con l'attore Walter Chiari. Testimonianze che nel corso del tempo abbiamo raccolto. E' il mio ricordo di Angela, della nostra vita. Rileggo questi quaderni e ne scopro altri a me sconosciuti. (...)

Rivedere l'insieme dei quaderni del Diario infinito di Angela e lo sguardo all'indietro dei nostri film privati, che accompagnano la nostra ricerca. Il mio disperato tentativo di riportarla al mio fianco, di farla rivivere, la continuazione del nostro lavoro come missione attraverso i suoi quaderni e disegni, una sorta di mappa per l'agire ora, che ne contiene le linee direttrici e ne prevede la continuazione. Angela ed io abbiamo predisposto nuovi importanti progetti da compiere. La promessa, il giuramento, di continuare l'opera. (Yervant Gianikian)

Angela Ricci Lucchi è nata a Ravenna nel 1942. Ha studiato pittura a Salisburgo con Oskar Kokoschka. E' scomparsa lo scorso 28 febbraio a Milano. Yervant Gianikian ha studiato architettura a Venezia, già dalla metà degli anni '70 si dedica al cinema, l'incontro con Angela Ricci Lucchi segnerà il suo percorso artistico e privato. I film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono stati presentati nei più importanti festival internazionali, da Cannes a Venezia, da Toronto alla Berlinale, da Rotterdam a Torino alle Giornate del Cinema Muto. Retrospettive della loro opera sono state ospitate nelle maggiori cineteche del mondo (dalla Cinémathèque Française alla Filmoteca Española, dalla Cinemateca Portuguesa al Pacific Film Archive di Berkeley) e in musei come il MoMA di New York, la Tate Modern di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.

Tra i luoghi che hanno ospitato le loro installazioni, citiamo almeno la Biennale di Venezia, la Fondation Cartier Pour l'Art Contemporain di Parigi, la Fundacio "La Caixa" di Barcellona, il Centro Andaluz de Arte Contemporaneo di Siviglia, il Mart di Rovereto, il Witte de With Museum di Rotterdam, il Fabric Workshop and Museum di Philadelphia, il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, il Museo d'Arte Contemporanea di Chicago, l'Hangar Bicocca di Milano, Documenta 14 a Kassel. (Comunicato stampa Lara Facco)




Presentazione racconto di Sasha Marianna Salzmann «In bocca al lupo»
Racconto di Sasha Marianna Salzmann ispirato alla città di Palermo


"Hausbesuch - Ospiti a casa", progetto del Goethe-Institut, ha portato la scrittrice, curatrice e drammaturga tedesca Sasha Marianna Salzmann a Palermo, ospite in casa dei palermitani. Da questa esperienza è nato il racconto ispirato al capoluogo siciliano In bocca al lupo.

Sasha Marianna Salzmann (Volgograd - ex Unione Sovietica, 1985) attualmente è autrice in residenza del teatro Maxim Gorki di Berlino, ben noto per le sue messe in scena dedicate alla post-migrazione. La sua pièce teatrale Muttermale Fenster blau ha vinto nel 2012 il Kleist Förderpreis. Nel 2013 il premio del pubblico delle Giornate Teatrali di Mülheim (Mülheimer Theatertage) è stato assegnato all'opera teatrale Muttersprache Mameloschn che affronta tre generazioni di tedeschi ebrei. Sasha Marianna Salzmann è famosa per i suoi ritratti umoristici dedicati a tematiche politiche. Il suo racconto In bocca al lupo è stato scritto durante il suo soggiorno nel capoluogo siciliano nel luglio 2016 per il progetto "Hausbesuch - Ospiti a casa" del Goethe-Institut. Tradotto in cinque lingue, farà parte di un e-book che uscirà in primavera e che il Goethe-Institut presenterà alla Fiera del Libro di Lipsia. (Comunicato Goethe-Institut Palermo)

Racconto scaricabile alla pagina seguente

Pagina dedicata al soggiorno palermitano di Sasha Marianna Salzmann, con videointervista




"Giallo Kubrick": Le Ultime Cento Ore

Alla Biblioteca "Luigi Chiarini" del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma è conservata una sceneggiatura dattiloscritta del 1964 intitolata Le Ultime Cento Ore, attribuita a Stanley Kubrick, della quale non esiste traccia in nessuna monografia, filmografia, studio. Si tratta di una copia di deposito legale catalogata nei primi anni '90. Il primo a sollevare dei dubbi sull'autenticità del copione fu Tullio Kezich nel 1999 sollevando un gran polverone sulla stampa nazionale, quello che venne definito il "giallo Kubrick" rimase irrisolto fino ad oggi. Grazie alla passione di uno studioso kubrickiano, Filippo Ulivieri, che non si è accontentato di come la questione fosse stata accantonata. Sono state ricostruite le vicende e individuati gli autori, finalmente Filippo Ulivieri ha reso noto il resoconto e come sono stati risolti i relativi misteri del "giallo Kubrick". (Comunicato Susanna Zirizzotti - Ufficio Comunicazione/stampa e archivio storico Centro Sperimentale di Cinematografia-Scuola Nazionale di Cinema)




"Basta muoversi di più in bicicletta per ridurre la CO2"
Nuovo studio dell'European Cyclists' Federation sulle potenzialità della mobilità ciclistica nelle politiche UE di riduzione delle emissioni di gas climalteranti entro il 2050

Le elevate riduzioni delle emissioni dei gas serra previste dalla UE sono sotto esame: quest'anno i progressi e i risultati effettivi sembrano non raggiungere gli obiettivi fissati dalla stessa Unione Europea. Recenti rapporti sulle tendenze nel settore dei trasporti europei mostrano che la UE non riuscirà a ottenere la riduzione delle emissioni dei mezzi di trasporto del 60% tra il 1990 e il 2050 affidandosi alla sola tecnologia. Un interessante approccio all'argomento è messo in luce da un recente studio effettuato dall'European Cyclists' Federation (ECF), che ha quantificato il risparmio di emissioni delle due ruote rispetto ad altri mezzi di trasporto.

Anche tenendo conto della produzione, della manutenzione e del carburante del ciclista, le emissioni prodotte dalle biciclette sono oltre 10 volte inferiori a quelle derivanti dalle autovetture. Confrontando automobili, autobus, biciclette elettriche e biciclette normali, l'ECF ha studiato che l'uso più diffuso della bicicletta può aiutare la UE a raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas serra nel settore trasporti, previsti entro il 2050. Secondo lo studio, se i cittadini della UE dovessero utilizzare la bicicletta tanto quanto i Danesi nel corso del 2000, (una media di 2,6km al giorno), la UE conseguirebbe più di un quarto delle riduzioni delle emissioni previste per il comparto mobilità.

"Basta percorrere in bici 5 km al giorno, invece che con mezzi a motore, per raggiungere il 50% degli obiettivi proposti in materia di riduzione delle emissioni", osserva l'autore Benoit Blondel, dell'Ufficio ECF per l'ambiente e le politiche della salute. Che aggiunge: "Il potenziale di raggiungimento di tali obiettivi per le biciclette è enorme con uno sforzo economico assolutamente esiguo: mettere sui pedali un maggior numero di persone è molto meno costoso che mettere su strada flotte di auto elettriche". Lo studio ha altresì ribadito la recente valutazione da parte dell'Agenzia europea dell'ambiente, secondo la quale i soli miglioramenti tecnologici e l'efficienza dei carburanti non consentiranno alla UE di raggiungere il proprio obiettivo di ridurre del 60% le emissioni provenienti dai trasporti. (Estratto da comunicato stampa FIAB - Federazione Italiana Amici della Bicicletta)

Prima del nuovo numero di Kritik... / Libri


Prefazioni e recensioni di Ninni Radicini



Presentazione libri da Comunicato case editrici / autori




Dipinto in acrilico su tela di cm 80x100 denominato Venezia New York realizzato da Aldo Damioli nel 2022 Copertina della pubblicazione Venezia New York Dipinto in acrilico su tela di cm 60x60 denominato Venezia New York realizzato da Aldo Damioli nel 2022, un surfista nel mare davanti alla metropoli statunitense Aldo Damioli
"Venezia New York"

testo di Roberto Vidali, progetto grafico di Piero Scheriani, Juliet Editrice, gen 2024, 72 pp, 150 x 210 mm

www.juliet-artmagazine.com

Juliet Editrice ha concluso la realizzazione di una pubblicazione dedicata al lavoro di Aldo Damioli, l'autore conosciuto a livello internazionale per il ciclo pittorico "Venezia New York" e che a Trieste, ancora più di vent'anni fa, era stato proposto dallo Studio Arte 3, in primo luogo da Mariagrazia Avidano Bonzano e in seguito dal figlio Paolo Bonzano. Il testo che accompagna la pubblicazione è firmato da Roberto Vidali, direttore editoriale della rivista Juliet. Il progetto grafico è di Piero Scheriani.

Il testo di Roberto Vidali, intitolato "Paesaggi elettivi", è incentrato sul ruolo che questo autore ha avuto nella pittura del nuovo millennio e sui rapporti che il suo processo ha con la storia dell'arte. In particolare il testo si sofferma sulle possibili (e insolite) connessioni con la pittura di Botticelli, Canaletto e Guardi. Un lavoro di meticolosa esecuzione, giocato sul dettaglio e sulla forma, sulla prospettiva e sul capriccio, da intendersi come spunti capaci di fornire il pretesto all'invenzione e all'evasione. Il ciò vale a dire che queste opere non parlano di puro realismo, ma di fantasia, di invenzione, di pretesti per dimostrare come la pittura possa essere falsificazione, narrazione fantasiosa, montaggio di parti incongrue e che per essere moderna deve essere anche concettuale.

E la pittura di Damioli è concettuale proprio perché nel titolo evoca (o indica) qualcosa che non c'è o che non viene rappresentato: per esempio nelle sue tele la città di Venezia (pur indicata nel titolo) è solo evocata per confronto con la città di New York o con altra città (sia questa Parigi o Pechino) giusto per dare l'impressione che se di tanto si può parlare, tutto non può (o non deve) essere mostrato. Questa poetica pittorica va contro la durezza ideologica e materica propugnata da Joseph Beuys o in avversione a quei postulati delle neoavanguardie che hanno condotto alla disseminazione del linguaggio oltre che alla sottrazione della centralità dell'esperienza estetica. E questo perché se Damioli, riguardo alla sua pittura cerca un confronto o deve pensare a un autore dei nostri giorni non pensa a Cattelan, ma a Sean Landers, non pensa a Damien Hirst, ma a John Currin.

Damioli, che ha esordito ancora negli anni Novanta con la Galleria di Guido Carbone a Torino, ha poi intessuto per anni rapporti di collaborazione con la mitica Galleria del Milione di Milano e con Santo Ficara di Firenze, il tutto giocando di sponda e in rapporto di collaborazione con critici come Edoardo Di Mauro, Elena Pontiggia e Luca Beatrice. Ricordiamo, infine, che il lavoro di Aldo Damioli, incentrato sul ciclo "Venezia New York", fu presentato anche in una mostra che si tenne nel foyer del Teatro Verdi di Trieste, ancora nel 2012. (Comunicato di presentazione)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Aldo Damioli, Venezia New York, 2022, acrilico su tela cm. 80x100
2. Copertina della pubblicazione dedicata al lavoro di Aldo Damioli, Juliet Editrice, gen 2024
3. Aldo Damioli, Venezia New York, 2022, acrilico su tela cm. 60x60

___ Altre pubblicazioni Juliet editrice presentate nella newsletter Kritik

Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun
Presentazione

Poligoni platonici
di Carlo Fontana, gennaio 2023
Presentazione

"Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, dicembre 2022
Presentazione




Locandina per la presentazione del libro Olivetti Storie da una collezione Olivetti. Storie da una collezione
di Alessandro Santero e Sergio Polano, edito da Ronzani Editore


Il volume è stato presentato il 3 febbraio 2024 all'Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
www.archiviostoricolivetti.it

Questo volume raccoglie e descrive per la prima volta, con oltre 500 immagini, molti dei più significativi materiali grafici e pubblicitari realizzati nei circa novant'anni di storia della Olivetti. Una documentazione rara e preziosa, che ricostruisce un aspetto fortemente identitario dell'azienda componendolo in un affascinante continuum visivo. La presentazione sarà trasmessa in diretta sul canale Facebook dell'Associazione Archivio Storico Olivetti

- Dalla quarta di copertina:

Quella sorta di 'utopia umanistica' che ha accompagnato le vicende aziendali della Olivetti e di Adriano Olivetti è un fenomeno di originalità esemplare nella storia italiana del Novecento, in cui il coinvolgimento nelle strategie d'impresa delle migliori energie culturali del nostro paese ha agito su fronti molteplici, costituendo un lascito su cui c'è ancora molto da ricercare e riflettere. Questo volume raccoglie e descrive per la prima volta, con oltre 500 immagini, molti dei più significativi materiali grafici e pubblicitari realizzati nei circa novant'anni di storia della Olivetti. Una documentazione rara e preziosa, che ricostruisce un aspetto fortemente identitario dell'azienda componendolo in un affascinante continuum visivo.

Una raccolta di progetti, disegni, manifesti, opuscoli, carte intestate, libri, manuali, capaci di rappresentare quel 'mondo' Olivetti al quale hanno contribuito, tra gli altri, ingegneri come Mario Tchou, Pier Giorgio Perotto, Natale Cappellaro, Giuseppe Beccio, architetti e designer come Marcello Nizzoli, Luigi Figini e Gino Pollini, Ettore Sottsass, Carlo Scarpa, grafici come Bruno Munari, Erberto Carboni, Giovanni Pintori, Albe Steiner, Walter Ballmer, autori come Elio Vittorini, Leonardo Sinisgalli, Franco Fortini. Il libro si apre con tre saggi di Sergio Polano sul design del prodotto Olivetti. Le riproduzioni degli artefatti illustrati sono corredate da schede critiche e bibliografiche curate da Alessandro Santero. (Estratto da comunicato di presentazione)




Locandina della presentazione del libro Cannoli Siciliani scritto da Roberta Corradin Cannoli Siciliani
Mare, amore e altre cose buone
di Roberta Corradin, Giunti editore, p. 320, euro 18,00


Il libro è stato presentato il 10 novembre 2023 presso Lo Spazio Pistoia - Libreria Bacaro

Mare, sole, amore: la Sicilia d'estate ha molte promesse, ma non per Arianna, che lavora senza sosta alla redazione di due libri in due lingue diverse. Si consola con le tante delizie che l'isola offre anche agli stacanovisti come lei: granite, gelati, cannoli e menu di pesce. Nel frattempo, seduta a cena col laptop aperto, guarda distrattamente Nisso, diminutivo di Dionisso, chef belloccio e un po' arrogante che le ricorda un giovane Antonio Banderas e manda avanti due ristoranti. Lui ha vissuto sempre in Sicilia, lei è cittadina del mondo. Lui ha poco più di trent'anni, lei poco più di cinquanta. Nessuno dei due ha tempo e voglia di innamorarsi. Ognuno dei due ha un sogno. Diverso. Ma non così tanto.

Il destino se ne frega della iniziale riluttanza dei due e tesse trame al posto loro, finendo per intrecciarli stretti in una storia che, anno dopo anno, li porta a confrontarsi e a costruire insieme case, menu, ristoranti, progetti reali e immaginari. Respireranno modi di pensare, stili di vita, cibi e spezie prima sconosciuti. E realizzeranno tante cose buone, da mangiare e non solo, per chi siede ai tavoli del loro ristorante sulla piazzetta di una borgata di mare e per tutta la comunità locale, a partire dalle molte donne a cui Arianna mostrerà che nella vita si può sempre scegliere, e cambiare vita è sempre un'opzione valida. Sullo sfondo, la bellezza mozzafiato della Sicilia barocca, il mare splendente e le colline degli Iblei. Una storia d'amore scritta con uno stile ironico e sagace e con un finale a sorpresa che vi farà ridere, pensare, piangere e sognare. E chissà, anche cambiare.

Classe 1964, Roberta Corradin ha scritto Ho fatto un pan pepato... Ricette di cucina emotiva (Zelig 1995), Un attimo, sono nuda (Piemme 1999), Le cuoche che volevo diventare (Einaudi 2008), La repubblica del maiale (Chiarelettere 2013), Piovono mandorle (Piemme 2019). Traduce dal francese e dall'inglese le fortunate serie di Katherine Pancol e Richard Osman. Ha avuto il privilegio di vivere in luoghi affascinanti, tra cui Parigi, New York, Cambridge, la Sicilia sudorientale, dove ambienta i suoi libri. Su Instagram @rocorradin per conoscere i suoi nuovi progetti in Sicilia e per visitare e soggiornare con lei nelle location del libro. (Comunicato stampa)




Gaetano Rapisardi. Architetto 1893-1988
a cura di Clementina Barucci e Marco Falsetti, Campisano Editore, Roma 2022

* Il libro è stato presentato il 16 ottobre 2023 all'Accademia Nazionale di San Luca - Roma
www.accademiasanluca.it

Il volume si propone di far luce sull'opera del progettista siciliano ricostruendone un profilo quanto più possibile esaustivo, al fine di colmare una pagina rimasta troppo a lungo incompleta. Noto soprattutto per gli edifici della Sapienza - le Facoltà di Lettere e di Giurisprudenza - e per il grande complesso della piazza e della basilica del Don Bosco al Tuscolano degli anni Cinquanta, Gaetano Rapisardi è ricordato nella storiografia perlopiù come fidato collaboratore di Marcello Piacentini.

Tale inquadramento, a nostro avviso riduttivo, dimentica (e talvolta omette) la complessità dell'opera rapisardiana nonché l'interessante sfida tipologica che ha visto l'architetto confrontarsi con una eccezionale varietà di temi, specialmente nel periodo del dopoguerra quando Rapisardi, insieme al fratello Ernesto (spesso coautore delle opere), interrompe la collaborazione con il Maestro (mantenendo comunque rapporti molto cordiali). Si è cercato di restituire, attraverso questo studio, tutto il complesso del suo lavoro, che annovera oltre 150 opere conosciute ad oggi, alcune delle quali solo mediante riferimenti contenuti in carteggi o documenti d'archivio.

I progetti e le realizzazioni di Rapisardi interessano un arco temporale molto ampio, che va dall'inizio degli anni Venti fino ai primi anni Settanta, e che copre dunque oltre un cinquantennio di attività professionale. A fronte di una instancabile opera di disegno, di progettazione e di cantiere non si registra, sfortunatamente, un'altrettanta intensa produzione teorica (se si eccettua qualche relazione di progetto) alla qual cosa si deve l'equivoca interpretazione della sua opera.

Rapisardi fu infatti, per quanto ci è dato di sapere dalle rare testimonianze dirette raccolte, dedito soprattutto all'attività progettuale e di disegno, assorbito al punto dal non trovare il tempo di sistematizzare questa sua opera all'interno di un corpus teorico, il che non implica naturalmente che tali realizzazioni mancassero di "spessore critico", come è stato talvolta ingiustamente sotteso. Il volume è pubblicato con il supporto del Dipartimento di Storia disegno e restauro dell'architettura dell'Università di Roma "Sapienza". (Comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Piero Gobetti L'autobiografia della nazione
di Piero Gobetti, a cura di Cesare Panizza, Aras Edizioni 2023


Il libro è stato presentato il 29 maggio 2023 alla Biblioteca della Fondazione Spadolini Nuova Antologia a Firenze
Introduce e presiede Cosimo Ceccuti; intervengono, con il curatore, Marino Biondi e Paolo Bagnoli
www.fondazionerossisalvemini.eu

Fra i più risoluti oppositori di Mussolini, Gobetti compendiò la sua lettura del fascismo nella famosa formula dell'"autobiografia della nazione". Nei suoi scritti, sullo sfondo di una riflessione storica e politica che sottolineava l'arretratezza culturale del paese e l'inadeguatezza delle sue classi dirigenti, il successo del fascismo era letto a riprova dell'immaturità politica degli italiani. Si trattava di una tendenza alla "servitù volontaria" sedimentatasi nelle fibre della nazione in assenza di quei processi di modernizzazione della società e della politica avviatisi in Occidente con la riforma protestante e la nascita del capitalismo. Paradossalmente, però, proprio per il suo carattere di "rivelazione", la lotta contro il fascismo poteva offrire l'occasione per una rigenerazione della nazione. La dittatura aperta che rappresentava l'aspirazione di Mussolini e del fascismo avrebbe infatti permesso la selezione di nuove élites politiche destinate a rigenerare il costume politico degli italiani in senso liberale e democratico. (Comunicato di presentazione Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini)




Copertina del libro Storia dell'arte in Europa scritto da Decio Gioseffi Decio Gioseffi
Storia dell'arte in Europa


* Libro presentato il 13 febbraio 2023 presso il Palazzo della Regione Friuli Venezia Giulia (Trieste)
www.triestecontemporanea.it

A distanza di trent'anni dalla sua stesura viene pubblicata una inedita Storia dell'arte in Europa raccontata da Decio Gioseffi con sensibilità non usuale al tempo in cui fu scritta. Prima presentazione dell'importante opera del grande storico dell'arte triestino, ora proposta nella collana «I libri di XY», diretta da Roberto de Rubertis, da Il Poligrafo di Padova e dall'Università di Trento ed edita con la partecipazione di Società di Minerva e Trieste Contemporanea: relatore sarà Valerio Terraroli, professore di Storia della critica d'arte all'Università di Verona, introdotto da Nicoletta Zanni, già professore di Storia della critica d'arte all'Università di Trieste e curatrice, assieme a Giuliana Carbi Jesurun, della edizione.

Fra i progetti di celebrazione del centenario della nascita di Decio Gioseffi (1919-2007), i promotori hanno ritenuto di estremo interesse lavorare su questo inedito e dare così alle stampe uno degli ultimi scritti dello studioso triestino che fu tra le personalità più rappresentative della cultura storico-artistica italiana della seconda metà del Novecento.

Il libro raccoglie esempi illustri della storia dell'arte europea attraverso i secoli - dalle grotte di Altamira al Rinascimento maturo (ed era prevista anche una continuazione fino alla seconda metà del ventesimo secolo) - e si occupa dell'intera filiera dell'arte occidentale, a partire dal rapporto con l'eredità dell'Antico e gli scambi con l'arte del Vicino Oriente, arrivando alle eccellenze che hanno generato e contraddistinto il Rinascimento italiano ed europeo. A corredo, sono state scelte alcune immagini tra quelle più emblematiche nelle sue lezioni universitarie introduttive e di metodo storico-artistico.

La modernità dell'applicazione alla narrazione storica dei fatti dell'arte da parte di Decio Gioseffi di un metodo operatorio proveniente dal mondo scientifico, discusso anche nel suo lungo sodalizio con Carlo Ludovico Ragghianti, ancor oggi affascina infatti in questo libro e si nutre della vasta conoscenza non solo specialistica dell'autore. Sicché i passaggi dedicati a collocare la produzione artistica nella società e nella storia sono cruciali e questa Storia dell'arte in Europa si dispiega in un ampio tessuto connettivo fatto di bellissime pagine che parlano anche di moda, letteratura, ingegneria e tecnologia, strategia militare, storia delle lingue.

Decio Gioseffi (Trieste 1919-2007), accademico dei Lincei, già membro e poi presidente (dal 1980 al 1989) del Comitato di Settore per i Beni Artistici e Storici presso il Ministero dei Beni Culturali (ex Consiglio Superiore di Belle Arti), dopo la laurea a Padova in Archeologia e storia dell'arte antica, dal 1943 all'Università di Trieste è stato prima assistente di Luigi Coletti e poi di Roberto Salvini, docente ed infine direttore dal 1964 al 1993 dell'Istituto di Storia dell'arte medioevale e moderna. Perspectiva artificialis: per la storia della prospettiva. Spigolature e appunti (Premio Olivetti 1957) inizia i suoi studi pionieristici sulla prospettiva e sulla rappresentazione dello spazio nell'arte, proseguiti nel 1960 con La cupola vaticana: un'ipotesi michelangiolesca (Premio IN/ARCH 1962) e con la monografia Giotto architetto (1963).

La presentazione triestina avviene con il patrocinio di ICOMOS Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti-Comitato Nazionale Italiano e con la collaborazione dell'associazione L'Officina e dell'Associazione Amici Dei Musei Marcello Mascherini ODV. Il volume è pubblicato, con il supporto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sotto gli auspici di Ministero della Cultura - Segretariato regionale per il Friuli Venezia Giulia; Università degli Studi di Trieste; Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, Vicenza; Fondazione Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca; SISCA Società italiana di storia della critica d'arte, Roma; Archivio degli Scrittori e della Cultura Regionale, Università di Trieste. (Comunicato stampa Trieste Contemporanea)




Locandina per la presentazione del libro Gentilissima signora Aurelia Gentilissima signora Aurelia
a cura di Lucia Budini e Giuliana Carbi Jesurun, ed. Juliet editrice


Il libro è stato presentato il 28 gennaio 2023 allo Studio Tommaseo di Trieste
www.triestecontemporanea.it

Trieste Contemporanea presenta la seconda pubblicazione della collana libraryline dedicata a Miela Reina (Trieste 1935 -Udine 1972). Il libro pubblica per la prima volta una selezione delle lettere che Miela Reina scrisse alla madre Aurelia Cesari Reina, in fittissima sequenza, negli anni di formazione all'Accademia di Venezia, quindi, dall'autunno del 1955 all'autunno del 1959, data della laurea.

L'interessantissimo epistolario vede la luce, grazie alla trascrizione e all'ordinamento dei manoscritti conservati nell'archivio privato delle famiglie Budini Reina. Sono carte molto speciali poiché contengono molti disegni e bozzetti che si è deciso di riprodurre nel testo delle lettere, aggiungendo una parte di immagini e fotografie provenienti dall'archivio familiare e di riferimenti (grazie alle immagini gentilmente concesse dall'Archivio fotografico ERPAC - Servizio catalogazione, promozione, valorizzazione e sviluppo del territorio, dalla Fondazione CRTrieste e dall'Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'arte moderna di Trieste) ai dipinti citati nel testo, dei quali nel racconto epistolare alla mamma si seguono giorno per giorno le fasi di realizzazione.

Il libro è occasione per conoscere una inedita Miela Reina, giovanissima, versatile e gioiosa nell'apprendere a tutto campo, non solo la pittura al corso di Bruno Saetti (lo spaccato della vita degli studenti fuori sede del tempo è vivacissimo), ma anche dalle molte letture e frequentazioni della vita culturale veneziana (dal cinema al teatro ai concerti) e dai viaggi (in Francia a conoscere Chagall e in Spagna per lavorare alla tesi di laurea sulla pittura castigliana). Questa studentessa diventerà da lì a poco una dei più originali e attenti artisti italiani in dialogo avvincente e autorevole con le tendenze internazionali dell'arte degli anni Sessanta e Settanta - e proprio leggendo queste lettere e le modalità della sua partenza verso l'arte dei grandi c'è ancora il rimpianto che la sua breve vita non le abbia permesso di donarci più a lungo la sua immaginifica creatività: poiché fu "autrice di una vivacissima stupefatta visione del mondo, di una attonita e apocalittica kermesse non eroica" come ebbe a scrivere l'amico e grande estimatore Gillo Dorfles.

Gentilissima Signora Aurelia vuole contribuire a far meglio conoscere una delle figure artistiche più alte della nostra regione e a renderle omaggio. Alla presentazione di sabato, che verrà proposta anche in streaming, in dialogo con le curatrici saranno Paola Bonifacio, storica dell'arte autrice di Miela Reina, la prima monografia sull'artista edita da Mazzotta nel 1999, e (in videoconferenza) Marina Beer, scrittrice e saggista che hanno contribuito all'interpretazione della creatività e degli affetti di Miela Reina a Venezia con due testi pubblicati nel libro in forma di postfazione.

Gentilissima Signora Aurelia è il secondo volume di libraryline, una nuova collana editoriale della Biblioteca di Trieste Contemporanea che raccoglie testi inediti e prime traduzioni di artisti o di autori che hanno contribuito all'arte visiva contemporanea europea o alla sua comprensione. Con la collana, coordinata dalla direttrice della Biblioteca di Trieste Contemporanea Elettra Maria Spolverini (che introdurrà l'incontro di presentazione) e firmata dalla grafica triestina Giulia Lantier, si concretizza una idea di divulgazione della storia dell'arte contemporanea molto cara al comitato triestino, e anche si intercetta e continua un'altra delle missioni prioritarie di Trieste Contemporanea, prevalentemente conosciuta per lo sguardo che da più di un quarto di secolo rivolge alla produzione di arte visiva contemporanea dei paesi dell'Europa dell'Est.

Un mandato, per così dire di reciprocità rispetto all'importazione della conoscenza della cultura artistica ad Est di Trieste: offrire l'opportunità di approfondire all'esterno le espressioni internazionali della produzione di pensiero e di cultura del nostro territorio. Tra le attività svolte in questo segmento merita ricordare le pubblicazioni su e di Sergio Miniussi, la monografia di Marco Pozzetto sugli architetti Berlam, i film documentari su Leo Castelli e su Leonor Fini e si può già anticipare l'ultima iniziativa che verrà resa pubblica in febbraio: la partecipazione alla pubblicazione dell'inedita e importantissima Storia dell'arte in Europa del grande storico dell'arte triestino Decio Gioseffi. (Comunicato stampa)




Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro  Dipinto a olio su tela di cm 50 x 50 denominato Solidi a base rettangolare realizzato da Carlo Fontana nel 2020 Poligoni platonici
di Carlo Fontana, Juliet Editrice, gennaio 2023, testo critico di Gabriele Perretta, progetto grafico di Piero Scheriani, pagg 40 + cover con alette
www.juliet-artmagazine.com

* Presentazione e diffusione in anteprima in occasione della 46° edizione di Arte Fiera, a Bologna, nello stand Juliet, nelle giornate del 2, 3, 4, 5 febbraio 2023.

Poligoni platonici è la quinta pubblicazione che Juliet Editrice dedica al lavoro di Carlo Fontana, con immagini commentate e testo critico di Gabriele Perretta. Carlo Fontana (Napoli, 1951), vive a Casier (Treviso). Si è diplomato all'Accademia di BB.AA. di Napoli, nel corso di pittura con il maestro Domenico Spinosa. Dopo aver esordito con happening dalla fissità teatralizzata e con attività estetica nel territorio, in concomitanza alle teorie formulate negli anni Settanta da Enrico Crispolti, nel decennio successivo inizia un percorso pittorico che vede il colore e la ricerca della luce al centro della sua opera. Sue opere sono presenti, a Trieste, presso la sede della Soprintendenza, nel palazzo storico dell'ITIS e al Museo Diocesano (ex Seminario), a Bologna presso la Collezione Zavettini e nel circuito nazionale sloveno presso la Galerija Murska Sobota.

Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano: Francesca Agostinelli, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Enrico Crispolti, Edoardo Di Mauro, Pasquale Fameli, Robert Inhof, Emilia Marasco, Gabriele Perretta, Alice Rubbini, Maria Luisa Trevisan, Roberto Vidali.

La prima testimonianza, prodotta da Juliet Editrice, ancora nel lontano 1999, fu un libro d'artista di formato quadrato, con copertina rossa e con testo introduttivo firmato da Roberto Vidali. Lì si parlava della natura figurativa dell'opera di Carlo Fontana, dell'uso quasi matissiano del colore, della scomposizione dell'immagine che era in debito con la poetica cubista della prima ora, ma ci soffermava anche a dare una giustificazione storica di un lavoro che di primo acchito poteva sembrare povero d'intenti e di idee, mentre dietro c'era tutto un percorso storico, una linea continua che procedeva dalle prime esperienze operate nel sociale e sul territorio, assieme al gruppo degli Ambulanti, nel corso degli anni Settanta.

In questo caso, invece, il catalogo, a parte un excursus storico di immagini (tutte spiegate ed analizzate con testi lapidari) propone solo un insieme di opere che dobbiamo prosaicamente definire astratto-geometriche e che fanno parte della più recente produzione dell'autore. Gabriele Perretta, nel ricostruire il percorso di questo autore, parte dalla prima performance/azione conosciuta di Carlo Fontana: siamo nel 1974, "Fate l'amore non la guerra", dove solo la sottrazione di una virgola distingue questo titolo dallo slogan in voga negli anni Settanta e che si rifaceva alle guerre di liberazione del Terzo Mondo in secundis e alla guerra del Vietnam in primis, una guerra rovinosa che si concluderà appena l'anno successivo.

L'aggancio, sottolineato da Perretta, va poi, al 1975, con le prime azioni sul territorio di Napoli, progettate assieme al gruppo degli Ambulanti, dove le tessere di mosaico che l'autore distribuiva alle persone che lo avvicinavano, sono già anticipazione di quelle macchie di colore che oggi ritroviamo nei suoi quadri. Ora che la figura che Carlo Fontana interpreta (nelle sfilate del Quartiere Bagnoli di Napoli o di Piazza San Marco a Venezia) fosse quella dell'acquaiolo (di napoletana memoria) o fosse quella afro-napulitana di un povero portatore d'acqua, quello che conta è che il colore era testimonianza già presente e fondante fin da quei lontani anni Settanta, quando nell'arte internazionale il dominio maggiore era quello del bianco e nero (si pensi alle foto di Gilbert & George, di Bernd & Hilla Becher, di Urs Lüthi, di Joseph Beuys e così via).

In questo modo Gabriele Perretta ci fa toccare con mano le ragioni storiche del lavoro di Carlo Fontana, mentre allo stesso tempo sottolinea come il nome di Enrico Crispolti, a cornice di quella situazione culturale (si pensi alla X Quadriennale del 1975, alla Biennale di Venezia del 1976, alla Biennale di Gubbio, nel 1979) non sia stato dei più appropriati perché in realtà non ha saputo valorizzare il lavoro dei singoli autori, preferendo fotografare un fenomeno dalla portata collettiva, spesso però confondendone il valore dei singoli apporti individuali. (Estratto da comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Atelier di Carlo Fontana con opere in lavoro, ph courtesy Juliet
2. Carlo Fontana, Solidi a base rettangolare, 2020, olio su tela, cm 50x50, ph courtesy Juliet




Dipinto a olio su tela di cm 40x60 denominato Guardando a Est e Ovest relizzato da Antonio Sofianopulo 2002 Roberto Vidali davanti a una tela di Zivko Marusic in una foto di Eugenio Vanfiori Copertina di Tre bacche di rovo "Tre bacche di rovo"
di Roberto Vidali, Juliet Editrice, dicembre 2022, pagg 92, extra issue Juliet n 210 / dicembre, pubblicazione con apparati iconografici, copertina di Antonio Sofianopulo, progetto grafico di Piero Scheriani

Questo fascicolo firmato da Roberto Vidali è l'ennesima testimonianza della "proteo-scrittura" che l'autore pratica fin dal 1980, alla ricerca di una terra dove ancorarsi, il che non va letto come motivo di immaturità o di evoluzione, ma di ricerca e di attenzione alla diversità. Questo testo mette insieme più modalità: una presunta tipologia da manuale di storia dell'arte (scorrevole e con analisi precise e puntuali dei fatti) con istanze da mente critica che conduce a paragoni tra situazioni simili e ad affioramenti nella contemporaneità, dove si trovano idee personalissime e riscontri soggettivi.

Gli intrecci e i rimandi sono molteplici ed è sì questa una pratica diffusa all'interno della critica contemporanea, ma forse non praticata con una modalità così variegata, nel senso che il magma che affiora da questa narrazione indica dei pensieri ossessivi, sebbene non sempre gli esempi offerti o i punti di meditazione siano messi sulla carta per dare la certezza della risposta. Uno dei temi ricorrenti dell'intero sviluppo narrativo, è quello della "classicità" ovvero di una possibile istanza classica presente nel mondo contemporaneo, un mondo che è stato costruito sui palazzi abbattuti dalle avanguardie storiche e di cui noi viviamo l'eredità. E quali sono le radici di queste avanguardie? Quali le radici della poetica di Duchamp e del successivo lavoro concettuale di Kosuth?

Ecco, l'autore ci dà quattro nomi: Seurat, van Gogh, Gauguin, Cézanne. E approfondisce la loro importanza con la lettura di una singola opera. L'aspetto insolito di questo testo sono le note, una specie di racconto parallelo e di lunghezza pari a un quinto dei tredici capitoli in cui è suddiviso il libro. Le note non sono stilate in maniera accademica (con gli op.cit. e gli ibidem e il rinvio alle pagine specifiche), perché bisogna domandarsi: quanti sono quelli che nel leggere un saggio sentono veramente il bisogno di andare a cercare il confronto col testo a cui rinvia la nota? Meglio, allora, una nota che aiuta ad approfondire o rinvia a un ulteriore collegamento invece di trovarsi alla sterile informazione di un titolo, di una pagina, di un anno di pubblicazione. Perciò, molte sono le domande che vengono poste e poche sono le risposte che vengono date, proprio per lasciare la possibilità a ogni lettore di cercare di proseguire con i propri piedi un percorso di approfondimento.

Tutto ciò può essere utile, senza pretendere che il metodo sia democratico o partecipativo, perché ogni testo è, innanzitutto, una testimonianza del proprio pensiero, e questo testo firmato da Roberto Vidali non è da meno. Questa pubblicazione, con solo sette immagini che ne illustrano il percorso narrativo, dedica la copertina al lavoro di Antonio Sofianopulo, come modello ed esempio di una pittura che si fa punto interrogativo della contemporaneità. "Tre bacche di rovo" verrà diffuso e distribuito al BAF (Bergamo, 13, 14, 15 gennaio 2023) e ad Arte Fiera (Bologna, 3, 4, 5 febbraio 2023)

Roberto Vidali (Capodistria, 1953) dal 1955 risiede, più o meno, a Trieste. Dopo aver compiuto gli studi presso l'Accademia di BB.AA. di Napoli si è dedicato alla promozione dell'arte contemporanea. Dal 1975 al 1987 è stato direttore esecutivo per la sezione arti figurative del Centro La Cappella di Trieste, dove ha curato quarantaquattro mostre, tra le quali ricordiamo quelle di Riccardo Dalisi, Giuseppe Desiato, Stefano Di Stasio, Živko Marušic. Dal 1979 al 1985 ha collaborato alla pagina culturale del quotidiano "Il Piccolo" e dal 1980 è direttore editoriale della rivista Juliet.

Ha inoltre firmato svariate pubblicazioni; tra le altre: "L'uva di Giuseppe" (1986), "Uhei, uistitì" (1988), "Sul Filomarino slittando" (1990), "Bestio!" (1993), "Merlino, pinturas" (1993), "Massini, énkaustos" (1994), "Sofianopulo, quadros" (1994), "Oreste Zevola, rosso tango" (1994), "Mondino, tauromania" (1995), "Barzagli, impressos" (1995), "Libellule" (1995), "Perini, photos" (1996), "Notturno, setas" (1996), "Ascoltatemi!" (1997), "Kastelic, cadutas" (1997), "Damioli, Venezia New York" (1998), "Onde di formiche a far filari" (1998), "Carlo Fontana" (1999), "Topin meschin" (1999), "Giungla" (1999), "No, non è lei" (2003), "Mamma, vogghiu fa' l'artista" (2007), "Otto fratto tre" (2010).

A seguire "I pensieri di Giacomino Pixi", pubblicato nel 2012. Dal 1991 è coordinatore per l'attività espositiva dell'Associazione Juliet nella cui sede ha presentato innumerevoli artisti; tra gli altri si segnalano: Piero Gilardi, Marco Mazzucconi, Maurizio Cattelan, Ernesto Jannini, Paola Pezzi, Luigi Ontani, Enrico T. De Paris, Alberto Garutti, Mark Kostabi, Massimo Giacon, Cuoghi Corsello, Aldo Mondino, Aldo Damioli, Botto & Bruno, Bonomo Faita. Nel 1994 ha partecipato alla realizzazione della pagina culturale del quotidiano "La Cronaca" e nel 1997 ha pubblicato alcune interviste sulla pagina culturale de "Il Meridiano". Dal 1998 al 2010 è stato direttore incaricato della PARCO Foundation di Casier. Dal novembre del 2000 e fino alla sua chiusura ha collaborato al mensile "Network Caffé", dal 2005 e fino al 2009 ha collaborato con il mensile "Zeno". (Comunicato stampa)

Immagini (da sinistra a destra):
1. Antonio Sofianopulo, Guardando a Est e Ovest, 2002, olio su tela cm 40x60, Ph courtesy Victor Saavedra, Barcelona 2. Copertina di "Tre bacche di rovo"
3. Roberto Vidali, davanti a una tela di Živko Marušic, in una foto di Eugenio Vanfiori




Tra due mondi. Storia di Philip Rolla
di Maria Grazia Rabiolo, Edizioni Fondazione Rolla, 2022, pp. 128, 210x148 mm, 20Chf/20Euro


Il libro è stato presentato il 15 ottobre 2022 presso La Filanda a Mendrisio (Svizzera)
www.rolla.info

Partito dalla California non appena conclusa l'Università, Philip Rolla fa il percorso inverso rispetto ai suoi nonni, arrivati a inizio Novecento dal Piemonte. La sua avventura professionale inizia a Torino e proseque nella Svizzera italiana. Ingegnere artigiano, è l'inventore delle eliche più performanti a livello internazionale. Il suo nome è legato al mondo della motonautica e delle imbarcazioni in generale. Ma da sempre coltiva una grande passione per l'arte contemporanea e per la fotografia.

La sua esistenza si svolge dunque tra Stati Uniti, che non ha mai dimenticato, ed Europa, Svizzera in particolare. A Bruzella, nella Valle di Muggio, dove risiede con la moglie Rosella, ha costituito una collezione di opere d'arte importante e una fondazione che organizza con regolarità esposizioni fotografiche negli spazi dell'ex scuola d'infanzia. La sua è un'esistenza decisamente particolare e interessante. La biografia di Maria Grazia Rabiolo la ripercorre tappa dopo tappa, con rigore e partecipazione al contempo. Ne emerge il ritratto di un uomo, di un professionista e di un collezionista a dir poco speciale, difficilmente imitabile.

Maria Grazia Rabiolo, nata nel 1957 a Losanna (Canton Vaud) e cresciuta a Viganello (Cantone Ticino), è laureata in Lettere all'Università degli Studi di Milano. Giornalista culturale, ha lavorato per trentaquattro anni alla RSI - Radiotelevisione svizzera di linqua italiana. (Comunicato Rolla.info)




Dopo Terra Matta
Incontro con Giovanni Rabito


Il romanzo della vita passata
di Vincenzo Rabito, testo rivisto e adattato da Giovanni Rabito, ed. Einaudi

Presentazione libro il 29 settembre 2022 alla Sala Giuseppe Di Martino a Catania

A cura dei Centri Culturali Gruppo Iarba, Fabbricateatro e Le stelle in tasca, si svolgerà un incontro con Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, autore di Terra Matta. Nell'occasione, sarà presentato Il romanzo della vita passata, secondo dattiloscritto autobiografico di Vincenzo Rabito, una nuova riscrittura della sua vita a tutt'oggi interamente inedita e successiva alla prima stesura pubblicata sempre da Einaudi nel 2007. Discuteranno, insieme al curatore di Il romanzo della vita passata, delle peculiarità che attribuiscono un'importanza particolare alla seconda stesura autobiografica, Nino Romeo, Daniele Scalia e Orazio Maria Valastro. Graziana Maniscalco leggerà una selezione di brani dell'opera.

Scrive Giovanni Rabito nella prefazione: «Come ben sanno i lettori di Terra matta, mio padre non è mai andato a scuola. Ha imparato a leggere e a scrivere da solo, come da solo ha imparato il mestiere di vivere e l'arte di lavorare duro per vivere meglio. Allo stesso modo, da solo, ha imparato a usare la macchina da scrivere, uno strumento tecnologicamente avanzato almeno per i suoi tempi, e infine a diventare scrittore: scrittore della sua vita, del suo paese natale, della sua gente e forse addirittura del suo secolo».

Vincenzo Rabito (Chiaramonte Gulfi, 1899-1981), «Ragazzo del '99», è stato bracciante da bambino, è partito diciottenne per il Piave, ha fatto la guerra d'Africa e la Seconda guerra mondiale. È stato minatore in Germania, poi è tornato in Sicilia, dove si è sposato e ha allevato tre figli. Il suo Terra Matta ha vinto il «Premio Pieve» nel 2000, ed è conservato presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.

Giovanni Rabito, figlio di Vincenzo, nasce nel 1949 a Chiaramonte Gulfi in Sicilia, e risiede attualmente a Sydney in Australia. Nel 1967 inizia i suoi studi universitari di Giurisprudenza a Messina, trasferendosi in seguito a Bologna nel 1968. In quegli anni prende parte al movimento letterario italiano della Neoavanguardia, il Gruppo 63 costituitosi a Palermo nel 1963. Scrive poesie pubblicate in riviste letterarie come Tèchne, fondata nel 1969 da Eugenio Miccini come laboratorio dello sperimentalismo verbo-visivo legato all'esperienza del Gruppo 70, e Marcatré, rivista di arte contemporanea, letteratura, architettura e musica, fondata e diretta da Eugenio Battisti nel 1963. Condivide con il padre la passione per la scrittura. Grazie a Giovanni Rabito, il dattiloscritto del padre intitolato Fontanazza, la storia di vita di un uomo che ha attraversato il novecento italiano, è presentato nel 1999 all'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Fontanazza è stato premiato nel 2000, e pubblicato con il titolo Terra Matta nel 2007. (Comunicato stampa)




Uno Stato senza nazione
L'elaborazione del passato nella Germania comunista (1945-1953)
di Edoardo Lombardi, ed. Unicopli, 2022, p. 138, euro 18.00


Il libro è stato presentato il 29 settembre 2022 presso Lo Spazio (Pistoia)
www.lospaziopistoia.it

Lo Spazio Pistoia, in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Pistoia presenta il saggio. Ne discuterà con l'autore Stefano Bottoni (Università di Studi di Firenze). Provata dall'esperienza del secondo conflitto mondiale e con un passato difficile da elaborare, la Germania entrava nel 1945 in uno dei periodi più complessi della sua storia, divisa e occupata dalle potenze alleate vincitrici. In questo nuovo contesto, i comunisti tedesco-orientali riconobbero immediatamente nella storia uno strumento per legittimare il proprio ruolo di guida delle masse. Una consapevolezza che, con la nascita della Repubblica Democratica Tedesca nel 1949, portò la SED (ovvero il Partito socialista unificato di Germania, che per quarant'anni fu la compagine politica dominante nella Germania Est) a trasformare la storia in uno strumento istituzionale.

Essa divenne infatti la base fondante per legittimare l'esistenza del «primo Stato socialista sul suolo tedesco», riplasmando e in certi casi reinventando il passato. Erano i primi passi di uno Stato senza Nazione, il cui tentativo di appropriazione della storia andò realizzandosi in modo molto graduale e non senza difficoltà, come questo libro racconta, seguendone dettagliatamente gli sviluppi.

Edoardo Lombardi è dottore magistrale in Scienze storiche presso l'Università degli Studi di Firenze. Dal 2018 collabora con l'Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea di Pistoia (Isrpt), per il quale svolge attività di ricerca e di didattica sul territorio. Nel 2020 entra a far parte della redazione del periodico dell'istituto, «Farestoria. Società e storia pubblica». I suoi interessi di studio riguardano soprattutto la storia culturale della Germania e dell'Italia in Età contemporanea, con particolare attenzione alle politiche culturali della Repubblica democratica tedesca. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Matthias Schaller Matthias Schaller - Horst Bredekamp
Ad omnia: Sull'opera del veronauta Matthias Schaller

ed. Petrus Books, 862 fotografie, 156 pagine, hardcover, 32.5x21.5 cm, 2022, edizione tedesca-italiana (dal 3 maggio)

Anche se non appaiono quasi mai gli esseri umani sono onnipresenti nelle fotografie di Matthias Schaller (Dillingen an der Donau, 1965). Con grande precisione e sensibilità, l'artista ha creato in oltre vent'anni di attività, un universo fotografico senza precedenti: ritratti "ambientali", ensemble di oggetti e spazi che raccontano le persone. Che si tratti di studi d'artista, di interni domestici, di teatri, di tavolozze e strumenti o di abiti, le sue serie fotografiche trasmettono l'idea che i segni che lasciamo sulla realtà dicano tanto su una persona quanto la sua presenza fisica.

Accanto alle attuali mostre Porträt al Kunstpalast di Düsseldorf e Antonio Canova a cura di Xavier F. Salomon ai Musei Civici di Bassano del Grappa, Matthias Schaller ha presentato il libro edito da Petrus Books, casa editrice di Schaller, con un saggio di Horst Bredekamp (Kiel, 1947), Professore di Storia dell'arte alla Humboldt-Universität di Berlino. Un libro che attraverso 862 fotografie racconta gli ultimi vent'anni della sua attività di fotografo ed editore, e che idealmente si ricollega alla pubblicazione del 2015 (Steidl Publisher) con un testo/intervista di Germano Celant dal titolo Matthias Schaller, in cui venivano raccontati i suoi primi dieci anni di attività dal 2000 al 2010. Tra gli autori che hanno collaborato collaborato per le pubblicazioni di Matthias Schaller sono Julian Barnes (London), Andreas Beyer (Basel), Gottfried Boehm (Basel), Germano Celant (Milano), Mario Codognato (Venezia), Xavier F. Salomon (New York City), Thomas Weski (Berlin).

Matthias Schaller ha studiato antropologia visiva presso le Università di Hamburg, Göttingen e Siena. Si laurea con una tesi sul lavoro di Giorgio Sommer (Frankfurt, 1834 - 1914 Napoli), uno dei fotografi di maggior successo dell'Ottocento. Il lavoro di Schaller è stato esposto, tra gli altri, al Museo d'Arte Moderna di Rio de Janeiro, al Wallraf-Richartz Museum di Köln, al Museum Serralves di Porto e al SITE di Santa Fe. Nel 2022 oltre alle mostre inaugurate Porträt e Antonio Canova, sono di prossima apertura Das Meisterstück presso Le Gallerie d'Italia a Milano (30 giugno), Matthias Schaller alla Kunstverein Schwäbisch Hall (28 ottobre). (Comunicato stampa Lara Facco P&C)




Communism(s): A Cold War Album
di Arthur Grace, introduzione di Richard Hornik, 192 pagine, 121 immagini b&n, cartonato in tela, aprile 2022
www.damianieditore.com

Grazie ad un raro e prezioso visto da giornalista, il fotografo americano Arthur Grace ha potuto valicare ripetutamente la Cortina di Ferro durante gli anni '70 e '80 e documentare un mondo che a lungo è stato celato all'occidente. Communism(s): A Cold War Album è una raccolta di oltre 120 fotografie in bianco e nero realizzate da Grace in quel periodo e per la maggior parte fino ad oggi inedite. Questi scatti, realizzati in Unione Sovietica, Polonia, Romania, Jugoslavia e Repubblica Democratica Tedesca, restituiscono il costante e a tratti crudele rapporto tra la claustrofobica irregimentazione di stato e la (soffocata) voglia di contatti con il mondo esterno della popolazione.

Nelle fotografie di Grace emerge forte il contrasto tra la propaganda di regime fatta di simboli e architetture che rimandano ad un'idea di grandezza ed efficienza e le difficoltà della vita quotidiana fatta di lunghe file per l'approvvigionamento del cibo. Il libro è arricchito da un'introduzione scritta da Richard Hornik, ex capo dell'ufficio di Varsavia della rivista Time.

Arthur Grace ha realizzato servizi fotografici in tutto il mondo per i magazine Time e Newsweek. Suoi lavori sono apparsi anche in molte altre riviste, tra cui Life, The New York Times Magazine, Paris Match e Stern. Prima di Communism(s): A Cold War Album, Grace ha pubblicato altri cinque libri fotografici; ha esposto in numerosi musei e gallerie negli Stati Uniti e all'estero; sue opere fotografiche sono incluse nelle collezioni permanenti di importanti istituti tra cui il J. Paul Getty Museum, la National Portrait Gallery e lo Smithsonian. (Comunicato ufficio stampa Damiani Editore)




Copertina del libro Guttuso e il realismo in Italia Guttuso e il realismo in Italia, 1944-1954
di Chiara Perin, Silvana Editoriale, Collana Studi della Bibliotheca Hertziana, 2020

Il libro è stato presentato il 13 aprile 2022 alla Accademia Nazionale di San Luca (Roma)

Alla caduta del fascismo anche gli artisti dovettero affrontare nuovi e dilemmi. Quale linguaggio per manifestare il proprio impegno civile? Come interpretare la lezione dei maestri italiani, di Picasso e delle avanguardie? Avventurarsi nel terreno dell'astrazione o ripiegare sulle forme rassicuranti del realismo? Il volume indaga questi e analoghi interrogativi alla luce delle esperienze figurative maturate in Italia tra 1944 e 1954.

L'ambiente romano trova particolare risalto: lì, infatti, si concentravano i dibattiti più vitali grazie alla presenza del capofila realista, Renato Guttuso. Limitando la ridondanza delle coeve pagine critiche a vantaggio dell'analisi di opere e contesto, acquistano evidenza gli aspetti meno noti del movimento: i modelli visivi, i generi ricorrenti, le controversie tra i tanti esponenti. In appendice, una fitta cronologia consente al lettore di seguire da vicino eventi e polemiche del decennio. (Estratto da comunicato ufficio stampa Maria Bonmassar)




Locandina per la presentazione del libro Eolie enoiche Eolie enoiche
Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra

ed. DeriveApprodi, 2022, p. 192, euro 16,00

Il libro è stato presentato il 26 febbraio 2022 alla libreria Lo Spazio (Pistoia)

Isole Eolie, un arcipelago da sogno. Nino Caravaglio, 57 anni, vignaiolo di Salina, sincero, appassionato, testardo, sensibile. Protagonista della viticultura eoliana, da oltre trent'anni lavora al recupero di vigne e vitigni, contribuendo a ridare forma a un paesaggio agricolo fatto di vecchie tecniche e nuove pratiche, relazioni umane solidali e sensibilità ambientale. Nino è un vignaiolo tout-court, di quelli che non si siedono mai e il loro vino deve sempre mirare all'eccellenza senza mai essere modaiolo perché rispecchia l'unicità di queste terre.

Dodici ettari di vigna divisi in quasi 40 appezzamenti: 40 campi da seguire, 40 potature, 40 vendemmie seguendo le stagioni (si parte in agosto dal mare e si sale poi sugli altipiani). Corinto nero e Malvasia i vitigni principali, da soli o mescolati con cataratto, nerello mescalese, calabrese, perricone. Alcuni dei nomi che Nino ha dato alle varie vinificazioni sono da soli poesia: Occhio di terra, Nero du munti, Infatata, Scampato, Inzemi, Abissale, Chiano cruci...

Le vigne di mare delle Eolie - quelle di Caravaglio e di altri coraggiosi precursori, le cui storie si intrecciano nel libro di Simonetta Lorigliola - hanno le radici nei crateri dei vulcani o negli appezzamenti a strapiombo sul mare, ma i loro occhi sono puntati sulla terra. Perché nelle storie di chi torna ad abitare con vitalità aree impervie dell'Italia e del pianeta stanno le premesse non solo di nuove agricolture, ma anche di nuove ecologie e forme di vita.

Libro presentato da Simonetta Lorigliola e Nino Caravaglio. Modera l'incontro Cesare Sartori. A seguire degustazione dei vini Infatata e Occhio di Terra (Malvasia), Nero du Munti (Corinto Nero).

Simonetta Lorigliola, giornalista e autrice, si occupa di cultura materiale. È nata e cresciuta in Friuli. Ha frequentato l'Università degli studi di Trieste, laureandosi in Filosofia. È stata Responsabile Comunicazione di Altromercato, la principale organizzazione di Commercio equo e solidale in Italia. Ha collaborato con Luigi Veronelli, nella sua rivista "EV Vini, cibi, intelligenze" e nel progetto di contadinità planetaria t/Terra e libertà/critical wine. Ha vissuto in Messico, ad Acapulco, insegnando Lingua e cultura italiana.

Ha diretto "Konrad. Mensile di informazione critica del Friuli Venezia Giulia". Da molti anni collabora con il Seminario Veronelli per il quale è oggi Caporedattrice e Responsabile delle Attività culturali. Con DeriveApprodi ha pubblicato "È un vino paesaggio.Teorie e pratiche di un vignaiolo planetario in Friuli" (2018) ed "Eolie enoiche. Racconti di vini, di sole, di vignaioli sensibili alla terra" (2020). Scrive di vino come intercessore culturale di storie, utopie e progetti sensibili. (Estratto da comunicato stampa)

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The Rough Guide - Sicilia
Guida turistica di Robert Andrews, Jules Brown, Kate Hughes
Recensione




1989 Muro di Berlino, Europa
www.iger.org

Quaderno della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, a cura di Roberto Ventresca e Teresa Malice, pubblicato per Luca Sossella Editore. Un racconto corale che raccoglie i contributi, gli spunti, le riflessioni delle voci di tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del progetto internazionale Breaching the Walls. We do need education! Un progetto internazionale dedicato alla rielaborazione critica, attraverso un coinvolgimento plurale di istituzioni e cittadini, della storia e della memoria della caduta del Muro di Berlino e degli eventi da questa scatenati.

Risultato tra i progetti vincitori, nel programma Europa per i cittadini 2014-2020, del bando Memoria europea 2019, è stato promosso dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, in qualità di capofila, unitamente a 5 partner europei: l'Università di Bielefeld, l'Institute of Contemporary History di Praga, il Comune di Tirana, l'Associazione Past/Not Past di Parigi e l'History Meeting House di Varsavia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Dario Argento Due o tre cose che sappiamo di lui Dario Argento
Due o tre cose che sappiamo di lui


a cura di Steve Della Casa, ed. Electa e Cinecittà, pagg. 160, cm 24x30, ita/ing, 80 illustrazioni a colori, 28 euro
In libreria dal 12 ottobre 2021

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico capace di dedicarsi a generi come il giallo, il thriller e l'horror creando un proprio universo visivo ed espressivo, Dario Argento si configura tra i registi italiani più noti al mondo. Il volume monografico a lui dedicato è pubblicato da Electa e Cinecittà, in occasione della rassegna cinematografica organizzata da Cinecittà in collaborazione con il Lincoln Center che verrà inaugurata il prossimo anno a New York e durante la quale saranno proposti 17 film originali integralmente restaurati.

Curato da Steve Della Casa, noto critico cinematografico, il volume vuole rendere omaggio ai tratti distintivi del cinema di Dario Argento attraverso una raccolta di interventi di autori di rilievo internazionale -da Franco e Verdiano Bixio a John Carpenter, da Steve Della Casa a Jean-François Rauger, a George A. Romero e Banana Yoshimoto-. Il risultato è una polifonia di voci dal carattere eterogeneo, tra cui due interviste inedite e conversazioni con il regista, che offrono al lettore la possibilità di confrontarsi con le testimonianze di chi ha vissuto il "fenomeno Dario Argento" in prima persona e di coglierne gli elementi più originali che hanno rivoluzionato il panorama cinematografico mondiale.

Argento si colloca infatti fra le figure più interessanti del cinema contemporaneo, su scala internazionale. Ne sono testimonianza la capacità di sviluppare una sintesi personalissima dell'estetica e delle novità emergenti durante gli anni Sessanta, che vedono un progressivo ridursi della centralità del grande schermo a vantaggio di nuove soluzioni tecnologiche. Nelle sue pellicole emerge un uso sorprendente della cinepresa a mano mescolato con virtuosismi da cinema tradizionale, così come un'attenzione quasi maniacale per la colonna sonora, vera protagonista dei suoi film che spesso raggiunge livelli di notorietà altissimi.

Rintracciamo nel suo modo di girare un linguaggio che si evolve in continuazione, fino a contaminarsi esplicitamente con quello delle clip musicali e scelte di produzione di avanguardia, come lavorare sempre con un casting di artisti internazionali, peculiarità che ricorre raramente nel panorama del cinema italiano. Tema centrale è poi il trionfo della visionarietà a scapito della sceneggiatura, tratto che contraddistingue la libertà creativa del cinema di Dario Argento, capace di generare nel pubblico un'attenzione quasi ipnotica ed un forte impatto visivo. Il volume si conclude con una filmografia completa e l'elenco delle sceneggiature scritte per altri film, insieme ad un ricco apparato fotografico del dietro le quinte delle produzioni più memorabili, tra cui Suspiria (1977), Il gatto a nove code (1971), Profondo rosso (1975), Phenomena (1985). (Comunicato ufficio stampa Electa)

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David Hemmings nel film Profondo Rosso diretto da Dario Argento




Copertina del libro Un calcio alla guerra Un calcio alla guerra, Milan-Juve del '44 e altre storie
di Davide Grassi e Mauro Raimondi

Il libro è stato presentato il 9 ottobre 2021 presso l'Associazione Culturale Renzo Cortina a Milano

A settantasei anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Davide Grassi e Mauro Raimondi, da sempre interessati agli intrecci tra storia e sport, hanno unito le loro passioni per creare un libro di impegno civile. "Un calcio alla guerra" narra di storie individuali e collettive che esaltano il coraggio e l'abnegazione dei molti sportivi coinvolti nell'assurdità della guerra. Vicende di persone che sono passate dal campo di calcio alla lotta per la Liberazione, in qualche caso pagando con la vita.

Storie vissute in bilico tra pallone e Resistenza al nazifascismo come quelle di Bruno Neri, Giacomo Losi, Raf Vallone, Carlo Castellani, Michele Moretti, Antonio Bacchetti, Dino Ballacci, Cestmir Vycpalek, "Cartavelina" Sindelar, Erno Erbstein, Arpad Weisz, Géza Kertész, Gino Callegari, Vittorio Staccione, Edoardo Mandich, Guido Tieghi, e Alceo Lipizer, solo per citare i più celebri. Le incredibili partite giocate tra partigiani e nazisti, come quella che si disputò a Sarnano nel maceratese nel 1944, o quelle fra reclusi nei lager e i loro aguzzini, vere e proprie partite della morte, a cui si ispirò il film di John Houston, "Fuga per la vittoria", passando per un episodio che pochi conoscono: il rastrellamento avvenuto dopo la partita fra Milan e Juventus del 2 luglio 1944, correlata da una accurata ricerca d'archivio.

Senza trascurare i protagonisti di altri sport. Tra i tanti Alfredo Martini, partigiano che diventò commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, il pallanuotista e rugbista, Ivo Bitetti, fra coloro che catturarono Benito Mussolini in fuga, il ciclista tedesco Albert Richter, che aiutò gli ebrei a scappare e venne impiccato, i tanti pugili costretti a combattere per la vita sul ring di Auschwitz per il divertimento dei loro kapò o che si ribellarono lottando alla guerra nazifascista, come Leone Jacovacci, Lazzaro Anticoli, Pacifico di Consiglio e Settimio Terracina.

Interverranno gli autori e Marco Steiner, figlio di Mino Steiner, il nipote di Giacomo Matteotti protagonista di uno dei racconti del libro, che per la sua attività nella Resistenza venne deportato e assassinato in campo di concentramento. Questo libro è dedicato a tutte le persone che hanno sognato un pallone, dei guantoni, una sciabola, un paio di sci, un'auto da corsa, una piscina o una pista d'atletica insieme alla libertà. Con l'obiettivo di ricordare, per dare un calcio alla guerra.

Davide Grassi, giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani nazionali, tra cui il Corriere della Sera, e con magazine di calcio e radio. Ha scritto e curato diversi libri soprattutto di letteratura sportiva, ma anche di storia della Seconda guerra mondiale e musica. Con il suo primo libro nel 2002 ha vinto il premio "Giornalista pubblicista dell'anno" e nel 2003 è stato premiato come "L'addetto stampa dell'anno". Il suo sito è www.davideg.it

Mauro Raimondi, per molti anni insegnante di Storia di Milano, sulla sua città ha pubblicato Il cinema racconta Milano (Edizioni Unicopli, 2018), Milano Films (Frilli, 2009), Dal tetto del Duomo (Touring Club, 2007), CentoMilano (Frilli, 2006). Nel 2010 ha inoltre curato la biografia del poeta Franco Loi in Da bambino il cielo (Garzanti). Nella letteratura sportiva ha esordito nel 2003 con Invasione di campo. Una vita in rossonero (Limina).

Davide Grassi e Mauro Raimondi insieme hanno pubblicato Milano è rossonera. Passeggiata tra i luoghi che hanno fatto la storia del Milan (Bradipolibri, 2012) e Milan 1899. Una storia da ricordare (El nost Milan, 2017). Insieme ad Alberto Figliolia, hanno pubblicato Centonovantesimi. Le 100 partite indimenticabili del calcio italiano (Sep, 2005), Eravamo in centomila (Frilli, 2008), Portieri d'Italia (A.car Edizioni, 2013, con 13 tavole di Giovanni Cerri) e Il derby della Madonnina (Book Time, 2014). Nel 2019 hanno partecipato alla raccolta di racconti Milanesi per sempre (Edizioni della Sera). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Sparta e Atene _ Autoritarismo e Democrazia di Eva Cantarella Sparta e Atene. Autoritarismo e Democrazia
di Eva Cantarella

Un bel libro, di facile lettura e di carattere divulgativo, destinato non sono a specialisti e addetti i lavori, bensì a tutti coloro che siano anche dei semplici appassionati della grande Storia della Grecia Classica. Pur se dedicato a un argomento ampiamente trattato da autorevoli studiosi, il testo offre l'occasione di approfondire tematiche non troppo note inerenti Sparta e Atene, le due città simbolo di uno dei periodi storici che più accendono la fantasia di una moltitudine di lettori. (Estratto da recensione di Rudy Caparrini)

Recensione nel Blog di Rudy Caparrini




"Un regalo dal XX Secolo"
Piccole raccolte di cultura - Binomio di musica e poesia - Dal Futurismo al Decadentismo di Gabriele D'Annunzio

www.allegraravizza.com

La Galleria Allegra Ravizza propone una selezione di Edizioni Sincrone nell'ampio progetto Archivi Telematici del XX Secolo. Con i loro preziosi contenuti, ogni Edizione tratta e approfondisce un preciso argomento del secolo scorso. Dal Futurismo al Decadentismo. Le piccole raccolte, frutto di studio approfondito, hanno l'ambizioso scopo di far riscoprire le sensazioni dimenticate o incomprese del nostro bagaglio culturale e la gioia che ne deriva.

Le Edizioni Sincrone qui presentate, si incentrano su due temi principali: la Musica Futurista e i capolavori letterari del poeta Gabriele D'Annunzio. Dalla raccolta dannunziana "Canto Novo" alla tragedia teatrale "Sogno di un tramonto d'autunno", dal Manifesto futurista di Francesco Balilla Pratella a "L'Arte dei Rumori" di Luigi Russolo, ogni Edizione contiene una vera e propria collezione di musiche, accompagnate da un libro prezioso, una raccolta di poesie o una fotografia: un Racconto dell'Arte per la comprensione dell'argomento.

Canto Novo
di Gabriele D'Annunzio
A diciannove anni, nel 1882, Gabriele D'Annunzio pubblica la raccolta di poesie "Canto Novo", dedicata all'amante Elda Zucconi. I sentimenti, la passione, l'abbattimento e il sensualismo che trapelano dalle parole del poeta divengono note e melodie grazie al talento musicale di grandi compositori del Novecento tra cui Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti e Ottorino Respighi. L'Edizione Sincrona contiene il volume "Canto Novo" insieme alle musiche dei grandi compositori che a questo si ispirarono. (Euro 150,00 + Iva)

Poema Paradisiaco
di Gabriele D'Annunzio

"La sera", tratta da "Poema Paradisiaco" (1893) di Gabriele D'Annunzio, fu sicuramente una delle poesie maggiormente musicate dai compositori del Novecento. Nella Edizione Sincrona sono contenute le liriche di compositori come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ottorino Respighi e Pier Adolfo Tirindelli, che si ispirarono ai versi del Vate creando varie interpretazioni melodiche e attuando diverse scelte musicali, insieme al volume "Poema Paradisiaco" di D'Annunzio. (Euro 150,00 + Iva)

Sogno di un tramonto d'autunno
di Gabriele D'Annunzio

Concepito nel 1897, "Sogno di un Tramonto d'Autunno" è composto dal Vate per il suo grande amore: Eleonora Duse, che interpretò infatti il ruolo della protagonista durante la prima rappresentazione del 1899. All'interno dell'Edizione Sincrona è presente il volume "Sogno di un tramonto d'autunno" del 1899 accompagnato dalla musica del noto compositore Gian Francesco Malipiero composta nel 1913, le cui note sono racchiuse in un audio oggi quasi introvabile. Oltre a questo prezioso materiale, l'Edizione racchiude ad una fotografia della bellissima Eleonora Duse e due versioni del film omonimo "Sogno di un Tramonto d'Autunno" diretto da Luigi Maggi nel 1911. (Euro 200,00 + Iva)

Raccolta di 100 liriche su testi
di Gabriele D'Annunzio

La sensibilità, lo spirito e la forte emotività presente nei versi di Gabriele D'Annunzio non poterono che richiamare l'attenzione di grandi artisti e compositori del Novecento come Franco Casavola, Francesco Paolo Tosti, Ildebrando Pizzetti e Domenico Alaleona che, affascinati dalle parole del Vate, tradussero in musica le sue poesie. L'Edizione Sincrona contiene 100 liriche musicate dai grandi compositori insieme ai rispettivi testi e volumi di Gabriele D'Annunzio da cui sono tratte: "Canto Novo", "Poema Paradisiaco", "Elettra" e "Alcione" (rispettivamente Libro II e III delle "Laudi"), "La Chimera e l'Isotteo" e infine la copia anastatica di "In memoriam". (Euro 500,00 + Iva)

La Musica Futurista

La Musica futurista, grazie a compositori come Francesco Balilla Pratella, Luigi Russolo, Franco Casavola e Silvio Mix, stravolse completamente il concetto di rumore e suono, rinnegando con forza la tradizione musicale Ottocentesca. Le musiche futuriste presenti all'interno di questa Edizione Sincrona svelano nuove note, nuovi timbri, nuovi rumori mai sentiti prima, dimostrando come le ricerche e le invenzioni futuriste riuscirono a cambiare per sempre il futuro della musica. Insieme a questa corposa raccolta musicale, l'Edizione contiene un video introduttivo e due testi fondamentali per poter contestualizzare e comprendere appieno il panorama storico in cui la Musica Futurista sorse: "La musica futurista" di Stefano Bianchi e gli esilaranti racconti di Francesco Cangiullo contenuti in "Le serate Futuriste". (Euro 200,00 + Iva)

Il Manifesto di Francesco Balilla Pratella | Musica Futurista

Fondato nel 1909, il Futurismo si manifestò in ogni campo artistico. Nel 1910, su richiesta di Filippo Tommaso Marinetti, il giovane compositore Francesco Balilla Pratella scrisse il "Manifesto dei Musicisti Futuristi", un'energica ribellione alla cultura borghese dell'Ottocento in nome del coraggio, dell'audacia e della rivolta. L'Edizione Sincrona presenta, insieme al manifesto originale del 1910, la musica futurista di uno dei maggiori compositori del Primo Futurismo: Francesco Balilla Pratella. Ad accompagnare il prezioso manifesto e le musiche, sono presenti inoltre due manuali fondamentali per la comprensione del lavoro e della figura di Francesco Balilla Pratella dal titolo "Testamento" e "Caro Pratella". (Euro 500,00 + Iva)

Il Manifesto di Luigi Russolo | Musica Futurista

"La vita antica fu tutta silenzio. Nel XIX secolo, con l'invenzione delle macchine, nacque il Rumore": con questa dichiarazione esposta nel manifesto "L'Arte dei Rumori" del 1913 il futurista Luigi Russolo rinnova e amplifica il concetto di suono/rumore stravolgendo per sempre la storia della musica. In questa Edizione Sincrona sono contenuti le musiche e i suoni degli Intonarumori di Russolo, insieme al manifesto del 1913 "L'Arte dei Rumori" che teorizzò questa strabiliante invenzione! Per poter comprendere e approfondire la figura del grande inventore futurista, l'Edizione contiene anche un libro "Luigi Russolo. La musica, la pittura, il pensiero". (Euro 500,00 + Iva)

Video su Musica Futurista
youtu.be/T04jDobaB-Q




Copertina libro Ultima frontiera, di Giovanni Cerri Ultima frontiera
Diario, incontri, testimonianze

di Giovanni Cerri, Casa editrice Le Lettere, Collana "Atelier" a cura di Stefano Crespi, Firenze 2020
www.lelettere.it

Nell'orizzonte contemporaneo appare significativa la testimonianza di questi scritti di Giovanni Cerri. In un connotato diaristico, divenuto sempre più raro, vive la "voce" dei ricordi, dei volti, dei momenti esistenziali, delle figure dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, conoscenze di personaggi testimoniali, incontri con artisti. In una scrittura aperta, esplorativa, emergono due tematiche in una singolare originalità: la periferia come corrispettivo della solitudine dell'anima; lo sguardo senza tempo nell'inconscio, in ciò che abbiamo amato, in ciò che non è accaduto.

Giovanni Cerri (Milano, 1969), figlio del pittore Giancarlo Cerri, ha iniziato la sua attività nel 1987 e da allora ha esposto in Italia e all'estero in importanti città come Berlino, Francoforte, Colonia, Copenaghen, Parigi, Varsavia, Toronto, Shanghai. Nel continuo richiamo al territorio urbano di periferia, la sua ricerca si è sviluppata nell'indagine tematica dell'archeologia industriale con il ciclo dedicato alle Città fantasma. Nel 2011, invitato dal curatore Vittorio Sgarbi, espone al Padiglione Italia Regione Lombardia della Biennale di Venezia. Nel 2014 presenta la mostra Milano ieri e oggi nelle prestigiose sale dell'Unione del Commercio a Palazzo Bovara a Milano. Nel 2019 alla Frankfurter Westend Galerie di Francoforte è ospitata la mostra Memoria e Futuro. A Milano, nell'anno di Leonardo, in occasione del quinto centenario leonardesco.

- Dalla postfazione di Stefano Crespi

«Nel percorso di questa collana «Atelier», sono usciti in una specularità scritti di artisti e scritti di letterati: gli scritti degli artisti nelle cadenze dell'orizzonte interiore (ricordiamo: Confessioni di Filippo de Pisis, Cieli immensi di Nicolas de Staël); gli scritti dei letterati nel tradurre, nel prolungare in nuova vita il fascino, l'enigma dei quadri (ricordiamo Giovanni Testori, Yves Bonnefoy). Nelle istanze oggi di comunicazione mediatica, di caduta dell'evento, il libro di Giovanni Cerri, Ultima frontiera, si apre a uno spazio senza fine di sensi, luce, eros, avventura dell'immagine, della parola. Accanto allo svolgimento della pittura, vivono, rivivono, nelle sue pagine, anche dagli angoli remoti della memoria, i tratti del vissuto, i momenti dell'esistere: richiami all'adolescenza, le prime immagini dell'arte nello studio del padre, figure di artisti, personaggi testimoniali, i luoghi, il luogo ultimativo della periferia, occasioni di accostamento a quadri del passato, museali. [...]

Soffermandoci ora in alcuni richiami, ritroviamo il senso di un percorso, i contenuti emozionali, quella condizione originaria che è l'identità della propria espressione. In una sorta di esordio, viene ricordato lo studio del padre, artista riconosciuto, Giancarlo Cerri. Uno studio in una soffitta di un antico edificio. Ma anche «luogo magico», dove si avvia la frase destinale, il viaggio di Giovanni Cerri che percepisce la differenza (o forse anche una imprevedibile relazione) tra figurazione come rappresentazione e astrazione come evocazione. David Maria Turoldo è stato una figura testimoniale in una tensione partecipe alle ragioni dell'esistere e al senso di una vita corale. Lo scritto di Giovanni Cerri ha la singolarità di un ricordo indelebile nella conoscenza, con la madre, all'abbazia di S. Egidio a Fontanella e poi nella frequentazione, dove Turoldo appare come presenza, come voce, come forza di umanità. Scrive Cerri: «un uomo fatto di pietra antica, come la sua chiesa».

Michail Gorbaciov, negli anni dopo la presidenza dell'Unione Sovietica, in un viaggio in Italia, con la moglie Raissa ha una sosta a Sesto San Giovanni, dove visita anche l'occasione di una mostra di tre giovani artisti. Giovanni Cerri, uno dei tre artisti, conserva quel momento imprevedibile di sorpresa con gli auguri di Gorbaciov. Un'emozione suscita la visita al cimitero Monumentale: una camminata, un viaggio inconfondibile nelle testimonianze che via via si succedono. In particolare, toccante la tomba di una figura femminile mancata a ventiquattro anni. Rivive, in Cerri, davanti alla scultura dedicata a questa figura femminile, una bellezza seducente, il mistero di un eros oltre il tempo. Nelle pagine di diario appaiono, come tratti improvvisi, occasioni, emozioni.

Così il ricordo di Floriano Bodini nella figura, nel personaggio, nelle parole, nel fascino delle sue sculture in una visita allo studio. Giovanni Cerri partecipa all'inaugurazione della mostra di Ennio Morlotti sul ciclo delle bagnanti. In quella sera dell'inaugurazione erano presenti Morlotti e Giovanni Testori sui quali scrive Cerri: «cercatori inesausti delle verità nascoste, tra le pieghe infinite dello scrivere e del dipingere». Un intenso richiamo alla scoperta della Bovisa: «un paesaggio spettrale» nella corrosione, nella vita segreta del tempo. Accanto al percorso diaristico, Giovanni Cerri riporta in una sezione alcuni testi di sue presentazioni in cataloghi o nello stimolo di un'esposizione. In un ordine cronologico della stesura dei testi figurano Alessandro Savelli, Giancarlo Cazzaniga, Franco Francese, Alberto Venditti, Marina Falco, Fabio Sironi.

Si tratta di artisti con una singolarità, un connotato originario. Si riconferma la scrittura di Cerri, fuori da aspetti categoriali, didascalici. Una scrittura esplorativa nelle intuizioni, nei riferimenti creativi, in un movimento dialettico: esistenza e natura, interno ed esterno, presenza e indicibile, immagini e simboli, «una luce interiore» e «l'ombra, il mistero, l'enigma della vita». In conclusione al libro si presentano due interviste con Giovanni Cerri curate da Luca Pietro Nicoletti nel 2008, da Francesca Bellola nel 2016. Appaiono, limpidamente motivati, momenti tematici, espressivi, con intensa suggestione di rimandi. Inevitabile, infine, una considerazione sul rapporto del pensiero, della scrittura con la pittura.

Più che a richiami in relazioni specifiche, dirette, il percorso di Cerri nella sua eventicità destinale può essere ricondotto a due tematiche: la visione interiore della periferia e lo sguardo senza tempo nel volto. Tematiche che hanno una connessione anche psicologica nell'alfabeto oscuro dell'esistenza, del silenzio. La periferia è l'addio ancestrale nelle sue voci disadorne, stridenti, perdute, nella solitudine in esilio dalle cifre celesti. Nell'intervista di Francesca Bellola c'è un'espressione emblematica di Giovanni Cerri sulla periferia: «non sono più solo le zone periferiche delle città industriali con le strade, i viali e le tangenziali ad essere desolate, ma è anche la nostra anima, il nostro terreno interiore, a evidenziare i segni di abbandono». Il titolo che segna in modo così sintomatico l'opera di Cerri è Lo sguardo senza tempo. In un'osservazione generale, il «vedere» è la scena dei linguaggi, lo sguardo è inconscio, memoria, ciò che abbiamo amato, ciò che non è accaduto [...]» (Comunicato ufficio stampa De Angelis Press)




Copertina del libro Il Calzolaio dei Sogni, di Salvatore Ferragamo, pubblicato da Electa Il calzolaio dei sogni
di Salvatore Ferragamo, ed. Electa, pag. 240, oltre 60 illustrazioni in b/n, in edizione in italiano, inglese e francese, 24 euro, settembre 2020

Esce per Electa una nuova edizione, con una veste grafica ricercata, dell'autobiografia di Salvatore Ferragamo (1898-1960), pubblicata per la prima volta in inglese nel 1957 da George G. Harrap & Co., Londra. Salvatore Ferragamo si racconta in prima persona - la narrazione è quasi fiabesca - ripercorrendo l'avventura della sua vita, ricca di genio e di intuito: da apprendista ciabattino a Bonito, un vero "cul-de-sac" in provincia di Avellino, a calzolaio delle stelle di Hollywood (le sue calzature vestirono, tra le altre celebrità, Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Sofia Loren e Greta Garbo), dalla lavorazione artigianale fino all'inarrestabile ascesa imprenditoriale.

Il volume - corredato da un ricco apparato fotografico e disponibile anche in versione e-book e, a seguire, audiolibro - ha ispirato il film di Luca Guadagnino "Salvatore - Shoemaker of Dreams", Fuori Concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia: la narrazione autobiografica diventa un lungometraggio documentario che delinea non solo l'itinerario artistico di Ferragamo, ma anche il suo percorso umano, attraverso l'Italia e l'America, due mondi che s'intrecciano fortemente. (Comunicato stampa)




Federico Patellani, Stromboli, 1949 - Federico Patellani © Archivio Federico Patellani - Regione Lombardia _Museo di Fotografia Contemporanea Federico Patellani, Stromboli 1949
ed. Humboldt Books

Il libro è stato presentato il 30 giugno 2020
www.mufoco.org

Il Museo del Cinema di Stromboli e il Museo di Fotografia Contemporanea presentano il libro in una diretta (canali YouTube e Facebook del Mufoco) che vedrà intervenire Alberto Bougleux, Giovanna Calvenzi, Emiliano Morreale, Aldo Patellani e Alberto Saibene. La pubblicazione è introdotta dalle parole della lettera con cui Ingrid Bergman si presenta a Roberto Rossellini: "Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho apprezzati moltissimo.

Se ha bisogno di un'attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo 'ti amo', sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei". Rossellini, dopo aver ricevuto questa lettera da Ingrid Bergman, allora una delle massime stelle hollywoodiane, la coinvolge nel progetto che diventerà il film Stromboli, terra di Dio (1950), ma ancor prima del film è la storia d'amore tra il regista romano e l'attrice svedese a riempire le cronache di giornali e rotocalchi.

Federico Patellani, uno dei migliori fotografi dell'epoca, si reca sull'isola eoliana: le sue fotografie fanno il giro del mondo, perché non documentano solo la realizzazione del film, ma anche le condizioni di vita degli abitanti e la forza degli elementi. Dall'archivio Patellani, presso il Museo di Fotografia Contemporanea, sono emerse le fotografie che aiutano a ricostruire nella sua integrità quella celebre storia. (Comunicato stampa)




Copertina del libro La Dama col ventaglio romanzo di Giovanna Pierini La Dama col ventaglio
di Giovanna Pierini, Mondadori Electa, 2018
Il libro è stato presentato il 20 novembre 2019 a Roma al Palazzo Barberini

Il romanzo mette in scena Sofonisba Anguissola ultranovantenne a Palermo - è il 1625 - nel suo tentativo di riacciuffare i fili della memoria e ricordare l'origine di un dipinto. La pittrice in piedi davanti alla tela cerca di ricordare: aveva dipinto lei quel ritratto? È passato tanto tempo. Nonostante l'abbacinante luce di mezzogiorno la sua vista è annebbiata, gli occhi stanchi non riconoscono più i dettagli di quella Dama con il ventaglio raffigurata nel quadro. È questo il pretesto narrativo che introduce la vicenda biografica di una delle prime e più significative artiste italiane. Sofonisba si presenta al lettore come una donna forte, emancipata e non convenzionale, che ha vissuto tra

Cremona, Genova, Palermo e Madrid alla corte spagnola. Tra i molti personaggi realmente esistiti - Orazio Lomellini, il giovane marito; il pittore Van Dyck; Isabella di Valois, regina di Spagna - e altri di pura finzione, spicca il giovane valletto Diego, di cui Sofonisba protegge le scorribande e l'amore clandestino, ma che non potrà salvare. La ricostruzione minuziosa di un'Italia al centro delle corti d'Europa, tra palazzi nobiliari, botteghe artigiane e viaggi per mare, e di una città, Palermo, fa rivivere le atmosfere di un'epoca in cui una pittrice donna non poteva accedere alla formazione accademica e doveva superare numerosi pregiudizi sociali. Tra le prime professioniste che seppero farsi largo nella ristretta società degli artisti ci fu proprio Sofonisba, e questo racconto, a cavallo tra realtà e finzione, ne delinea le ragioni: l'educazione lungimirante del padre, un grande talento e una forte personalità.

Giovanna Pierini, giornalista pubblicista, per anni ha scritto di marketing e management. Nel 2006 ha pubblicato Informazioni riservate con Alessandro Tosi. Da sempre è appassionata d'arte, grazie alla madre pittrice, Luciana Bora, di cui cura l'archivio dal 2008. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato stampa Maria Bonmassar)




Manoel Francisco dos Santos (Garrincha) Elogio della finta
di Olivier Guez, di Neri Pozza Editore, 2019

«Manoel Francisco dos Santos, detto Garrincha (lo scricciolo), era alto un metro e sessantanove, la stessa altezza di Messi. Grazie a lui il Brasile divenne campione del mondo nel 1958 e nel 1962, e il Botafogo, il suo club, regnò a lungo sul campionato carioca. Con la sua faccia da galeotto, le spalle da lottatore e le gambe sbilenche come due virgole storte, è passato alla storia come il dribblatore pazzo, il più geniale e il più improbabile che abbia calcato i campi di calcio. «Come un compositore toccato da una melodia piovuta dal cielo» (Paulo Mendes Campos), Garrincha elevò l'arte della finta a essenza stessa del gioco del calcio.

Il futebol divenne con lui un gioco ispirato e magico, fatto di astuzia e simulazione, un gioco di prestigio senza fatica e sofferenza, creato soltanto per l'Alegria do Povo, la gioia del popolo. Dio primitivo, divise la scena del grande Brasile con Pelé, il suo alter-ego, il re disciplinato, ascetico e professionale. Garrincha resta, tuttavia, il vero padre putativo dei grandi artisti del calcio brasiliano: Julinho, Botelho, Rivelino, Jairzinho, Zico, Ronaldo, Ronaldinho, Denílson, Robinho, Neymar, i portatori di un'estetica irripetibile: il dribbling carioca. Cultore da sempre del football brasiliano, Olivier Guez celebra in queste pagine i suoi interpreti, quegli «uomini elastici che vezzeggiano la palla come se danzassero con la donna più bella del mondo» e non rinunciano mai a un «calcio di poesia» (Pier Paolo Pasolini).  

Olivier Guez (Strasburgo, 1974), collabora con i quotidiani Le Monde e New York Times e con il settimanale Le Point. Dopo gli studi all'Istituto di studi politici di Strasburgo, alla London School of Economics and Political Science e al Collegio d'Europa di Bruges, è stato corrispondente indipendente presso molti media internazionali. Autore di saggi storico-politici, ha esordito nella narrativa nel 2014. (Comunicato stampa Flash Art)




Copertina del libro a fumetti Nosferatu, di Paolo D'Onofrio pubblicato da Edizioni NPE Pagina dal libro Nosferatu Nosferatu
di Paolo D'Onofrio, ed. Edizioni NPE, formato21x30cm, 80 pag., cartonato b/n con pagine color seppia, 2019
edizioninpe.it/product/nosferatu

Il primo adattamento a fumetti del film muto di Murnau del 1922 che ha fatto la storia del cinema horror. Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e proiettato per la prima volta il 5 marzo 1922, è considerato il capolavoro del regista tedesco e uno dei capisaldi del cinema horror ed espressionista. Ispirato liberamente al romanzo Dracula (1897) di Bram Stoker, Murnau ne modificò il titolo, i nomi dei personaggi (il Conte Dracula diventò il Conte Orlok, interpretato da Max Schreck) e i luoghi (da Londra a Wisborg) per problemi legati ai diritti legali dell'opera.

Il regista perse la causa per violazione del diritto d'autore, avviata dagli eredi di Stoker, e venne condannato a distruggere tutte le copie della pellicola. Una copia fu però salvata dallo stesso Murnau, e il film è potuto sopravvivere ed arrivare ai giorni nostri. L'uso delle ombre in questo film classico ha avuto una eco infinita nel cinema successivo, di genere e non. Edizioni NPE presenta il primo adattamento a fumetti di questa pellicola: un albo estremamente particolare, che riprende il film fotogramma per fotogramma, imprimendolo in color seppia su una carta ingiallita ed invecchiata, utilizzando per il lettering lo stesso stile delle pellicole mute e pubblicato in un grande cartonato da collezione. (Comunicato stampa)




Copertina del libro Errantia Gonzalo Alvarez Garcia Errantia
Poesia in forma di ritratto

di Gonzalo Alvarez Garcia

Il libro è stato presentato il 7 agosto 2018 alla Galleria d'arte Studio 71, a Palermo
www.studio71.it

Scrive l'autore in una sua nota nel libro "... Se avessi potuto comprendere il segreto del geranio nel giardino di casa o della libellula rossa che saltellava nell'aria sopra i papiri in riva al fiume Ciane, a Siracusa, avrei capito anche me steso. Ma non capivo. Ad ogni filo d'erba che solleticava la mia pelle entravo nella delizia delle germinazioni infinite e sprofondavo nel mistero. Sentivo confusamente di appartenere all'Universo, come il canto del grillo. Ma tutto il mio sapere si fermava li. Ascoltavo le parole, studiavo i gesti delle persone intorno a me come il cacciatore segue le tracce della preda, convinto che le parole e i gesti degli uomini sono una sorta di etimologia.

Un giorno o l'altro, mi avrebbero portato a catturare la verità.... Mi rivolsi agli Dei e gli Dei rimasero muti. Mi rivolsi ai saggi e i saggi aggiunsero alle mie altre domande ancora più ardue. Seguitai a camminare. Incontrai la donna, che non pose domande. Mi accolse con la sua grazia ospitale. Da Lei ho imparato ad amare l'aurora e il tramonto...". Un libro che ripercorre a tappe e per versi, la sua esistenza di ragazzo e di uomo, di studioso e di poeta, di marito e padre. Errantia, Poesia in forma di ritratto, con una premessa di Aldo Gerbino è edito da Plumelia edizioni. (Comunicato stampa)




Copertina libro L'ultima diva dice addio L'ultima diva dice addio
di Vito di Battista, ed. SEM Società Editrice Milanese, pp. 224, cartonato con sovracoperta, cm.14x21,5 €15,00
www.otago.it

E' la notte di capodanno del 1977 quando Molly Buck, stella del cinema di origine americana, muore in una clinica privata alle porte di Firenze. Davanti al cancello d'ingresso è seduto un giovane che l'attrice ha scelto come suo biografo ufficiale. E' lui ad avere il compito di rendere immortale la storia che gli è stata data in dono. E forse molto di più. Inizia così il racconto degli eventi che hanno portato Molly Buck prima al successo e poi al ritiro dalle scene, lontana da tutto e da tutti nella casa al terzo piano di una palazzina liberty d'Oltrarno, dove lei e il giovane hanno condiviso le loro notti insonni.

Attraverso la maestosa biografia di un'attrice decaduta per sua stessa volontà, L'ultima diva dice addio mette in scena una riflessione sulla memoria e sulla menzogna, sul potere della parola e sulla riduzione ai minimi termini a cui ogni esistenza è sottoposta quando deve essere rievocata. Un romanzo dove i capitoli ricominciano ciclicamente con le stesse parole e canzoni dell'epoca scandiscono lo scorrere del tempo, mentre la biografia di chi ricorda si infiltra sempre più nella biografia di chi viene ricordato. Vito di Battista (San Vito Chietino, 1986) ha vissuto e studiato a Firenze e Bologna. Questo è il suo primo romanzo. (Comunicato Otago Literary Agency)




Locandina per la presentazione del libro Zenobia l'ultima regina d'Oriente Zenobia l'ultima regina d'Oriente
L'assedio di Palmira e lo scontro con Roma

di Lorenzo Braccesi, Salerno editrice, 2017, p.200, euro 13,00

Il sogno dell'ultima regina d'Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, piú esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l'impero di Roma prossimo alla disgregazione. L'ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l'esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l'imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira - oggi oggetto di disumana offesa - ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista.

Lorenzo Braccesi ha insegnato nelle università di Torino, Venezia e Padova. Si è interessato a tre aspetti della ricerca storica: colonizzazione greca, società augustea, eredità della cultura classica nelle letterature moderne. I suoi saggi piú recenti sono dedicati a storie di donne: Giulia, la figlia di Augusto (Roma-Bari 2014), Agrippina, la sposa di un mito (Roma-Bari 2015), Livia (Roma 2016). (Comunicato stampa)




Copertina del libro Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica Napoleone Colajanni tra partito municipale e nazionalizzazione della politica
Lotte politiche e amministrative in provincia di Caltanissetta (1901-1921)


di Marco Sagrestani, Polistampa, 2017, collana Quaderni della Nuova Antologia, pag. 408
www.leonardolibri.com

Napoleone Colajanni (1847-1921) fu una figura di rilievo nel panorama politico italiano del secondo Ottocento. Docente e saggista, personalità di notevole levatura intellettuale, si rese protagonista di importanti battaglie politiche, dall'inchiesta parlamentare sulla campagna in Eritrea alla denuncia dello scandalo della Banca Romana. Il saggio ricostruisce il ruolo da lui svolto nella provincia di Caltanissetta, in particolare nella sua città natale Castrogiovanni e nell'omonimo collegio elettorale. In un'area dove la lotta politica era caratterizzata da una pluralità di soggetti collettivi - democratici, repubblicani, costituzionali, socialisti e cattolici - si pose come centro naturale di aggregazione delle sparse forze democratiche, con un progetto di larghe convergenze finalizzato alla rinascita politica, economica e morale della sua terra. (Comunicato stampa)




Opera di Gianni Maria Tessari Copertina della rassegna d'arte Stappiamolarte Stappiamolarte
www.al-cantara.it/news/stappiamo-larte

La pubblicazione realizzata con le opere di 68 artisti provenienti dalle diverse parti d'Italia è costituita da immagini di istallazioni e/o dipinti realizzati servendosi dei tappi dell'azienda. All'artista, infatti, è stata data ampia libertà di esecuzione e, ove lo avesse ritenuto utile, ha utilizzato, assieme ai tappi, altro materiale quale legno, vetro, stoffe o pietre ma anche materiali di riciclo. Nel sito di Al-Cantara, si può sfogliare il catalogo con i diversi autori e le relative opere. Nel corso della giornata sarà possibile visitare i vigneti, la cantina dell'azienda Al-Cantàra ed il " piccolo museo" che accoglie le opere realizzate.

Scrive nel suo testo in catalogo Vinny Scorsone: "...L'approccio è stato ora gioioso ora riflessivo e malinconico; sensuale o enigmatico; elaborato o semplice. Su esso gli artisti hanno riversato sensazioni e pensieri. A volte esso è rimasto tale anche nel suo ruolo mentre altre la crisalide è divenuta farfalla varcando la soglia della meraviglia. Non c'è un filo comune che leghi i lavori, se non il fatto che contengano dei tappi ed è proprio questa eterogeneità a rendere le opere realizzate interessanti. Da mano a semplice cornice, da corona a bottiglia, da schiuma a poemetto esso è stato la fonte, molto spesso, di intuizioni artistiche singolari ed intriganti. Il rosso del vino è stato sostituito col colore dell'acrilico, dell'olio. Il tappo inerte, destinato a perdersi, in questo modo, è stato elevato ad oggetto perenne, soggetto d'arte in grado di valicare i confini della sua natura deperibile...". (Comunicato stampa)




Stelle in silenzio
di Annapaola Prestia, Europa Edizioni, 2016, euro 15,90

Millecinquecento chilometri da percorrere in automobile in tre giorni, dove ritornano alcuni luoghi cari all'autrice, già presenti in altri suoi lavori. La Sicilia e l'Istria fanno così da sfondo ad alcune tematiche forti che il romanzo solleva. Quante è importante l'influenza di familiari che non si hanno mai visto? Che valore può avere un amore di breve durata, se è capace di cambiare un destino? Che peso hanno gli affetti che nel quotidiano diventano tenui, o magari odiosi? In generale l'amore è ciò che lega i personaggi anche quando sembra non esserci, in un percorso che è una ricerca di verità tenute a lungo nascoste.

Prestia torna quindi alla narrativa dopo il suo Caro agli dei" (edito da "Il Filo", giugno 2008), che ha meritato il terzo premio al "Concorso nazionale di narrativa e poesia F. Bargagna" e una medaglia al premio letterario nazionale "L'iride" di Cava de'Tirreni, sempre nel 2009. Il romanzo è stato presentato dal giornalista Nino Casamento a Catania, dallo scrittore Paolo Maurensig a Udine, dallo psicologo Marco Rossi di Loveline a Milano. Anche il suo Ewas romanzo edito in ebook dalla casa editrice Abel Books nel febbraio 2016, è arrivato semifinalista al concorso nazionale premio Rai eri "La Giara" edizione 2016 (finalista per la regione Friuli Venezia Giulia) mentre Stelle in silenzio, come inedito, è arrivato semifinalista all'edizione del 2015 del medesimo concorso.

Annapaola Prestia (Gorizia, 1979), Siculo-Istriana di origine e Monfalconese di adozione, lavora dividendosi tra la sede della cooperativa per cui collabora a Pordenone e Trieste, città in cui gestisce il proprio studio psicologico. Ama scrivere. Dal primo racconto ai romanzi a puntate e alle novelle pubblicati su riviste a tiratura nazionale, passando per oltre venti pubblicazioni in lingua inglese su altrettante riviste scientifiche specializzate in neurologia e psicologia fino al suo primo romanzo edito Caro agli dei... la strada è ancora tutta in salita ma piena di promesse.

Oltre a diverse fan-fiction pubblicate su vari siti internet, ha partecipato alla prima edizione del premio letterario "Star Trek" organizzato dallo STIC - Star Trek Italian Club, ottenendo il massimo riconoscimento. Con suo fratello Andrea ha fondato la U.S.S. Julia, un fan club dedicato a Star Trek e alla fantascienza. Con suo marito Michele e il suo migliore amico Stefano, ha aperto una gelateria a Gradisca d'Isonzo, interamente dedicata alla fantascienza e al fantasy, nella quale tenere vive le tradizioni gastronomiche della Sicilia sposandole amabilmente con quelle del Nord Est d'Italia. (Comunicato Ufficio stampa Emanuela Masseria)




Copertina libro I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel I quaranta giorni del Mussa Dagh
di Franz Werfel, ed. Corbaccio, pagg.918, €22,00
www.corbaccio.it

«Quest'opera fu abbozzata nel marzo dell'anno 1929 durante un soggiorno a Damasco, in Siria. La visione pietosa di fanciulli profughi, mutilati e affamati, che lavoravano in una fabbrica di tappeti, diede la spinta decisiva a strappare dalla tomba del passato l'inconcepibile destino del popolo armeno.» Grande e travolgente romanzo, narra epicamente il tragico destino del popolo armeno, minoranza etnica odiata e perseguitata per la sua antichissima civiltà cristiana, in eterno contrasto con i turchi, con il grande Impero ottomano detentore del potere. Verso la fine del luglio 1915 circa cinquemila armeni perseguitati dai turchi si rifugiarono sul massiccio del Mussa Dagh, a Nord della baia di Antiochia.

Fino ai primi di settembre riuscirono a tenere testa agli aggressori ma poi, cominciando a scarseggiare gli approvvigionamenti e le munizioni, sarebbero sicuramente stati sconfitti se non fossero riusciti a segnalare le loro terribili condizioni a un incrociatore francese. Su quel massiccio dove per quaranta giorni vive la popolazione di sette villaggi, in un'improvvisata comunità, si ripete in miniatura la storia dell'umanità, con i suoi eroismi e le sue miserie, con le sue vittorie e le sue sconfitte, ma soprattutto con quell'affiato religioso che permea la vita dell'universo e dà a ogni fenomeno terreno un significato divino che giustifica il male con una lungimirante, suprema ragione di bene.

Dentro il poema corale si ritrovano tutti i drammi individuali: ogni personaggio ha la sua storia, ogni racconto genera un racconto. Fra scene di deportazioni, battaglie, incendi e morti, ora di una grandiosità impressionante, ora di una tragica sobrietà scultorea, ma sempre di straordinaria potenza rappresentativa, si compone quest'opera fondamentale dell'epica moderna. Pubblicata nel 1933 I quaranta giorni del Mussa Dagh è stata giustamente considerata la più matura creazione di Werfel nel campo della narrativa. Franz Werfel (Praga, 1890 - Los Angeles, 1945) dopo la Prima guerra mondiale si stabilì a Vienna, dove si impose come uno dei protagonisti della vita letteraria mitteleuropea. All'avvento del nazismo emigrò in Francia e poi negli Stati Uniti. Oltre a I quaranta giorni del Mussa Dagh, Verdi. Il romanzo dell'opera, che rievoca in modo appassionato e realistico la vita del grande musicista italiano. (Comunicato Ufficio Stampa Corbaccio)

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- 56esima Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia
Padiglione nazionale della Repubblica di Armenia

Presentazione rassegna




Copertina libro Cuori nel pozzo di Roberta Sorgato Cuori nel pozzo
Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone.

di Roberta Sorgato
www.danteisola.org

Il libro rievoca le condizioni di vita precedenti alla grande trasformazione degli anni Sessanta del Novecento, e la durissima realtà vissuta dagli emigrati italiani nelle miniere di carbone del Belgio, è un omaggio rivolto ai tanti che consumarono le loro vite fino al sacrificio estremo, per amore di quanti erano rimasti a casa, ad aspettarli. Pagine spesso commosse, dedicate a chi lasciò il paese cercando la propria strada per le vie del mondo. L'Italia li ha tenuti a lungo in conto di figliastri, dimenticandoli. La difficoltà di comunicare, le enormi lontananze, hanno talvolta smorzato gli affetti, spento la memoria dei volti e delle voci. Mentre in giro per l'Europa e oltre gli oceani questi coraggiosi costruivano la loro nuova vita. Ciascuno con la nostalgia, dove si cela anche un po' di rancore verso la patria che li ha costretti a partire.

Qualcuno fa i soldi, si afferma, diventa una personalità. Questi ce l'hanno fatta, tanti altri consumano dignitosamente la loro vita nell'anonimato. Altri ancora muoiono in fondo a un pozzo, cadendo da un'impalcatura, vittime dei mille mestieri pesanti e pericolosi che solo gli emigranti accettano di fare. Ora che cinquant'anni ci separano dalla nostra esperienza migratoria, vissuta dai predecessori per un buon secolo, la memorialistica si fa più abbondante. Esce dalla pudica oralità dei protagonisti, e grazie ai successori, più istruiti ed emancipati si offre alla storia comune attraverso le testimonianze raccolte in famiglia. Con la semplicità e l'emozione che rendono più immediata e commossa la conoscenza. (Estratto da comunicato stampa di Ulderico Bernardi)

La poetessa veneta Roberta Sorgato, insegnante, nata a Boussu, in Belgio, da genitori italiani, come autrice ha esordito nel 2002 con il romanzo per ragazzi "Una storia tutta... Pepe" seguito nel 2004 da "All'ombra del castello", entrambi editi da Tredieci (Oderzo - TV). Il suo ultimo lavoro, "La casa del padre" inizialmente pubblicato da Canova (Treviso) ed ora riproposto nella nuova edizione della ca-sa editrice Tracce (Pescara).

«L'Italia non brilla per memoria. Tante pagine amare della nostra storia sono cancellate o tenute nell'oblio. Roberta Sorgato ha avuto il merito di pescare, dal pozzo dei ricordi "dimenticati", le vicende dei nostri minatori in Belgio e di scrivere "Cuori nel pozzo" edizioni Marsilio, sottotitolo: "Belgio 1956. Uomini in cambio di carbone". Leggendo questo romanzo - verità, scritto in maniera incisiva e con grande e tragico realismo, si ha l'impressione di essere calati dentro i pozzi minerari, tanto da poter avere una vi-sione intima e "rovesciata" del titolo ("Pozzi nel cuore" potrebbe essere il titolo "ad honorem" per un lettore ideale, così tanto sensibile a questi temi).

Un lettore che ha quest'ardire intimista di seguire la scrittrice dentro queste storie commoventi, intense, drammatiche - e che non tengono conto dell'intrattenimento letterario come lo intendiamo comunemente - è un lettore che attinge dal proprio cuore ed è sospinto a rivelarsi più umano e vulnerabile di quanto avesse mai osato pensare. In questo libro vige lo spettacolo eterno dei sentimenti umani; e vige in rela-zione alla storia dell'epoca, integrandosi con essa e dandoci un ritratto di grande effetto. Qui troviamo l'Italia degli anni cinquanta che esce dalla guerra, semplice e disperata, umile e afflitta dai ricordi bellici. Troviamo storie di toccanti povertà; così, insieme a quell'altruismo che è proprio dell'indigenza, e al cameratismo che si fa forte e si forgia percorrendo le vie drammatiche della guerra, si giunge ai percorsi umani che strappavano tanti italiani in cerca di fortuna alle loro famiglie.

L'emigrazione verso i pozzi minerari belgi rappresentava quella speranza di "uscire dalla miseria". Pochi ce l'hanno fatta, molti hanno pagato con una morte atroce. Tutti hanno subito privazioni e vessazioni, oggi inimmaginabili. Leggere di Tano, Nannj, Caio, Tonio, Angelina e tanti altri, vuol dire anche erigere nella nostra memoria un piccolo trono per ciascuno di loro, formando una cornice regale per rivisitare quegli anni che, nella loro drammaticità, ci consentono di riflettere sull'"eroismo" di quelle vite tormentate, umili e dignitose.» (Estratto da articolo di Danilo Stefani, 4 gennaio 2011)

«"Uomini in cambio di carbone" deriva dal trattato economico italo-belga del giugno 1946: l'accordo prevedeva che per l'acquisto di carbone a un prezzo di favore l'Italia avrebbe mandato 50 mila uomini per il lavoro in miniera. Furono 140 mila gli italiani che arrivarono in Belgio tra il 1946 e il 1957. Fatti i conti, ogni uomo valeva 2-3 quintali di carbone al mese.» (In fondo al pozzo - di Danilo Stefani)




Copertina libro La passione secondo Eva La passione secondo Eva
di Abel Posse, ed. Vallecchi - collana Romanzo, pagg.316, 18,00 euro
www.vallecchi.it

Eva Duarte Perón (1919-1952), paladina dei diritti civili ed emblema della Sinistra peronista argentina, fu la moglie del presidente Juan Domingo Perón negli anni di maggior fermento politico della storia argentina; ottenne, dopo una lunga battaglia politica, il suffragio universale ed è considerata la fondatrice dell'Argentina moderna. Questo romanzo, costruito con abilità da Abel Posse attraverso testimonianze autentiche di ammiratori e detrattori di Evita, lascia il segno per la sua capacità di riportare a una dimensione reale il mito di colei che è non soltanto il simbolo dell'Argentina, ma uno dei personaggi più noti e amati della storia mondiale.

Abel Posse (Córdoba - Argentina, 1934), diplomatico di carriera, giornalista e scrittore di fama internazionale. Studioso di politica e storia fra i più rappresentativi del suo paese. Fra i suoi romanzi più famosi ricordiamo Los perros del paraíso (1983), che ha ottenuto il Premio Ròmulo Gallegos maggior riconoscimento letterario per l'America Latina. La traduttrice Ilaria Magnani è ricercatrice di Letteratura ispano-americana presso l'Università degli Studi di Cassino. Si occupa di letteratura argentina contemporanea, emigrazione e apporto della presenza italiana. Ha tradotto testi di narrativa e di saggistica dallo spagnolo, dal francese e dal catalano.




Copertina del libro Odissea Viola Aspettando Ulisse lo Scudetto Odissea Viola. Aspettando Ulisse lo Scudetto
di Rudy Caparrini, ed. NTE, collana "Violacea", 2010
www.rudycaparrini.it

Dopo Azzurri... no grazie!, Rudy Caparrini ci regala un nuovo libro dedicato alla Fiorentina. Come spiega l'autore, l'idea è nata leggendo il capitolo INTERpretazioni del Manuale del Perfetto Interista di Beppe Severgnini, nel quale il grande scrittore e giornalista abbina certe opere letterarie ad alcune squadre di Serie A. Accorgendosi che manca il riferimento alla Fiorentina, il tifoso e scrittore Caparrini colma la lacuna identificando ne L'Odissea l'opera idonea per descrivere la storia recente dei viola.

Perché Odissea significa agonia, sofferenza, desiderio di tornare a casa, ma anche voglia di complicarsi la vita sempre e comunque. Ampliando il ragionamento, Caparrini sostiene che nell'Odissea la squadra viola può essere tre diversi personaggi: Penelope che aspetta il ritorno di Ulisse lo scudetto; Ulisse, sempre pronto a compiere un "folle volo" e a complicarsi la vita; infine riferendosi ai tifosi nati dopo il 1969, la Fiorentina può essere Telemaco, figlio del padre Ulisse (ancora nei panni dello scudetto) di cui ha solo sentito raccontare le gesta ma che mai ha conosciuto.

Caparrini sceglie una serie di episodi "omerici", associabili alla storia recente dei viola, da cui scaturiscono similitudini affascinanti: i Della Valle sono i Feaci (il popolo del Re Alcinoo e della figlia Nausicaa), poiché soccorrono la Fiorentina vittima di un naufragio; il fallimento di Cecchi Gori è il classico esempio di chi si fa attrarre dal Canto delle Sirene; Edmundo che fugge per andare al Carnevale di Rio è Paride, che per soddisfare il suo piacere mette in difficoltà l'intera squadra; Tendi che segna il gol alla Juve nel 1980 è un "Nessuno" che sconfigge Polifemo; Di Livio che resta coi viola in C2 è il fedele Eumeo, colui che nell'Odissea per primo riconosce Ulisse tornato ad Itaca e lo aiuta a riconquistare la reggia.

Un'Odissea al momento incompiuta, poiché la Fiorentina ancora non ha vinto (ufficialmente) il terzo scudetto, che corrisponde all'atto di Ulisse di riprendersi la sovranità della sua reggia a Itaca. Ma anche in caso di arrivasse lo scudetto, conclude Caparrini, la Fiorentina riuscirebbe a complicarsi la vita anche quando tutto potrebbe andare bene. Come Ulisse sarebbe pronta sempre a "riprendere il mare" in cerca di nuove avventure. Il libro è stato presentato il 22 dicembre 2010 a Firenze, nella Sala Incontri di Palazzo Vecchio.




Copertina libro Leni Riefenstahl Un mito del XX secolo Leni Riefenstahl. Un mito del XX secolo
di Michele Sakkara, ed. Edizioni Solfanelli, pagg.112, €8,00
www.edizionisolfanelli.it

«Il Cinema mondiale in occasione della scomparsa di Leni Riefenstahl, si inchina riverente davanti alla Salma di colei che deve doverosamente essere ricordata per i suoi geniali film, divenuti fondamentali nella storia del cinema.» Questo l'epitaffio per colei che con immagini di soggiogante bellezza ha raggiunto magistralmente effetti spettacolari. Per esempio in: Der Sieg des Glaubens (Vittoria della fede, 1933), e nei famosissimi e insuperati Fest der Völker (Olympia, 1938) e Fest der Schönheit (Apoteosi di Olympia, 1938).

Michele Sakkara, nato a Ferrara da padre russo e madre veneziana, ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio, alla ricerca, alla regia, alla stesura e alla realizzazione di soggetti, sceneggiature, libri (e perfino un'enciclopedia), ed è stato anche attore. Assistente e aiuto regista di Blasetti, Germi, De Sica, Franciolini; sceneggiatore e produttore (Spagna, Ecumenismo, La storia del fumetto, Martin Lutero), autore di una quarantina di documentari per la Rai.

Fra le sue opere letterarie spicca l'Enciclopedia storica del cinema italiano. 1930-1945 (3 voll., Giardini, Pisa 1984), un'opera che ha richiesto anni di ricerche storiche; straordinari consensi ebbe in Germania per Die Grosse Zeit Des Deutschen Films 1933-1945 (Druffel Verlag, Leoni am Starnberg See 1980, 5 edizioni); mentre la sua ultima opera Il cinema al servizio della politica, della propaganda e della guerra (F.lli Spada, Ciampino 2005) ha avuto una versione in tedesco, Das Kino in den Dienst der Politik, Propaganda und Krieg (DSZ-Verlag, München 2008) ed è stato ora tradotta in inglese.




L'Immacolata nei rapporti tra l'Italia e la Spagna
a cura di Alessandra Anselmi

Il volume ripercorre la storia dell'iconografia immacolistica a partire dalla seconda metà del Quattrocento quando, a seguito dell'impulso impresso al culto della Vergine con il pontificato di Sisto IV (1471-1484), i sovrani spagnoli si impegnano in un'intensa campagna volta alla promulgazione del dogma. Di grande rilevanza le ripercussioni nelle arti visive: soprattutto in Spagna, ma anche nei territori italiani più sensibili, per vari motivi, all'influenza politica, culturale e devozionale spagnola. Il percorso iconografico è lungo e complesso, con notevoli varianti sia stilistiche che di significato teologico: il punto d'arrivo è esemplato sulla Donna dell'Apocalisse, i cui caratteri essenziali sono tratti da un versetto del testo giovanneo.

Il libro esplora ambiti culturali e geografici finora ignorati o comunque non sistemati: la Calabria, Napoli, Roma, la Repubblica di Genova, lo Stato di Milano e il Principato Vescovile di Trento in un arco cronologico compreso tra la seconda metà del Quattrocento e il Settecento e, limitatamente a Roma e alla Calabria, sino all'Ottocento, recuperando all'attenzione degli studi una produzione artistica di grande pregio, una sorta di 'quadreria "ariana" ricca di capolavori già noti, ma incrementata dall'acquisizione di testimonianze figurative in massima parte ancora inedite.

Accanto allo studio più prettamente iconografico - che si pregia di interessanti novità, quali l'analisi della Vergine di Guadalupe, in veste di Immacolata India - il volume è sul tema dell'Immacolata secondo un'ottica che può definirsi plurale affrontando i molteplici contesti - devozionali, cultuali, antropologici, politici, economici, sociali - che interagiscono in un affascinante gioco di intrecci. (Estratto da comunicato stampa Ufficio stampa Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria)




Mario Del Monaco: Dietro le quinte - Le luci e le ombre di Otello
(Behind the scenes - Othello in and out of the spotlight)
di Paola Caterina Del Monaco, prefazione di Enrico Stinchelli, Aerial Editrice, 2007
Presentazione




Copertina del libro Le stelle danzanti di Gabriele Marconi Le stelle danzanti. Il romanzo dell'impresa fiumana
di Gabriele Marconi, ed. Vallecchi, pagg.324, Euro 15,00
www.vallecchi.it

L'Impresa fiumana fu un sogno condiviso e realizzato. Uno slancio d'amore che non ha eguali nella storia. D'Annunzio, fu l'interprete ispiratore di quello slancio, il Comandante, il Vate che guidò quella straordinaria avventura, ma protagonisti assoluti furono i tantissimi giovani che si riversarono nella città irredenta e là rimasero per oltre un anno. L'età media dei soldati che, da soli o a battaglioni interi, parteciparono all'impresa era di ventitré anni. Il simbolo di quell'esperienza straordinaria furono le stelle dell'Orsa Maggiore, che nel nostro cielo indicano la Stella Polare. Il romanzo narra le vicende di Giulio Jentile e Marco Paganoni, due giovani arditi che hanno stretto una salda amicizia al fronte. Dopo la vittoria, nel novembre del 1918 si recano a Trieste per far visita a Daria, crocerossina ferita in battaglia di cui sono ambedue innamorati.

Dopo alcuni giorni i due amici faranno ritorno alle rispettive famiglie ma l'inquietudine dei reduci impedisce un ritorno alla normalità. Nel febbraio del 1920 li ritroviamo a Fiume, ricongiungersi con Daria, uniti da un unico desiderio. Fiume è un calderone in ebollizione: patrioti, artisti, rivoluzionari e avventurieri di ogni parte d'Europa affollano la città in un clima rivoluzionario-libertino. Marco è tra coloro che sono a stretto contatto con il Comandante mentre Giulio preferisce allontanarsi dalla città e si unisce agli uscocchi, i legionari che avevano il compito di approvvigionare con i beni di prima necessità anche con azioni di pirateria. (...) Gabriele Marconi (1961) è direttore responsabile del mensile "Area", è tra i fondatori della Società Tolkieniana Italiana e il suo esordio narrativo è con un racconto del 1988 finalista al Premio Tolkien.





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